Anche per i sauditi è l’ora dell’austerity

The Wall Street Journal Europe

di Summer Said

 Il rifiuto dell’Arabia Saudita di porre un freno alla produzione di petrolio alla fine dello scorso anno ha favorito l’innesco del crollo dei prezzi, che ha danneggiato i Paesi produttori e le società energetiche quotate. Adesso comincia a soffrire anche la compagnia petrolifera del Regno saudita.

 Di conseguenza, secondo indiscrezioni, il gruppo statale Aramco sta studiando dei sistemi per tagliare i costi un po’ ovunque, dalle pressioni sui subappaltatori per avere accordi più vantaggiosi sui servizi di estrazione alla negoziazione di sconti sulle bollette telefoniche e dell’elettricità.Inoltre la compagnia, che è il maggiore produttore di petrolio al mondo, secondo alcune fonti, sta considerando di ridurre del 25% le spese future per la produzione e la prospezione, proprio come stanno facendo le compagnie petrolifere private. «Come chiunque altro, stiamo sfruttando la flessione come un’opportunità per affinare la nostra disciplina finanziaria», ha dichiarato il mese scorso il ceo di Aramco, Khalid Al Falih, durante il World Economic Forum di Davos. «Stiamo operando tagli su diversi elementi, ma siamo più dediti che mai alla nostra strategia di lungo periodo».

 Queste misure dimostrano il rischio che l’Opec si è assunta quando lo scorso novembre ha deciso di rinunciare alla tradizionale operazione di taglio della produzione volta a sostenere i prezzi. La decisione dei sauditi ha colpito le grandi compagnie petrolifere quotate in borsa, come Royal Dutch Shell e Chevron, ma ora sta cominciando a colpire anche le compagnie petrolifere statali.

 Non solo stanno diminuendo gli introiti destinati alle casse statali, ma le società statali dei Paesi dell’Opec, come le loro controparti private, stanno operando dei tagli che potrebbero rendere difficile approfittare del ritorno degli aumenti delle quotazioni del greggio. Si tratta di un territorio inesplorato per Aramco, che tra il 2011 e il 2014, quando i prezzi erano superiori ai 100 dollari al barile, aveva aumentato le spese di estrazione petrolifera e aveva lanciato i primi investimenti nella produzione offshore. Ma a partire dal giugno scorso, il prezzo del Brent si è praticamente dimezzato, attestandosi intorno ai 60 dollari al barile.

 Di certo, i tagli di spesa sono esigui per Aramco e per le altre compagnie del Golfo, i cui costi di produzione sono molto inferiori rispetto alla maggior parte dei concorrenti internazionali, e i vertici del gruppo sostengono che non minacceranno i livelli di produzione dei grandi giacimenti di Arabia Saudita, Kuwait o Emirati Arabi Uniti. I tagli, inoltre, non sembrano essere profondi quanto gli interventi attuati in seguito al crollo del petrolio avvenuto a metà degli anni 80, quando Aramco e altre società licenziarono migliaia di dipendenti, tagliando la produzione ai minimi storici.

 D’altra parte, le compagnie statali come Aramco e le altre del Golfo detengono il monopolio della produzione delle proprie enormi riserve di greggio e non devono rendere pubblici i propri conti, quindi è difficile sapere precisamente quanto progettino di spendere e di tagliare o se stiano avendo delle perdite. Tuttavia, l’oro nero a questi livelli di quotazione ha dato modo di avere una nuova conoscenza dei costi affrontati dalle compagnie petrolifere statali del Golfo Persico.

 Secondo indiscrezioni, lo scorso dicembre, il governo saudita ha suggerito ad Aramco di operare dei tagli. E Aramco, che generalmente basa i suoi investimento sulla domanda e l’offerta di petrolio, sta cercando di portare avanti alcuni progetti a un costo inferiore, mentre ne ha rimandati altri finché il panorama del mercato petrolifero non sarà più chiaro. Visto che i prezzi del petrolio restano bassi, i piani alti di Aramco stanno considerando di ridurre le spese di produzione e di prospezione da 40 a 30 miliardi di dollari l’anno, secondo fonti del settore.

