Alta velocità Torino-Lione, i costi aumentano: due miliardi in più di spese

Alta velocità Torino-Lione, i costi aumentano: due miliardi in più di spese

In soli quattro mesi, dal settembre 2014, le previsioni per la tratta italiana sono aumentate vertiginosamente. “Inaccettabile per la crisi in cui versa il Paese, serve chiarezza”. Il capogruppo di Sel alla Camera chiede una commissione di inchiesta

di  | 3 febbraio 2015

L’esplosione dei costi è certificata ora anche dalla Camera dei deputati.  «I finanziamenti per la linea» alta velocità Torino-Lione fanno registrare «una variazione in aumento» di 2 miliardi 358 milioni di euro. Di conseguenza, il costo complessivo della quota italiana dell’opera sale a 7 miliardi 789 milioni,  «con un fabbisogno ancora da finanziare di 4 miliardi 514 milioni di euro».

Ecco l‘ultima puntata della folle corsa all’aumento di spesa della tratta dell’alta velocità  più discussa d’Italia. Finito nei mesi scorsi al centro di roventi polemiche, il rialzo dei prezzi è adesso certificato in una scheda predisposta dal Centro studi di Montecitorioin vista del parere che, entro il 12 febbraio, la commissione Trasporti dovrà esprimere sullo schema di decreto ministeriale che recepisce il contratto di programma 2012-2016 tra Rete ferroviaria Italiana (Rfi) e il ministero delle Infrastrutture.

COSTI BALLERINI  Come si è arrivati a queste cifre? In pratica, la stima del costo complessivo (quota italiana più quella francese) dell’opera al 2012 ammontava a 9,9 miliardi di euro, dei quali il 58% (cioè 5 miliardi 676 miliardi) a carico dell’Italia e il restante 42% della Francia. Su queste cifre, però, vista anche la durata dei lavori di realizzazione, è stato previsto un meccanismo di adeguamento della copertura dei costi nel tempo. Un meccanismo, come chiarì Michele Elia, amministratore delegato di Ferrovie dello Stato (controllore di Rfi) lo scorso novembre in Senato, modulato sulla base delle regole francesi e recepito nel contratto di programma prendendo come riferimento un indice di rivalutazione del 3,5%. Sempre a novembre, il presidente di Fs, Marcello Messori, spiegò che il costo definitivo della Torino-Lione «non è ancora determinabile con precisione». Quel che è certo è che, qualora dovesse profilarsi lo scenario più avverso sul fronte delle previsioni di spesa, i costi dell’opera potrebbero salire dai 9,9 miliardi stimati nel 2012 ad un massimo di quasi 13 miliardi. La quota a carico dell’Italia (il 58%), quindi, potrebbe lievitare dai 5 miliardi 676 milioni, indicati nell’accordo di programma del 5 dicembre 2014 tra ministero e Rfi, proprio ai  7 miliardi 789 milioni della versione finale del contratto recepito dal decreto ministeriale adesso al vaglio della commissione Trasporti della Camera.

PREVISIONI AVVERSE  Dunque, pur non essendo stimabile al momento a quanto ammonterà alla fine il costo reale dell’opera, il contratto di programma ha fatto propria la previsione più negativa. Un particolare che non è sfuggito all’opposizione. Il capogruppo dei deputati di Sinistra ecologia e libertà (Sel), Arturo Scotto, chiede «l’immediata calendarizzazione della proposta di Sel per l’istituzione di una commissione parlamentare di inchiesta sul sistema dell’alta velocità». Unico modo, spiega a il fattoquotidiano.it «per fare finalmente chiarezza sui costi complessivi che lo Stato dovrà sostenere per la linea Torino-Lione». Scotto chiede inoltre l’audizione dell’ad di Fs, Michele Elia: «Vogliamo capire perché i costi recepiti nel contratto di programma corrispondano esattamente a quelli dello scenario più avverso delineato dallo stesso Elia solo qualche mese fa». Vista anche «la drammatica crisi economica in cui versa il Paese», aggiunge il capogruppo, «la realizzazione di un progetto faraonico così impegnativo per le finanze dello Stato è del tuttoincompatibile con l’ordine di priorità di destinazione delle risorse». Che dovrebbero piuttosto essere investite, prosegue, in «politiche occupazionali».

DOMANDE SENZA RISPOSTE Nel romanzo delle cifre, Scotto fa notare inoltre che c’è anche un altro capitolo da tenere presente. «Ricordo al riguardo che l’allegato infrastrutture alla nota di aggiornamento al Def (Documento di economia e finanza)presentato solo a settembre 2014 indicava il costo complessivo della tratta italiana della linea Torino Lione in 4 miliardi 455 milioni di euro. Come è possibile che in quattro mesi le cifre si siano innalzate in questo modo?». Bella domanda. Ora manca solo la risposta.

