Dietrofront del Pd sulle sanzioni amministrative per chi uccide specie protette

Mission del Pd: Non dimenticare di distruggere anche l’ambiente, oltre la società, l’economia etc etc

Ma non erano i leghisti anti animalisti?

 12 marzo 2015

Indignazione estesa dalla Lipu al Wwf a Legambiente, da Brambilla alla De Petris. “Stupisce l’atteggiamento schizofrenico del Partito democratico”. A sera il “papà” dell’emendamento annuncia la marcia indietro

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Roma, 12 marzo 2015 – Sdegno misto a rabbia. Sono questi i sentimenti  diffusi nel mondo ambientalista e animalista. Perché mentre da una parte il governo garantisce che non saranno depenalizzati, secondo il principio della tenuità del fatto, i reati legati al maltrattamento degli animali, il Pd presenta un emendamento (firmato dal senatore Stefano Vaccari) al collegato ambientale che prevede una sanzione solo amministrativa per chi uccide, cattura o detiene mammiferi o uccelli di specie protetta. Praticamente un via libera ai commercianti di specie tutelate, un “tana libera tutti” che si tradurrebbe in un massacro incondizionato di creature preziose e fragili. Ha di che parlare di atteggiamento “schizofrenico” il Wwf che condanna l’iniziativa senza se e senza ma. La protesta diventa corale e, a sera, il senatore Vaccari annuncia che ritirerà l’emendamento, frutto di un fraintedimento non voluto. Ma questo accadrà, annuncia, alla ripresa dei lavori della Commissione. In attesa del ripensamento totale, grande inquietudine sotto al cielo.

“La proposta di depenalizzare i reati di caccia sulle specie protette non è solo assurda e anacrostica, ma è assolutamente in controtendenza rispetto alla legge appena approvata al Senato e che presto arriverà alla Camera, sui delitti ambientali. E’ una schizofrenia che non può esistere” dice Patrizia Fantilli, direttore Ufficio legale del Wwf Italia. “Da una parte il Parlamento, dopo 20 anni, approva questa grande riforma dell’aumento delle sanzioni penali per i reati ambientali e dall’altra depenalizza i reati di caccia”. Ovvio che nessuno lascerà passare questo anacronismo senza resistere e, infatti, il “Wwf metterà in campo qualsiasi azione per contrastare l’assurda proposta e speriamo che tutti gli altri partiti, il Pd in testa, facciano lo stesso”. Posizione condivisa dalla Lipu e dal suo presidente, Fulvio Mamone Capria. “E’ inamissibile la presentazione di questo emendamento proprio nel momento in cui reati di bracconaggio e contro le specie protette sono in aumento e – prosegue il presidente della Lipu – anche in riferimento alla necessità che lo schema di decreto legislativo n. 130 sulla tenuità del fatto, sui reati considerati minori che attende il via libera definitivo del Consiglio dei ministri, debba assolutamente escludere i reati nei confronti fauna selvatica e delle specie protette”. Per questo, ribadisce Mamone Capria “chiediamo che venga ritirato l’emendamento o comunque che sia ritenuto inammissibile affinché venga mantenuto, in Italia, un sistema di norme che – nonostante oggi sia sanzionatro debolmente – resti un principio fondamentale di savaguardia della fauna, patrimonio indisponibile dello Stato”. “Una scelta molto pericolosa, per questo chiederemo di ritirare l’emendamento”: è quanto afferma Nino Morabito, responsabile Fauna di Legambiente.

E proprio Legambiente ricorda che un simile provvedimento potrebbe arrivare a riguardare anche specie come lupo, orso, martora, cervo sardo, lontra, puzzola, ma anche animali come la foca monaca e tutte le specie di cetacei, di uccelli quali il pellicano, il tarabuso, la spatola. “E’ vero che con le sanzioni penali non si è riusciti finora a frenare il fenomeno del bracconaggio in Italia che purtroppo è diffuso e in alcune aree è cresciuto. Però certamente – sottolinea Morabito  – la depenalizzazione rischia di aumentare ancora di più un aspetto gravissimo di cui l’Italia è sotto l’indice della Commissione europea per molti aspetti rispetto all’applicazione della direttive Habitat e Uccelli che proteggono molte specie animali e che sono spesso oggetto di bracconaggio”. Morabito continua: “E’ davvero un brutto segnale”.  E’ “pazzesco, assurdo e inaccettabile” attacca Michela Vittoria Brambilla, presidente della Lega italiana difesa animali e ambiente.

Peraltro Brambilla ha predisposto una proposta di legge ad hoc. “Al contrario, non solo deve rimanere la sanzione penale – sottolinea la parlamentare di Forza Italia –  è necessario raddoppiare le pene almeno per alcune specie (lupo, orso, stambecco, camoscio d’Abruzzo, muflone sardo)”. “Ammazzare un orso e cavarsela pagando 774 euro: sembra, per non dire di peggio, il prodotto di un colpo di sole – spiega la parlamentare animalista – ma non è stagione. Viene quindi la tentazione di collegare l’emendamento Vaccari allo stesso clima (politico) che potrebbe garantire la “non punibilità” di molti reati a danno degli animali, se saranno confermate le anticipazioni sulla forma definitiva del decreto legislativo in materia, all’esame del Consiglio dei ministri di oggi. E’ evidente: la tutela, anche penale, degli animali non interessa affatto né al governo né alla maggioranza parlamentare”. E’ pronta però una controproposta, a firma della stessa Brambilla: raddoppiare le pene, sia detentive che pecuniarie, per chi uccide, cattura o detiene esemplari di lupo, orso, stambecco, camoscio d’Abruzzo, muflone sardo. Secondo la proposta, i colpevoli rischieranno da sei mesi a due anni di carcere e l’ammenda da euro 2.034 a euro 12.294.