 Aramco, inoltre, si è unita ad altre compagnie petrolifere, grandi e piccole, che stanno spingendo aggressivamente per ottenere sconti dai fornitori, compresi gli operatori delle telecomunicazioni e i fornitori di energia elettrica. La compagnia saudita ha infatti convocato nei propri uffici di Khobar le società di servizi petroliferi, comprese Baker Hughes, Halliburton e Schlumberger, per chiedere loro uno sconto del 20% su alcuni servizi, come le procedure di analisi dei pozzi. Secondo una fonte, Baker Hughes ha offerto un piccolo sconto, ma Aramco ha insistito per il 20%.

 Le due parti stanno ancora discutendo per trovare un accordo, ma non è stato cancellato alcun contratto. Sul tema, Halliburton, Baker Hughes e Schlumberger non si sono rese disponibili per un commento. Il mese scorso, in occasione di una conferenza per la comunicazione dei dati trimestrali, il ceo di Baker Hughes, Martin Craighead ha affermato che la società è in trattative con «le più grandi compagnie petrolifere che si avvalgono di un intrico piuttosto sofisticato di appaltatori» per una riduzione dei prezzi. Durante una conferenza per la trimestrale di Schlumberger, il ceo Paal Kibsgaard ha reso nota l’ipotesi molto probabile di una riduzione della spesa in Medio Oriente.

 Sempre in occasione di una telefonata, il presidente di Halliburton, Dave Lesar, ha previsto l’arrivo di «venti contrari» in Medio Oriente, sebbene ritenga che la società sia più resistente degli altri soggetti, in particolare per gli ultimi appalti con l’Arabia Saudita. Una fonte ha riportato che Aramco ha rimandato di un anno il progetto di costruire un impianto di combustibili ecologici da 2 miliardi di dollari, ha sospeso le perforazioni in mare aperto, la prospezione di gas e le attività di trivellazione nel mar Rosso poiché la redditività di queste operazioni è ora in discussione.

 I geologi hanno stimato che l’area saudita del mar Rosso potrebbe detenere l’equivalente di più di un terzo delle riserve di petrolio e gas note del Regno, ma questi bacini sono anche molto costosi da sfruttare rispetto ai progetti onshore. Secondo la società di consulenza energetica norvegese Rystad Energy, a livello mondiale i progetti in acque profonde generalmente necessitano che il petrolio sia intorno ai 53 dollari al barile per raggiungere il pareggio.

 Aramco non è l’unica grande compagnia petrolifera statale che sta cercando di ridurre i costi. Suhail bin Mohanned al-Mazroui, ministro del petrolio degli Emirati Arabi Uniti, il mese scorso ha affermato che il suo Paese, insieme ad altri produttori, avrebbe ridotto i costi degli appaltatori per adattarsi al calo delle quotazioni del petrolio. «Le società di servizi e gli appaltatori dovranno comprendere che si tratta di un ciclo», ha affermato in occasione di una convention sull’energia a Dubai.

 Qatar Petroleum ha invece annunciato all’inizio dell’anno di aver accantonato un progetto in partnership con Shell legato al settore petrolchimico. Secondo indiscrezioni, in Oman, un Paese del Golfo con riserve e produzione di petrolio contenute e non membro dell’Opec, la compagnia petrolifera statale Petroleum Development of Oman a dicembre ha rimandato la concessione settennale di un appalto da 1 miliardo di dollari per la fornitura e la gestione della produzione petrolifera. Il governo ha informato gli offerenti che, prima di impegnarsi in grandi opere, si dovrà attendere un anno per vedere come si evolvono le quotazioni del petrolio, ha riferito una fonte dei vertici dell’Oman.

 Ma anche se Aramco comincia a soffrire, l’Opec non sembra incline a cambiare strategia, almeno non prima del prossimo incontro di giugno. Peraltro, questa settimana Pira Energy Group, una società di ricerca di New York, ha comunicato che i sauditi stanno pompando più greggio del solito, sui 10 milioni di barili al giorno, avvicinandosi così alla capacità stimata di Aramco. (riproduzione riservata)

 traduzione di Giorgia Crespi

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Anche per i sauditi è l’ora dell’austerityultima modifica: 2015-02-24T14:43:26+01:00da davi-luciano
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