Libera tortura in libero Stato

Mercoledì 08 Aprile 2015 10:10

A quasi 14 anni di distanza dai fatti, la Corte europea dei diritti umani di Strasburgo ha condannato l’Italia per tortura per la mattanza messa in atto dalle forze dell’ordine alla scuola Diaz nella notte tra il 21 e il 22 luglio del 2001, durante il G8 di Genova.

Non ci interessa in questa sede entrare nel merito o dare giudizi su una sentenza e su un linguaggio che poco ci appartengono, pur rispettando l’impegno e le scelte di chi, dopo aver subìto le violenze di quella notte, ha deciso di spendersi in questa direzione e oggi trova forse finalmente un punto di approdo e un riconoscimento per anni di battaglie legali. Ci limitiamo piuttosto a constatare che il verdetto di Strasburgo non fa che mettere nero su bianco (e in maniera piuttosto tardiva…) l’evidenza che per tutti questi anni è stata sotto gli occhi di tutti, oltre che oggetto di denunce e contro-inchieste.

Non così per il coro di “sinistri” cui la sentenza di ieri sembra improvvisamente aver aperto gli occhi sulla quotidianità di violenze, abusi e torture che le forze dell’ordine (nostrane e non) commettono, quasi sempre impunemente. Ecco allora che il PD con una mano si batte ipocritamente il petto per l’accaduto e con l’altra tira fuori dal cappello la promessa tempestiva di una legge sul reato di tortura, così da rassicurare la corte di Strasburgo che il nostro paese è pronto ad allineare il proprio ordinamento con quelli del resto della “civile Europa”.

Dal canto nostro preferiamo guardare alle cose con maggiore disincanto e realismo e ci permettiamo di dubitare del fatto che possa essere la semplice introduzione di un reato nel codice penale a misurare il maggiore o minore grado di “civiltà” o “democraticità” di un corpo di polizia in cui abusi e violenze non sono l’eccezione o pagine buie da voltare, ma sono piuttosto connaturate a un’istituzione marcia e reazionaria fin nel profondo.

E ne dubitiamo soprattutto alla luce degli eventi e dei fatti che i 14 anni che ci separano da Genova 2001 ci consegnano: mentre ci sono compagni e compagne che stanno scontando anni di carcere per la propria partecipazione alle mobilitazioni di quelle giornate (condannati per reati figli del codice Rocco…), per tutto questo tempo i picchiatori della Diaz e i responsabili dell’ordine pubblico di piazza non solo hanno continuato a svolgere il proprio lavoro, ma sono stati addirittura promossi, passati da un impiego di prestigio all’altro, mentre le evidenze delle responsabilità che portavano per quelle violenze gli scivolavano addosso come se niente fosse. È il caso del “superpoliziotto” Gilberto Caldarozzi, condannato in via definitiva per i pestaggi della Diaz e recentemente chiamato a fare da consulente a Finmeccanica, dove è approdato – guardacaso – grazie al presidente Gianni De Gennaro, capo della polizia all’epoca di Genova. Oppure di Giacomo Toccafondi, soprannominato il “dottor mimetica” della caserma di Bolzaneto,prima promosso e poi recentemente salvato grazie alla prescrizione, così che tra qualche mese potrà tornare tranquillamente ad esercitare.

…dobbiamo proseguire?

E d’altronde è bastato il timido annuncio del PD sulla nuova legge sulla tortura a scatenare il coro di reazioni dei vari sindacati di polizia, da sempre assecondati e ascoltati in maniera bipartisan (e recentemente anche invitati a parlare dal palco di Salvini a Roma…); lasciati liberi di difendere assassini e addirittura di applaudirli. La polizia uccide e tortura perché da sempre può farlo con la garanzia di impunità.

Per quanto ci riguarda non abbiamo bisogno di una sentenza per scoprire che la polizia picchia e abusa: i pestaggi e le violenze di Genova li abbiamo condannati 14 anni fa e la rabbia e le ferite lasciate da quei giorni non saranno lavate via dalle ipocrite promesse di chi oggi scopre l’acqua calda.

Altri cartelli idioti sono diffusi in Ucraina, stavolta sono da manicomio…

Di Nuke The Whales , il 4 aprile 2015
Non c’è bisogno di dire che in Ucraina dire che il sentimento “filorusso” è molto diffuso nell’est del paese, da Kiev in poi.

Bombe ed attentati sono praticamente storia giornaliera, da Kharkov ad Odessa.

Come vi avevo già accennato ieri in Ucraina si stanno diffondendo a macchia d’olio cartelli come questi, che invitano la popolazione a denunciare chi “aspetta l’arrivo del mondo russo”.
Da sette a dodici anni di galera, per questo terribile delitto, cosa volete che sia.

 Intanto si comincia a vedere in giro anche questo , di cartello, scritto in una specie di slang russo-ucraino quasi incomprensibile per chi non abita nella zona, paura dei giornalisti?

“ATTENZIONE!

  PARLI LA LINGUA DEGLI INVASORI?

  FACENDOLO TU  AIUTI DIRETTAMENTE GLI INVASORI!”

Siamo ormai a livello di TSO, di manicomio, in un paese dove il 70% della popolazione parla russo, e un 30% parla SOLO la lingua russa.
Cosa dovrebbero pensare costoro di questa cosa?
Una strategia da fuori di testa, questa dei cartelli, che deve essere venuta in mente a qualche esponente dei servizi segreti, in una disperato tentato di arginare il “terrorismo”, che lentamente sta crescendo mano a mano che la situazione economica si fa più difficile.

