Desecretati i documenti della CIA: ecco quante volte gli USA hanno tentato di rovesciare Cuba

Solo in Italia c’è gente che continua a osannare i liberatori ed i loro servi che permisero l’occupazione con 113 basi.

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aprile 17 2015

Eisenhower, Kennedy, Johnson, Ford, Carter, Reagan, Bush padre, Clinton, Bush figlio, Obama.

Sono ben 10 i presidenti americani a cui Fidel Castro è sopravvissuto, insieme alla sua rivoluzione del ’59. E oggi finalmente l’ultimo dei 10 presidenti ha riconosciuto che l’embargo durato più di 50 anni non è servito a nulla.

Per capire meglio quanto la rivoluzione cubana abbia dato fastidio agli americani, ripubblichiamo alcuni documenti desecretati della CIA, nei quali gli “astuti” uomini di Langley mettevano insieme le idee più bizzarre per cercare di rovesciare il regime castrista. (Tutto questo, naturalmente, al netto di “Operation Northwoods”, dove si suggeriva di abbattere un drone americano nelle vicinanze di Cuba, per poi dare la colpa a Fidel Castro).

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“Questo fa sul serio”.

Dopo un pò di tempo dal successo della rivoluzione, gli USA capiscono che Castro non è un fringuello di passaggio, e cominciano a pensare seriamente di destabilizzarlo in tutti i modi. La CIA partorisce così centinaia di idee, ognuna con un particolare “nome in codice” – alcune praticabili, altre semplicemente ridicole, ma tutte comunque fetenti – che mostrano già il germe di quella mentalità di inganno e tradimento che oggi si dà ormai per scontata in tutte le operazioni in cui la CIA sia in qualche modo coinvolta.

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1. OPERAZIONE “STRITOLAMENTO”

a. SCOPO. Interrompere/danneggiare i centri di comunicazione militari e civili di Cuba.

b. METODO: Ciò si può ottenere grazie all’introduzione di uno “speciale” tubo a vuoto in particolari attrezzature di comunicazione. Il tubo, già disponibile, è praticamente impossibile da individuare, poichè diventa funzionale solo in seguito all’inserzione di un certo composto chimico alla sua base. Tale composto diventa un conduttore di elettricità solo quando riscaldato.

2. OPERAZIONE “BIGLIETTO OMAGGIO”

a. SCOPO. Creare subbuglio e dissenso nella popolazione.

b. METODO. Ciò si può ottenere paracadutando dei biglietti validi, di sola andata, della PanAmerican o della KLM, per Mexico City, Caracas, ecc. (ma non USA). Insieme ai biglietti si potrebbe paracadutare altro materiale di propaganda. La quantità di biglietti potebbe [man mano] aumentare. La loro validità dovrebbe essere limitata.

3. OPERAZIONE “INVERSIONE DI MARCIA”

a. SCOPO. Creare indicazioni che l’importanza di Castro per la causa della rivoluzione sia in caduta, al punto tale che se ne stia progettando la “rimozione”.

b. METODO – Uso dei vari sistemi dell’ intelligence, in un crescendo che arrivi un giorno a far scoprire a Castro l’inganno o trucco. [?]

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4. OPERAZIONE “DISERTORE”

a. SCOPO. Indurre elementi o individui dell’esercito di Cuba a disertare, insieme ad equipaggmento/attrezzature.

b. METODO. Questo fenomeno, quando ben pianificato e messo in atto, porta ad una riduzione del potenziale di guerra. In un sistema totalitario la reazione immediata è quella di una stretta nei controlli accompagnata da un calo delle attività. Porta inoltre scompiglio all’interno dei servizi segreti. Si può ottenere coi [soliti] metodi di intelligence, e con la promessa di ricompense.

5. OPERAZIONE “CEDIMENTO MECCANICO”

a. SCOPO. Introdurre di nascosto materiali che possano causare incidenti ad aerei, veicoli, o navi.

b. METODO. Se possibile, questa attività andrebbe concentrata sugli aerei di produzione sovietica. Se ben eseguita, dovrebbe portare una perdita di fiducia nelle attrezzature, aumentare i problemi dei ricambi e della manutenzione, e intaccare seriamente le capacità belliche.

6. OPERAZIONE “INSABBIAMENTO”

a. SCOPO: convincere il governo comunista di Cuba che le forze navali assegnate al progetto Mercury [capsula spaziale, primo americano in orbita] non sono che una copertutra.

b. METODO: Non bisogna far sapere per che cosa sia esattamente la copertura. Questo va lasciato a loro da capire. Questa si può collegare all’operazione “Sporco Trucco”.

7. OPERAZIONE “SPORCO TRUCCO”

a. SCOPO. Produrre prove irrefutabili che, nel caso il volo Mercury dovesse fallire, la colpa è dei comunisti e dell’intera Cuba.

b. METODO. Preparare in anticipo prove varie che mostrino interferenze elettroniche da parte di Cuba.

8. OPERAZIONE “PIENO DI BENZINA”

SCOPO. Far perdere fiducia nei combustibili forniti dal Blocco Sovietico, suggerendo che siano contaminati.

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METODO. Introdurre un particolare attivante biologico nei depositi di carburante dell’aviazione. Questo composto cresce a contatto col carburante fino a mangiarsi l’intero spazio disponibile all’interno del serbatoio.

9. OPERAZIONE “UOMO OMBRA”.

SCOPO. Convincere il governo di Castro che la penetrazione clandestina e il rifornimento di agenti sono costantemente in corso.

METODO. Grazie alle caratteristiche di BJ, UDT, e JJ [?], creare l’impressione che sbarchi siano avvenuti su varie spiagge e che lanci paracadutati siano avvenuti in altre zone. [Forse lasciare detriti, avanzi, pezzi di paracadute, ferraglia, roba varia?

