Turchia, morte sospetta della corrispondente della PressTv: una giornalista scomoda

Teheran – Serena Shim, giornalista della Press Tv iraniana in Turchia, e’ morta ieri, in un drammatico incidente stradale, a pochi metri dal confine con la Siria.

Americana di origini libanesi, madre di due figli, la Shim stava tornando in albergo dopo aver concluso un servizio da Suruc, nella provincia turca di Sanliurfa, per raccontare il dramma di Kobane, citta’ curda della Siria, assediata dai terroristi dell’Isis.

Proprio laggiù e’ morta la giornalista: l’auto in cui viaggiava Serena è stata travolta improvvisamente da un camion. Questa la cronaca dello “strano” incidente: l’auto sulla quale si spostava abitualmente con il suo operatore, che è rimasto gravemente ferito ma non sarebbe in pericolo di vita, e’ stata improvvisamente travolta da un tir. Un tir “fantasma”: non si sa chi fosse alla guida, né il tipo di camion. E anche la dinamica è incomprensibile: si sa solo di un’auto distrutta. Di un cadavere. Di un ferito.

A fare accendere i fari sulla strana morte di Serena, un suo messaggio inviato dalla giovane giornalista venerdì scorso: come si legge sul sito web di Press Tv, la giornalista aveva riferito di essere stata “accusata dall’intelligence turca di spionaggio probabilmente a causa di alcune sue inchieste riguardo la posizione della Turchia rispetto ai miliziani dello Stato islamico a Kobane e nei dintorni”.

Serena stava seguendo la questione dell’ingresso dei terroristi in Siria attraverso il territorio turco. Diceva di essere in possesso di documenti per mostrare che i militanti takfiri (estremisti filo al Qaeda) entravano in Siria a bordo dei camion dell’Oms e delle Ong turche. Una inchiesta che avrebbe comprovato la complicità delle autorità turche con le organizzazioni dei terroristi che operano in Siria. Per questo aveva detto di temere per la sua vita.

“Il governo turco deve chiarire la morte di questa coraggiosa giornalista, corrispondente della Press TV in lingua inglese”,  lo  ha dichiarato Ibrahim Musawi , un analista politico libanese nel corso di un intervista alla Press TV.

“Il modo in cui Serena Shim ha perso la vita fa sorgere molti sospetti; la giornalista era stata accusata di spionaggio dalle autorità turche poichè indagava sui rapporti  del governo turco con la rete dei terroristi dell’ISIS (Daesh in arabo), lei stessa lo aveva denunciato”;  ha dichiarato Musawi.

I familiari della giornalista si ritengono che il governo di Ankara sia coinvolto in quanto accaduto alla Serena Shim e si preparano  ad una azione legale contro le autorità turche. Si aspetta una reazione da parte del governo degli Stati Uniti, visto che la giornalista aveva la nazionalità statunitense.

Fonti: Italian Irib  –  Hispantv
http://www.controinformazione.info/turchia-morte-sospetta-della-corrispondente-della-presstv-una-giornalista-scomoda/#more-7205

Ancora nel torrente Clarea l’acqua del cantiere Tav di Chiomonte

di Gabriella Tittonel

Siamo alle solite. Oggi pomeriggio, nonostante le prescrizioni a suo tempo emanate, quelle del divieto per il cantiere di Chiomonte, di sversare le acque del cantiere direttamente nel Clarea, l’acqua (del cantiere) ruscellava sotto le reti per poi finire nel torrente…

Ma non basta, perché  un grosso tubo è stato collocato, sempre  oggi, sul lato a sud del sottopasso a fondo cantiere. L’utilità di questo? Molte le ipotesi che si possono fare. Può essere utilizzato per sversare direttamente nel Clarea l’acqua raccolta. Oppure per convogliare la stessa in un piccolo bacino, oggi risistemato, lasciando lì decantare gli scarti delle lavorazioni, anche se ciò non può impedire ai liquidi di infiltrarsi nel terreno e poi lentamente scendere anch’essi nel torrente.