A proposito di situazione economica, oggi il presidente Poroshenko, Poroshemo ha dichiarato tutto contento che “la guerra sta facendo bene alla disoccupazione”.
Dal suo punto di vista può avere ragione, le aziende militari vanno a pieno ritmo, un milione di profughi ucraini si è recato in Russia (si , il paese “invasore”), minimo cinquantamila giovani sono “dispersi” (dire che sono morti in battaglia suona male) ecc.ecc.
Secondo il Poroshemo-pensiero manca solo un bel terremoto e una invasione aliena per rimettere in piedi l’economia ucraina.
Detto questo parliamo del vil denaro, il FMI ha deciso di prendere direttamente il controllo della tassazione in Ucraina, saranno gli stranieri a decidere tasse, accise e tariffe, da ora in poi , appoggiate dal ministro dell’Economia e delle Finanze, Natalia Jaresco, cittadina americana e ex agente CIA  ex funzionario dell’ambasciata USA a Kiev.

Si parla già dei piccoli , leggerissimi contraccolpi per la popolazione, un sobrio aumentodi sei volte delle tariffe del gas , dell’acqua e del riscaldamento dovrebbe essere il primo segnale della ripresa.
Secondo i calcoli degli economisti il 90% della popolazione non sarà in grado di pagare le nuove tariffe.

Ma non è importante, quello che conta è “rimettere in piedi il paese”.

Secondo me siamo davanti ad una sorta di esperimento sociale, manovrato dall’estero, c’è chi vuole sapere quanta merda un popolo sia disposta a mangiare prima di arrivare alla rivoluzione.
Quaranta milioni di cavie da laboratorio pronte a bersi (per la maggior parte) qualsiasi panzana sulla “invasione russa” o sul “meraviglioso futuro” che li aspetta.

Non ci vuole molto , un popolo ignorante e stupido che si informa solo dalla televisione, un governo rapace ed inetto e un “nemico” a cui dare la colpa di tutti i disastri.

Chi ha orecchie per intendere ha capito come mai vi sto assillando da mesi con questa storia dell’ucraina, si, mi sto riferendo proprio a voi pecoroni italiani.

Forse il presente di oggi in Ucraina sarà il futuro di Roma tra qualche anno.

da Liberticida di Nuke The Whales

Роспечать профинансировала телеканал «Дождь» на 30 млн рублей

http://izvestia.ru/news/585059#ixzz3WbhxvN00

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Заместитель руководителя агентства Владимир Григорьев активно выделял деньги СМИ с ярко выраженной антигосударственной позицией

Роспечать профинансировала телеканал «Дождь» на 30 млн рублейФото: ИЗВЕСТИЯ/Владимир Суворов

С 2010 по 2014 год Федеральное агентство по печати и массовым коммуникациям (Рос­печать) осуществляло значительные финансовые вливания из госбюджета в СМИ, чья редакционная политика имела ярко выраженную антигосударственную позицию. Как показало расследование, проведенное «Извес­тиями», бюджетные деньги активно осваивали газета «Московский комсомолец», радиостанция «Эхо Москвы», телеканалы РБК-ТВ и «Дождь». Последний всего за 2 года получил более 30 млн руб­лей, что по курсу на тот момент составляло $1 млн.

Роспечать в период с 2010 по 2014 год на основании решения экспертного совета агентства оказала государственную поддержку газете «Московский комсомолец» на сумму 17,9 млн руб­лей, ООО «Телеканал «Дождь» — на сумму 30,6 млн руб­лей, ЗАО «Эхо Москвы» — на сумму 15 млн руб­лей, ЗАО «РБК-ТВ» — на сумму 4,5 млн руб­лей.

Экс-глава общественного совета при Федеральном агентстве по печати и массовым коммуникациям Анатолий Лысенко заявил «Извес­тиям»:

— Они нуждались в поддержке, предлагали какие-то свои интересные проекты. Совет принял для себя решение, что их следует поддержать.

Эксперты также уверяют, что в тучные годы для государства было нормой финансово поддерживать значительное количество самых разноообразных СМИ.

— Финансирование СМИ в годы, когда бюджет достаточно наполнен, — вполне нормальное явление, — говорит президент Центра стратегических коммуникаций Дмитрий Абзалов. В то же время он уверен, что в условиях кризиса и сокращения всех бюджетных расходов владельцы СМИ должны научиться обходиться без господдержки — зарабатывать на подписке и привлекать рекламодателей.

Как заявил один из бывших членов экспертного совета, на выделении средств вышеперечисленным СМИ активно настаивал заместитель главы Роспечати Владимир Григорьев.

Согласно данным Роспечати, «Дождь» в 2011 и 2012 годах (это был период наибольшей активности оппозиционного движения. — «Известия») получал средства на производство цикла роликов социальной рекламы «Все разные. Все равные». Государство заплатило за семь роликов по 60 секунд по 1,3 млн рублей за каждый.

Телепрограмма «Книги» на телеканале «Дождь» также получила субсидию в размере 2 млн рублей. В 2013 году господдержку «Дождь» не получил, так как сайт телеканала перешел в платный режим.

Несмотря на то что в начале своего запуска «Дождь» получал внушительные суммы от государства на свое развитие, гендиректор телеканала Наталья Синдеева не стеснялась в выражениях и обвиняла власть в давлении, при этом она не распространялась на тему получения денег из госбюджета.

«Вначале у меня были свои деньги. Не очень много, но достаточно для того, чтобы запустить нишевый кабельный канал. В процессе, когда мы стали строить канал, рисовать схему, поняли, что, конечно, мы строим не нишевый канал, а нечто гораздо более масштабное. Мои деньги быстро закончились. И тогда Саша (Александр Винокуров — муж Синдеевой и инвестор телеканала. — «Известия») сказал: «Конечно, я тебя не брошу». Дальше основное финансирование уже было Сашино», — говорила она в одном из интервью.

Главный редактор «Эха» Алексей Венедиктов не раз обвинял власти и акционеров в давлении на редакционную политику, которая часто носила явно антироссийский характер. Достаточно вспомнить, как на сайте радиостанции была опубликована запись с видеороликом украинского журналиста Александра Горобца. В нем украинский журналист обвинил сотрудников LifeNews, работавших в Донбассе, в том, что те якобы координируют огонь и руководят другими действиями ополченцев. Практически сразу выяснилось, что на видео, размещенном в блоге, нет ни одного журналиста телеканала, а все приказы отдает командир ДНР с позывными Моторола. Ролик с комментарием украинского журналиста был размещен в тот момент, когда в плену у СБУ находились два сотрудника LifeNews.