Twitter: @Antonio_Pitoni

Roma: Licenziato e sotto stratto, ho provato a fermare Renzi. Due minuti e arrivo, mi ha detto, lo sto ancora aspettando

Solidarietà per lui? Non pervenuta. La coop sei tu, chi ti  sfrutta di più

 6 febbraio 2015

Era difficile rimanere indifferenti. Luigi era di fronte a Montecitorio, con un cartello che gli avvolgeva il corpo per gridare al mondo la sua disperazione: ‘dono rene in cambio di un lavoro’. L’ho fermato, ho scoperto che è lì da 110 giorni, quasi quattro mesi. Autista, licenziato da una cooperativa tre anni fa, truffato, lasciato senza contributi, non ha mai più trovato lavoro. Altre due società l’hanno ingannato facendolo lavorare senza pagarlo. E’ rimasto senza un centesimo, con una moglie malata di tumore ed una figlia di 17 anni che vorrebbe andare a scuola ma non sempre ha i soldi per l’autobus. Ad aprile arriverà ancora una volta l’ufficiale giudiziario per mandarlo via dalla sua casa, ha troppi mesi di affitto arretrati. ‘E’ l’ultima proroga’, dopo non so dove potrò andare. Non l’avevo mai incontrato, non mi era ancora capitato. L’avevano incontrato in tanti, invece. Giornalisti, sindacalisti, alcuni hanno pubblicato le interviste su You Tube. L’hanno incontrato anche tanti parlamentari. ‘Nessuno si è fermato’, denunciava tre mesi fa. ‘Nessuno si è fermato’ ha denunciato anche a me due giorni fa.

Anche Luigi fa parte del grande popolo di italiani in difficoltà che rischia di finire in strada dopo la mancata proroga del blocco degli sfratti da parte del governo. Due settimane fa, mi ha raccontato, ‘ero vicino a palazzo Chigi, ho tentato di fermare Renzi, le guardie della sicurezza mi hanno fatto quasi cadere, lui mi ha detto ‘due minuti e torno’. Si è fermato a fare delle foto con alcune persone, è entrato nel portone e non l’ho più visto. Sto ancora aspettando’.

 Fonte lastampa

http://www.crisitaly.org/notizie/roma-licenziato-e-sotto-stratto-ho-provato-a-fermare-renzi-due-minuti-e-arrivo-mi-ha-detto-lo-sto-ancora-aspettando/

Expo, in 20 mila al lavoro (ma 18500 lo faranno gratis)

 Se veramente i sindacati avessero lottato per i diritti dei lavoratori come sostengono di fare, non avremmo avuto la Biagi, il referendum per l’estensione dell’art 18 ai dipendenti di aziende sottoi 15 dipendenti sarebbe stato votato in massa ed avremmo il reddito di cittadinanza. Fare qualche laio ogni tanto non pulirà la loro coscienza. Ora il modello festa dell’Unità avanza per tutti.

 Giorgio Cremaschi – Per quale ragione in una Expo appaltata alle grandi multinazionali del cibo, nella quale affari edilizi, speculazione e corruzione hanno prosperato e che viene ancora presentata come una possibile volano per l’economia del paese, perché in un evento ove tutto è misurato in termini di profitti a breve o differiti, gli unici gratis devono essere i lavoratori?

Con un accordo del luglio 2013, un mese che dovrebbe essere abolito dal calendario sindacale visti i disastri che in esso si son concepiti, l’ente EXPO, le imprese e tutte le istituzioni hanno concordato con CGIL CISL UIL che gran parte di coloro che faranno funzionare la Fiera lo faranno gratuitamente. Per l’esattezza circa 800 persone lavoreranno con contratti a termine, di apprendistato, da stagista, che garantiranno un lauta retribuzione dai 400 ai 500 euro mensili. Siccome i contratti e la stessa legge Fornero sul mercato del lavoro avrebbero previsto condizioni più favorevoli per i lavoratori , si è applicato quel principio della deroga normativa, contro il quale la Cgil si è era spesso pronunciata. Ma questi 800 lavoratori sottopagati sono comunque una élite rispetto a tutti gli altri. Che avranno un orarioio-non-lavoro-gratis-per-expo giornaliero obbligatorio e turni, pare bisettimanali, di lavoro, ma che lo faranno senza alcuna retribuzione.

Essi saranno considerati volontari e come tali riceveranno solamente dei buoni pasto quotidiani, per non smentire il significato alimentare dell’evento. Nelle previsioni iniziali questi fortunati avrebbero dovuto essere 18500, da qui il peana subito scattato sui 20000 posti di lavoro creati dalla magia dell’EXPO. Ora Invece pare che siano meno della metà, per la semplice ragione che lavorare all’EXPO non solo non paga, ma costa. Immaginiamo un pendolare che debba accollarsi i costosissimi costi quotidiani del sistema ferroviario lombardo. O addirittura un giovane di un’altra regione che volesse fare questa esperienza a Milano. Per lavorare gratis bisogna godere di un buon reddito e non tutti ce l’hanno.

