La mafia del pd ha la licenza di commettere stragi, succede a chi sta “dalla parte giusta” della storia
Dov’è Moretti?
Per la prima volta ha parlato dal banco dei testimoni la presidente dell’associazione dei parenti delle vittime. Nel disastro ferroviario del 29 giugno 2009 la donna ha perso Emanuela, 21 anni. “Dopo pochi giorni le avevano rasato i capelli a zero. Le feci il cappellino,non potevo vederla così. Glielo hanno messo solo nella bara”
“Sa cos’è un bagno, avvocato?”. “No, lo spieghi”. Davanti al plotone della difesa dei 42 imputati raccolta nel polo fieristico di Lucca per il processo del disastro ferroviario di Viareggio del 2009, Daniela Rombi ha spiegato in che vasca sua figlia Emanuela, 21 anni, è stata immersa per due volte durante i 42 giorni d’agonia al centro grandi ustionati dell’ospedale Cisanello di Pisa, prima di morire col 98 per cento del corpo ustionato.
“Dopo pochi giorni – ricorda – le avevano tagliato tutti i capelli a zero. Le feci il cappellino all’uncinetto, perché non la potevo vedere così. Glielo hanno messo solo quando era vestita nella bara”. Ha raccontato quei 42 giorni, le 4 operazioni e i due bagni subiti dalla sua “bimba”. Le speranze e l’incredulità, dopo averla sentita al telefono subito dopo l’incidente. “Sto bene, non ti preoccupare” l’aveva rassicurata Emanuela, mentre, ormai divorata dalle fiamme, era portata all’ospedale. Quella fu l’ultima volta che si parlarono.
Dopo il giuramento, Daniela Rombi ha chiesto 30 secondi di silenzio in onore delle vittime. Non è stato concesso. Gaetano Scalise, avvocato di Rfi, è intervenuto: “Vorrei che fosse messo agli atti che la signora Rombi è stata sempre presente a tutte le udienze”, lasciando intendere che i testimoni non dovrebbero assistere alle udienze. “Ma io non sono un teste tecnico. Oggi dovevo solo parlare di quanto ha sofferto mia figlia” ha chiarito a ilfattoquotidiano.it Daniela Rombi, che al giudice ha consegnato anche un diario di quei giorni.
Oggi ha parlato anche la figlia di Mario Pucci, il novantenne morto in casa insieme alla badante Ana Habic, carbonizzata con la maniglia della porta tra le dita. Mario aveva paura della ferrovia: non solo la sua firma era tra quelle di chi chiedeva, inascoltato, a Ferrovie di ergere un muro di protezione tra i binari e le case, ma Mario quel muro se l’era pure costruito da solo, nel disperato tentativo di sentirsi al sicuro. E’ il dettaglio emerso solo oggi. Alla prossima udienza, mercoledì 28, torneranno a parlare i periti sulle cui relazioni si basano le accuse della Procura, fondamentali in un processo che si gioca soprattutto su questioni tecniche.
di Ilaria Lonigro | 21 gennaio 2015