10. OPERAZIONE “TOMBOLA”

SCOPO. Creare un incidente in cui appaia che le basi statunitensi a Cuba [Guantanamo] siano state attaccate, fornendo così una valida scusa per l’intervento militare USA, inteso a rovesciare l’attuale governo di Cuba.

METODO. Ciò è possibile grazie all’utilizzo di SNAKES [specie di mortaretti multipli] appena fuori dai limiti della base di Guantanamo. Gli snakes simulano i rumori di un effettivo scontro a fuoco, ed è più che lecito aspettarsi che in nostri soldati reagiscano come se la base fosse davvero sotto attacco. Con adeguata preparazione, a ciò si potrebbe far seguire un controattacco, e la base potrebbe “erogare” forze a sufficienza per reggere fino all’arrivo di aiuti – allertati in precedenza – che attaccherebbero poi altre zone dell’isola.

Si calcola che un sequenza di eventi come questa porterebbe al tracollo l’esercito cubano, causandone la sconfitta.

(1) Attacco simulato a Guantanamo.
(2) Se ne da notizia al Presidente.
(3) Il Presidente ordina il contrattacco, che include:
(a) Decollo immediato di bombardieri preallertati, con bersaglio le piste degli aeroporti cubani.
(b) Contrattacco con strategia coordinata in comunicazione con Cuba.
(c) Flotta, preallertata, muove verso bersagli o zone di sbarco predeterminati.
(d) Imbarco immediato via aria di truppe preallertate verso bersagli prestabiliti.
(e) Decollo addizionale di aerei per ripulire le zone di paracadutaggio, e bloccare ulteriormente le vie di comunicazione.
(f) Navi e aerei sbarcano truppe via mare/aria per impadronirsi di aereoporti, ferrovie, strade, ecc…

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UN COMMENTO: Il giochino di “farlo sapere al Presidente” è stato poi messo in atto, ed alla grande, con lo sbarco alla Baia dei Porci. Peccato che Kennedy abbia detto di no all’invio di rinforzi. Lui si è prenotato una pallottola per Dallas, ma il mondo ha evitato una possibile crisi atomica.

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Ingiustizia di lusso, le esorbitanti richieste di LTF al processo per l’abuso edilizio (baita no tav al Clarea)

IMG_0519Si alzano le temperature, a Torino, in questi giorni così calda da sembrare quasi un anticipo dell’estate. E con le temperature si alzano sempre di più le esorbitanti richieste dell’ex LTF, oggi TNT, che tra un appello alla pacificazione e l’altro non perde tempo per portare avanti, in parallelo, la vendetta contro chi per la giustizia è “reo” di un “abuso edilizio”, la baita al Clarea. Quella baita costruita sulla via francigena per essere poi consegnato come rifugio ai pellegrini, quella baita che con le sue pietre si integrava perfettamente in quello che una volta era un bosco, in una valle che da tempo è stata trasformata a corridoio per merci. Niente di più. Le merci, i profitti, prima di tutto.
Così ieri al tribunale l’ennesima udienza per questo processo che vede 8 no tav imputati. Scrive Guido Fissore:
“Si è chiusa la fase dibattimentale del processo che vede imputati 8 notav per la costruzione “abusiva” della baita in Clarea. Il PM ha chiesto una condanna a 1 mese di carcere e 20.000 € di ammenda per ciascuno degli imputati; la parte civile, LTF, ha chiesto una provvisionale di 10.000 € (sempre a testa). LTF sostiene di aver avuto un danno rilevante dalla presenza della baita perché sarebbe stata costretta a importanti modifiche, rispetto al progetto, nell’allestimento del cantiere. Il processo continua lunedì 20 aprile (ore 14,30 aula 55 palazzo di giustizia) con le arringhe degli avvocati.”

Stiamo parlando di 20.000 Euro di ammenda per ogni imputato, quindi un totale di 160.000 Euro, potrebbe sembrare uno scherzo se si osserva per un istante lo scempio fatto a quella vallata prima per l’autostrada e poi per il cantiere del tunnel geognostico, e invece questi fanno sul serio. Devastano e si vendicano contro chi, semplicemente, in quella piccola baita coltivava giorno dopo giorno sogni di libertà. Perché Terra è Libertà!

A sarà dura. Prossima udienza il 20 aprile,potrete seguirla in diretta su tgmaddalena.it

Simonetta Zandiri – TGMaddalena

TAV, IL CASO DEI PALAZZI DELLA MADDALENA: “SONO REALIZZATI FUORI DALL’AREA DI CANTIERE”

BY  – PUBLISHED: 04/19/2014 –

di MARCO SCIBONA e MARIO CAVARGNA

Nei giorni scorsi è stato presentato un esposto rilevando presunti abusi edilizi relativi a 2 grandi fabbricati e opere annesse (scogliere e movimenti terra) da Pro Natura regionale e dal Senatore Marco Scibona. LTF sostiene oggi che i fabbricati sono stati realizzati all’interno dell’area di cantiere e pertanto, seguendo le procedure straordinarie della Legge Obiettivo, risulterebbero regolari. A nostro parere, invece, risulta che quanto sostenuto da LTF non corrisponde al vero. E’ sufficiente confrontare tutte le planimetrie del “Progetto definitivo del cunicolo della Maddalena” approvato dal CIPE con Delibera 86/2010, in cui è più volte riportata l’area di cantiere, con le relative aree di occupazione temporanea, all’interno delle quali vale la Legge Obiettivo. A titolo di esempio si allega di seguito la planimetria riportata nello studio di impatto ambientale a pagina 9 della Sinesi non Tecnica (documento SIA1-2-0217), documento di LTF approvato dal CIPE con Delibera 86 del 2010, dalla quale emergono con chiarezza il limite dell’area di cantiere e delle aree vincolate. Come è evidente da quanto sopra i grandi fabbricati realizzati, nonché le opere accessorie, sono completamente fuori dall’area di cantiere, conseguentemente non comprese nella Legge Obiettivo e dunque presumibilmente oggetto di abuso edilizio in quanto tra l’altro realizzate in zone vincolate (Vincolo ambientale, autostradale e in parte archeologico). Gli Enti che hanno l’obbligo di effettuare i controlli in materia (Procura della Repubblica, U.T. del Comune di Chiomonte, Corpo Forestale dello Stato, Arma dei Carabinieri) che hanno ricevuto l’esposto di cui sopra accerteranno, per dovere d’ufficio, se a Chiomonte la Legge è uguale per tutti e se tutti (compresa LTF) sono uguali di fronte alla Legge.