Eppure a tutto questo ci sarebbe stata una alternativa semplice semplice. Visto che Expo per sua natura è un evento a termine, coloro che la faranno funzionare avrebbero potuto essere assunti con il tradizionale contratto a termine. Lavori sei mesi? Sei pagato per quelli, sono solo, due settimane? Riceverai la tua quindicina. Perché non si è fatto così? Semplicemente perché in questo modo si sarebbe dovuto spendere molto di più in salari e questo non era compatibile con gli alti costi della fiera. C’era da pagare una montagna di mazzette, non si potevano retribuire anche gli addetti agli stand. Capisco che questo modo di ragionare possa essere considerato troppo rigido e ancorato a vecchi tabù. C’è un lavoro e si pretende anche un salario, allora si vogliono difendere vecchi privilegi direbbero gli araldi del lavoro flessibile.

 Quando l’accordo sul lavoro gratis è stato sottoscritto l’allora presidente del consiglio Enrico Letta disse, facendo eco al presidente della Confindustria Squinzi, che esso era un modello per il paese. La rottamazione renziana sempre rivolta alle nuove generazioni ha lasciato quella intesa intatta, così come hanno fatto CGILCISLUIL, nonostante le critiche a quel ‪#‎jobsact che l’accordo EXPO già anticipava. Tutte le forze politiche rappresentate in parlamento, escluso il Movimento 5 Stelle, sono consenzienti. gratis-300×167

 Così l’Expo finirà per essere una vetrina di tutto ciò che non dovrebbe, ma che invece continua a dominare le scelte economiche e sociali del paese. L’Expo sarà la migliore rappresentazione dell’ipocrisia e del gattopardismo che governano la nostra crisi. Sotto lo slogan “Nutrire il pianeta” si lascerà alla Nestlè il compito di spiegare che l’acqua va gestita in ragione di mercato. Si farà l’apologia delle grandi opere senza riuscire neppure a nascondere la speculazione e non solo quella illegale, ma quella ancor più scandalosa sulle aree che è perfettamente consentita. Si lanceranno proclami sui giovani che capaci di operare nella globalizzazione, rimuovendo il fatto che lo faranno solo in cambio di una medaglietta che non varrà nemmeno come accreditamento per altri lavori precari. E ancora una volta tutto, ma proprio tutto sarà a carico del lavoro. In una fiera che si presenta come l’ultimo Ballo Excelsior di una globalizzazione in piena crisi, l’Italia che guarda al passato cianciando di futuro troverà la sua vetrina. Che dovrebbe essere accesa proprio il PrImo Maggio, così trasformando la festa dell’emancipazione del lavoro nella celebrazione del suo ritorno allo stato servile. Ci sono movimenti e forze sindacali che dicono no a tutto questo e che già dalle prossime settimane si faranno sentire, per poi provare a restituire alla Festa del Lavoro il suo antico valore. Fanno benissimo.

 Popoff Quotidiano

 http://popoffquotidiano.it/…/expo-in-20-mila-al-lavoro-ma-…/

Confesercenti shock: “O l’Italia taglia le tasse o muore”

Eccoli, i cattivi evasori alla riscossa…..non vogliono pagare le tasse che servono a garantire che le famiglie indigenti non finiscano in mezzo ad una strada…..

 4 febbraio, 2015 

Confesercenti lancia l’ennesimo allarme sulla situazione italiana che vede  il mercato interno sempre più paralizzato a causa dell’enorme pressione fiscale e delle politiche economiche errate perseguite dal Governo, come si legge su “IlNord.it.

“Torna l’incubo deflazione, e non è solo colpa degli energetici. Il calo dei prezzi del petrolio è la principale causa del tasso di inflazione negativo registrato a gennaio, ma non l’unica. Ci troviamo infatti di fronte ad un mercato interno ancora fermo, come dimostra la dinamica del tasso di inflazione ‘core’, che non tiene conto degli energetici e dei prodotti freschi e che in un mese si è dimezzato, passando dallo 0,6% allo 0,3%”. Lo afferma in una nota la Confesercenti. “Inoltre bisogna considerare che, paradossalmente, il calo dell’inflazione sarebbe stato ancora più grave se non fosse stato per l’aumento delle tariffe e dei pedaggi a gennaio, incrementi che però tolgono liquidità a famiglie ed imprese frenando ulteriormente la domanda interna – aggiunge -. La verità è che la stagnazione dei consumi prosegue, e la combinazione di eccesso di pressione fiscale e credit crunch continua a frenare investimenti delle imprese e spesa delle famiglie.