“E non un buffetto – conclude – come immagina qualcuno nel Pd”. Nell’indignazione generale arrivano anche le parole cariche di indignazione di Loredana De Petris di Sel. “La proposta del relatore Vaccari, del Pd, di inserire nel collegato ambientale la depenalizzazione per chi caccia, uccide o mette in cattività animali appartenenti alle specie protette è gravissima: un vero e proprio attentato contro l’ambiente compiuto a freddo, con il solo e unico intento di accattivarsi le simpatie della lobby dei cacciatori”, afferma la presidente del Gruppo Misto-Sel. “L’emendamento del relatore, nella sua riformulazione, porta da penale ad amministrativa la sanzione per chi caccia le specie protette. È – sottolinea la senatrice – una licenza di uccidere o di mettere in gabbia animali a rischio di estinzione. Se la norma verrà approvata le ripercussioni sull’equilibrio ambientale saranno letali e il danno provocato al nostro Paese per compiacere una lobby potente forse irreparabile”.

La marea montante di indignazione ha raggiunto il senatore del Pd Stefano Vaccari, relatore al collegato ambientale che ha annunciato l’intenzione di ritirare l’emendamento.  Con una lunga dichiarazione che riportiamo di seguito, peraltro, il parlamentare ricostruisce l’iter e nega di aver voluto premiare i cacciatori. Parla, tra l’altro, di un errore materiale involontario. Resta da vedere se alle parole e all’annuncio della marcia indietro seguiranno i fatti al momento della ripresa dei lavori.”Nessuno nel Pd vuole depenalizzare la caccia ai lupi o agli orsi, o ritornare indietro sulla lotta al bracconaggio e alla caccia di frodo. L’obiettivo che ha mosso la presentazione di tutti i miei emendamenti è quello di migliorare il più possibile il collegato ambientale. In questo caso, intendevo depenalizzare alcuni comportamenti venatori meno gravi e non dolosi, sulla base di precise richieste di una parte di quel settore. Per un mero errore di drafting l’introduzione della sanzione amministrativa aumentata e la conseguente cancellazione della sanzione penale ha riguardato l’articolo 2 e non un intervento puntuale su alcune specie cacciabili (art. 12). Tanto è vero che l’articolo 30 della legge 157/92 sulle sanzioni penali sarebbe rimasto praticamente inalterato. Tuttavia, per evitare fraintendimenti e polemiche inutili, ho comunque deciso d’accordo con il capogruppo Pd Massimo Caleo che, alla ripresa dei lavori in Commissione, modificherò il mio emendamento 40.100 (testo3), cancellando tutta la parte relativa alla depenalizzazione”.
Lorenzo Gallitto
Per contatti con la nostra redazione: animali@quotidiano.net

CHIOMONTE, CAOS IN COMUNE: IL MANCATO PIGNORAMENTO DEI SOLDI A PINARD E LA LETTERA DEL TRIBUNALE SCOMPARSA DAL MUNICIPIO. L’EX SINDACO: “E’ UN ATTACCO POLITICO”. OLLIVIER: “HO FATTO DENUNCIA IN PROCURA”

By Published: 03/15/2015 – Section: Indiscreto

di FABIO TANZILLI

C’è un caso che sta per scoppiare nel Comune di Chiomonte e che farà sicuramente parlare, con possibii conseguenze penali, avviando lo scontro finale tra il sindaco Silvano Ollivier e l’ex sindaco Renzo Pinard. Si tratta dei compensi che Pinard ha ricevuto alla fine del suo mandato amministrativo, il cosiddetto Tfr, e che il Tribunale di Torino aveva ordinato di pignorare. Il decreto del tribunale è arrivato il 13 maggio in Comune, ma è stato protocollato in Municipio solo tre giorni dopo, il 16 maggio 2014, a pochi giorni dalle elezioni. Però incredibilmente nessuno dei dipendenti del Comune avrebbe visto quel documento, e l’ex sindaco ha così ricevuto i soldi del Tfr interamente (il giudice aveva ordinato al Comune di congelarne un quinto).

IL PIGNORAMENTO – MAI AVVENUTO -DEGLI ULTIMI EMOLUMENTI A PINARD

Il pignoramento era stato ordinato dal Tribunale di Torino a seguito di una causa di un ex dipendente di una delle società di Pinard (“Montagne e Turismo snc”): un pizzaiolo che, non essendo stato pagato dalla società, aveva vinto la causa e si aspettava un risarcimento di circa 6000 euro. I soldi per l’ex dipendente, secondo la volontà del giudice, dovevano essere prelevati dall’ultimo “stipendio” comunale di Pinard (il Tfr ammonta alla stessa cifra dovuta al pizzaiolo, circa 6000 euro), ma ciò non è avvenuto.

IL MISTERO DELLA LETTERA SCOMPARSA: NESSUN DIPENDENTE COMUNALE L’HA VISTA

I motivi? Un mistero. Perché la lettera del tribunale è arrivata in Comune il 13 maggio, ma – secondo quanto affermano il sindaco e la giunta – nessuno degli uffici municipali l’ha mai vista, ma “risulta essere pervenuta dell’allora sindaco Pinard”. Ollivier, che in quei mesi era vicesindaco, spiega: “E’ sparita la lettera originale, abbiamo ritrovato una fotocopia solo a gennaio. L’ufficio ragioneria non aveva quel decreto del giudice e non l’ha visto, quindi ha provveduto a pagare regolarmente gli emolumenti dovuti a Pinard in quattro rate, per un totale di 5945 euro”.

