Il “messaggio” della strage di Parigi: “L’Islam ci odia”

Posted on gennaio 8, 2015 by il discrimine di Enrico Galoppini

Premessa: il “terrorismo” ha uno schema fisso ed immodificabile. Dopo il ‘laboratorio’ italiano degli anni Settanta-Ottanta, la macchina terroristica è stata resa perfetta per essere usata ovunque con modalità analoghe.

Si recapita il volantino delle “Brigate Rosse” e la strage è “rossa”. Arriva la telefonata dei “fascisti” e la strage è “nera”. Si sente urlare a squarciagola “Iddio è più grande” e l’attentato è sicuramente “islamico”.

Poi, una volta svolto il “servizio”, e quando in pratica l’amara verità (ripetuta fin dall’inizio dai soliti “complottisti”) non dà più noia a nessuno, si scopre che tutti questi ambienti “terroristici” sono infiltrati e addirittura eterodiretti, ma non importa… Quello che resta e deve restare nella memoria collettiva è la “matrice” terroristica, onde bollare per sempre una certa ideologia ed i suoi epigoni col marchio dell’infamia.

L’importante è che si alimenti l’idea di un eterno “complotto contro l’Occidente” e le sue “libertà”. Un complotto islamonazicomunista!

E così ci risiamo, questa volta in Francia.

Le vittime di un attentato che ha tutte le caratteristiche di una esecuzione mirata sono il direttore, i redattori ed i vignettisti di un giornale satirico francese, resosi particolarmente odioso agli occhi dei musulmani con delle vignette sul Profeta dell’Islam pubblicate nel 2012 ed un’incessante satira antislamica. Probabilmente, se non si fosse imbarcato in questo tipo di satira, nessuno, fuori dalla Francia, avrebbe saputo dell’esistenza del Charlie Hebdo, costola editoriale del gruppo Rotschild, tanto spregiudicato contro l’Islam e i musulmani quanto attento a non ironizzare troppo sullo strapotere della finanza apolide.

Insisto sul particolare dell’esecuzione mirata, perché esiste comunque una differenza tra questa e una bomba piazzata per fare una strage indiscriminata in una stazione o un treno. Fatto sta che il “terrorismo” è sempre “false flag” e si prefigge degli obiettivi che la massa (che comprende anche il politico medio) neanche lontanamente sospetta. Ma su questo torneremo dopo, rilevando alcuni particolari davvero “incredibili”.

Non c’era nemmeno da attendere di ascoltare e leggere la ridda di commenti allarmistici e terrificanti, per ricondurli al loro minimo comun denominatore: “l’Islam è un pericolo”, “il problema dei problemi”! L’Islam attenta ai valori più sacri dell’Occidente… la “libertà di espressione”!

Un modo molto facile per guadagnarsi consenso ed applausi a scena aperta, non è vero? Assisteremo così di nuovo alla rituale gogna mediatica dell’“islamico” di turno ‘inquisito’ al riguardo della sua “moderazione”. Tutti i musulmani diventano sospetti di connivenza morale, di intelligenza col “nemico”.

Ma esiste davvero questa famosa “libertà di espressione”? Chiunque abbia delle idee che non collimano affatto con l’andazzo imperante sa benissimo che o si dota di un sito internet altrimenti non potrà mai esprimerle su un canale televisivo o un “grande giornale”. C’è la libertà di pensiero, nel senso che ancora non essendoci per legge lo psicoreato uno può pensare quello che vuole, ma non esiste assolutamente la possibilità di diffondere, allo stesso modo, tutte le idee, fermo restando che l’unico limite dovrebbe essere quello rappresentato da un ipotetico “pericolo pubblico”, dalla volontà di recare effettivamente danno a beni e persone (per il quale la legge esiste già).

Esiste poi la “libertà di ricerca”? Sì, sempre che ti pubblichi i libri da solo o per editori introvabili, altrimenti le “grandi case editrici” ti ignorano. La storia e le idee vanno a braccetto, per la paura che fanno al sistema.