Le vendite vanno bene solo per i discount, segnale di un mercato sempre più guidato dagli sconti: di fronte alla sostanziale stagnazione dei consumi, aiutano solo le promozioni, ormai praticate da quasi tutti gli esercenti e non calcolate nel tasso di inflazione. Secondo un sondaggio Confesercenti SWG, nel 2014 l’83% dei negozianti ha praticato uno sconto. Ancora più preoccupante è che il rischio deflazione non e’ un problema solo italiano: l’Eurostat a gennaio certifica la discesa in territorio negativo dell’intera Eurozona, Germania inclusa”.

“Per invertire la tendenza occorre tirarsi su le maniche e intervenire rapidamente. Basta con l’austerità a senso unico: bisogna sbloccare il credito e correggere il tiro di un fisco troppo esoso e punitivo su imprese e famiglie. E bisogna farlo presto: l’eventuale discesa nella spirale deflattiva cancellerebbe le legittime e necessarie speranze di un ritorno alla crescita”, conclude l’associazione di categoria. Speranze di crescita ridotte al lumicino, guardando i dati reali e non le previsioni fantasiose del governo Renzi.

 Leggi dalla fonte originale IlNord.it

http://www.euroscettico.com/confesercenti-shock-litalia-taglia-tasse-muore/

Venezia: Equitalia, cartella da 7mln e 400mila euro a meccanico 67enne in pensione

Ammazza e quante auto ha riparato senza pagar tasse???!?!!

Equitalia, il pizzo legalizzato

Ah ecco, doveva andare in pensione, così gliela requisiscono…..Bravo stato.

7 febbraio 2015

Una cartella esattoriale da 7 milioni e 400mila euro. Tempo per pagare? Poco, pochissimo: cinque giorni, non uno di più. E, neanche a farlo apposta, i termini sono già abbondantemente scaduti.

Questo il “regalo” per la pensione che un anziano del Lido di Venezia di 67 anni, si è visto notificare, nelle scorse settimane, da Equitalia Nord, l’agente per la riscossione della provincia di Venezia. P.M., residente al Lido, era titolare di un’autofficina e rivendita gomme, in terraferma. L’azienda è chiusa da anni, l’uomo per circa otto anni, è stato in prepensionamento e finalmente, dopo una vita di lavoro, dal prossimo 1. marzo sarà ufficialmente in pensione.

Andrà in pensione ma con un debito, nei confronti dell’Agenzia delle Entrate, da capogiro che farebbe perdere a chiunque il sonno: per la precisione 7 milioni 408mila 49 euro e 60 centesimi. Lui però l’ha presa con filosofia, di chi ha già raggiunto una certa età e, dopo una vita di sacrifici, non ha nulla da temere. Pagare? «Impossibile – risponde candidamente il contribuente – mi hanno ritardato la pensione di otto anni. Non lavoro, l’azienda ha chiuso i battenti da otto anni e io per me non ho nulla».(…)

 Leggi tutto su ilgazzettino

http://www.crisitaly.org/notizie/venezia-equitalia-cartella-da-7mln-e-400mila-euro-a-meccanico-67enne-in-pensione/

EXPO NON È INIZIATA ME È GIÀ FALLITA: “AREXPO SPA”, LA SOCIETÀ CHE HA COMPRATO LE AREE PER L’ESPOSIZIONE, NON RIESCE A RIPAGARE IL DEBITO DI 160 MILIONI DI EURO CON LE BANCHE – ORA CHI PAGA? E CHE FINE FARÀ L’AREA EXPO, UNA VOLTA FINITA L’ESPOSIZIONE?

http://www.dagospia.com/rubrica-3/politica/expo-non-iniziata-me-gi-fallita-arexpo-spa-societ-che-ha-94042.htm

7 FEB 2015 11:21

È la conseguenza del peccato originale di Expo: invece che fare l’esposizione su terreni pubblici, nel 2008 l’allora sindaco di Milano Letizia Moratti e l’allora presidente della Regione Lombardia Formigoni, decisero di realizzarla su un’area al confine nord-ovest di Milano, in gran parte di proprietà della Fondazione Fiera, allora feudo ciellino…

Gianni Barbacetto per il “Fatto quotidiano”

LETIZIA MORATTI

LETIZIA MORATTI

Expo non è ancora iniziata, ma a 83 giorni dall’apertura dei cancelli si può dire che da un punto di vista tecnico-finanziario è già fallita. O almeno che è a un soffio dal crac. Non parliamo dell’esposizione, dei visitatori, dei biglietti, dei Paesi ospiti, degli sponsor: i conti di Expo spa si faranno alla fin della fiera, cioè il 31 ottobre 2015. Parliamo invece della grande operazione immobiliare realizzata da Arexpo spa, la società che ha comprato le aree per l’esposizione.