DICEMBRE 2014: IL COMUNE NON SI PRESENTA IN TRIBUNALE. OLLIVIER: “NON LO SAPEVO”

Nella stessa lettera, il giudice aveva anche ordinato al Comune di presentarsi in udienza il 15 dicembre 2014, insieme alla società debitrice, e di non disporre, senza l’ordine del Giudice ed a pena delle sanzioni di legge, delle somme che erano destinate al pizzaiolo.

Nel frattanto però era cambiato il sindaco: al posto di Pinard arriva Ollivier. Ma il 15 dicembre, il Comune e Ollivier non si sono presentati in tribunale: “Non avendo visto quella lettera, non lo sapevamo di dover andare in udienza – dice – non sono mica pirla a non andare di fronte al giudice se vengo convocato ufficialmente, soprattutto di fronte a un pignoramento in cui è coinvolto il Comune”.

LE IPOTESI DI REATO – IL SINDACO OLLIVIER: “HO FATTO DENUNCIA, NON VOGLIO ESSERE COMPLICE”

Il bubbone scoppia il 30 gennaio di quest’anno, quando in municipio arriva una nuova lettera del tribunale, contenente il verbale dell’udienza del 15 dicembre, in cui il giudice riscontrava l’assenza del Comune.
Il sindaco Ollivier prima chiede chiarimenti a Pinard e all’ex segretario comunale, e riceve una lettera scritta solo da quest’ultimo.

Passano i mesi, si arriva a marzo, e allora decide di fare denuncia alla Procura: “Non voglio essere coinvolto, come possibile complice, in reati ipotetici, che vanno dall’abuso d’ufficio a l’omissione di atti pubblici – spiega – quella lettera in originale era sparita a maggio, l’ha vista solo Pinard ed è ricomparsa a gennaio, come fotocopia, in mezzo a dei faldoni”.

LA DIFESA DI PINARD: “TUTTO RISOLTO, I DEBITI LI DEVE PAGARE LA SOCIETA’, NON IO”

Dal canto suo, invece, l’ex sindaco Pinard si difende e chiarisce: “Tutta la questione nasce da un equivoco. Il pignoramento economico in realtà non doveva essere inflitto a me, che sono una persona fisica, ma alla società “Montagne e Turismo snc”, che ha personalità giuridica”. Quindi gli emolumenti ricevuti a fine del suo mandato? “Dovevo riceverli regolarmente, senza problemi, perché per legge i debiti e i risarcimenti li deve pagare la società, e non la singola persona”.
Inoltre, Pinard fa sapere “che la mia società Montagne e Turismo snc ha già trovato l’accordo con l’ex dipendente, e lo sta risarcendo con rate regolari, quindi non c’è più il problema”.

PINARD: “E’ UN ATTACCO POLITICO PERCHE’ SONO USCITO DALLA MAGGIORANZA”. OLLIVIER: “CI VUOLE CHIAREZZA, VADO IN PROCURA”

Qui però scoppia il caso politico, perché la notizia è diventata di dominio pubblico, finendo in una delibera di giunta in cui si fa espressamente il nome di Pinard. Nella delibera , la giunta Ollivier prende atto delle citazioni del tribunale, e viene annunciato l’incarico ad un avvocato per fare ricorso contro il pagamento del debito. La notizia inizia a essere diffusa, ed anche per questo è infuriato: “Tutto questo poteva essere chiarito già dall’attuale sindaco Ollivier a dicembre, quando è stato convocato dal giudice, ma non è andato in udienza. Ora esce fuori il caso, e non mi sembra casuale: mi viene da pensare che dietro a tutto questo ci sia un accanimento nei miei confronti, forse una vendetta politica perché ho lasciato la maggioranza creando un gruppo a parte. Sono pronto a fare denuncia in procura per difendermi da questi attacchi, che mirano a ledere la mia immagine di amministratore. Non era a me che dovevano essere pignorati i soldi, ma alla società che aveva assunto il pizzaiolo, infatti l’abbiamo risolta”.
Ollivier replica: “Non è un attacco politico, non accetto queste insinuazioni da Pinard e ci vuole chiarezza. A dicembre non sono andato in udienza perché la lettera del giudice con la concoazione era sparita dal Comune, non l’abbiamo mai vista, se non prima di gennaio. Il Comune è stato chiamato a risarcire la persona con il sistema del pignoramento a terzi, e non possiamo far finta di nulla, faremo ricorso contro quel provvedimento. Sono pronto ad andare fino in fondo”.

Tav, la Valsusa davanti al Tribunale dei Popoli: “Si stanno violando i diritti di una comunità”

“Quando le grandi opere attuano delle trasformazioni profonde nell’ambiente è lecito o no, in un sistema democratico, scavalcare totalmente le popolazioni?”. Questo è il tema centrale trattato a Torino, durante la riunione del Tribunale Permanente dei Popoli (è un comitato internazionale di giuristi e docenti universitari che fornisce “opinioni” su casi di violazioni dei diritti umani e civili), interpellato per la realizzazioni delle grandi opere sul territorio, partendo dal caso Tav in Val di Susa. “L’accusa – spiega Livio Pepino, uno tra i promotori – è di violazione dei diritti fondamentali di un’intera comunità”. Dopo aver sentito le varie parti in causa, il tribunale – che non ha valore istituzionale ma solo d’opinione –  pronuncerà la propria sentenza intorno a settembre  di Stefano Bertolino e Francesco Moroni Spidalieri
 