Как говорят аналитики, «Дождь», РБК-ТВ, «Эхо Москвы» и «Московский комсомолец» после госпереворота на Украине активно поддерживали действия новых киевских властей. Член Общественной палаты, политолог Сергей Марков считает, что оппозиционные деятели имели своих единомышленников в руководстве Роспечати, которые помогали им получать средства из госбюджета.

— Очевидно, что поддержка идет в адрес оппозиции, все издания, которым выделялись деньги, являются оппозиционными. Роспечати вообще-то надо поддерживать региональные СМИ, которые печатают расписание электричек, везущих на садовые участки, тексты, как правильно высчитывать пенсии и правильно записываться в поликлинику, а не очевидно ангажированные политические проекты. Тем более что тот же «Дождь» — это ярчайший пример стопроцентно антироссийской политики, причем политики, действующей в интересах геополитических конкурентов нашей страны. Такие СМИ, как «Дождь», имеют право быть, но получать господдержку — это странно, — говорит он.

При этом Марков отмечает, что вполне может быть близка к реальности версия, что Роспечать выдавала гранты таким СМИ ради того, чтобы «их самих не трогали».

Глава «Политической экспертной группы» Константин Калачев считает, что таким образом руководство Роспечати заручилось лояльностью среди оппозиционных изданий.

— Если раздавали деньги, то, видимо, пытались обеспечить хоть какую-то управляемость. Я не думаю, что деньги давались просто так, без условий — не те деньги, которые позволили бы существовать СМИ. А вот на какие проекты — надо смотреть детально, — уточнил Калачев.

Президент Центра стратегических коммуникаций Дмитрий Абзалов говорит, что поддержку печатного СМИ (МК — одно из крупнейших СМИ по тиражу) еще можно логически обосновать, а вот финансирование нишевого телеканала, например «Дождя», вызывает множество вопросов.

— У телеканала «Дождь» охват очень узкий и целевой, да и распространение по кабельным сетям в полном объеме почти не велось. Непонятно, почему ему выделялось финансирование, — говорит Дмитрий Абзалов.

Эксперт отметил, что среди представленных резидентов он не видит особо нуждающихся.

— С точки зрения системной поддержки СМИ виден явный перекос. Выборка не самого большого по охвату «Дождя» по меньшей мере странна. Непонятно — зачем? Почему бы не потратить эти средства на помощь региональным СМИ? — говорит Абзалов.

Стоит отметить, что курирует в Роспечати распределение финансовой поддержки СМИ замглавы ведомства Владимир Григорьев. Это не первый случай, когда Роспечать в его лице благоволит оппозиционным деятелям. Как ранее писали «Известия», в Москве в течение нескольких лет структуры гражданской супруги главы Фонда борьбы с коррупцией Владимира Ашуркова —  Александрины Маркво (среди них были «Бюро 17» и ООО «Слава») организовывали для мэрии и Роспечати мероприятия на общую сумму 100 млн рублей. Ашурков в это время являлся помощником Алексея Навального и активно участвовал в его политических акциях. Проведение тендеров, выигранных компаниями Маркво, курировал именно Владимир Григорьев. Кроме того, в течение нескольких лет структуры Маркво побеждали в тендерах, которые были организованы столичным департаментом СМИ и рекламы, возглавляемым Владимиром Черниковым.

В декабре 2014 года Следственный комитет возбудил уголовное дело в отношении Маркво, Басманный суд Москвы выдал санкции на заочный арест подруги Ашуркова. В начале марта 2015 года супруга исполнительного директора Фонда по борьбе с коррупцией была объявлена в международный розыск по каналам Интерпола.

По информации «Известий», в настоящее время правоохранительные органы проводят проверку целевого использования выделенных Роспечатью денежных средств следующим СМИ: «Московский комсомолец», радиостанция «Эхо Москвы», телеканалы РБК-ТВ и «Дождь».

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Il commissario per il Terzo Valico Lupi condannato dalla Corte dei Conti

07 aprile 2015

Il mitico Walter Lupi, commissario straordianrio per il Terzo Valico, già colpito di striscio dall’inchiesta su Expo, “l’impiegato di Gigi“, è stato condannato dalla Corte dei Conti della Liguria al pagamento di 133 mila Euro per la famosa vicenda del villino di proprietà del Demanio a Recco. Struttura che avrebbe dovuto diventare sede della Forestale e in cui il commissario ha pensato bene di ricavare un’abitazione privata vista mare per le vacanze estive. Non vi è pace per il Terzo Valico e gli uomini che lo sostengono, ormai con cadenza settimanale esce fuori l’ennesima notizia che ben dimostra chi siano le persone che vogliono realizzare sulla testa dei cittadini un’opera totalmente inutile, devastante per l’ambiente e pericolosa per la salute. Una ragione in più per essere in tanti alla marcia popolare del 18 aprile che si terrà ad Arquata Scrivia.

Pubblichiamo l’articolo di ligurianotizie.it

La Corte dei Conti condanna Walter Lupi per danno erariale

GENOVA. 30 MAR. La Corte dei Conti della Liguria ha condannato al risarcimento per danno erariale, per oltre 133 mila euro, l’ex direttore del Siit, Servizi integrati per infrastrutture e trasporti, per Liguria e Lombardia, e attuale commissario per il Terzo Valico, Walter Lupi e ad oltre 15 mila euro l’ex comandante provinciale della Forestale Antonio Mommo.

Le contestazioni nei riguardi di Lupi sarebbero per i lavori di ristrutturazione di una villetta di proprietà del demanio in località Mulinetti, a Recco.

L’immobile era dapprima in uso alla Capitaneria, poi era stato ristrutturato per ospitare la Forestale.