Roberto Formigoni

ROBERTO FORMIGONI

Per acquistarle, Arexpo si è indebitata per 160 milioni di euro con le banche. Secondo un primo programma di rientro, doveva pagare la prima rata (50 milioni) a dicembre 2014 e il resto ad aprile. Trovare cioè in un paio di mesi i 110 milioni della seconda rata, più i 50 della prima non pagata, oltre ad altri 75 milioni da dare a Expo spa come contributo per le infrastrutture. In più ci sono da pagare tutti i costi di gestione, le imposte, gli oneri finanziari. Questi soldi non ci sono. Quale imprenditore, quale operatore, quale società sarebbe tranquilla, in questo scenario da incubo? In che cosa si può sperare? Nell’arrivo di un benefattore, in un miracolo?

 È la conseguenza del peccato originale di Expo: invece che fare l’esposizione su terreni pubblici, nel 2008 i padroni di Expo, e cioè l’allora sindaco di Milano Letizia Moratti e l’allora presidente della Regione Lombardia Roberto Formigoni, decisero di realizzarla su un’area sghemba al confine nord-ovest di Milano, tra l’autostrada dei Laghi e quella per Torino, un Triangolo delle Ber-mude racchiuso tra la nuova Fiera di Rho, il carcere di Bollate e il Cimitero Maggiore.

 AREXPO

AREXPO

Era in gran parte di proprietà della Fondazione Fiera, allora feudo ciellino, che con la vendita dei suoi 404 mila metri quadrati ha incassato nel 2011 ben 66 milioni di euro (li aveva comprati nel 2002 a soli 15 milioni). E ha così potuto sistemare i conti disastrati della controllata Fiera Milano spa. Altri 260 mila metri quadri dell’area sono stati acquistati, per 49,6 milioni, dal Gruppo Cabassi.

 Il compratore, cioè Arexpo, ha per soci il Comune di Milano (34,67 per cento), la Regione Lombardia (idem) e la Fondazione Fiera (27,66 per cento), oltre che la Provincia di Milano (2 per cento) e il Comune di Rho (1 per cento). A metterci la gran parte dei soldi sono il Comune e la Regione, che versano 32,6 milioni ciascuno, mentre Fondazione Fiera Milano (venditore e compratore nello stesso tempo) conferisce una parte dei suoi terreni (158 mila metri quadrati) e la parte rimanente (404 mila) la vende e incassa.

AREXPO

AREXPO

 A metterci i soldi veri sono naturalmente le banche: una cordata con Intesa Sanpaolo come capofila, più Banca Popolare di Sondrio, Veneto Banca, Credito Bergamasco, Banca Popolare di Milano e Banca Imi. Con questi istituti Arexpo ha sottoscritto un contratto con rilascio di garanzia ipotecaria sulle aree.

 Nel primo progetto , Arexpo (cioè i soci pubblici) avrebbe dovuto rientrare della spesa rivendendo l’area entro il novembre 2014, a un operatore disposto a metterci ben 314 milioni, con in cambio la possibilità di costruirci 480 mila metri quadrati, più o meno l’equivalente di 16 grattacieli Pirelli. La gara però, in tempi di crisi del mercato immobiliare, è andata deserta. Non si è materializzato lo “sviluppatore” capace di lavare il peccato originale di Expo e restituire al Comune di Milano e alla Regione Lombardia i loro soldi.

 A questo punto è saltato il piano di rientro. Le banche però pretenderanno 30 milioni a fine 2016, altri 30 a fine 2017 e altrettanti a fine 2018. Chi li pagherà? E ancora: che fine farà l’area sghemba dell’Expo, una volta finita l’esposizione universale e smontati i padiglioni?

 AREXPO

AREXPO

Dopo che l’asta di novembre è andata deserta, si è aperto il rebus del dopo-Expo. Le idee non mancano: sull’area si può ipotizzare di tutto, università e musei, parchi e orti botanici, auditorium e sale concerti, stadi e impianti sportivi, senza dimenticare gli incubatori tecnologici e le imprese innovative, che come il grigio stanno su tutto e fanno tanto chic. Tanto le idee non costano niente.

 Ma il problema resta uno: chi ci mette i soldi? L’operazione era stata pensata in tempi in cui la crisi immobiliare ancora non mordeva e si sperava nell’arrivo dell’operatore contento di un indice d’edificabilità dello 0,52, che vuol dire poter costruire residenze, alberghi e spazi commerciali pari, appunto, a 16 grattacieli. Non è arrivato nessuno, anche per i vincoli posti dal Comune nel bando.

 AREXPO

AREXPO

E adesso? Il presidente della Regione, Roberto Maroni, avrebbe voluto lo stadio, ma il Milan lo farà altrove, sui terreni dove un tempo sorgevano i padiglioni della vecchia Fiera Campionaria e lo stabilimento dell’Alfa Romeo Portello. Il presidente di Assolombarda, Gianfelice Rocca, ha lanciato il progetto Nexpo, “una Silicon Valley italiana che sfrutti le eccezionali condizioni infrastrutturali e di digitalizzazione del sito Expo”.