Marco Scibona – Senatore M5S Piemonte Mario Cavargna – Presidente Pro Natura Piemonte

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Firenze, Tav inquina le polveri sono dappertutto

 http://www.tgvallesusa.it/2015/04/firenze-tav-inquina-le-polveri-sono-dappertutto/
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Grandi cantieri, grandi inquinamenti, a Firenze ci pensano i cittadini a denunciare. Ancora una volta le autorità arrivano dopo.

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di Valsusa Report

Il sottoattraversamento Tav a Firenze, già bloccato da un’inchiesta giudiziaria nel gennaio 2013, sfora nei parametri delle polveri sottili, i pm10 e 2,5 creano inquinamento per i cittadini. “Le ricordiamo che una delle prerogative di ogni sindaco è quella di tutelare la salute dei cittadini e su questo vorremmo richiamarla alle sue responsabilità – si legge nella comunicazione al primo cittadino dal comitato No Tav di Firenze – troviamo gravissimo che nel più grande cantiere che interessa la nostra città le strutture dell’Arpat – (Arpa in Toscana) – siano intervenute solo su segnalazione di cittadini”.

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Ai cantieri Tav ex Macelli di viale Corsica quindi si vive lo stesso problema che in Valle di Susa con il cantiere geognostico della Maddalena di Chiomonte, le polveri lì presenti inquinano, lo dicono i dati; ma non solo il “sistema” usato per il controllo rispecchia la legge che vede appunto il controllo ordinario gestito per monitorare i lavori della nuova stazione dell’alta velocità, dalla ditta appaltante, ancora nel comunicato al sindaco: “Tutto nasce dalla gravissima anomalia del general contractor cui sono delegati i controlli ambientali. E’ evidente l’assoluta mancanza di terzietà di queste rilevazioni”.

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I cittadini riuniti nel Comitato No Tav Firenze ricordano anche al Sindaco Dario Nardella che esiste già un’alternativa di superfice alla stazione Foster, messa a punto dall’Università di Firenze, meno costosa e meno impattante: “La Sua Giunta potrebbe e dovrebbe impegnarsi a fondo per uscire dal disastro progettuale, economico, morale e ambientale cui stiamo assistendo”, chiude il comunicato.

V.R. 17.3.15

Si allungano i tempi per il Deposito Nazionale delle scorie radioattive

Nessuno lo vuole e tramite i Ministeri, il Governo cerca una soluzione

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di Valsusa Report

Governo, nei giorni scorsi i ministeri dello Sviluppo economico e dell’Ambiente hanno voluto ribadire che “Non può esistere dunque allo stato attuale alcuna decisione presa in merito al comune in cui sorgerà il deposito nazionale di scorie nucleari”. Ieri, 16 aprile, il Ministero dello sviluppo economico e il Ministero dell’ambiente, della tutela del territorio e del mare, hanno chiesto approfondimenti tecnici alla Sogin e all’Istituto superiore per la protezione ambientale (ISPRA), sulla Carta delle aree potenzialmente idonee (CNAPI) a ospitare il deposito nazionale dei rifiuti radioattivi. Sogin e Ispra dovranno fornire entro 60 giorni una risposta.

V.R. 17.3.15

Mafia, pentito: “Alfano portato da Cosa Nostra. Berlusconi pedina di Dell’Utri”

http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/04/17/mafia-pentito-alfano-portato-nostra-berlusconi-pedina-dellutri/1600276/

Mafia, pentito: “Alfano portato da Cosa Nostra. Berlusconi pedina di Dell’Utri”

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Sono alcune delle dichiarazioni rilasciate alla corte d’assise di Palermo da Carmelo D’Amico, l’ex killer di Barcellona Pozzo di Gotto, oggi diventato l’ultimo super testimone dell’inchiesta sulla Trattativa tra pezzi dello Stato e Cosa Nostra. I magistrati lo considerano un collaboratore altamente credibile. Merito delle confidenze raccolte nei due anni trascorsi in carcere con Nino Rotolo, il boss di Pagliarelli fedelissimo di Bernardo Provenzano

di  | 17 aprile 2015

Il ministro dell’Interno Angelino Alfano? “Portato da Cosa nostra, ma poi gli ha voltato le spalle”. Forza Italia? “Nata per volere dei servizi segreti”. Silvio Berlusconi? “Una pedina nelle mani di Marcello Dell’Utri”. Il pm Nino Di Matteo? “Lo vogliono morto sia Cosa Nostra che i servizi segreti”. Parola diCarmelo D’Amico, l’ex killer di Barcellona Pozzo di Gotto, oggi diventato l’ultimo super testimone dell’inchiesta sulla Trattativatra pezzi dello Stato e Cosa Nostra.