Invece al termine dei lavori il piano terra era stato messo in uso alla Forestale, mentre al primo piano andò ad abitare lo stesso Lupi. Nel mirino della procura contabile ci sarebbero le spese per il cambio d’uso dell’immobile da caserma ad alloggio.

È ora di abolire la Legge Obiettivo. Di Ivan Cicconi

post — 3 aprile 2015 at 10:56

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Un istituto contrattuale criminogeno

Il Presidente dell’Anac Cantone ha definito giustamente l’istituto contrattuale utilizzato per realizzare le grandi opere, oggetto della recente indagine della magistratura fiorentina, di tipo criminogeno. Una magra consolazione per chi ne ha descritto questo carattere fin dalla sua codificazione nel 2002. Merita chiarire bene il punto, dopo i recenti arresti e le sciocchezze sciorinate sul tema dal ceto politico che, dopo tredici anni, scoprono che il contraente generale produce quello che fin dall’inizio era del tutto evidente.

La definizione del contraente generale è stata data con la legge obiettivo (443/2001) con questa definizione: <<..Il contraente generale è distinto dal concessionario di opere pubbliche per l’esclusione della gestione dell’opera eseguita>>.

Nelle direttive europee sugli appalti non vi è né la definizione né alcun accenno ad un soggetto economico definito “contraente–generale” o “general–contractor” che dir si voglia. Nella relazione introduttiva al decreto legge (D.L. 190/2002, Ministro Pietro Lunardi) con il quale si è dato corpo alla definizione si arriva addirittura a sostenere che questa nuova figura è espressamente prevista nelle direttive europee. Una pura e semplice invenzione.

Il D.L. 190/2002 affida a questo operatore i seguenti compiti: <<Il contraente generale provvede: allo sviluppo del progetto definito ed alle attività tecnico-amministrative occorrente al soggetto aggiudicatore per pervenire alla approvazione dello stesso da parte del CIPE, ove detto progetto non sia stato posto a base di gara; alla acquisizione delle aree di sedime: la delega di cui all’art.6 comma 8 del DPR 8 giugno 2001 n. 237, in assenza di un concessionario, può essere accordata al contraente generale; alla progettazione esecutiva; alla esecuzione con qualsiasi mezzo dei lavori ed alla loro direzione; al prefinanziamento, in tutto o in parte, dell’opera da realizzare; (…)>>.  

Stiamo dunque parlando di un soggetto al quale il committente garantisce il 100% del corrispettivo (prezzo) necessario alla progettazione e realizzazione dell’opera, dunque assimilabile ad un appaltatore, ma al quale vengono però affidati anche tutti i compiti tipici del concessionario ad esclusione della gestione e cioè del corrispettivo che caratterizza in modo decisivo il contratto di concessione. Un operatore economico dunque al quale vengono attribuiti tutti i poteri del “concessionario” senza alcun rischio di mercato (senza la gestione) retribuito però come ”appaltatore” con un prezzo.

Nelle direttive europee la tipizzazione dei contratti pone in evidenzia due caratteri essenziali: l’”oggetto della prestazione” richiesta al contraente ed il “corrispettivo” che l’amministrazione aggiudicatrice gli corrisponde. I contratti definiti sono il contratto di “appalto” e quello di “concessione”. Della concessione la direttiva ne da una definizione inequivocabile: <<La concessione di lavori pubblici è un contratto che presenta le stesse caratteristiche di cui alla lettera a), ad eccezione del fatto che la controprestazione dei lavori consiste unicamente nel diritto di gestire l’opera o in tale diritto accompagnato da un prezzo>>.

Secondo la direttive, dunque, la differenza fondamentale con il contratto di appalto è data dalla “controprestazione” offerta al contraente. Nel caso dell’appalto questa è un “prezzo”, che copre in toto il costo necessario alla realizzazione dell’opera. Nel caso della “concessione” la controprestazione consiste “nel diritto di gestire l’opera”. La differenza ha implicazioni decisamente rilevanti proprio sul piano degli interessi che il contraente può tutelare nel contratto di “appalto” (un “prezzo” come corrispettivo) o nel contratto di “concessione” (il “diritto di gestire” l’opera come corrispettivo).

La definizione del contraente generale, data dalla legge obiettivo, ci propone invece un soggetto per il quale l’oggetto del contratto corrisponde a quello della concessione mentre il corrispettivo è esattamente quello dell’appalto: <<…. Il contraente generale è distinto dal concessionario di opere pubbliche per l’esclusione della gestione dell’opera eseguita>>.

La “concessione” senza responsabilità sulla gestione, definita con l’istituto dell’affidamento a contraente generale, fra l’altro, non era una novità, al contrario era stata normata e sperimentata e, a fronte dei palesi fallimenti registrati, indusse il Parlamento ad intervenire in modo esplicito per la sua esclusione, considerando proprio questa come uno dei pilastri fondamentali di tangentopoli.

Le funzioni affidate dalla legge obiettivo, nel 2002, al contraente generale sono esattamente quelle che il legislatore definì nel 1987 con la legge n. 80 (Norme straordinarie per l’accelerazione dell’esecuzione di opere pubbliche); come esattamente sovrapponibili sono le motivazioni che all’epoca furono addotte. L’unica differenza rintracciabile è data solo dalla “previsione straordinaria” che il legislatore nel 1987 ravvisava nella norma, derivante dalla consapevolezza della forzatura che operava sia rispetto alle direttive europee sia rispetto ad una corretta previsione contrattuale. Per quanto riguarda le funzioni attribuite la coincidenza è invece assolutamente piena.