Veniamo anche alla “libertà di satira”, variante di quella “di espressione”: è possibile ironizzare, nel cosiddetto “mondo libero”, pesantemente e senza freni inibitori, su tutto e tutti? Assolutamente no, e tutti sappiamo su chi e che cosa non è possibile scherzare minimamente, anche quando sarebbe assai facile ed esilarante. Certa cosiddetta “storia” e certe “idee” offrono praticamente delle piste su cui far rotolare valanghe di battute, che travolgerebbero tutta una pariglia di falsari e linguacciuti, se solo non fossero difesi da una conventio ad excludendum volta al mantenimento di un monopolio del “discorso pubblico” (divulgazione storica compresa).

La stessa rivista satirica al centro di quest’ultima vicenda sanguinaria, è un ottimo esempio di quanto andiamo argomentando, poiché proprio un suo celebre vignettista, Maurice Sinet (in arte, Siné), nel 2008, all’apice del potere di Nicolas Sarkozy, venne licenziato per… “antisemitismo”! Con susseguente linciaggio politico-mediatico, al quale si accodò tutta la cosiddetta “libera informazione”…

Tra esclusioni, anatemi e – in più d’un caso – provvedimenti “legali” per impedire le “sacre” libertà d’espressione e di ricerca, l’Europa non è affatto aliena da censure e persecuzioni anche feroci. Per restare alla Francia, si pensi al recente caso di Dieudonné, inquisito e multato, al quale è stato addirittura negato dal ministero dell’Interno (!) un teatro quando questo si sarebbe riempito di spettatori desiderosi di ascoltarlo (quindi non conta nemmeno l’argomento dello “share”); oppure al famoso caso del professor Robert Faurisson, radiato dalle università e oggetto di vari tentativi di ucciderlo o almeno di sfigurarlo permanentemente dopo che pubblicò i suoi famosi articoli revisionisti (tradotti in italiano, incredibile a dirsi, sulla rivista “Storia Illustrata”). C’è anche il caso di Serge Thion, allontanato dal CNR francese a causa delle sue posizioni anti-sioniste; ma anche quello della casa editrice La Vieille Taupe, più volte distrutta a causa del suo impegno nella medesima direzione. E si tratta di persone ed ambienti “di sinistra”… A “destra”, inutile parlarne, la repressione è totale in tutta Europa: si pensi, in Spagna, all’editore Pedro Varela, che sarà anche “nazista”, ma che oltre che a pubblicare libri e riviste d’argomento storico non ha fatto altro di “male”! Eppure la macchina della “giustizia” e del vandalismo “ignoto” s’è scatenata contro la sua persona e la sua attività culturale. E queste sono solo le punte di un iceberg che comprende anche morti ammazzati per la loro militanza (stiamo sempre parlando di idee) filo-araba e filo-palestinese (si pensi a François Duprat, esploso assieme alla sua auto molto probabilmente per mano del Mossad).

Solo che di tutti questi “casi” la gente comune non sa nulla. E se viene a sapere qualcosa, nessun telegiornale apre la scaletta gridando allo scandalo e all’ignominia. Anzi, se accennano a qualcosa è per infangare ulteriormente il colpito di turno.

Questo per quanto riguarda la famosa “libertà d’espressione” che non c’è.

Veniamo ora all’argomento della “violenza”. Cioè, ammesso e non concesso che si tratti di quello che sembra (un “attentato islamista”), l’altra questione al centro del “dibattito” è che “non si deve” usare la forza contro chi la pensa “diversamente”.

Anche in questo caso, dal punto di vista teorico, sembrerebbe tutto perfetto. Guai a chi alza le mani! No alla violenza senza se e senza ma!

Peccato però che un sacco di redazioni giornalistiche e di fotoreporter palestinesi siano fatti oggetto, volutamente, di tiro al bersaglio, e nessun medium occidentale ha mai gridato allo scandalo. Alla faccia della tanto decantata “solidarietà di categoria”. E che dire dei giornalisti di Aljazeera ammazzati da “fuoco occidentale” mentre erano al lavoro nella loro redazione? Si dirà che quello è un altro contesto, dove si rischia grosso e ci si deve prendere le proprie responsabilità, ma allora il ragionamento deve valere per tutti.