È un collaboratore importante D’Amico, un pentito che i pm del pool Stato – mafia considerano altamente credibile. Merito delle confidenze raccolte nei due anni trascorsi in carcere con Nino Rotolo, il boss di Pagliarelli fedelissimo di Bernardo Provenzano. “Rotolo mi disse che Matteo Messina Denaronon è il capo di Cosa nostra, perché è il capomandamento di Trapani: ma il capo di Cosa nostra non può essere un trapanese, deve essere palermitano”, è uno dei tanti passaggi della deposizione di D’Amico, ascoltato come testimone dalla corte d’Assise di Palermo che sta processando politici, boss mafiosi ed alti ufficiali dei carabinieri per il patto segreto tra pezzi delle istituzioni e Cosa Nostra.

Un racconto cominciato con un mea culpa: “Ho commesso almenouna trentina di omicidi, soprattutto per i catanesi dal 1992 in poi: a un ragazzo ho anche tagliato le mani”, ha confessato D’Amico, spiegando di aver deciso di collaborare con la magistratura “dopo la scomunica dei mafiosi di Papa Francesco, quelle parole mi hanno colpito moltissimo”. L’anatema del pontefice contro i boss è del 21 giugno 2014: da quel momento D’Amico inizia ad aprire il suo personalissimo libro dei ricordi, prima davanti ai pm della dda di Messina, e poi con i magistrati del pool palermitano.

È davanti ai pm Nino Di Matteo, Roberto Tartaglia, Vittorio Teresi e Francesco Del Bene che D’Amico mette a verbale tutto quello che ha appreso sui rapporti tra Cosa Nostra e le Istituzioni. Un racconto pieno di rivelazioni inedite, replicato davanti alla corte d’assise, che coinvolge direttamente il ministro dell’Interno. “Angelino Alfano – ha spiegato D’Amico collegato in videoconferenza con l’aula bunker del carcere Ucciardone– è stato portato da Cosa nostra che lo ha prima votato ad Agrigento, ma anche dopo. Poi Alfano ha voltato le spalle ai boss facendo leggi come il 41 bis e sulla confisca dei beni”.

Ma non solo. Perché a godere dell’appoggio delle cosche sarebbe stato anche l’ex presidente del Senato Renato Schifani, già indagato per concorso esterno alla mafia e poi archiviato. “Cosa nostra ha votato anche Schifani, poi hanno voltato le spalle, e la mafia non ha votato più Forza Italia”. Per il collaboratore, poi, il partito di Silvio Berlusconi sarebbe nato perché sostenuto direttamente da Totò Riina e Bernardo Provenzano. “I boss votavano tutti Forza Italia, perché Berlusconi era una pedina di Dell’Utri, Riina, Provenzano e dei Servizi. Forza Italia è nata perché l’hanno voluta loro”. Poi però il patto tra politica e boss s’interrompe. “All’epoca i politici hanno fatto accordi con Cosa nostra, poi quando hanno visto che tutti i collaboratori di giustizia che sapevano non hanno parlato, si sono messi contro Cosa nostra, facendo leggi speciali, dicendo che volevano distruggere la mafia”.

D’Amico ha anche raccontato che a Barcellona Pozzo di Gotto era attiva una loggia massonica. “Ne facevano parte uomini d’onore, avvocati e politici, e la comandava il senatore Domenico Nania(ex vice presidente del Senato col Pdl) : a questa apparteneva anche Dell’Utri”. La fonte dell’ex killer di Barcellona Pozzo di Gotto è Rotolo, il boss palermitano con il quale condivide tra il 2012 e il 2014 l’ora di socialità. Rotolo è un pezzo da novanta, ex fedelissimo di Totò Riina e poi di Bernardo Provenzano. “Mi raccontò che i servizi avevano fatto sparire dal covo di Riina un codice di comunicazione per mettersi in contatto con politici e gli stessi agenti dei servizi”. Ma il boss di Pagliarelli avrebbe fatto a D’Amico anche confidenze sulla latitanza di Provenzano. “Mi disse anche che Provenzano era protetto dal Ros e dai Servizi e non si è mai spostato da Palermo, tranne quando andò ad operarsi di tumore alla prostata in Francia”.

Ed è sempre Rotolo che racconta a D’Amico il piano di morte perassassinare Di Matteo. “Rotolo ne parlava con Vincenzo Galatolo: all’inizio non lo chiamavano per nome, ma lo definivano cane randagio, poi io chiesi di chi parlavano e mi risposero che si trattava di Di Matteo, e che aspettavano da un momento all’altro lanotizia dell’attentato”. Il racconto di D’Amico riscontra implicitamente le rivelazioni di Vito Galatolo, figlio di Vincenzo, il boss dell’Acquasanta, che per primo ha svelato come a partire dal dicembre del 2012, Cosa Nostra avesse studiato nei dettagli un piano per assassinare il pm della Trattativa. “Era stabilito che il dottor Di Matteo doveva morire – ha aggiunto D’Amico – Rotolo mi ha raccontato che i servizi segreti volevano morto prima il dottorAntonio Ingroia, poi Di Matteo. E siccome Provenzano non voleva più le bombe, dovevamo morire con un agguato”.

Anche Vito Galatolo ha raccontato che in un primo momento l’attentato contro il pm palermitano doveva essere fatto con200 chili di tritolo, già acquistati dalla Calabria e arrivati a Palermo. Poi però si passo ad un piano di riserva, che prevedeva l’eliminazione del magistrato in un agguato a colpi dikalashnikov. Appena poche settimane fa l’allerta al palazzo di Giustizia è tornata ai massimi livelli, dato che uomini armati sarebbero stati localizzati nei pressi di un circolo tennistico sporadicamente frequentato dal pm. E se Galatolo aveva indicato in Messina Denaro il mandante dell’omicidio (Perché Di Matteo si sta spingendo troppo oltre” aveva scritto il padrino di Castelvetrano ai boss di Palermo) per D’Amico l’ordine arrivava anche da altri ambienti.