14 marzo 2015

A processo da oggi ci finisce il “Sì Tav”

http://ilmanifesto.info/a-processo-da-oggi-ci-finisce-il-si-tav/

manifesto

—  Mauro Ravarino, TORINO, 13.3.2015

Tribunale dei popoli. Si apre oggi a Torino la sessione del Tpp (Ex Russel): sono stati garantiti i diritti delle popolazioni locali? Il giudizio avrà un impatto politico

Il Tav non è solo un treno. E la lotta, che vi si oppone, non è solo con­tro un bolide a rotaie. C’è una que­stione demo­cra­tica. Da quando si è ini­ziato a par­lare della Torino-Lione, quasi ven­ti­cin­que anni fa, a oggi, sono stati dav­vero rispet­tati i diritti fon­da­men­tali della popo­la­zione all’ambiente, alla salute, all’informazione cor­retta e tra­spa­rente e a par­te­ci­pare alle deci­sioni che riguar­dano la pro­pria vita?

Lo dirà il Tri­bu­nale Per­ma­nente dei Popoli (Tpp), organo di opi­nione, erede di quel tri­bu­nale Rus­sel che aveva inda­gato sui cri­mini di guerra in Viet­nam. Lo scorso set­tem­bre ha, infatti, accolto l’esposto del Con­tros­ser­va­to­rio Val­susa, pre­sie­duto dall’ex magi­strato Livio Pepino e a cui par­te­ci­pano asso­cia­zioni, tec­nici e cit­ta­dini. E que­sta mat­tina il Tpp aprirà il pro­cesso a Torino, nella nuova aula magna dell’Università alla Caval­le­rizza Reale. Alla sbarra non i soliti atti­vi­sti ma il Tav stesso.

L’accusa è di vio­la­zione dei diritti fon­da­men­tali di un’intera comu­nità. A doversi difen­dere saranno governo, Regione Pie­monte, le società costrut­trici dell’opera.

Il pro­cesso ini­zierà con un’istruttoria che darà il via a una ses­sione dedi­cata a «diritti fon­da­men­tali, par­te­ci­pa­zione delle comu­nità locale e grandi opere», par­tendo pro­prio dal caso della valle alpina, che — come spiega Pepino — è la punta dell’iceberg di «una situa­zione gene­rale neo­co­lo­niale in cui le scelte di intere comu­nità sono sot­tratte, anche nel cuore dell’Europa, alle popo­la­zioni inte­res­sate da grandi poteri eco­no­mici e finan­ziari». La deci­sione di rivol­gersi al Tpp è nata dopo aver ten­tato tutte le altre strade isti­tu­zio­nali, invano. Lo schema visto in Val di Susa non è solo ita­liano: «Assi­stiamo — sot­to­li­nea Ales­san­dra Algo­stino, docente di diritto costi­tu­zio­nale e vice­pre­si­dente del Con­tros­ser­va­to­rio — a una glo­ba­liz­za­zione delle grandi opere, dal Regno Unito alla Fran­cia (l’aeroporto a Notre-Dame-de-Landes) fino alla Roma­nia. Si ripe­tono approcci simili, dal man­cato ascolto dei ter­ri­tori, se non attra­verso con­sul­ta­zioni fit­ti­zie, alla repres­sione penale e mili­ta­riz­za­zione dei luo­ghi, pas­sando per la nega­zione di diritti fon­da­men­tali come la mani­fe­sta­zione del pen­siero e la libera circolazione».

All’udienza inau­gu­rale sarà pre­sente tutta la giu­ria del Tpp, for­mata da mem­bri di diversi paesi e appar­te­nenza ideo­lo­gica, scelti per le loro qua­lità scien­ti­fi­che e morali: Per­fecto Andrés Ibáñez, magi­strato del Tri­bu­nal supremo spa­gnolo; Mireille Fanon Mendès-France, fran­cese, del gruppo di lavoro di esperti per le popo­la­zioni afro­di­scen­denti dell’Onu; Franco Ippo­lito (Ita­lia), pre­si­dente di sezione e segre­ta­rio gene­rale della Cas­sa­zione, non­ché del Tpp; Luís Moita, por­to­ghese, pro­fes­sore di socio­lo­gia delle rela­zioni inter­na­zio­nali a Lisbona; Antoni Pigrau Solé, spa­gnolo, docente di diritto inter­na­zio­nale pub­blico a Tar­ra­gona; Roberto Schiat­ta­rella, pro­fes­sore di poli­tica eco­no­mica a Camerino.

Il dibat­ti­mento è ovvia­mente pub­blico, le pros­sime udienze si ter­ranno nel mese di giu­gno e, sulla fal­sa­riga del pro­ce­di­mento penale, saranno ascol­tati testi­moni, acqui­siti docu­menti, ana­liz­zate le rispo­ste delle isti­tu­zioni. Nei trent’anni del Tpp ci sono stati casi in cui governi hanno pre­sen­ziato alle udienze, vedremo se suc­ce­derà anche in Ita­lia. La sen­tenza, attesa a ini­zio estate, non avrà valore giu­ri­dico, ma sicu­ra­mente poli­tico. Que­sta mat­tina Gianni Tognoni, segre­ta­rio del Tpp, intro­durrà i temi; a soste­nere l’accusa oltre a Pepino, ci saranno il sin­daco di Susa San­dro Plano e Fra­nçoise Ver­chère, del No aero­porto Notre-Dame-des-Landes.

