
SABATO 23 MAGGIO 2015








la magistratura avrebbe sicuramente usato la stessa misura se fosse stato un notav
Sabato 23 Maggio 2015, 14:03
Sono stati concessi gli arresti domiciliari al cittadino senegalese accusato di avere colpito ieri mattina un carabiniere durante un controllo a Genova.
La decisione è stata presa nel corso del processo per direttissima.
L’udienza è stata aggiornata al prossimo 17 luglio dopo che i legali dell’uomo, gli avvocati Rodolfo Senes e Giulia Polese, hanno chiesto termini per la difesa.
L’aggressore ha detto di avere avuto paura quando è stato fermato perchè i due militari erano in borghese e non aveva capito che lo stavano controllando.
Secondo quanto ricostruito, il militare in servizio presso la stazione di San Teodoro Scali, sarebbe stato colpito alla bocca, all’addome, alla spalla e agli arti.
L’aggressore, di 31 anni, lavora come operaio edile in una ditta del centro storico cittadino, è accusato di resistenza a pubblico ufficiale e lesioni aggravate.
Roma – «Aggiungi un posto a tavola ché c’è un parente in più, se sposti un po’ la seggiola stai comodo anche tu». Garinei e Giovannini forse l’avrebbero scritta in questo modo se avessero saputo che, con il passare degli anni, Palazzo Madama (e anche la Camera) si sarebbe trasformato in un buen retiro per fratelli, cugini, figli e suocere.
per fortuna che gli antagonisti sono in piazza a difendere la democrazia che questo terzo governo non eletto sta portando avanti. E per fortuna che è un governo compagno, tanto in affanno per i deboli, disoccupati, lavoratori pensionati……per fortuna che difende i deboli dalle “destre reazionarie” che portano via i tanti diritti di cui i poveri godono
Il ministro Poletti annuncia “una delle cento idee” allo studio: chi si ritira con meno di 67 anni d’età avrà l’assegno calcolato solo sui contributi versati
Apprendiamo con piacere come il processo per l’abuso edilizio della baita in Clarea si sia concluso con una parziale ma significativa vittoria per i No TAV. Gli imputati sono stati assolti da uno dei tre capi di imputazione, quello riferito alla violazione paesaggistica. E’ stata inoltre rigettata la richiesta di risarcimento da parte di LTF, con condanna della medesima alla rifusione delle spese legali. Resta da chiarire come LTF si sia potuta costituire parte civile chiedendo il risarcimento visto che ancora oggi non abbiamo la possibilità di comprendere chiaramente quali fossero i confini del cantiere. La baita è uno dei simboli più significativi della resistenza No TAV, ed è oggetto di un altro procedimento che coinvolge anche Beppe Grillo, condannato in primo grado per violazione dei sigilli.
Resta un punto interrogativo sulle presunte violazioni dei vincoli paesaggistici, se esse valgano solo per i No TAV o anche per gli interventi di LTF come ad esempio avvenuto nei pressi del museo archeologico di Chiomonte, trasformato addirittura in caserma per un certo periodo ed a tutt’oggi inaccessibile.
Ma il vero processo, ne siamo convinti, si svolgerà fra diversi anni, quando i promotori della grande opera inutile dovranno rispondere davanti ai giudici di una devastazione del territorio e di uno spreco di denaro pubblico che ha davvero pochi precedenti nel nostro paese.
Francesca Frediani, Consigliere regionale M5S Piemonte
Dopo l’intervento del senatore Esposito sulla sua pagina di FB, Fabrizio Zandonatti ha scelto di dimettersi da presidente della società Acsel che gestisce la raccolta rifiuti in Val di Susa. La notizia ha fatto molto clamore; sui media è stata ripetuta l’accusa di aver utilizzato la carta di credito aziendale per un totale di 92.000 euro in due anni. Abbiamo chiesto a Zandonatti di raccontarci la sua versione. Di seguito il resoconto dell’intervista che ci ha gentilmente concesso.
D: Come funziona la struttura direzionale di Acsel di cui lei faceva parte?
R: esiste la figura del Presidente, di un Amministratore Delegato che è anche Amministratore Generale e un Consiglio di Amministrazione. I poteri di carattere operativo li ha l’Amministratore Delegato che è anche amministratore generale. Il presidente aveva poteri di rappresentanza e qualche potere residuo e vi è un consigliere che non ha di fatto poteri, partecipa al consiglio, e tutte le decisioni che hanno particolare rilevanza o che superano le deleghe assegnate o che non sono assegnate dall’assemblea e che come importi superano i valori autorizzati sono sottoposti alla sua approvazione; a meno che non siano esclusiva dell’amministratore delegato. Le decisioni nel complesso sono collegiali.