“A volere la morte di Di Matteo erano sia Cosa Nostra che iServizi perché stava arrivando a svelare i rapporti dei Servizi come fece a suo tempo il dottor Giovanni Falcone”. E quando ad un certo punto l’attentato sembra essere entrato in fase d’impasse, Rotolo e Vincenzo Galatolo provano ad inviare D’Amico a Palermo. “Io – ha spiegato il pentito – dovevo uscire da lì a poco dal carcere e si parlava di delegare me per portare avanti questa cosa”. Il vero chiodo fisso di D’Amico, però, sono i servizi. “Arrivano dappertutto ed è per questo che altri pentiti come Giovanni Brusca e Nino Giuffré non raccontano tutto quello che sanno sui mandanti esterni delle stragi”. Alla fine ecco anche una paradossale precisazione. “I servizi organizzano anche finti suicidi in carcere: per questo voglio chiarire che io godo di ottima salute e non ho nessuna intenzione di suicidarmi”.

Twitter: @pipitone87

Notte illuminata a Chiomonte

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di Valsusa Report

Fuochi artificiali al bed and breakfast nel territorio controllato dalle forze dell’ordine, al cancello della centrale elettrica inizia una battitura contro il ferro del cancello,  l’idrante in uso delle forze dell’ordine avanza verso i manifestanti. Al consueto appuntamento dell’apericena del venerdì sera ci sono circa una cinquantina di No Tav. I fuochi artificiali partono anche dal ponte vicino alla centrale, i No Tav si stanno allontanando da Chiomonte. Dopo l’apericena e la consueta partita a bocce quadre la variazione pirotecnica ha così illuminato il venerdì sera di Chiomonte.

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Il pm Enrico Zucca: “Fabio Tortosa esprime l’opinione di tutta la polizia. La politica non capisce la gravità del G8”

Pubblicato: 15/04/2015 19:44

ENRICO ZUCCA
 Quando ha letto le parole dell’ex celerino Fabio Tortosa, il procuratore generale Enrico Zucca ha scosso la testa. Non per la sorpresa: “Quello che esprime Tortosa è quello che hanno sempre pensato i vertici della polizia”, afferma all’Huffington Post.

Zucca è il magistrato che ha condotto l’inchiesta sulla Diaz insieme al pm Francesco Albini Cardona. Un processo che “ha svelato una pratica ancora più disgustosa della tortura e cioè la copertura della tortura. La Cassazione parla di ‘violenza inusitata’, ma anche di una ‘scellerata operazione mistificatoria perpetrata dai vertici della polizia’. Di questo non si parla e anche la politica evita questo argomento”.

Ciò che invece continua a sorprendere Zucca, invece, è il doppiopesismo: gli applausi agli agenti responsabili della morte di Federico Aldrovandi e le frasi di Tortosa fanno indignare i palazzi della politica, mentre questo non accade quando i condannati in via definitiva per il G8 di Genova continuano a occupare incarichi istituzionali.

Il poliziotto Fabio Tortosa rivendica l’irruzione alla Diaz, quale impressione riceve dalle sue parole?
È l’emersione nemmeno tanto sorprendente di una subcultura che alligna nei corpi di polizia di tutto il mondo. Tra l’altro, accanto alle espressioni di rivendicazione del massacro ha usato un linguaggio poco gentile anche nei miei confronti. Ho visto di peggio, certo rimango un magistrato della Repubblica e Tortosa è un poliziotto, siamo entrambi funzionari dello Stato.

Sta dicendo che le frasi di Tortosa sono eversive?
Niente è più eversivo per lo Stato di un servitore che ne tradisce i principi. Purtroppo nel discorso pubblico, inclusi i giornali mainstream, prevale ancora la logica del bilanciamento e cioè viene detto che durante il G8 di Genova i poliziotti avranno anche commesso dei reati ma i manifestanti hanno travalicato la legge. Ebbene, niente minaccia maggiormente la democrazia di questo ragionamento perché la polizia non può compiere reati, per nessuna finalità, ed è molto inquietante quando questo accade. Come magistrati lo scrivemmo al termine dell’inchiesta: a Genova la polizia si è mossa secondo la logica del nemico nei confronti di coloro che manifestavano, un “noi e loro” che giustificava le azioni degli agenti e dei loro vertici. Un discorso che mina il cuore della democrazia e provoca la sfiducia nelle istituzioni.

Possiamo dire che Tortosa ha sentito di poter scrivere quelle frasi perché qualcuno poi l’avrebbe perdonato?
L’atteggiamento di questo poliziotto è generato dalla copertura che ha ricevuto dai vertici. Il processo Diaz ha svelato una pratica ancora più disgustosa e cioè la copertura della tortura. La Cassazione parla di “violenza inusitata”, ma anche di una “scellerata operazione mistificatoria perpetrata dai vertici della polizia”: entrambi gli elementi sono stati poi confermati dalla recente sentenza della Corte di Strasburgo. Di questo secondo aspetto non si parla e anche la politica evita l’argomento. Così si lascia in qualche modo aperto il pensiero che un poliziotto è un buon poliziotto anche quando sbaglia.

Il Viminale promette una punizione esemplare nei confronti di Tortosa. È sufficiente?
Spesso il Viminale promette grosse punizioni ma spesso gli esiti non sono conseguenti. Anche le dichiarazioni dell’immediato dopo G8 erano ancora più dure, poi però non accadde nulla. C’è un nucleo sostanziale comune tra ciò che Tortosa esprime con un linguaggio brutale e la concezione sottostante alle dichiarazioni anche ufficiali dei vertici della polizia. Questa è la peculiarità del G8 di Genova, che è devianza non solo della truppa ma anche dei loro comandanti ai più alti livelli. Siamo molto lontani dalla tradizionale tesi delle poche mele marce. Ricordo che i vertici processati sono stati condannati in via definitiva anche per aver compilato dei verbali falsi proprio per nascondere le torture avvenute alla Diaz, e questa è la linea utilizzata non soltanto dalla polizia di Gianni de Gennaro ma anche dai successori quando hanno toccato l’argomento del G8.