La legge 80/87 prevedeva: <<….per un periodo non superiore a tre anni dall’entrata in vigore della presente legge, di affidare in concessione unitariamente con la procedura stabilita al successivo art. 3, la redazione dei progetti, le eventuali attività necessarie per l’acquisizione delle aree e degli immobili, l’esecuzione delle opere e la loro eventuale manutenzione ad imprese di costruzione, loro consorzi, e raggruppamenti temporanei>>.   Il valore straordinario (forzato) della norma, e cioè la concessione senza gestione, consigliò infatti di stabilirne una durata limitata nel tempo (tre anni). A proporre tale norma fu il Ministro dei Trasporti dell’epoca (Claudio Signorile, tecnico di fiducia Ercole Incalza) con l’esplicita motivazione di utilizzare tale procedura per affidare i contratti per la realizzazione delle infrastrutture per il Treno ad Alta Velocità. I contratti erano definiti dalla legge 80/87 “concessioni di progettazione e costruzione” con l’esplicita esclusione della gestione; esattamente identici dunque all’affidamento a contraente generale, definito dalla legge 443/2001 come <<…concessionario con l’esclusione della gestione>>. Sulla legge 80, nonostante i suo caratteri straordinari, e nonostante la sua previsione a termine, vi fu un esplicita censura della Corte Europea, che non ebbe seguito solo per il fatto che la norma nel frattempo veniva meno.

Concessioni analoghe, senza la gestione, sono state adottate nello stesso periodo per la realizzazione del Piano Sanitario Nazionale, varato con l’art. 20 della finanziaria del 1988, con un programma che prevedeva investimenti per circa 30.000 miliardi di vecchie lire. In questo caso gli analoghi compiti affidati ai contraenti generali assumevano la forma della cosiddetta “concessione di committenza”, nella quale la principale differenza con la “concessione di progettazione e costruzione” è solo data dalle modalità di calcolo del corrispettivo pagato dall’Amministrazione aggiudicatrice.

Sulle “concessioni di committenza” il Parlamento intervenne in modo specifico e determinato, con una legge ad hoc, la 492/1993, con la quale si stabiliva addirittura l’annullamento (retroattivo) delle concessioni che il Ministro del bilancio Paolo Cirino Pomicino, di concerto con quello della Sanità Francesco De Lorenzo, aveva affidato a tre general-contractor privati, per un valore di 2.100 miliardi. Fra questi vi era anche Fiat-Engineering Spa, i cui dirigenti, nel momento in cui la FIAT decise di collaborare con i magistrati di Manipulite, ammisero la pattuizione di tangenti confermando quanto già aveva messo a verbale il segretario del Ministro della Sanità: <<…i concessionari avrebbero messo a disposizione un 5% delle loro spettanze il quale, se ben ricordo, doveva essere diviso per il 2% alla DC, il 2% al PSI e con un sotto-accordo lo 0,50% a Pomicino e lo 0,50% al PLI>>.

Nel complessivo riordinamento della materia, avvenuto nel 1994 con l’emanazione della legge quadro sui lavori pubblici, proprio per la grave serie di abusi che avevano frequentemente caratterizzato l’istituto della concessione, la legislazione di riforma ha espressamente soppresso sia l’istituto della concessione di committenza che quello di sola costruzione, consentendo alla Pubblica Amministrazione il ricorso alla concessione unicamente laddove correlata alla gestione delle opere realizzate.

Merita al riguardo ricordare la Relazione al Presidente del Consiglio dei Ministri (Roma, luglio 1992) dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, sempre in relazione alle distorsioni della concessione nel periodo di tangentopoli: <<Va infine osservato che in larghissima parte la pratica degli affidamenti in concessione per l’esecuzione di opere pubbliche si è sviluppata in aperto contrasto con le norme comunitarie (e con la stessa normativa nazionale di recepimento) che limitano la figura della concessione ai soli contratti nei quali il corrispettivo delle attività svolte dal concessionario è rappresentato, in tutto o in parte, dal diritto di gestire l’opera realizzata. In base a tali norme, quindi, tutte le diverse forme di concessione a costruire, non accompagnate dalla gestione dell’opera, devono ritenersi equiparate all’appalto e come tali regolate>>.

Nella concessione solo la condizione della gestione dell’opera, come controprestazione, rappresenta la garanzia essenziale per il concedente della efficace realizzazione delle prestazioni affidate al concessionario. Solo questa condizione può garantire il committente che le numerose e delicate funzioni pubbliche trasferite al concessionario vengano espletate correttamente e per realizzare un’opera di qualità e con costi congrui. Solo questa condizione, il “diritto di gestire”, determina nel concessionario una condizione di “interesse oggettivo e soggettivo” a definire un buon progetto, una buona esecuzione con costi e tempi contenuti. Solo se dalla gestione dell’opera dovrà ricavare (recuperare) le risorse necessarie per realizzarla, sarà stimolato a farla presto e bene. Solo se l’opera sarà fatta bene potrà utilizzarla con il massimo profitto, senza interruzioni nella gestione per tutta la durata della concessione.

La legge 443/2001, con la esclusione della gestione, ha sancito in capo al contraente generale una condizione di assoluta libertà nell’affidamento di attività a soggetti terzi (progettisti, società di servizio, imprese, ecc.). La norma prevede espressamente che il contraente generale:<< (…) possa liberamente affidare a terzi l’esecuzione delle proprie prestazioni.>>. Può in altri termini affidare a trattativa privata qualsiasi attività ed al soggetto che può scegliere quando e come vuole. Il contraente dunque è oggettivamente spinto a realizzare un rapporto con gli affidatari terzi giocato tutto e solo sul prezzo della prestazione a scapito della qualità, per la quale non ha alcun interesse soggettivo o oggettivo in virtù della assenza di qualsiasi responsabilità sulla gestione. Tutto ciò ha delle conseguenze anche sull’interesse al controllo del sistema dei subappalti e della sub-contrazione, che tende, oggettivamente, a scomparire.