D: l’Acsel è composta da soci che sono in pratica enti locali della Valle
R: si! e hanno affidato ad Acsel i servizi di raccolta e smaltimento rifiuti, tranne due comuni che sono Buttigliera e Rosta. Questi sono soci di Acsel non per la raccolta rifiuti ma perché un tempo Acsel svolgeva anche l’attività di depurazione del servizio idrico integrato delle acque. Acsel è stato l’unico soggetto che invece di conferire il proprio depuratore a SMAT e ottenere in cambio delle azioni lo ha invece venduto generando una grande liquidità.
D: La società si è occupata anche di fotovoltaico e fibra ottica mi pare.
R: attività che era stata decisa dai soci prima che arrivassi. L’idea era che la società diventasse anche essere un motore di innovazione nei confronti dei comuni e non si occupasse solo della raccolta rifiuti mettendo in campo azioni che fossero profittevoli per i comuni e anche per Acsel. Il progetto esaminava l’ipotesi di un ritorno economico per gli investimenti effettuati da Acsel e che non costiuisse un danno per i soci che non avessero aderito. Gli investimenti sul fotovoltaico non sono stati fatti su tutti i comuni in quanto alcuni di essi non avevano caratteristiche idonee (esempio la posizione). Decisioni queste comunque assunte prima che arrivassi in Acsel.
Sulla fibra ottica c’è stato un progetto che prosegue ancora oggi e che consente ai comuni di aderire con un investimento molto contenuto per attivare il Wi-Fi sul territorio e collegare con la fibra alcune sedi istituzionali. Nel complesso manca, talvolta, una visione sovra-comunale che consenta di realizzare delle economie di scala. Per esempio non tutti i comuni trattano la differenziata in modo uguale.
D: sovente la gente pensa che la raccolta differenziata finisca tutta nell’inceneritore. Quanto c’è di vero?
R: ciò che è stato raccolto in modo differenziato viene valorizzato anche se non è possibile attuarlo al 100% in quanto il prodotto sovente risulta sporcato con del materiale improprio. La raccolta differenziata viene calcolata a peso. Per esempio raccogli una tonellata di vetro ma poi quando la scarichi ti accorgi che dentro ci è stato messo dell’altro. Accade anche per la frazione organica. Non è la carta che crea un problema. Ma sono le lattine, vetro e cose simili. La quota residua della raccolta differenziata, quello che rimane, un tempo veniva portato all’impianto di interramento controllato, per esempio la discarica di Mattie, a costi più contenuti, invece da alcuni mesi va all’inceneritore di Torino con costi maggiori (legati alla distanza). I compattatori utilizzati per la raccolta non sono mezzi adatti pr fare lunghi percorsi stradali e quindi si stanno realizzando dei centri di trasferenza nei quali dai compattatori i residui vengono scaricati su mezzi più grandi che trasportano i rifiuti residui all’inceneritore. Indubbiamente abbiamo delle dis-economie di scala.
Non è più possibile utilizzare la discarica di Mattie a causa di una circolare (chiamata “Orlando”) che recepisce una normativa europea – e l’Italia è già stata sottoposta a sanzioni da tempo per molti milioni di euro per non aver applicato la normativa comunitaria. La normativa prevede l’obbligo di portare in discarica materiale tale per cui non generi una certa quantità stabilita di carbonio residuo. Per rispettare questo i rifiuti dovrebbero prima finire in un impianto di selezione che deve stabilizzare il rifiuto – riducendo in modo rilevante la quantità di carbonio – e dopo può quindi essere conferito in discarica. Purtroppo nella provincia di Torino non esiste nessun impianto di questo tipo.
D: veniamo alla questione della carta di credito, ci racconti la sua versione. E’ corretto quanto sostenuto dal senatore Esposito che lei in due anni ha speso circa 92.000 euro?
R: intanto precisiamo che si tratta di quattro anni e non di due. Quando un amministratore, o un dipendente di un’azienda, usa una carta di credito aziendale per fare delle spese, in azienda arriva l’estratto conto e viene registrato il costo sostenuto dall’azienda attraverso quella carta di credito e colui che l’ha usata acquisisce una posizione debitoria nei confronti della società. Quando l’utilizzatore presenta i documenti giustificativi pari all’importo registrato come costi, il debito viene chiuso.