Muos, la polizia denunciata per la scorta a militari e operai – Associazione Atria: «Suo compito è far rispettare sentenze»

SALVO CATALANO 14 MARZO 2015

CRONACA – Nonostante il Tar abbia dichiarato abusivi i lavori per la realizzazione dell’impianto Usa, gli interventi continuano. «Assistere a condotte illecite che disattendono quanto sancito da una sentenza senza intervenire, addirittura scortando gli operai, costituisce senz’altro rifiuto di atti d’ufficio», si legge nella denuncia

«Compito della polizia di Stato è far rispettare a chiunque le leggi e le sentenze italiane, e di rappresentare alla competente autorità giudiziaria ogni reato o atto penalmente rilevante; tuttavia, non risulta che tutto ciò sia stato fatto». L’associazione antimafie Rita Atria passa alle vie giudiziarie, denunciando alla locale Procura la polizia di Caltanissetta per quanto sta succedendo nelle ultime settimane a Niscemi, dove gli agenti continuano a scortare operai italiani e militari statunitensi dentro la base americana. Questo nonostante la recente sentenza del Tar di Palermo abbia dichiarato «l’illegittimità di tutti gli atti amministrativi che hanno portato alla costruzione del Muos», l’impianto satellitare di comunicazioni militari. Eppure i lavori vanno avanti.

L’accusa nei confronti della polizia è omissione d’atti d’ufficio, secondo quanto prevede l’articolo 328 del codice penale. «Risulta chiaro – si legge nella denuncia presentata dal legale Goffredo D’Antona – che l’assistere passivamente a condotte illecite che disattendono quanto sancito da una sentenza senza intervenire, addirittura scortando gli operai che si mettano al lavoro dentro la base, costituisce senz’altro rifiuto» dei propri doveri d’ufficio. Questo, sottolinea l’associazione Rita Atria, a prescindere da «una previa richiesta» o da «un ordine».

Che i lavori stiano continuando ne danno prova numerosi video. Ad esempio quello realizzato lo scorso 26 febbraio. «Un convoglio di militari ed operai – si spiega nella denuncia – è stato scortato dalla polizia comandata dal dirigente del commissariato di Niscemi all’interno della base, spostando i cittadini che stazionavano nei pressi del cancello d’ingresso. Subito dopo l’ingresso dei militari e degli operai sono state notate attività di puntamento delle parabole del Muos allo stato assolutamente illecite». Il tutto davanti e con l’accompagnamento della polizia.

Per segnalare questa situazione, veniva inviato un atto monitorio, cioè un avvertimento, al ministro degli Interni, alla Questura di Caltanissetta e al commissariato di Niscemi. «Ma non sortiva nessun effetto – precisa l’associazione – Anzi continuava la scorta della polizia italiana agli operai che continuavano a lavorare dentro la base illegittima».

«Apparirebbe inverosimile – si legge nella denuncia – che da un lato la polizia scorti operai in un sito dove non si può in alcun modo operare, e dall’altro lato segnali le stesse persone all’autorità giudiziaria. E’ ovvio, pertanto, che la condotta della polizia in queste occasioni non ha, quantomeno, quel contenuto di trasparenza assolutamente opportuno. Simile atteggiamento indebolisce lo Stato e le sue istituzione democratiche, in quanto non si può pretendere il rispetto delle leggi, delle norme del contratto sociale se una delle istituzioni preposte a ciò da segni di ambiguità».

«In Sicilia – commenta l’avvocato D’Antona – per difendere le Istituzioni sei costretto a denunziare quelle istituzioni che violano il dovere di fedeltà alla Repubblica Italiana. Se questa è la polizia di Caltanisetta, e sappiamo che comunque non lo è, non dovrebbe stupire l’alta densità mafiosa di quella provincia. Far passare il messaggio che rivolgersi alla Giustizia è inutile, legittima, illecitamente, il ricorso ad altri mezzi, il ricorso all’amico, il ricorso al potente, il ricorso alla violenza. E proprio per questo motivo, sia pur un certo disagio, abbiamo deciso di denunziare quella polizia. Quella polizia che a nostro avviso sta violando i principi cardine di uno stato di diritto, il rispetto delle leggi e delle sentenze, e il rispetto della sovranità nazionale».

Folletti a Susa si arrampicano sulla ciminiera.

Folletti No TAv a Susa fanno un blitz sulla ciminiera

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di Redazione.

L’amico Diego Fulcheri ha catturato con la sua macchina fotografica immagini inedite di un blitz di alcuni folletti della Val Susa nei confronti della ciminiera davanti alla Coop. Chissà cosa avranno voluto dire ?!?

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Coop ciminiera No Tav 3

 Foto di Diego Fulcheri

 

La Regione e l’affaire grattacielo, spunta l’ombra del manager delle tangenti

La Regione e l'affaire grattacielo, spunta l'ombra del manager delle tangenti

Il grattacielo della Regione 

L’uomo di Coopsette, coinvolto nella sponsorizzazione del Giro della Padania organizzato dalla società sportiva guidata dal senatore leghista Michelino Davico, è accusato di corruzione a Firenze. La magistratura Toscana chiede gli atti del procedimento torinese

di OTTAVIA GIUSTETTI 

14 marzo 2015

 
DA FIRENZE a Bra, a Torino. Dai politici del Pd umbro a quelli della Lega, ai dirigenti regionali piemontesi. Dall’alta velocità ai grattacieli. C’è sempre la stessa persona, un manager di Coopsette, che ricorre nelle storie “scomode” delle cooperative rosse emiliane. Il suo nome si ripete anche nelle email trovate nelle perquisizioni della Guardia di finanza di Torino. E getta una luce preoccupante sullo scandalo che ha coinvolto la Lega nei giorni scorsi dopo i dirigenti regionali e le aziende che lavorano in subappalto alla Torre. A questi scambi di messaggi è interessata anche la procura di Firenze, dove il misterioso faccendiere è invece piuttosto noto.

