L’ultimo baluardo dei No Terzo Valico: “Lo difenderemo con le unghie e con i denti”

da espresso.repubblica.it

Sono i No Tav dell’Appennino ligure. Lottano contro la nuova ferrovia tra Genova e la pianura padana, che con un tunnel di 27 chilometri collegherà (per la terza volta) Liguria e Basso Piemonte. Un autunno di frane ed esondazioni ha riacceso la protesta, proprio ora che gli espropri sono quasi terminati. Ma manca ancora il campo dell’alessandrino dove partirà il traforo

di Massimiliano Salvo

I cantieri del Terzo Valico si riconoscono subito, perché sono incorniciati da reti di plastica arancione che sbucano tra le case. A volte circondano gli orti e si arrampicano sulla collina, come in via Rocca dei Corvi: il nome è da borgo medievale ma siamo nella periferia industriale di Genova, a Fegino, in un quartiere di palazzi radi, graffiti e capannoni dismessi. Dove i torrenti sono esondati lo scorso mese e la ferrovia che arriva dalle riviere incontra i binari diretti verso nord, a Torino e Milano.

In questo nodo ferroviario partirà il Terzo Valico dei Giovi, una nuova linea che collegherà – per la terza volta – Liguria e Piemonte: dopo un tunnel di 27 chilometri i treni sbucheranno ad Arquata Scrivia, al di là degli Appennini, per proseguire sino a Tortona. In Val Polcevera, a Genova, le reti arancioni spuntano un po’ ovunque. Accanto alla scuola elementare Villa Sanguineti, intorno al vecchio deposito ferroviario di Trasta o dietro al cimitero di Bolzaneto. E lungo i binari della ferrovia: è qui che durante l’alluvione del 10 ottobre una frana ha fatto deragliare un Freccia Bianca diretto a Torino. La procura di Genova indaga e per ora non ci sono certezze sull’accaduto, ma i No Terzo Valico della zona non hanno dubbi.

IL TERZO VALICO, UNA STORIA LUNGA VENT’ANNI

Del Terzo Valico si parla dall’inizio degli anni Novanta. E’ una linea ferroviaria AV/AC (alta velocità e alta capacità, per passeggeri e merci) che dal 2020 potenzierà i collegamenti del porto di Genova con Torino e Milano. L’opera si inserirà nel Corridoio Reno – Alpi della TEN-T core network, la rete di trasporto tra le regioni europee più popolate e industrializzate. Protagonista del Terzo Valico è il Gruppo Ferrovie dello Stato, attraverso Rfi e la società di ingegneria Italferr; il General Contractor incaricato di progettare e costruire l’opera è il Consorzio Cociv, composto per il 64% dalla società di costruzioni Salini-Impregilo.

Il Terzo Valico è sembrato un sogno di fantascienza sino al 2010, quando il Cipe – che nel 2001 lo aveva definito un’infrastruttura strategica di interesse nazionale – ne ha autorizzato la realizzazione: 53 chilometri di tratta, di cui 37 in galleria, nelle province di Genova e Alessandria. Il costo? Sei miliardi e duecento milioni euro: più del Mose di Venezia.

L’11 novembre 2011, il giorno prima delle dimissioni di Berlusconi da presidente del consiglio, Rfi e Cociv firmano il contratto per i lavori e i cantieri possono partire. I comitati già contrari all’opera si ricompattano battezzandosi “movimento No Tav/Terzo Valico”, in segno di vicinanza alle proteste della Val di Susa. Sono composti da circa 200 abitanti delle valli in cui passerà la linea e comprendono ambientalisti, militanti di Rifondazione comunista, del Movimento 5 stelle e dei centri sociali. Da quel momento organizzano manifestazioni e presidi per sensibilizzare e contrastare gli espropri, radunando anche più duemila persone. E dopo un autunno di frane ed esondazioni, ribadiscono con ancora più forza la contrarietà alla nuova ferrovia.

COLLEGHERA’ LA LIGURIA ALL’EUROPA

La costruzione del Terzo Valico è una battaglia senza punti di incontro tra i favorevoli (nel mondo della politica e dell’economia ligure, praticamente tutti) e i contrari. Per i primi è un’infrastruttura irrinunciabile, per i secondi una follia inutile e dannosa. «Collegherà la Liguria all’Europa», ripetono il Governatore della Liguria Claudio Burlando e l’assessore regionale alle infrastrutture Raffaella Paita, entrambi del Pd. «E’ un’opera fondamentale per il porto di Genova», spiega il presidente dell’Autorità Portuale, Luigi Merlo. «Il mercato sta concentrando il traffico in pochi porti e Genova deve essere pronta. Quest’anno farà il suo record con circa 2 milioni 150 mila teu e un aumento del 9 per cento rispetto al 2013. Grazie agli investimenti fatti tra due anni sarà in grado di accogliere 4 milioni di teu».