Che dire, inoltre, dei tempi e della qualità delle opere affidate ad un “concessionario con l’esclusione della gestione dell’opera”. Il contraente generale si trova in una condizione di interesse che realizza anche il paradosso di convenienza sulla durata del rapporto contrattuale, avendone anche il totale controllo sia diretto che indiretto. Non solo, anche la richiesta di varianti (quasi inevitabili per opere complesse ed affidate solo sulla base di un progetto preliminare) non possono che essere auspicate (se non sollecitate) dallo stesso contraente. Ritorna qui la condizione ibrida (e anomala) di un soggetto privato al quale sono affidati tutti i poteri del concessionario (e dunque del committente) senza alcuna responsabilità sulla gestione e con un interesse, reale e legittimo, a far durare più a lungo possibile le fasi di progettazione e di costruzione e a farle costare il più possibile.

La non responsabilità sulla gestione dell’opera (e dunque l’assenza di qualsiasi rischio derivante da una cattiva esecuzione dei lavori) determina una assenza sostanziale di interesse del contraente-generale anche sulla qualità e affidabilità dell’opera. Condizione questa che si presenta in termini assolutamente più esposti rispetto alla analoga situazione dell’appaltatore; questi infatti esegue l’opera sulla base di un progetto esecutivo ed è sottoposto ad un controllo costante del committente in fase di esecuzione attraverso il Direttore dei Lavori. Nel caso del contraente-generale invece il controllo della esecuzione è in capo ad esso stesso con tutte le conseguenze ovvie di tale paradossale situazione.

Nei casi delle opere nelle quali i contraenti generali hanno affidato la direzione dei lavori alla società dell’ing. Perotti tutti questi caratteri anomali della relazione contrattuale (qualità dei lavori, qualità dei materiali, assenza di controlli, aumento abnorme dei costi, etc.), si ritrovano interamente e puntualmente. Come si ritrovano puntualmente ed inevitabilmente fenomeni di relazioni corruttive.

Registriamo che ad oltre dodici anni dalla introduzione nel nostro ordinamento di un istituto contrattuale palesemente criminogeno, non solo le forze politiche e le associazioni di rappresentanza delle imprese e dei lavoratori, ma addirittura l’Autorità di Vigilanza sui Lavori Pubblici prima e l’Autorità per Vigilanza sui Contratti Pubblici dopo non si sono mai espresse in merito consentendo l’applicazione di una norma palesemente criminogena che ha già prodotto enormi danni erariali, ambientali e sociali. E’ ora che venga semplicemente e immediatamente cancellata.

 Ivan Cicconi

Strasburgo sanziona l’Italia per la Diaz ma precisa che l’impunità è dovuta all’assenza del reato di tortura

Ingiustizia è fatta, di nuovo. E il sistema è salvo.

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Sembrava quasi un trionfo, la sentenza della Corte di Strasburgo sul ricorso di una delle tante vittime della macelleria della Diaz, Cestaro, all’epoca dei fatti aveva 62 anni. Quasi tutti i quotidiani di ieri riportavano però questa precisazione che io trovo agghiacciante: “Ma nella sentenza i giudici sono andati oltre, affermando chese i responsabili non sono mai stati puniti è soprattutto a causa dell’inadeguatezza delle leggi italiane, che quindi devono essere cambiate. La mancata identificazione degli autori materiali dei maltrattamenti è dipesa, accusano poi i giudici, “in parte dalla difficoltà oggettiva della procura a procedere a identificazioni certe, ma al tempo stesso dalla mancanza di cooperazione da parte della polizia”. Nella sentenza si sottolinea quindi che la mancata considerazione di determinati fatti come reati non permette, anche in prospettiva, allo Stato di prevenire efficacemente il ripetersi di possibili violenze da parte delle forze dell’ordine.”

Il sistema, ancora una volta è salvo. Tutti coloro che hanno contribuito all’impunità offuscando, annebbiando, nascondendo, omettendo, mentendo, rallentando fino alla prescrizione, possono sentirsi a posto con il residuo di coscienza che resta loronon è colpa di nessuno, se non di una mancata legislazione. E’ tutto a posto. E’ solo una democrazia imperfetta, insomma.  Qualcuno forse aveva avuto la sensazione che ci fosse una grande regia dietro queste incredibili vicende giudiziarie che hanno fatto finire nel nulla decine di macellai e torturatori, ma no, a dirci che è solo un “vulnus legislativo” è la somma corte di Strasburgo, che mette la parola “fine” e rimanda al Parlamento la discussione, che prevedibilmente occuperà le prossime 3 legislature, sull’introduzione del reato di tortura, il tutto mentre si continua nella sua pratica nelle carceri, e non solo.

Un plauso in particolare al SAP che anche in quest’occasione non fa mancare la sua perla di saggezza: «A Genova furono commessi degli errori, la cui ombra ha fatto da schermo a violenze ben più gravi commesse da chi mise una città a ferro e fuoco». Sono le parole di Tonelli, Sindacato Autonomo di Polizia, preoccupato che le eventuali norme sulla tortura possano essere usate come “pretesto da chi vuole colpire gli agenti”.
Certo, la nostra storia è piena di casi “pretestuosi”.E anche di morti, “pretestuose”. Tutte impunite. Talvolta con il plauso del SAP, si veda il caso Aldrovandi.

Gianfranco Fini, che all’epoca dei fatti in qualità di vice-premier nel governo Berlusconi si trovava a Genova (anche durante il massacro alla Diaz) ed era quindi il referente politico principale, perché di questo si dovrebbe parlare, delle responsabilità politiche, sostiene che A Genova qualcuno perse la testa”. E forse lui, la memoria. Ma è tutta colpa dell’assenza del reato di tortura. Anche la sua coscienza è quindi a posto.

Eppure è una semplice questione di buon senso… tra una condanna per “tortura” e l’impunità assoluta, perché nel nostro sistema non sono valse quelle 50 sfumature di grigio che avrebbero potuto quanto meno sollevare i colpevoli di tali abomini dai loro incarichi, se non addirittura condannarli per altri reati già previsti dal codice penale? E cosa dovrebbe farci pensare che, una volta introdotto il reato di tortura, la sua applicazione sarà effettivamente a tutela dei diritti delle persone e non , come spesso accade, del sistema di potere?