Per dire che anche un giornale satirico che s’ingaggia in un umorismo spregiudicato su quanto di più sacro vi è per molte persone ed ambienti politico-religiosi dovrebbe rendersi conto del rafano in cui s’è cacciato e del pericolo che corre.

C’è chi ha detto che ne uccide più la lingua (o la penna) che la spada, e questo è tremendamente vero. Se ti metti “in guerra” contro qualcosa o qualcuno non puoi scandalizzarti se quello poi ti prende a sberle o addirittura ti fa fuori. Oggi invece si va davanti a un “campo nomadi” a provocare e ci si meraviglia che quelli escano non propriamente coi mazzi di fiori. Ci si erge a “sentinelle” contro la propaganda filo-omosessualista e ci si scandalizza se i militanti della causa attaccata c’insultano o ci mettono le mani addosso. Insomma, quando si va “alla guerra” si deve mettere in conto di tutto, e poi starà agli organi competenti indagare ed acciuffare chi s’è reso protagonista d’un crimine contemplato dalla legge vigente.

Sbalordirsi delle offese ricevute dopo aver soffiato sul fuoco è ipocrita perché letteralmente “irresponsabile”, nel senso che non ci si prende la responsabilità di quello che si è detto o fatto. Si pensi a Gesù, che non fu affatto tenero con nessuno di coloro che doveva rimettere in riga, i quali infatti lo inchiodarono ad una croce dopo averlo sottoposto ad indicibili sevizie (o almeno questo è quanto ci viene raccontato dalla versione cristiana della storia e/o del mito cristiano): e mica s’è lamentato mentre se ne stava crocefisso!

L’Occidente moderno, poi, fa gran vanto della sua supposta capacità di “capire” tutto e tutti meglio di chiunque l’ha preceduto. L’Antropologia ha contribuito a fortificare questa sensazione: ma se una lezione l’ha lasciata, è proprio quella che ci sono “culture” per le quali non è tutto passibile di “critica” o, peggio ancora, di blasfemia. In altre parole, se per qualche “cultura”, di pochi “selvaggi” o di un miliardo e passa di persone, esistono concetti e valori non negoziabili e non sottoponibili ad alcuna forma di dileggio, l’Occidente moderno non dovrebbe prendere questa realtà come una “follia”, ma, forte della sua (presunta) capacità di “comprendere” anche “l’Altro” si dovrebbe rendere conto che certe forme di “critica” vengono percepite dall’altra parte solamente come un insulto insopportabile.

Che poi “l’Altro”, dopo essere stato osannato e posto sul piedistallo per decenni (perché c’era il Terzomondismo), adesso debba fare uno sforzo per “modernizzarsi” anche nel senso che per lui non esiste più nulla di “sacrosanto”, è tutto da discutere. E, anzi, in un’epoca di deserto ideale prodotta dal relativismo ad ogni costo, al di là dell’orrore che può suscitare una strage, fa perlomeno riflettere il fatto che su questo pianeta vi siano delle persone per le quali esiste una gerarchia di principi e di valori di fronte ai quali non si è disposti a transigere.

D’altra parte, anche l’Occidente, in mezzo alla cortina fumogena del “relativismo”, ha i suoi feticci intoccabili, che si chiamano “tolleranza”, “eguaglianza”, “libertà”. Tutti a geometria variabile, ma questo è un altro discorso, perché l’importante è che ci si creda fermamente, anche se nella pratica non vengono applicati (né è possibile farlo). La propaganda a senso unico a proposito della “ideologia di genere” non trae linfa proprio da un’assolutizzazione di un’idea, per di più “autonoma” perché stravolta, di “libertà”?

Detto questo, per riflettere a tutto tondo su questa sorta di “11 settembre francese” (v. M. Blondet su sito Effedieffe.com) senza ipocrisie e moralismi inibitori, bisogna aggiungere altro.

Sempre dato per scontato che si tratti di un’azione di un commando “islamista” che risponde ad una catena di comando non inquinata da elementi “insospettabili” ed “inconfessabili”, mi chiedo – come ho già avuto modo di fare commentando le distruzioni delle tombe dei santi ad opera di “musulmani” ed il particolare approccio di questi ultimi, “letteralista” e incline all’anatema e alla “scomunica” – come si possa attirare simpatie verso l’Islam comportandosi in questo modo.