A Firenze il 13 maggio sarà infatti processato con accuse pesantissime — associazione per delinquere e corruzione — nell’ambito dell’inchiesta sull’alta velocità in Toscana, che a settembre 2013 ha portato all’arresto tra gli altri dell’ex presidente della Regione Umbria e presidente di Italferr, Maria Rita Lorenzetti. L’uomo di Coopsette si chiama Alfio Lombardi. Di lui Michelino Davico, il senatore della Lega che ha ricevuto una sospetta sponsorizzazione dalle cooperative per organizzare il giro ciclistico della Padania, ha detto: «Io e Alfio Lombardi siamo amici da tempo, siamo entrambi appassionati di bici, abbiamo pedalato insieme parecchie volte. Quando nel 2010 è nata l’associazione con l’idea di organizzare la corsa ho chiamato gli amici, soprattutto i più appassionati. Alfio, come altri, mi ha aiutato». Davico conferma quel che resta registratoinun’emaildel7novembre 2011, quando Paolo Rosa (l’uomo di Coopsette nel cda di Torre Piemonte), indagato per finanziamento illecito alla Lega Nord, scrive al collega che deve disporre il pagamento dei primi 25 mila euro per sponsorizzare la gara, e dice: «La data è tassativa» perché si è accordato con tale Alfio e non vuole metterlo in imbarazzo. Alfio Lombardi è tanto appassionato di ciclismo da promettere al sedicente amico di sponsorizzare la gara che mette in palio la «maglia vercedura. de» con i soldi della cooperativa rossa per la quale lavora.
Ma non è tutto. Alfio Lombardi si era già interessato alle sorti del grattacielo un anno prima, quando la giunta piemontese era di centrosinistra. Nel computer del direttore del cantiere della Torre la Guardia di Finanza ha trovato, infatti, due file sorprendenti che dimostrano che la gara per l’appalto da 210 milioni di euro fu truccata. Il primo è un memorandum del 27 luglio 2009 nel quale risulta che già allora, ben prima della pubblicazione del bando, Alfio Lombardi incontrava Maria Grazia Ferreri (dirigente del Patrimonio della Regione) per la definizione del bando, e che Coopsette grazie a quell’incontro era a conoscenza di una serie di informazioni sulla pro- Il secondo, del 13 ottobre 2009, riferisce di un incontro tra Alfio Lombardi e Attilio Bastianini, l’ex parlamentare e alto dirigente del Pli nella Prima Repubblica, nello studio di ingegneria che assieme a Massimiliano Fuksas ha progettato la Torre Piemonte.
Il legame con lo scandalo della Tav in Toscana, dove il tunnel è definito dai pm «un concentrato di illegalità», dove il costo dell’appalto vinto dall’Ati capeggiata da Coopsette è lievitato per effetto delle riserve da 530 milioni a 800 milioni e dove il principale referente dell’affare risulta proprio Lombardi, apre uno squarcio inquietante anche sui possibili sviluppi dell’inchiesta torinese.

L’idea di Danilo Bar: Bussoleno, S.Giorio, Chianocco, Bruzolo e Mattie in un solo grande comune di 11 mila abitanti

 http://brunoandolfatto.blogspot.it/2015/03/lidea-di-danilo-bar-bussoleno-sgiorio.html#comment-form

sabato 14 marzo 2015

Comunità Montane che prima sono tre, poi vengono “fuse” e diventano una sola. 

Poi anche questa viene abolita, commissariata e si dice ai Comuni: adesso vedetevela voi, mettetevi d’accordo, fate le Unioni Montane dei Comuni.

E cosa succede nelle valli di Susa e Sangone? Che le Unioni diventano 4: due in alta valle, una in bassa (con la fuga di Rubiana in Val di Viù) e un’altra in Val Sangone. 

Intanto la Comunità Montana resta in piedi, ancora per un po’ di tempo, commissariata. 

Nel frattempo nasce la Città Metropolitana al posto della vecchia Provincia; dentro ci sono tutti i 315 comuni. Per farla funzionare si pensa di creare aree omogenee. 

Risultato: sta per nascere l’area omogenea che mette insieme Valle di Susa (tutta intera) e Val Sangone, in pratica la vecchia Comunità Montana Unica esce dalla porta e (forse) rientra dalla finestra. 

Da non capirci più niente. 

E i Comuni che fanno

Ne parliamo con Danilo Bar, sindaco di San Giorio, uno che, potremmo dire, fa parte della “vecchia guardia” degli amministratori comunali valsusini. Il suo pensiero è chiaro: “Manca un progetto complessivo su come lo Stato debba riorganizzare i servizi decentrati sul territorio”. E Bar non si limita a dare le colpe (che pure ci sono) allo Stato centrale e alla Regione. Troppo comodo sbrigarsela così. “Tocca anche a noi, amministratori comunali, affrontare la questione”. 

Come? “La strada c’è e si chiama fusione dei Comuni. E’ da almeno 15 anni che sostengo questa tesi e chissà che prima o poi non ci si arrivi”. Una linea piuttosto controcorrente nel Paese (l’Italia) dei campanili. 

Eppure Danilo Bar, insieme ai colleghi di un comprensorio che, oltre a San Giorio, racchiude Bussoleno, Chianocco, Bruzolo, Mattie ci sta pensando seriamente. “Qui ci vuole un approccio laico ai problemi, che tenga conto della realtà. E la realtà è anche quella dei numeri. In questi giorni sono andato a spulciare i vecchi registri comunali e ho scoperto che, nel 1899, a San Giorio, sono nati 116 bambini. Nel 2014 ne sono nati 11 e nel circondario che comprende noi, Bussoleno, Chianocco, Bruzolo e Mattie i nati sono 57. Cifre che non possiamo far finta di non vedere”.