 Ora l’idea che tira di più è il polo universitario. È stata Arexpo, presieduta da Luciano Pilotti, a chiedere a due eccellenze milanesi, l’Università Statale e il Politecnico, di diventare advisor ideali per pensare il futuro dell’area Expo. Poi però ci si è accorti che Arexpo, società pubblica, non può dare incarichi diretti e deve indire una gara con un bando di evidenza pubblica. Della questione si sta occupando l’Autorità anticorruzione di Raffaele Cantone, a cui Arexpo ha rivolto un interpello.

 raffaele cantone

RAFFAELE CANTONE

Intanto è maturato il progetto finora più concreto: il Rettore dell’Università Statale, Gianluca Vago, da tempo stava pensando come ristrutturare le facoltà scientifiche di Città Studi (250 mila metri quadri). Si è reso conto che sarebbe più conveniente costruire da zero una nuova Città Studi sull’area Expo: con fondi Bei e Cassa depositi e prestiti e vendendo i terreni e i vecchi edifici di Città Studi. Per ora è solo una proposta. Buona anche per salvare Expo dal crac.

Ucraina, Merkel: “Colloqui con Mosca? Successo incerto”. Hollande: “Senza accordo, unico scenario è la guerra”

http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/02/07/ucraina-merkel-colloqui-mosca-successo-incerto-tentativo-fatto/1405167/

Ucraina, Merkel: “Colloqui con Mosca? Successo incerto”. Hollande: “Senza accordo, unico scenario è la guerra”

La cancelliera tedesca pessimista dopo il vertice di ieri: “Dovevamo tentare, cauti su garanzie che Mosca può fornire”. Durissimo il presidente francese. E il comandante Nato apre a “opzione militare”. Putin: “Non vogliamo nessun conflitto armato”. Poroshenko: “No a forze di peacekeeping in Ucraina”
di  | 7 febbraio 2015

Nessun documento. Nessuna strategia congiunta per il cessate il fuoco in Ucraina. In poche parole, il vertice di Mosca tra Angela Merkel, Francois Hollande e Valdimir Putin non ha avuto esito positivo. E il dibattito sulla crisi di Kiev si restringe tra posizioni opposte sull’ipotesi di un intervento militare e lafornitura di armi contro i filorussi.

Dai due leader europei non arrivano spiragli positivi. Anzi. La cancelliera tedesca, alla conferenza sulla sicurezza a Monaco di Baviera, ha ammesso il fallimento degli incontri e delle possibilità di risoluzione del conflitto. E all’orizzonte ilpresidente francese delinea l’ipotesi peggiore: se non si trova un accordo “duraturo” sull’Ucraina, “noi sappiamo che l’unico scenario non può che essere la guerra“.

Una linea negativa quella dei due leader europei, che si scontra con le dichiarazioni a distanza di Putin. Il presidente, dal nonoCongresso dei sindacati russi a Sochi, punta a stemperare la tensione sul conflitto armato perché il Cremlino, dice, non vuole “combattere con nessuno” e intende “collaborare con tutti”. Ma se da un lato parla di disponibilità, dall’altro rilancia l’offensiva contro le sanzioni imposte dall’Occidente. E che l’Unione europea potrebbe inasprire la prossima settimana. Vuole minimizzarne l’impatto, precisando che “non possono essere efficaci” in un Paese come la Russia, “anche se ci danneggiano”. “Noi – ha proseguito – lo dobbiamo capire, e capendolo dobbiamo aumentare il nostro livello di sovranitàanche nella sfera economica“.

Mentre a margine della conferenza di Monaco è iniziato l’incontro trilaterale tra la cancelliera tedesca, il presidente ucraino Petro Poroshenko e il vice presidente Usa Joe Biden, convinto che Usa ed Europa debbano schierarsi insieme contro la Russia, la partita tra Mosca e l’Occidente si concentra sulla possibilità dell’intervento militare, che la Nato non esclude, e la fornitura di armi a Kiev, ipotesi dalla quale il ministro degli Esteri russo Sergei Lavrov ha messo in guardia Stati Uniti ed Europa. Perché così non farebbero altro che “aggravare la tragedia dell’Ucraina”. Però si dice ottimista e convinto che i colloqui “proseguiranno”. Positivo anche il presidente del Parlamento europeo Martin Schulz, che ha garantito che l’iniziativa di Francia e Germania sarà sostenuta dall’Unione europea. Il governo ucraino, invece, che chiede aiuto militare agli alleati è convinto che il cessate il fuoco nell’est potrebbe essere raggiunto nel giro di “poche ore o al massimo giorni”. Kiev, ha aggiunto, “è pronta per un cessate il fuoco complessivo e anche la Russia dovrebbe esserlo”, ma ha rifiutato l’ipotesi di forze di peacekeeping in Ucraina.