Insomma, cari Azzeccagarbugli d’ogni luogo e tempo, pensate davvero di poterci prendere per il culo per l’eternità?
Scusate la chiusura volgare, ma qualsiasi altra scelta lessicale avrebbe offeso la mia coscienza.

LiberaMente

Simonetta Zandiri – TGMaddalena.it

Diaz, fu tortura al G8 nel 2001: ricordate come Caselli liquidò la violenza sui no tav nel 2011?

post — 8 aprile 2015 at 12:30

Schermata 2015-04-08 alle 12.29.28<<Fatti di eventuali ehh…momenti di scorrettezze da parte delle forze di polizia>>.

Vi indignate per le violenze barbare della polizia sui manifestanti di Diaz e Bolzaneto? Vi vergognate perché il paese in cui vivete non ha istituzionalizzato il reato di tortura e c’è bisogno di un tribunale europeo per ricordarlo? Non riuscite a capacitarvi di come sia possibile, anche di fronte a casi eclatanti, che il risultato sia sempre favorevole all’agente di polizia, che alla fine o non viene identificato oppure se anche è condannato, avanza in carriera?

Bene.

Se siete sensibili a questo argomento, non prendete scorciatoie facili e rassicuranti: non è solo “il parlamento” che frena, non è una semplice questione di  partiti politici che vogliono un forte controllo sulla popolazione e quindi la sostanziale impunità degli agenti che delinquono pestando.  Quando si ha a che fare con reati commessi dalle ff.oo. in manifestazioni di protesta, troverete persone pronte a tracciare dei distinguo, e a contribuire allo smorzamento dei toni, anche dove meno ve lo aspettereste.

A Torino li trovate negli uffici della Procura, basta chiedere del ‘pool no tav’.

Non ci credete?

Rileggetevi questo pezzo di tre anni fa

http://www.notav.info/post/le-dichiarazioni-shock-del-procuratore-caselli-a-la7-un-due-tre-stella-26-aprile-2012/

a proposito della famosa Operazione Hunter, quando denunciammo che Sua Legalità, l’allora procuratore capo di Torino Giancarlo Caselli, descrisse le bastonate ed i calci agli arrestati no tav del 3.7.2011 come “eventuali scorrettezze”. Inaudito.

Chiariamo: una storia, quella dei cinque arrestati, senza dubbio meno grave per intensità numerica rispetto a Diaz e a Bolzaneto. Ma non per questo non importante per il segnale di incivilità che lanciò: cinque persone arrestate, in totale controllo delle ff.oo., alcune trascinate per terra, accerchiate da decine di carabinieri e poliziotti che tirano calci, reparti speciali dei carabinieri che bastonano uno dei cinque mentre è a terra nella polvere, tantissimi altri che assistono al gioco, lacerazioni, fratture così gravi da richiedere poi l’elitrasporto in ospedale per un altro del gruppo dei fermati.

Ogni cosa rigorosamente filmata e fotografata (tranne ovviamente il male interiore, l’umiliazione, la paura sofferta).

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E il capo dei magistrati di Torino, Giancarlo Caselli, noto personaggio pubblico, che in televisione, ad indagini in corso della sua procura, davanti a milioni di spettatori, se ne esce con un chiaro distinguo: <<Fatti di eventuali ehh…momenti di scorrettezze da parte delle forze di polizia>>.

Un’inaudita minimizzazione davanti ad una platea di tantissimi italiani, di quelli che un qualsiasi neolaureato in giurisprudenza avrebbe invece definito come delitti contro la persona e anche particolarmente odiosi.

Non ci risulta che nessuno abbia mai punito Sua Legalità per quelle frasi.

Mentre è un fatto che nei mesi e anni successivi il pool no tav, da lui creato, abbia tradotto in realtà giudiziaria quell’atteggiamento minimalista e perdonista: ad oggi, aprile 2015, di tutta la vicenda Operazione Hunter, delle decine di agenti che tirano calci, delle decine di altri che fanno da spettatori senza intervenire e senza poi denunciare, esiste un solo processo penale per un solo imputato – il bravo carabiniere ‘hunter’, tatuato, che tira una bastonata – per una sola delle cinque vittime dei pestaggi.

Tutto il resto o non indagato, o archiviato su richiesta del “pool”.

E allo stesso modo, implacabili, i PM di questo “pool” hanno sistematicamente minimizzato tutte le altre ipotesi di reati commessi delle ff.oo. nelle manifestazioni no tav degli ultimi 5 anni. Basta pensare alle decine di spari diretti di lacrimogeni verso i no tav con lanciagranate,  per i quali nonostante prove schiaccianti visionate in aula dai magistrati – video della polizia prodotti in giudizio con audio degli agenti del tipo “miro per fargli male”-, e richieste pressanti degli avvocati difensori, niente è mai scaturito.

Il problema è sistematico, quindi. Ed è anche un problema piuttosto difficile da risolvere: ad esempio, come si potrà mai sradicare il fenomeno dei reati delle ff.oo. su manifestanti no tav se si lasceranno le indagini in mano agli stessi PM (5 fissi) e polizia giudiziaria (Digos) che da anni lavorano incessantemente a raccogliere ogni genere di prova ad imbastire processi su processi…contro i medesimi manifestanti?

Pedrino Quagliotta

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Uno Stato violento non può dirsi democratico

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Intervento dell’Avvocato Gilberto Pagani,  Presidente del Legal Team Italia e membro dell’AED, Associazione dei Giuristi democratici. I fatti di Genova lo hanno visto comeavvocato di partte civile per la famiglia Giuliani, le vittime della Diaz e Bolzaneto. Gilberto Pagani ha un occhio attento alla repressione nel Vecchio Continente, rispetto alle violazioni dei diritti fondamentali dei cittadini e degli avvocati. Per questo abbiamo chiesto a lui di commentare oggi la sentenza della Corte Europea dei Diritti Umani (CEDU) che ha certificato che fu tortura, alla Diaz, e che è cosa vergognosa che non ci sia ancora un reato di tortura nel nostro codice penale.
(a.m. /c.e.) da Q Code Mag

La sentenza della Corte Europea del Diritti dell’Uomo nel caso Cestaro non ha detto nulla di nuovo sui fatti che sono avvenuti alla Diaz la notte del 21 luglio 2001, che da tempo sono noti e acclarati.