E quindi? “Dobbiamo renderci conto che stiamo diventando una società di… vecchi, che le persone che vivono nei nostri paesi hanno un radicamento e un attaccamento minore col paese in cui vivono, che c’è una tendenza mondiale ad andare a vivere vicino ai grossi centri urbani. Occorre far di tutto per evitare che i nostri territori rimangano sguarniti e bisogna cercare di migliorare la qualità della vita, ad esempio con iniziative che limitino il pendolarismo e consentano, attraverso le nuove tecnologie, il lavoro concettuale –impiegatizio a domicilio. E poi valorizzando le potenzialità della montagna, penso all’utilizzo che noi stiamo facendo del patrimonio boschivo e del materiale che deriva dalla pulizia del sottobosco per far funzionare la centrale a biomasse”. 

Sono solo alcuni esempi e ce ne potrebbero essere tanti altri, dalla qualità del paesaggio, alla valorizzazione turistica basata sull’ambiente, le tradizioni, la storia, l’enogastronomia locale. In una parola: bisogna tornare a progettare. 

Ma anche i progetti, da soli, non bastano. “Servono entità locali forti mentre, negli ultimi anni, nel rapporto con la Regione con gli altri enti, noi Comuni siamo diventati più deboli”.

Ed ecco il sogno: i cinque Comuni di Bussoleno e dintorni, riuniti in un solo grande Comune, farebbero qualcosa come 11.090 abitanti. In una parola, il secondo Comune valsusino dopo Avigliana. Ma qui la mania di grandezza c’entra poco o nulla. “Se vogliamo riprendere a respirare e a progettare dobbiamo risparmiare e trovare il modo per intercettare nuove risorse. Fonderci in un solo Comune servirebbe a ridurre i centri di spesa e a organizzare meglio e in modo più efficiente i servizi”. 

Di più: “Con queste cifre demografiche prima o poi la fusione tra Comuni diverrà ineluttabile. E prima che ce la impongano dall’alto, dobbiamo farla noi dal basso, dando pari dignità a ogni paese, evitando che qualcuno risulti emarginato, riconoscendo rappresentatività a ciascun territorio. Nel Sud ma anche nel Veneto e in Lombardia lo stanno facendo, non vedo perché non dovremmo riuscirci noi”. Detta così sembra facile ma le difficoltà non mancano. E forse ci vorrebbe qualche incentivo in più: “Adesso per chi si “fonde” è prevista l’esenzione per tre anni dal patto di stabilità oltre a contributi statali e regionali. Ma non basta ancora. Serve altro, anche se la strada è quella”.

Sullo sfondo c’è la confusione e lo smarrimento che regnano negli organismi sovraccomunali. 

“L’Unione Montana dei Comuni non ha certezze di risorse e ancora deve capire come muoversi. Credo che dovrebbe organizzarsi in sub ambiti che potrebbero coincidere, ad esempio con gli attuali distretti scolastici. Sarebbe un passo importante”. Con la prospettiva di fondersi , a loro volta, in Comuni capaci di fare massa critica e di pesare di più? Chissà. “Lo so, su questo punto, in Valle di Susa sono in … minoranza – ammette Bar – ma non per questo rinuncio alla battaglia”. 

Anche perchè, nelle vicende politiche valsusine, sembrano prevalere vecchie logiche. Basti vedere quel che è successo nella partita per la presidenza del Conisa, il Consorzio che gestisce i servizi sociali. “Fino ad oggi – commenta Bar – questo organismo è stato gestito come un ente “strumentale” e si è tenuto a debita distanza dalla… politica militante. Speriamo che continui su quella strada.

Certo la sensazione è che, su alcune vicende (anche locali) molti di quelli che si sono affacciati sulla scena politica con l’obiettivo di denunciare e superare (giustamente) i vecchi vizi di spartizione e occupazione del potere, alla fine siano i primi a replicare proprio quelle cattive abitudini”. 

E sulla madre di tutte le battaglie, quella contro il Tav? “La condivido e credo ci siano ancora spazi per fermarlo. Ma credo anche che la battaglia contro il Tav non debba paralizzare la vita della valle e che ci siano molte altre questioni su cui è urgente intervenire. Penso alla questione del lavoro, della difesa del territorio, alla sanità e all’assistenza, all’istruzione. E penso alle opportunità che rischiamo di non cogliere e su cui siamo in pesante ritardo”. 

Ad esempio? “Una per tutte. A Milano, il 1° maggio inizia l’Expo, un evento mondiale, sull’alimentazione. In valle passeranno centinaia di migliaia di persone, qualcuno dice addirittura qualche milione. Perché nessuno si è posto il problema di fare qualcosa per intercettare visitatori, per farli fermare in valle di Susa? Bisognava farlo almeno un anno fa. Ma nessuno ci ha pensato. Un’occasione persa”

BRUNO ANDOLFATTO

L’ultima della Rai: chiede il canone ai senzatetto. Avvocati: ‘Tragicomica’

Sono senza tetto, mica categorie protette. Per fortuna che la commissione senato i 5Stelle abbiano contribuito a dare casa ai rom, i senza tetto italiani tanto la casa non la vogliono, stanno bene all’addiaccio

 venerdì, 13, marzo, 2015

La Rai chiede il canone ad un cittadino bolognese. Fin qui tutto normale. Peccato che l’indirizzo indicato nel sollecito, via Mariano Tuccella, non dia alcun risultato su Google maps: è infatti l‘indirizzo assolutamente fittizio al quale prendono residenza gli homeless bolognesi.