Un comportamento, quello di chi si sente “offeso” per una vignetta ad un punto tale da imbracciare il mitra, che indica un problema di “ego”, ovvero di identificazione con qualche cosa che, seppur sentito come “intimo” perché “sacro”, non può essere scambiato in alcun modo, pena la caduta in un peccato di “ego”, con il proprio autentico Sé. Da qui al brandire il Corano come fosse il Libretto rosso di Mao, il passo è breve. Parole sacre diventano così slogan politici, e se anche ciò avesse un suo “perché”, per questi “islamisti” il jihâd – il supremo sforzo contro le proprie passioni – si riduce ad un impegno “politico” nel più stretto senso del termine, così com’è concepito dai moderni ad ogni latitudine dopo che la “modernità” è sciamata dappertutto.

Se si volesse attirare all’Islam, ovvero all’accettazione volontaria del Decreto divino per conformarsi ad esso (e non alla banale “sottomissione” di un Houellebecq), quanti proseliti potrebbero fare degli inviti a riunioni (majlis) di dhikr, durante le quali vengono menzionati i “nomi più belli” d’Iddio! Invece, per i “jihadisti” di ogni sorta, queste attività che ammorbidiscono i cuori e li avvicinano non sono altro che “idolatria”, ed è per questo che la loro prima preoccupazione, ovunque prendono il potere, è proibire tassativamente questo tipo di pratica religiosa, compresa quella della ziyâra (visita) alle tombe dei santi. Per non parlare della musica sacra tradizionale, mentre quella dei vari cantanti alla moda, che ragliano come asini, viene permessa ed incoraggiata attraverso gli stessi canali satellitari che introducono nelle case i vari telepredicatori.

Per di più, la Verità con la V maiuscola non ha alcun bisogno di essere difesa in questo modo sgangherato e brutale. E tanto meno dal primo che passa, ché tutt’al più a difenderla, senza il rischio di identificazioni “personalistiche” ed “egoiche”, ci penserà un autentico “realizzato”… cosa assai difficile da trovare in ambienti che al massimo sanno sfornare “rivoluzionari” nel senso disordinato che ha assunto questo termine nel mondo moderno.

Un punto dev’essere chiaro: si può cadere nelle paludi e negli inganni della propria nafs (ego) anche se si crede di difendere la Verità.

Tutto questo dev’esser detto, altrimenti si comprende solo una parte della questione che, riassumendo, comprende due ordini di problemi: il primo concerne l’ipocrita insistenza su una “libertà di espressione” che non c’è (e non ci sarà mai perché ciascun assetto di potere si difende come può); il secondo, l’atteggiamento di “musulmani” che, lungi dall’essere effettivamente muslim (cioè “arresi” al Decreto divino, ovvero “realizzati” e dunque “risolti”), sono al contrario esseri “irrisolti” e riducono così l’Islam, che è essenzialmente e principalmente una dottrina iniziatica, in un qualche cosa che assomiglia in tutto e per tutto ad un’ideologia, seppur d’ispirazione religiosa.

Stabilito questo, è tuttavia doveroso ricordarsi che una volta che ci si è posti in una posizione conflittuale con un “nemico” (per gli uni “l’Islam” tout court, per gli altri “l’Occidente”), ci sta tutto e il contrario di tutto, compresa la strage e le azioni più immonde come le decapitazioni da vivi (che, detto per inciso, ci fanno rabbrividire solo perché siamo dei vigliacchi che sanno solo ammazzare con le bombe al fosforo e i droni). Azioni raccapriccianti che d’altra parte non è la prima volta che vediamo andare in scena, se solo si pensa a quanti innocenti sono stati recentemente massacrati nella Striscia di Gaza in una carneficina a senso unico che nessun “libero” mezzo d’informazione ha ritenuto di condannare. Perché se “non si fa” una carneficina nella redazione di un giornale, si deve dire che “non si fa” la stessa cosa su una spiaggia o un’abitazione privata, come troppe volte abbiamo visto (non certo attraverso la “libera” stampa).