Gli esiti della sentenza erano prevedibili, la CEDU ha riaffermato ciò che tutti sanno sulla mattanza della Diaz; ciò è bene ma dubito potrà portare altri benefici se non quello di perpetuare il ricordo di uno sconvolgente attacco alla democrazia.

Ma le rinnovate certezze si fermano alla superficie, ancora c’è chi sproloquia di mele marce e mele sane e non si interroga sulle ragioni che hanno portato alla macelleria messicana, al lager di Bolzaneto, all’assassinio di Carlo Giuliani, alle ferite ancora aperte nei corpi e nelle menti di chi a Genova ha conosciuto il volto violento dello stato.

Sappiamo chi ha ordinato l’assalto alla Diaz, chi ha permesso lo scempio di Bolzaneto, chi ha gestito l’ordine pubblico a Genova.

Sappiamo che i fatti di Genova sono stati preceduti da un’attenta pianificazione e si sono svolti con le modalità previste, con lo scopo di disarticolare un nascente movimento antagonista, tappare la bocca e tarpare le ali al movimento.

Anche per ragioni anagrafiche chi ha programmato ed eseguito tutto ciò non occupa più le stesse posizioni di potere (in qualche caso il suo potere è aumentato), ma la politica di gestione dell’attività di polizia e di ordine pubblico non è mutata.

Se la scelta strategica era di lasciare mano libera alle forze di polizia, staccandole sempre di più dal resto della società, nulla è cambiato, soprattutto nell’impostazione delle politiche di gestione dell’ordine pubblico, indipendentemente dalla collocazione dei governi.

Le forze di polizia sempre più tendono ad assumere i connotati di una forza militare, sia per le modalità di arruolamento sia per quelle operative.

Come accade in altri settori di gestione della cosa pubblica, soprattutto quelli rivolti alle libertà individuali dei cittadini, la distanza che separa la nostra legislazione da quella dei paesi europei di democrazia matura è ormai abissale.

E nulla lascia presagire che il fondamentale obiettivo di avere forze di polizia che siano preposte non solo alla repressione dei reati ma anche alla difesa dei diritti fondamentali dei cittadini sia all’ordine del giorno.

La legge contro la tortura, che avrebbe dovuto essere approvata nel 1988 (quando l’Italia aderì alla convenzione dell’ONU) ancora giace in Parlamento, ma ciò che ne uscirà è forse peggio che non avere alcuna legge.

Grazie ad una normale intesa bipartisan (non ci risulta che nessuna minoranza abbia sollevato alcuna obiezione) sarà una legge che non punisce agenti, ufficiali o pubblici funzionari, ma si rivolgerà a “chiunque”.

Si tratta di una enorme mistificazione, che equipara la tortura inflitta da un rappresentante dello stato a violenze che hanno la loro radice in altri gangli della società, ma non mettono in discussione il rapporto tra il cittadini e il potere.

Perché questo deve insegnarci la sentenza della CEDU: uno stato che lascia un cittadino in balia della violenza e della prevaricazione dei suoi funzionari non può fregiarsi dell’aggettivo democratico.

Legal Team

AED

Condannate 2 case farmaceutiche per aver messo in commercio farmaci cancerogeni.Ma nessuno lo sa

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2 case farmaceutiche sono state condannate ad una multa di 9 miliardi per aver venduto farmaci cancerogeni per diabetici, tra cui l’Actos che viene commercializzato in Italia,il tutto viene ancora oggi nascosto ai pazienti del bel paese.

Ciò è stato scoperto dopo 7 anni che questi farmaci sono stati immessi nel mercato,dopo che milioni e milioni di diabetici italiani e non li hanno assunti per lungo periodo, fino ad ammalarsi di cancro per “cause misteriose”.

Ciò è confermato anche dall’ ADICO (Associazione difesa consumatori) a questo link.

La Takeda Pharmaceutical Co. e la Eli Lilly & Co. sono state condannate al pagamento di una multa di 9 miliardi di dollari per aver tenuto nascosto a medici e autorità la pericolosità del loro farmaco, (l’effetto cancerogeno del loro farmaco per diabetici durante i test per l’approvazione negli Stati Uniti). L’Actos -commercializzato anche in Italia-, che provocherebbe tumori.

Il medicinale in questione, commercializzato anche in Italia sotto il nome di Actos, aumenta infatti il rischio di tumore nei pazienti che lo assumono

A sollevare il polverone sono stati 2.700 soggetti americani che, dopo aver assunto il farmaco, hanno contratto il cancro. Per questo, la corte federale della Lousiana, presieduta dal giudice Rebecca Doherty, ha deciso di condannare le due aziende farmaceutiche al pagamento della maxi multa, la settima più onerosa di sempre.

Non è comunque la prima condanna in cui la Takeda e la Eli Lilly & Co. si imbattono. Sempre per aver tenuto nascosti gli effetti cancerogeni dell’Actos, infatti, hanno ricevuto già 10 sentenze di colpevolezza: tutte recitano che le aziende hanno coscientemente esposto i loro clienti al rischio di contrarre tumori, nascondendo il pericolo sia ad autorità che a medici. Le due società, infatti, hanno ammesso la pericolosità del farmaco solo dopo 7 anni che questa è divenuta nota.

Sfortunatamente, i precedenti dimostrano come, a fronte di multe così onerose, i colpevoli riescano a spuntarla e non pagare l’intera somma.

http://www.pressnewsweb.it/

Fonte : articolotre.com