Intende dire che questa difesa della violenza degli agenti prosegue ancora oggi?
Quando scrive che si sente un servitore fedele dello Stato, Tortosa esprime un concetto identico a quello espresso dal capo della polizia Antonio Manganelli quando disse che a Genova la polizia era stata attaccata e dunque si era “difesa come aveva potuto”. Ma questo concetto non ha spazio in una democrazia, perché servire lo Stato significa servire la Costituzione e le sue leggi. Se la polizia non capisce questo, allora qual è la differenza con un regime? Bisogna togliere a Tortosa l’illusione di essere un fedele servitore delle istituzioni, perché sta bestemmiando: questo è l’unico elemento grave delle sue esternazioni. Tuttavia si stanno applicando in questa vicenda due pesi e due misure.

Cioè?
La politica e lo stesso Viminale si indignano per le parole di Tortosa così come si sono indignati per gli applausi agli agenti condannati per la morte di Aldrovandi. Ma perché questa indignazione non è arrivata nel luglio del 2012, quando la Cassazione condannò in via definitiva i vertici della polizia che, come ho ricordato prima, hanno difeso fino all’ultimo l’operazione alla Diaz e hanno coperto la tortura? Non solo non c’è stata indignazione, ma all’indomani di quella condanna è apparsa una lettera sulCorriere della Sera firmata da poliziotti che esprimevano al loro capo condannato la stessa solidarietà che Tortosa esprime nei confronti del suo commilitone, condannato per lo stesso reato. Nessuno si è scomposto per quel gesto di solidarietà nei confronti di un funzionario di polizia che per la Cassazione ha coperto un atto di “abiezione totale”. Si è perso l’abc istituzionale.

In questo doppiopesismo entra anche il fatto che la politica non osa toccare Gianni De Gennaro?
Continuo a stupirmi del fatto che non ci si renda conto dell’enormità di quanto è successo al G8 di Genova e negli anni successivi. Persone prima indagate e poi condannate per reati infamanti non sono mai state sospese né hanno ricevuto un procedimento disciplinare e, anzi, hanno continuato ad avere incarichi istituzionali avallati dalla politica. Tanto per dire, i vertici della polizia coinvolti nelle indagini sulla Diaz e Bolzaneto hanno continuato a comandare sugli agenti che noi magistrati impiegavamo nell’inchiesta contro di loro: una torsione senza precedenti in totale contrasto con le prescrizioni della Corte europea per i diritti umani di Strasburgo, la cui violazione è considerata nella condanna che l’Italia ha subito.

Ripeto la domanda: non è anche compito del governo pretendere chiarezza o prendere provvedimenti?
Mi stupisco del fatto che nessuno abbia depositato una interrogazione parlamentare per chiedere al governo come mai non ha risposto alla Corte europea dei diritti umani di Strasburgo quando pretendeva dall’Italia informazioni sugli eventuali procedimenti disciplinari a carico dei poliziotti condannati per la Diaz. Il problema è che il corpo di polizia è impenetrabile e non è semplice neppure per lo stesso Viminale avere delle statistiche e delle informazioni chiare. Nel caso della Diaz non c’è stata la copertura soltanto del VII nucleo di Tortosa, ma la solidarietà totale della polizia.

La sensazione di Tortosa è quella, insomma, di impunità totale?
Mai nessuno all’interno della polizia ha stigmatizzato pubblicamente quando successo a Genova nel 2001. I vertici, e di conseguenza anche i soldati semplici come Tortosa, hanno sempre affermato di essersi difesi dalle violenze dei manifestanti. Qualcuno dovrebbe ricordare alla polizia intera che la tortura non va fatta nemmeno al peggiore dei terroristi. Ma questo non è compito della politica, che certamente può pretendere più chiarezza e trasparenza: questo cambiamento deve avvenire dall’interno affinché nessun agente, alla morte di Carlo Giuliani, possa più esultare urlando “uno a zero per noi”, come purtroppo è accaduto.

Come può cambiare la polizia italiana?
Nelle scuole che formano gli agenti bisognerebbe insegnare in primo luogo la Costituzione e poi come si mettono le manette ai mafiosi. Perché il fine non giustifica mai i mezzi e le tante medaglie della polizia non si possono usare per bilanciare la più grave sospensione del diritto in un Paese occidentale dopo la Seconda guerra mondiale, come è accaduto a Genova.

Tortosa afferma che esiste un’altra verità, oltre a quella processuale. 
Sono le stesse parole usate dal dirigente Canterini (il comandante del VII nucleo, ndr), ma sono anche quelle usate dagli altri vertici condannati che hanno alluso a “vere verità difformi da quella giudiziaria”. Lo ha ripetuto recentemente anche Alfonso Sabella (ora assessore alla legalità a Roma, ndr). L’unico dato oggettivo è che quando hanno potuto e forse dovevano parlare, non lo hanno fatto. C’è un tempo per ogni cosa.

Aumento dei costi al cantiere Tav di Chiomonte: qualche domanda a LTF

Una premessa: per ciò che riguarda gli appalti, così come per i dati ambientali, il cantiere di Chiomonte è avvolto in una densa nebbia. La trasparenza è dichiarata ma mai praticata dai proponenti l’opera, e allora per avere qualche informazione occorre percorrere vie traverse e tortuose, che alla fine però da qualche parte portano.