Dal 2011 al 2012 c’è stata una fusione aziendale e l’attività – amministrativa – si è di fatto fermata. Nel 2013 quando si è presa in mano la situazione contabile la persona incaricata ha avuto un grave problema famigliare e quindi i dati (le pezze giustificative)non sono stati caricati. L’attività di verifica dei conti iniziata nel 2013 si è conclusa nel 2014. Mancando questa persona nessuno ha pensato di caricare i dati di giustificazione delle spese, nemmeno quelle “inequivocabili”. Nel 2014 è stato fatto un lavoro più attento sui conti e una parte delle spese sostenute (con la carta di credito) non sono state riconosciute per diversi motivi. Mancava parte dei documenti necessari (documentazione attestante incompleta), e a distanza di tre anni alcuni documenti non erano più recuperabili perchè i soggetti che li avevano rilasciati non erano più esistenti oppure non erano più in grado di produrre copia del documento originale se perduto. Mancando quindi alcuni documenti la società non ha riconosciuto la spesa. Altre spese sono state considerate “non inerenti” (spese con scontrini non fiscali oppure non chiaramente riconducibili alla società). Il collegio sindacale che ha fatto le verifiche ha applicato il massimo rigore: ciò che non è chiaramente riconducibile non può essere considerato. Tutta questa parte ha costituito una somma che ho provveduto a pagare e quindi quei 92.000 si sono ridotti in quanto è venuto meno parte del credito (41.000 euro) che la società vantava. La parte rimanente (circa 51.00 euro) è stata considerata dal collegio sindacale supportata da documenti attestanti le spese e ha chiuso quella posizione contabile. Il bilancio 2014 presentato dalla società con allegata la relazione del collegio sindacale (obbligatoria per Legge) non cita questo problema perché il problema è stato risolto.
Quindi se nel 2013 c’era un “debito” di Zandonatti verso la società di X euro, nel 2014 il debito non esiste più in quanto una parte è stata saldato (quella non riconosciuta) e l’altra è stato riconosciuto come spesa competente alla società.
D: Quindi la vicenda parte dal 2011. Il fatto di aver ridato alla società una “parte” che non era giustificata questo non avvalora le “illazioni” per le quali qualcuno può dire che Zandonatti ha fatto delle spese personali con la carta di credito aziendale?
R: Il fatto è che in quella cifra c’è di tutto. Spese non sostenute, altre non imputabili direttamente alla società ma che ho fatto pensando che fossero imputabili alla società. Ci possono essere stati alcuni errori che ho fatto ma certo l’obiettivo non era quello di utilizzare la carta di credito a mio vantaggio. Non è che uno possa pensare di fare il furbo con la carta di credito aziendale quando è tutto registrato. Se Acsel vantasse un credito di quelle proporzioni nei miei confronti avrebbe già provveduto con azioni atte al recupero dei soldi. Come fa qualsiasi azienda nei confronti dei clienti che non pagano.
D: ma ci sono altri soggetti che non sono clienti che hanno posizioni debitorie nei confronti della società?
R: si, non molti ma ce ne sono.
D: chi per esempio?
R: questo non lo posso dire, sono fatti interni alla società.
D: Questa vicenda sembra avere anche dei contorni “politici” all’interno delle diatribe presenti nel PD valsusino. Qualcuno ha osservato che forse non era nemmeno lei l’oggetto di questa questione sollevata sui media. Cosa ne pensa? Il senatore Esposito l’ha definita un “No Tav moderato” si riconosce in questa definizione?
R: Intanto mi domando cosa c’entri Esposito con l’azienda. Il problema era risolto da un punto di vista aziendale. Non c’è ammanco, non c’è “buco”, non c’è quello che hanno scritto i giornali.
Questo non lo dico io, ma il bilancio, gli atti e il collegio sindacale. L’intervento di Esposito su questa vicenda avviene dopo la chiusura del problema attestata dal collegio, quindi mi sembra “fuori tempo” sotto questo aspetto. La questione contabile era stata chiusa già due mesi prima del suo intervento. Diversamente non sarebbe stato possibile presentare un bilancio corretto. Da quello che ho letto ci sono alcune cose che mi fanno pensare ci siano altri ragionamenti dietro questa vicenda. Per esempio l’”accusa” di essere un No Tav “moderato”, che non so cosa voglia dire, e di essere anticasta. Mi pare di ricordare che l’articolo 21 della Costituzione garantisce la libertà di esprimere le proprie opinioni a meno che uno non commetta un reato, insultando o affermando il falso, o tirando i sassi. Quindi l’affermazione mi pare un po’ gratuita.
L’errore che è stato fatto è l’aver considerato la questione sotto il profilo “interno” all’azienda senza immaginare eventuali risvolti “esterni” di natura più strumentale e politica. Colpa anche mia che non ho sollecitato la risoluzione più rapida di questa questione contabile.