Secondo i sostenitori dell’opera, il Terzo Valico aiuterà infatti il porto di Genova a diventare un hub di accesso al corridoio Genova-Rotterdam: le merci in arrivo dall’Asia preferiranno Genova al Mare del Nord perché i tempi di viaggio si accorceranno. Le attuali due linee che partono da Genova non sono sufficienti: l’ottocentesca “linea dei Giovi” è troppo tortuosa e ha una pendenza del 35 per mille, mentre la “Succursale dei Giovi”, di inizio ‘900, ha una pendenza del 17 per mille ed è utilizzata anche dai treni passeggeri a lunga percorrenza. Il Terzo Valico avrà una pendenza del 12,5 per mille, ridurrà il traffico su gomma e porterà lavoro: a pieno regime i cantieri occuperanno più 4.100 persone.

LE RAGIONI DEI NO TERZO VALICO

Tutti i vantaggi dell’opera sono però contestati dai No Terzo Valico, che sul sito “NoTavTerzovalico.info” lo attaccano dal punto di vista economico, ambientale ed etico, criticandone l’utilità, l’enormità del costo (che a livello consuntivo potrebbe aumentare ancora) e il rischio di scavare in montagne dove c’è il pericolo di trovare amianto. Il movimento è inoltre allarmato da un’infrastruttura costruita per lotti non funzionali – quindi inutilizzabile finché non sarà finita – con cantieri che rischiano di durare molto più del previsto perché i finanziamenti non sono garantiti sino alla conclusione dei lavori.

Le loro proteste non sono state sempre pacifiche: i manifestanti hanno preso più di 200 denunce per interruzione di pubblico servizio, resistenza, danneggiamenti e occupazione di terreni. «Non è una semplice battaglia contro un treno – precisa Claudio Sanita di Arquata Scrivia, tra i leader del movimento, sottoposto a misure giudiziarie con il divieto di stare in tutti i comuni attraversati dal Terzo Valico – Siamo contro un modello di sviluppo imposto dall’alto senza adeguate motivazioni. Abbiamo bisogno di cura del territorio e trasporti pubblici locali, non di un’opera che costerà 117 milioni di euro al chilometro».

L’ANALISI COSTI-BENEFICI

La battaglia dei No Terzo Valico è sostenuta da autorevoli voci del mondo scientifico e accademico. Il professor Marco Ponti, docente di economia dei traporti al Politecnico di Milano – a lungo consulente per Banca Mondiale, Ministero dei trasporti e Ferrovie dello Stato – ha realizzato uno studio sul Terzo Valico, pubblicato ad aprile 2014 sul sito LaVoce.info. «Pur con ipotesi molto ottimistiche su costi e traffici, i risultati sono stati negativi. Ma non sono stati smentiti da alcuna analisi ufficiale, né economica né finanziaria – spiega – Non è chiaro quanto sarà a carico dei contribuenti e quanto degli utenti. E questo fa pensare che sarà tutta a carico dei contribuenti. Di certo non ci saranno finanziamenti europei, trattandosi di una linea nazionale. Chi vuole il Terzo Valico si basa su ragionamenti metafisici e ripete che serve “per il progresso” o “per rilanciare il porto”. Anche se i container da mandare a nord non ci sono: le previsioni di traffico degli anni ‘90 calcolavano una crescita infinita, ma il mondo è andato in una direzione diversa e il traffico attuale è inferiore del 40 per cento rispetto a quanto prevedevano».

Il professor Ponti fa notare come i pareri favorevoli provengano da soggetti non neutrali, che avrebbero vantaggi dall’opera, mentre la spesa di soldi pubblici ricadrebbe su tutti. «I sostenitori dimenticano di dire che il primo affidamento dei lavori al consorzio Cociv, senza bando di gara, risale addirittura al 1992 – continua – E che Mauro Moretti, quando era amministratore delegato delle Ferrovie dello Stato, ha dichiarato in pubblico che il Terzo Valico non serve». Chi lavora nelle ferrovie combatte però ogni giorno con linee in salita dove i treni merci faticano anche con due locomotori, mentre la coabitazione con quelli passeggeri causa continui ritardi. «E’ un problema superabile – continua Ponti – le linee sono sottoutilizzate e alle merci la velocità non interessa. Negli Stati Uniti vanno a 35 Km/h e usano la sestupla trazione: lo spostamento delle merci dai camion per un’ora di tempo risparmiato è velleitario».

SERVONO ANCORA 4,4 MILIARDI

Nel frattempo i primi due lotti costruttivi sono partiti con 500 milioni di euro del Governo Berlusconi e 1,1 miliardi del Governo Monti. Si tratta principalmente di espropri, costruzioni di nuove strade e avvio dei cantieri. Altri 200 milioni sono arrivati con il decreto “Sblocca Italia”. Ma secondo il decreto interministeriale che distribuisce i fondi – in attesa della registrazione della Corte dei Conti – i 200 milioni per il terzo lotto dovranno bastare sino al 2018. Quando i lavori dovrebbero essere quasi conclusi, e invece mancherebbero ancora 4,4 miliardi di euro.