Il lavoro principale al cantiere di Chiomonte è stato appaltato a una Associazione Temporanea di Imprese guidata dalla cooperativa CMC di Ravenna, affiancata da Strabag Ag, Cogeis Spa, Bentini Spa e Geotecna. Questa ATI vinse la gara per il cunicolo esplorativo di Venaus per un importo complessivo di 84,3 milioni di euro (Cfr. Bilancio CMC 2010). Nonostante lo spostamento dell’imbocco del cunicolo da Venaus a Chiomonte, e il relativo stravolgimento progettuale, Ltf confermò l’assegnazione dell’appalto a Cmc. Con un cospicuo ritocco economico. Nel bilancio 2011 di CMC sta scritto che “l’importo complessivo del lavoro, a seguito della firma a fine anno dell’Atto Aggiuntivo, ha raggiunto l’ammontare di € 120 milioni”.

La cifra di 120 milioni di euro viene ribadita anche nei bilanci seguenti, fino ad un documento messo in rete da CMC pochi giorni fa, Guidance on FY2014 and Strategy Review

Secondo la tabella a pagina 29 il contratto per i lavori al cantiere della Maddalena vale 136 milioni di euro, 16 milioni in più del precedente bilancio.

Dagli 84 milioni per Venaus si è passati ai 120 per la Maddalena, ora ritoccati a 136.

Può Ltf spiegare questo aumento dei costi?

Ma ci fosse solo questo aumento sarebbe semplice, sono molti altri i numeri da spiegare. In molti documenti progettuali successivi al 2011, per esempio nel Piano di tutela ambientale del cantiere del Luglio 2012, l’importo dei lavori affidati all’Ati della CMC è suddiviso in una parte fissa di 81.103.924,64 € più una opzionale che arriva a 93.904.422,20 €. Cifre che non corrisondono agli 84 antecedenti al 2011, né ai successivi 120 e neppure agli attuali 136.

Può Ltf spiegare questa apparente discrepanza?

Un inciso sulla parte fissa e su quella opzionale. La delibera Cipe 86 del 2010, l’atto che formalmente autorizza la spesa per il tunnel della Maddalena, dice esplicitamente che “l’opera ha una lunghezza complessiva di circa 7,5 km”, e consente di spendere per quest’opera un massimo di 143 milioni di euro. Nei 143 milioni di euro oltre ai lavori di scavo del tunnel, vale a dire l’appalto di CMC, rientrano i lavori per il sito di deposito, i monitoraggi ambientali e tutte le altre spese necessarie per portare a termine il tunnel geognostico.

Ma CMC nella scheda relativa al progetto scrive che la lunghezza del tunnel è di 5.765 metri; 2 km in meno di quanto dice il Cipe. E che la spesa per questi 5.765 metri è di 120 milioni di euro a bilancio 2013, che abbiamo visto essere diventati 136. [Aggiornamento: un paio di giorni dopo la pubblicazione di questo post la scheda del sito della CMC veniva modificata cambiando la lunghezza del tunnel, ma lasciando curiosamente immutati i costi. Noi da parte nostra ci eravamo premuniti: ecco la pagina originale del sito CMC salvata su WayBackMachine]

Noi abbiamo un cronoprogramma redatto da Ltf che apparentemente scioglie l’enigma. Viene programmata una parte fissa di 5.765m e una opzionale che arriva a 7.567m.

Ricapitolando: il Cipe autorizza una spesa di 143 milioni di euro per 7,6 Km; CMC dice di avere un appalto di 120 milioni di euro (poi 136) per 5,8 Km.

Può Ltf spiegare queste incongruenze?

Il problema vero sorge però quando all’appalto della CMC si sommano gli altri appalti. Noi conosciamo soltanto una parte di questi ulteriori appalti: 13 milioni e 907.820,95 € per il sito di deposito 529.775,26 € per la strada che attraversa il cantiere. Sappiamo l’importo di due appalti per recinzioni e altri lavori fatti da Italcoge (fallita e rinata in Italcostruzioni) e Martina Service, rispettivamente di 1.798.234 € e 2.498.050 €3 milioni di euro per il monitoraggio ambientale esterno al cantiere dopo l’autunno 2014. Poi la direzione lavori, che nel 2009 l’allora presidente di Ltf Patrice Raymond Raulin stimava in 2 milioni e 900 mila euro a prezzi del 2004. Ci sono anche oltre500 mila euro dati a Smat per il pozzo idropotabile in val Clarea e 2 milione e 376 mila euro dati a Sitaf per il restringimento della carreggiata sull’A32; e ancora altri appalti (collaudo, controllo viadotto etc.) per un totale che pare superare il limite di spesa imposto dal Cipe. E tenete conto che noi disponiamo di una minima parte degli appalti assegnati da Ltf perchè, come segnalato al principio, questo tema è avvolto dalla nebbia.

Chi metterà i soldi che superano lo stanziamento del Cipe? Virano? Oppure, come sempre capita, la collettività? Di sicuro non li metterà l’Europa che ha fissato come limite di costi ammissibili al cofinanziamento 131.592.503 €.

Dato che si parla di soldi pubblici, vale a dire soldi di tutti, a noi pare davvero il minimo pretendere che Ltf comunichi come li spende, quanti ne spende e nelle tasche di chi finiscono.

Può Ltf comunicare gli appalti assegnati per il tunnel della Maddalena?

Anche perchè proprio grazie a uno degli appalti venuti in possesso del movimento no tav si è potuto sapere che un tizio indagato per concorso esterno in associazione mafiosa aveva asfaltato le strade del cantiere. La trasparenza fa bene a tutti; o forse no?