Merkel: “Cauti sulle garanzie di Mosca” – “Dopo i colloqui di ieri – ha dichiarato Merkel – posso dire che è incerto che questi abbiano avuto successo, ma ha certamente avuto valore il tentativo”. In particolare, quello che emerge è la diffidenza nei confronti di Mosca: difficile fidarsi, spiega, “dopo la grande delusione di Minsk“, ovvero degli accordi mai rispettati per lacessazione delle ostilità. Per questo, ha detto, “credo si debba essere molto cauti sulle garanzie” che il Cremlino può fornire sull’Ucraina. Ma anche a fronte di un nulla di fatto “dobbiamo sempre di nuovo tentare”. Stessa linea del ministro degli Esteri ucraino Pavel Klimkin, che scarta la rottura dei rapporti diplomatici con Mosca.

“La Russia – ha detto – deve essere una parte inalienabile della soluzione del problema. Proprio per questo, la Russia assieme all’Ucraina e l’Osce fa parte del gruppo di contatto di Minsk”. Al contrario, ha aggiunto, se “l’Ucraina rompe le relazioni, distruggerà il formato dei negoziati e metterà in pericolo la pace di Minskche, a vedere gli ultimi avvenimenti, è quanto vorrebbero iterroristi“. E “in caso di rottura delle relazioni diplomatiche (con la Russia, ndr) i negoziati si svolgeranno solo attraverso mediatori. Dubito che sia la migliore soluzione decidere qualcosa che ci riguarda senza di noi”.

Nato non esclude intervento militare – La Merkel punta il dito contro contro le responsabilità del Cremlino, perché “laRussia deve fare la sua parte nella crisi ucraina”, e ricordando che “i confini europei sono e devono restare inviolabili“. Allo stesso modo deve essere rispettata”la libertà dei popoli di decidere il loro futuro”. Quello che ha travolto Kiev è inoltre un conflitto che “non può essere risolto con mezzi militari”, e a maggior ragione fornire armi, che secondo Merkel in Ucraina “sono già troppe”, “non è la soluzione”. La linea di Berlino – convinta di volere lavorare per la sicurezza dell’Europa “con la Russia, non contro” – si contrappone però a quella della Nato, che per voce di Philip Breedlove, comandante in capo delle forze armate degli Stati Uniti e della Nato in Europa, spiega di non escludere l’intervento militare. Un’ipotesi che “non dovremmo escludere”, ha detto, puntualizzando però di riferirsi alla possibilità di fornire armi, non di inviare soldati.

“In preparazione un testo per la discussione di domenica”– La collaborazione con Mosca, ha proseguito la cancelliera, è fondamentale per “mantenere la sicurezza e l’ordine” e “per affrontare sfide internazionali, come la proliferazione dellearmi di distruzione di massa o il terrorismo“. Perciò, ha concluso, “dobbiamo definire insieme delle soluzioni” e tutto questo dimostra che “la cooperazione con la Russia su questioni importanti è possibile”. Secondo quanto riporta l’agenzia russa Interfax, la cancelliera, insieme a Hollande, avrebbe lasciato a Mosca degli esperti di politica estera per stendere un piano per mettere fine al conflitto nel sud-est ucraino da presentare nel colloquio telefonico di domani tra i leader di Francia, Germania, Russia e Ucraina. “Certamente – ha detto la fonte all’agenzia – i leader non sono venuti da soli” al vertice di ieri notte al Cremlino con Putin “e hanno sicuramente lasciato i loro specialisti di politica estera aMosca per lavorare al testo che dovrebbe essere presentato domenica in una discussione telefonica. E’ chiaro – ha aggiunto – che sta andando avanti un lavoro molto solido”.

Ucraina, Hollande e Merkel al Cremlino. E Lady Pesc Mogherini è tagliata fuori

http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/02/07/ucraina-hollande-merkel-cremlino-lady-pesc-mogherini-tagliata-fuori/1404741/

Ucraina, Hollande e Merkel al Cremlino. E Lady Pesc Mogherini è tagliata fuori

I due leader hanno incontrato Putin a Mosca per negoziare sulla crisi di Kiev, senza chiamare l’Alto rappresentante dell’Unione europea per gli Affari Esteri e la politica di sicurezza. Che non sembra aver fatto breccia nelle diplomazie di qua e di là del Reno
di  | 7 febbraio 2015
Cercasi lady Pesc disperatamente. Non fidandosi delle doti diplomatiche di Federica Mogherini, Alto rappresentante dell’Unione europea per gli Affari Esteri e la politica di sicurezza, la cancelliera tedesca Angela Merkel e il presidente franceseFrançois Hollande hanno risfoderato la “diplomazia segreta” tanto in voga negli anni della Guerra Fredda e sono andati aMosca per incontrare Putin, in un faccia a faccia molto teso sulla questione dell’Ucraina e i rischi di una guerra allargata, giacché la Nato ha blindato nel frattempo il fronte orientale dell’Alleanza Atlantica e il segretario di Stato John Kerry promette di aiutare militarmente Kiev. Una missione top secret, quella della Merkel e di Hollande, che ha clamorosamente bypassato Bruxelles e irritato la Casa Bianca. La Mogherini ha dovuto incassare. E dichiarare a denti stretti che la visita franco-tedesca andava “nella direzione di una soluzione politica del conflitto”.