D: Qualche attacco politico c’era stato già in passato. Nel 2012 Lo Spiffero pubblicò un articolo tirando in ballo lei, la società e la sua compagna affermando che il giovane No tav che diede della “pecorella” a un carabiniere era un dipendente Acsel che se ne andava in giro a fare manifestazioni durante le ore di lavoro.
R: Ciò è assolutamente falso; non era un dipendente di Acsel; Marco Bruno era dipendente di una cooperativa che lavorava per noi; Acsel si era costituita come parte lesa in questa vicenda, neanche su mia richiesta.
D: ha ricevuto solidarietà su questa storia che l’ha coinvolta?
R: si, sopratutto messaggi da persone inaspettate; meno da persone da cui mi sarei aspettato un appoggio. Sono vicende che nel loro male aiutano a rinsaldare i rapporti famigliari e ti consentono di selezionare le amicizie.
(D.A. 23.05.15 – intervista del 19.05.15)
Fino a qui nulla di che, ma sono i modi e le motivazioni che vanno sottolineati.
I modi: tramite il suo avvocato Esposito presenta le sue motivazioni, ovvero 4 pagine scritte dove parla in terza persona di se. Un comizietto a mezzo stampa che nemmeno gli altri querelanti che hanno ritirato la denuncia, Chiamparino e Morgando, hanno sottoscritto e il giudice non ha neanche letto la prima pagina.
“L’avvocato sottoscritto, difensore di ESPOSITO STEFANO, persona offesa nel procedimento penale indicato in epigrafe a carico di Triolo Loredana, rassegna le seguenti note, redatte personalmente dal predetto Esposito Stefano, a sostegno della remissione di querela.”
E con che motivazioni: “La battaglia per il Tav è vinta perché l’opera è stata democraticamente decisa e perché Francia e Italia la stanno realizzando secondo i cronoprogrammi. Non c’è più nessuna battaglia da combattere”. E non solo, il senatore se la prende anche con gli avvocati che prestano gratuitamente la loro opera difendendo i notav e battagliando con ricorsi e azioni legali, che definisce ” […]strumento per silenziare le voci che non rispondono all’appello notav. Pazientemente lo stesso ( parla di lui medesimo ndr) accetta anche questa strategia e attende con serenità che la magistratura faccia il proprio lavoro…”
Insomma Espochi? con clemenza ritira le querele, ed “egli avanza verso la vittoria”, per usare il suo linguaggio.
Bravo Stefano, non ricambieremo il favore.
Les combats continuent, pourtant la coalition anti-Daesh emmenée par les occidentaux détourne pudiquement le regard.
La coalition continue de bombarder avec succès les positions djihadistes face aux kurdes, hier à Kobané et aujourd’hui à Hassaké, mais Palmyre l’indiffère. Quelques raids aériens bien guidés auraient pu stopper net les colonnes du Djihad. Mais parce que ce sont des alaouites qui résistent à la barbarie, rien ne sera fait.
L’indignation de la communauté internationale est unanime, la directrice générale de l’Unesco Irina Bokova s’active pour sauver Palmyre. Jack Lang, président de l’institut du monde arabe, a pris les accents des soldats de l’an II sur Europe 1: «il faut massacrer ces massacreurs et sauver Palmyre!» Décidément ses camarades font peu de cas de nos racines gréco-latines. La culture n’a pas d’importance quand les «méchants» la défendent. Comme si l’Occident ne parvenait pas à sortir de son manichéisme pour prendre la moins mauvaise des solutions.
Cette indignation stérile s’explique aisément: la bataille de Palmyre remet en cause le dogme de l’alliance tacite entre Bachar et l’EI. C’est le conte que rabâche depuis quatre ans les chantres de «l’opposition syrienne»: Bachar et l’EI sont alliés, ils sont les deux têtes d’un même hydre bicéphale. Tandis que des combats opposent depuis des années les troupes loyalistes aux soldats du califat à Der Ez Zor, à Damas et ailleurs; tout est fait pour minimiser sinon effacer la part que prend l’armée loyaliste dans la lutte contre Daesh.
Ancien élève de l’École spéciale militaire de St-Cyr puis de l’École des officiers de la Gendarmerie nationale, Hadrien Desuin est titulaire d’un master II en relations internationales et stratégie sur la question des Chrétiens d’Orient, de leurs diasporas et la géopolitique de l’Égypte, réalisé au Centre d’Études et de Documentation Économique Juridique et social (CNRS/MAE) au Caire en 2005.