G8, la seviziatrice di Bolzaneto ora dà lezione di diritti

http://genova.repubblica.it/cronaca/2015/04/16/news/g8_la_seviziatrice_da_lezione_di_diritti-112075801/?ref=HREC1-2

La dottoressa Zaccardi, condannata per gli abusi di Bolzaneto è relatrice ad un forum sulle carceri. Nel 2001 a una ragazza ferita e terrorizzata a cui veniva impedito di andare in bagno disse: “Puzzi come un cane”

di MICHELA BOMPANI e MARCO PREVE

16 aprile 2015

G8, la seviziatrice di Bolzaneto ora dà lezione di diritti
La caserma di Bolzaneto, teatro dei pestaggi 

“Puzzate come cani” gridava 14 anni fa, ai ragazzi del G8, alla caserma di Bolzaneto. Sabato, alla Commenda, relazionerà al convegno “ La salute in carcere” che ha organizzato per la Asl3.

La dottoressa Zaccardi, condannata per gli abusi di Bolzaneto è relatrice ad un forum sulle carceri. Nel 2001 a una ragazza ferita e terrorizzata a cui veniva impedito di andare in bagno disse: “Puzzi come un cane
È la parabola di Marilena Zaccardi, medico del carcere di Marassi, del penitenziario femminile di Pontedecimo, che ha legato il suo nome a quello del “medico in mimetica”, Giacomo Toccafondi, nella caserma di Bolzaneto trasformata in centro di torture e sevizie nel luglio 2001.
Sembra incredibile, ma invece è così: dopo la condanna della Corte europea dei diritti dell’uomo sul blitz alla scuola Diaz, “fu tortura”. Dopo il putiferio sollevato dal post su Facebook del poliziotto del VII nucleo che fece l’irruzione alla Diaz, Fabio Tortosa (“io ero quella notte alla Diaz. Io ci entrerei mille e mille volte). Un’azienda pubblica come la Asl non soltanto ha mantenuto al suo posto Marilena Zaccardi, ma le ha dato visibilità e riconosciuto rilievo professionale se è arrivata ad affidarle la curatela scientifica, insieme ad altri quattro colleghi, di un convegno dedicato alla salute in carcere.Proprio lei che a Bolzaneto, secondo la sentenza della Corte d’Appello di Genova, dal 20 luglio al 22 luglio 2001, è stata accusata, di “aver consentito o effettuato controlli di triage e di visita sottoponendo le persone a trattamento inumano e in violazione della dignità”, “costringendo persone di sesso femminile a stazionare nude in presenza di uomini oltre il tempo necessario e quindi sottoponendole a umiliazione fisica e morale”. “Per aver ingiuriato le persone visitate con espressioni di disprezzo e di scherno”. “Per aver omesso o consentito l’omissione circa la visita di primo ingresso sull’individuazione di lesioni presenti sulle persone”. “Per aver omesso o consentito l’omissione di intervento sulle condizioni di sofferenza delle persone ristrette in condizioni di minorata difesa”.
Marilena Zaccardi, assolta in primo grado, è stata condannata in Appello per abuso d’ufficio pluriaggravato e ingiuria pluriaggravata . E le condanne della Corte d’Appello a carico dei cinque medici della caserma di Bolzaneto, oltre alla Zaccardi e Toccafondi anche Aldo Amenta, Adriana Mazzoleni e Sonia Sciandra, sono state confermate dalla sentenza di Cassazione, che nel 2013.
La dottoressa Zaccardi, però, così come Toccafondi, è stata salvata dalla prescrizione. Salvata, ma solo in campo penale, perchè sul piano civile è stata riconosciuta la sua responsabilità.
E sabato, proprio la stessa Marilena Zaccardi, che nel suo curriculum vanta anche diplomi in omeopatia e agopuntura cinese, alle 11.45, terrà la relazione “Il carico di malattia del detenuto: un’epidemiologia in evoluzione”, nel contesto del convegno proprio sulla sicurezza in carcere. Essendo nella segreteria scientifica dell’appuntamento, ha selezionato i temi della giornata di studi, da ”L’accoglienza del detenuto” a “Le attività di screening nella popolazione detenuta femminile”.
Anche se non sono indicati i nomi, sul volantino dell’iniziativa, alle 9 è previsto un saluto delle autorità. E tra la trentina di relatori ci sono anche esponenti di rilievo dl ministero della Giustizia, come il provveditore regionale dell’Amministrazione penitenziaria della Toscana, Carmelo Cantone. O Sergio Schiaffino, che dirige il servizio Prevenzione e sanità pubblica della Regione Liguria.
Il Comitato Verità e Giustizia aveva chiesto immediatamente, dopo la sentenza di Cassazione, la radiazione per i cinque medici di Bolzaneto. Ma l’Ordine dei medici della Liguria, ad oggi, ha comminato solo una sospensione di sei mesi a Toccafondi, decisione che ha suscitato sdegno nella categoria e una richiesta ufficiale di intervento all’Ordine nazionale da parte di alcuni consiglieri comunali che sono medici di professione.
Che genere di medico fosse la dottoressa Zaccardi lo avevano scritto i giudici dell’Appello rievocando le dichiarazioni di una ragazza di vent’anni «atterrita, visibilmente ferita, stremata dalle lesioni, dalla posizione vessatoria, dalla paura, sulla quale lo stress, il sangue, il sudore impossibilità di lavarsi o andare in bagno appaiono con tale vivezza che non possono sfuggire all’occhio esperto del medico». Ma la dottoressa Zaccardi non se ne accorge, e di fronte a tali «sevizie» ha come unica reazione quella di insultarla così: «Puzzate come dei cani ». Per i giudici italiani è «riprovevole ». Per l’Asl 3 è una dirigente cui affidare un intervento sul rispetto dei diritti in carcere.