Questo per dire anche che – sempre che si tratti di quello che appare – non c’è da meravigliarsi se dopo migliaia di famiglie intere trucidate, un giorno arriva un commando “islamista” e fa fuori chi, a torto o ragione, viene associato ai gravi torti subiti (in alcuni paesi arabo-musulmani, come l’Iraq, l’Afghanistan o la Palestina, quasi tutti hanno dei cari assassinati dagli eserciti occidentali).

Ma questo ragionamento sarebbe valido se tutto fosse come sembra. Invece, come scrivevamo all’inizio, ci sono fondati motivi per pensare che non sia così. Anche perché sovente la nazionalità dei “terroristi” è tunisina, marocchina eccetera: di paesi che non sono stati invasi dagli occidentali.

Come ha già rilevato Maurizio Blondet nel suo ultimo articolo, una delle cose più strabilianti è la “carta d’identità” di uno dei due “giustizieri mascherati” rinvenuta a bordo di una delle auto usate per la fuga.

Poi c’è la fredda determinazione e la “professionalità” dei due, in netto contrasto con l’approssimazione dell’addestramento di certi “jihadisti”, che anche solo contro l’Esercito nazionale siriano vanno letteralmente al macello appena quello attacca seriamente (basta guardare su YouTube).

Infine, la questione dell’identità dei componenti il gruppo armato: uno Stato che intendesse stabilire la verità dei fatti ed i loro retroscena dovrebbe acciuffarli vivi, invece mai che una volta questi “jihadisti di ritorno” vengano presi e poi fatti cantare. Meglio ammazzarli, quindi, nel classico conflitto a fuoco con intervento delle “teste di cuoio” che ridurranno i “terroristi” a brandelli.

Se si pensa che non abbiamo avuto il piacere di vedere Bin Laden agli arresti quando vi sarebbe stata la possibilità di farlo, e anzi persino il cadavere è stato fatto sparire in fretta e furia, si ha chiara la misura di quanto poco siano interessati i governi che “combattono il terrorismo” a far venire fuori l’inconfessabile verità.

E non è finita qui. Perché tutto quello che di qui in poi verrà attivato, altro non sarà che uno sviluppo, perseguito metodicamente, di quello “scontro di civiltà” che da quasi vent’anni ci è stato imposto.

Adesso dobbiamo tremare al pensiero che “combattenti dell’ISIS” siano tornati a casa, ma dov’erano tutti questi premurosi “analisti” con tanto di cattedra e lauto stipendio (pubblico) quando uno Stato sovrano che non aveva aggredito nessuno e col quale avevamo ottimi rapporti, se non altro commerciali, è stato aggredito da mercenari della Nato con la scusa della repressione della “primavera siriana”?

Quegli stessi mercenari, o quanto meno utili idioti, che come se non bastasse tutto il resto scandiscono, attenti a farsi sentire bene (come se la “firma” fosse troppo importante), il rituale Allâhu Akbar (“Iddio è più grande”) prima di ogni assurdità commessa in nome dell’Islam.

Ovvio che, in una situazione del genere, fuorviante perché manipolata oltre ogni immaginazione, il giornalista di turno, imbeccato dalle veline di chi tiene i cordoni della borsa dei suddetti mercenari, non si faccia scrupolo d’infarcire il suo pateracchio informativo di altrettanti Allâhu Akbar, tante volte il povero telespettatore lobotomizzato non avesse introiettato il messaggio: “Strage islamica contro l’Occidente e i suoi valori”.Un odio a senso unico, naturalmente, in un delirio autoassolutorio tipico di chi pensa di avere solo e sempre ragione. Anche quando odia esplicitamente né più né meno come fanno (o ritenga facciano) “gli altri” (e forse anche di più) ed agisce di conseguenza con tutta la potenza distruttiva messagli a disposizione dalla tecnologia. Con la differenza che ci si trova sempre una giustificazione nell’odio altrui: “perché loro ci odiano”… “perché l’Islam ci odia!”.

http://www.ildiscrimine.com/messaggio-strage-parigi-lislam-ci-odia/

Il “messaggio” della strage di Parigi: “L’Islam ci odia”ultima modifica: 2015-01-14T13:20:46+01:00da davi-luciano
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