I CANTIERI TRA FRANE ED ESONDAZIONI

A Isoverde, appena fuori Genova, le scritte No Tav firmano i cassonetti della spazzatura, le pensiline degli autobus e le lenzuola appese alle finestre. Qui sorgerà un campo base per gli operai e proprio nella montagna dietro al paese, a Cravasco, si scava una delle quattro gallerie di servizio. «Prima di cominciare i lavori dovevano allargare le strade – protesta Lorenzo Torrielli, artigiano della zona e membro del Comitato No Terzo Valico Valverde – Non è accaduto, e ormai passano anche più di cento camion e betoniere al giorno». Dopo il Passo della Bocchetta si arriva in Val Lemme e quindi in Piemonte. A Voltaggio è in costruzione un’altra galleria di servizio, la “Finestra Vallemme”, cominciata già negli anni Novanta e poi chiusa con una travagliata vicenda giudiziaria.

In questa valle di boschi con allevamenti di mucche sui prati i danni delle alluvioni sono stati numerosi. Il torrente Lemme è esondato e gli smottamenti hanno coinvolto anche la strada tra la Val Lemme e la Valle Scrivia, appena allargata per consentire il passaggio dei camion. «Anziché fare dei muraglioni di contenimento hanno usato dei blocchi di cemento – denuncia Mario Bavastro, vicepresidente di Legambiente Vallemme – La strada è franata ovunque e in un tratto si è spezzata. Queste montagne non reggono più, lo ripetiamo da anni».

«L’AMIANTO E’ POCO E NON PERICOLOSO»

La galleria di servizio detta “Finestra della Castagnola”, nel Comune di Fraconalto, è al confine tra Liguria e Piemonte. I cantieri arrivano davanti alle case. «I camion sollevano nuvole di polvere bianca – protesta una famiglia del borgo che vuole restare anonima per paura di ritorsioni – In queste montagne si è sempre detto che è probabile la presenza di amianto. Viviamo con le finestre chiuse, siamo preoccupati per la nostra salute».

Per il Cociv non c’è nulla da temere. Campioni di roccia sono stati analizzati dal Cnr, che ha rivelato una quantità di amianto modesta e non pericolosa.  Si lavora rispettando un apposito “protocollo amianto” prescritto dal Ministero dell’Ambiente, che sorveglia sui lavori insieme alle Regioni Liguria e Piemonte.

IL GEOLOGO: «ROTTO IL PATTO CON LA NATURA»

«L’eventuale presenza di amianto è un problema superabile ma farà aumentare i costi di un’opera già costosissima – avvisa il geologo Mario Tozzi, ricercatore del Cnr – La questione però è un’altra: la Liguria è probabilmente la regione più fragile d’Italia dal punto di vista idrogeologico. Con le ultime alluvioni è chiaro che dopo anni di abbandono del territorio, il patto con la natura si è rotto. Scavare nelle montagne non farà che aumentare il rischio di frane».   «Dovremmo usare i pochi soldi rimasti per la manutenzione di quello che abbiamo e non sta in piedi – precisa il climatologo e meteorologo Luca Mercalli – Anche perché con il cambiamento climatico queste zone rischiano di diventare ancor più vittime di precipitazione estreme».

ARQUATA SCRIVIA, L’ULTIMO BALUARDO

Ne sa qualcosa il Basso Piemonte, vittima di violente alluvioni a ottobre e novembre. La Galleria di Valico sbucherà ad Arquata Scrivia, i treni prenderanno il bivio per Torino a Novi ligure e quello per Milano a Tortona. In queste colline e pianure l’avversione contro la grande opera raggiunge l’apice. La base dei No Terzo Valico è ad Arquata, in uno dei pochi terreni ancora da espropriare proprio accanto al cantiere di Radimero. Qui partirà lo scavo della Galleria. Le bandiere sventolano su un campo con un cartello di legno e una scritta rossa: «Proprietà privata presidiata dal popolo No Tav». Nelle campagne circostanti ci sono stati scontri con le forze dell’ordine ad aprile – quando dopo una marcia con duemila persone alcuni attivisti hanno tagliato le recinzioni e occupato il cantiere – e a fine luglio, dopo un tentativo di esproprio degenerato con lanci di lacrimogeni e manganellate. A settembre un altro tentativo è fallito perché il terreno era occupato da centinaia di attivisti.

«Continueremo a presidiare la nostra base a oltranza – assicura uno dei leader dei No Terzo Valico di Arquata, Claudio Sanita – Da questo scavo usciranno milioni di metri cubi di terra e non sappiamo che polveri respireremo per anni. Per questo anche al prossimo tentativo di esproprio saremo in centinaia. Difenderemo il campo di Radimero a volto scoperto, con le unghie e con i denti. Ci prenderemo le manganellate e respireremo i gas lacrimogeni, ma non importa: dobbiamo difendere il nostro territorio e la nostra salute».

L’ultimo baluardo dei No Terzo Valico: “Lo difenderemo con le unghie e con i denti”ultima modifica: 2014-12-22T22:02:12+01:00da davi-luciano
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