L’intento del blitz diplomatico è abbastanza lineare con la posizione cauta di Parigi e Berlino a proposito di eventuali forniture d’armi Usa per combattere i ribelli filorussi dell’Ucraina orientale: secondo indiscrezioni apparse sulla stampa tedesca e su quella russa, il piano franco-tedesco punterebbe ad anticipare le mosse di Washington, ed offrire al Cremlino un accordo in cui la priorità sarebbe quella dell’immediato cessate il fuoco, nonché l’arretramento delle armi pesanti (la Nato aveva segnalato un inquietante incremento di blindati e carri armati) e lamobilitazione di un contingente internazionale di pace (eventualmente caschi blu dell’Onu).

Per disinnescare il conflitto nell’Ucraina dell’Est non è più tempo di chiacchiere a vuoto, devono aver pensato la Merkel eHollande, bisogna agire, mettere sul piatto della bilancia il peso dei nostri Paesi, la loro influenza, e la nostra collaudata esperienza politica.

Doti che la Mogherini si deve conquistare sul campo, e negli anni. Nell’aprile dello scorso anno, quando era ancora freschissima ministro degli Esteri nel governo Renzi, aveva dichiarato (in un incontro col Foglio) che “una Nato aggressiva non serve a nulla conPutin” e che nel pasticcio ucraino la posizione della Farnesinateneva conto che “non si può ragionare solo parlando di buoni ecattivi”. In questo mondo ci sono “tante situazioni complesse da affrontare con lungimiranza e con un atteggiamento cooperativo”, aveva detto, sostenendo che per risolvere la crisi ucraina occorreva investire “sull’interesse comune” degli interlocutori che si affrontano durante le trattative. Così, si creano “win-win situation”, ossia tutti portano a casa qualcosa e le crisi rientrano. Ribadiva: “Non è la Nato il terreno più utile per risolvere la crisi, anche per non farla sembrare antagonista”. Dunque, meglio puntare sulle istituzioni internazionali.

Bello. In teoria. Nella pratica, la “dottrina Mogherini” non sembra aver fatto breccia nelle diplomazie di qua e di là del Reno: laMerkel e Hollande hanno spiazzato tutti, puntando sulladiplomazia e il buon rapporto con Mosca. Addirittura, a metà gennaio, si era ventilata l’ipotesi di un incontro Merkel-Putin inKazakistan, ma la cancelliera e il suo ministro degli Esteri Frank Walter Steinmeier avevano deciso di soprassedere, di attendere cioè il summit di Minsk, per tentare di bloccare le ostilità inUcraina.

Sabato 31 gennaio, a Minsk, il fallimento delle trattative e il contemporaneo riprendere vigore dei bombardamenti aveva invece fatto saltare il banco, complice probabilmente l’estensione delle sanzioni contro la Russia. E la paranoia dell’assedio: poco tempo fa, il presidente russo, come riportato dai giornali diPietroburgo e Mosca, aveva detto, parlando davanti ad un gruppo di studenti: “L’esercito ucraino non è un vero esercito, è semmai una legione straniera. La legione straniera della Nato”.

Non è poi così semplice gestire una situazione in cui la Russia ha pur sempre, nei confronti dell’Europa – in particolare diGermania, Italia, Olanda e Francia – una posizione di forza. Putin può chiudere il rubinetto del gas e del petrolio che alimenta un terzo delle necessità energetiche europee, se messo alle strette. Sulla scommessa Ucraina il capo del Cremlino ha puntato forte, anche per controbilanciare le problematiche interne: il calo drammatico del rublo e della Borsa di Mosca, il crollo del prezzo del greggio, le restrizioni commerciali hanno contribuito alla frenata economica, all’aumento della disoccupazione, all’incremento dell’indebitamento di imprese e famiglie, tant’è che il 30 gennaio la banca centrale russa ha abbassato il tasso di sconto dal 17 al 15 per cento, per “prevenire una caduta importante dell’attività in un contesto di fattori esterni negativi”, riferendosi alle sanzioni occidentali legate alla crisi ucraina e alribasso petrolifero. Le previsioni, infatti, dicono che il prodotto interno lordo subirà una contrazione almeno del 3,2 per cento nel primo semestre del 2015.

E’ su questi tasti che avranno premuto Hollande e la Merkel, tenuto conto che in fondo è stato lo stesso Putin a coinvolgerli per sbloccare i colloqui di pace tra le parti impegnate nella guerra – perché di guerra si tratta, non nascondiamoci dietro sinonimi che sono omissioni – nell’est dell’Ucraina. Lo ha fatto il primo gennaio, chiamando al telefono sia la cancelliera tedesca che il presidente francese. Non ha telefonato a Lady Pesc.