A segnalare il fatto, alla voce “#cosetragicomiche”, è l’associazione Avvocato di strada, che si batte per i diritti dei senza fissa dimora. Sul loro sito c’è la foto del surreale sollecito di “mamma Rai”. “Spesso nella nostra attività ci imbattiamo in cose tragicomiche. Questo è il sollecito per il pagamento del canone Rai spedito a un nostro assistito residente in via Mariano Tuccella, che però sicuramente non possiede un apparecchio televisivo”, è la chiosa di Avvocato di strada.

 Ma in queste ore l’associazione informa anche di un fatto più serio. Una circolare del ministero dell’Interno stabilisce che le persone che vivono in case occupate possono comunque prendere la residenza nel Comune, se non nell’edificio occupato. Si tratta di una parziale correzione di rotta di quanto stabilisce il piano casa approvato un anno fa. “Il piano casa del Governo approvato nel marzo 2014 stabilisce che chiunque occupa abusivamente un immobile senza titolo non può chiedervi la residenza. Come avevamo più volte anticipato nei mesi scorsi, la mossa del Governo non ha consentito di liberare più facilmente gli stabili occupati, ma in compenso ha avuto conseguenze molto negative su decine di migliaia di famiglie che occupano immobili vuoti solo perchè hanno perso il lavoro e altrimenti finirebbero in strada”, scrive in una nota il presidente dell’associazione Avvocato di strada Antonio Mumolo, consigliere regionale Pd in Emilia-Romagna. (

 Tante famiglie in queste condizioni, afferma Mumolo, “in questi mesi si sono viste cancellare la residenza proprio per questa norma, e con la residenza hanno perso il diritto di curarsi, di votare, di iscrivere i figli a scuola o ad una associazione sportiva”. Ora che la circolare ministeriale ha fatto chiarezza, si legge ancora nella nota, “ci auguriamo che tutti i comuni italiani e le rispettive anagrafi recepiscano il più presto possibile queste indicazioni e che le famiglie che ora sono senza residenza possano riacquistarla al più presto”.

 bolognatoday.it

Roma: 55enne senzatetto, stremato dagli stenti e dal freddo muore su una panchina di Villa Borghese

Era solo un italiano, perché dargli casa e vitto, non c’è business della solidarietà, non c’è lucro per le coop

13 marzo 2015

Stremato dagli stenti e dal freddo si è accasciato ed è morto. Angelo se n’è andato così, da solo, stanotte a Roma su una panchina di Villa Borghese.

E’ un uomo tra i 55 e i 60 anni senza fissa dimora, non ancora identificato (il nome è di fantasia), probabilmente romano, una figura simbolo di quella cultura dello scarto della società italiana che “toglie il disturbo” proprio il giorno del secondo anniversario dell’elezione di Papa Francesco.

Davanti alla casa del cinema, questa mattina alle 8.30, c’erano cinque poliziotti un clochard che dorme tutte le notti pochi metri più avanti e un giornalista che passa per caso. Fa freddo. Il corpo è riverso sulla panchina, coperto da un lenzuolo bianco. Accanto un sacco della spazzatura nero con l’intero patrimonio di Angelo. Gli fanno da scudo due macchine della polizia parcheggiate a V. Nessun documento, pochi miseri effetti personali e una coperta da cui spunta un piede scalzo. E’ l’immagine della povertà che abita la Capitale d’Italia. Uno degli ultimi tra gli ultimi, e sono tanti, che se ne va in punta di piedi. Senza disturbare nessuno.

Nell’indifferenza di un quartiere borghese. C’è poca gente a quell’ora a Villa Borghese, i sette stanno fermi lì in silenzio, in una sorta di veglia funebre, a domandarsi come può accadere che una persona possa morire di stenti e di freddo a Roma nel 2015. In una giornata quasi primaverile. Le due volanti della polizia sono appena arrivate. Hanno immediatamente coperto il corpo e in attesa della scientifica cominciano a chiudere l’area. Sono tutte persone giovani con la divisa da poliziotto, delle quali una donna, che fanno un mestiere difficile e nonostante tutto riescono a conservare tratti di umana pietà e di rispetto che confortano. Non tutto fa schifo in questa città.

Francesco, il clochard che tutte le notti dorme poco più avanti della panchina dove è disteso Angelo, dice che sarà morto di polmonite: “Ieri sera stava male, non aveva mangiato. E con una sola coperta si soffre il freddo sotto il cielo di Roma. Io quest’anno la polmonite l’ho già avuta tre volte. Con queste botte di caldo e di freddo è facile prendersela”.

Francesco ha 42 anni, è ragioniere senza lavoro e dorme tutte le notti sotto le stelle. Non sembra un senza tetto. E’ pulito, la barba leggermente incolta e i capelli arruffati. Indossa un giubbotto di pelle e pantaloni scuri, ha un aspetto dignitoso. Un giovane uomo che potresti trovare in una qualunque periferia della capitale o in un bar di quartiere a chiacchierare con gli amici. Invece è solo al mondo, come Angelo probabilmente. Ha perso la mamma poco tempo fa. Vivevano in due con la pensione di lei. Senza un reddito, si è ritrovato da un giorno all’altro pure senza casa. Così è finito in strada. A condividere con tante persone come Angelo la vita del senza fissa dimora e forse anche il destino. Anche lui a Villa Borghese, nello stesso quartiere Pinciano dove abitava da ragazzo. Tutte le notti che Dio gli dà a due passi dalla panchina dove è disteso Angelo.(…)

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