Insomma, non solo inutile, costosa, questa cosiddetta opera irrinunciabile ma soprattutto dannosa per la valle e non solo. Anche per le polveri. Sempre presenti, seppure non sempre percepibili e mescolate all’acqua uscendo dal nastro trasportatore. Ma presto asciutte e volatili…

G.T. 20.10.14

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L’ultrà del Tav a giudizio – report prima udienza

post — 20 ottobre 2014 at 18:15 

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Oggi prima udienza in tribunale penale per il senatore della repubblica Esposito Stefano, PD, imputato di diffamazione ai danni di 4 no tav (“mandanti degli attacchi, azione eversiva”, ecc.).

Fuori e dentro dell’aula grande spiegamento di mezzi: una quindicina tra carabinieri e agenti in borghese della digos, oltre alla scorta di Esposito.

Assente la titolare dell’accusa, la PM Quaglino, che ha lasciato il fascicolo ad un viceprocuratore onorario: non propriamente segno di grande interesse. Nessuna sorpresa, comunque, è uno dei processi che provano la discriminazione della procura nel campo no tav, e infatti parte dopo quasi tre anni dai fatti, e per farlo avanzare è stato necessario chiederne due volte l’avocazione. Quando a parti inverse (no tav imputati per diffamazione, stessa gravità del reato, stessa materia, stesso pool della procura…) lo zelo è sempre massimo e i tempi fenomenali: PM il 300% più veloci, e anche di più.

Tutto ok a Torino?

Per la cronaca, prossima udienza, pubblica, 6 febbraio 2015, sempre aula 80. Verranno sentiti i testimoni dell’accusa e ci sarà l’esame dell’imputato, Esposito.

State aggiornati per ulteriori notizie su questo e su altri procedimenti analoghi in cui Esposito è indagato.

Rinaldo Paladino

Condannato per Bolzaneto, stuprò in questura: colpevole anche il Viminale

http://www.ilfattoquotidiano.it/2013/10/01/condannato-per-bolzaneto-stupratore-in-questura-colpevole-anche-viminale/729751/

Il Fatto Quotidiano

All’agente genovese Massimo Pigozzi sono stati inflitti 12 anni e sei mesi per violenze carnali su quattro donne. Ma era già stato protagonista di uno dei più gravi episodi abusi nella caserma del G8 di Genova. I giudici dispongnono che a pagare i danni sia anche il ministero dell’Interno: “Non doveva metterlo di nuovo a contatto con i fermati”

Condannato per Bolzaneto, stuprò in questura: colpevole anche il Viminale

Dodici anni e sei mesi di reclusione. Definitivi in Cassazione. E’ la condanna subita da Massimo Pigozzi, agente di polizia ritenuto colpevole di quattro stupri consumati nel 2005 nella Questura di Genova ai danni di altrettante donne fermate, prostitute romene e senza fissa dimora che poi hanno identificato il poliziotto e riconosciuto le celle. E a pagare, hanno stabilito i giudici dovrà essere anche il ministero dell’Interno. Ma il nome di Pigozzi emerge anche nelle cronache del G8 di Genova del 2001. Nella caserma di Bolzaneto divaricò le dita di uno dei manifestanti fermati, fino a lacerargli la carne. Uno degli episodi più gravi tra le violenze e gli abusi compiuti nel centro di detenzione temporanea allestito per il vertice dei “Grandi”, costato all’agente un’altra condanna definitiva a tre anni e due mesi. La vittima, Giuseppe Azzolina, venne poi suturato nel centro medico di Bolzaneto con 25 punti, senza alcuna anestesia, e ha riportato un’invalidità permanente.

Anche su questa base i giudici hanno condannato il ministero dell’Interno a risarcire le vittime. Nelle motivazioni depositate oggi – il verdetto risale al 5 giugno – i giudici affermano che proprio dato il precedente di Bolzaneto, il Viminale non avrebbe dovuto mettere l’agente a contatto con persone fermate. Su questo punto la Cassazione ha ribaltato il verdetto della Corte di Appello che il 12 giugno 2012 aveva escluso la colpa del ministero, in quanto il “comportamento dell’imputato – per i giudici di secondo grado – non era finalizzato al raggiungimento di fini istituzionali”. Questo punto di vista non è stato condiviso dalla Cassazione che ha accolto il ricorso di una delle donne abusate che aveva chiamato in causa anche lo Stato a pagare, insieme al poliziotto, la cifra (non nota) fissata come risarcimento per gli abusi subiti nelle celle di sicurezza.

“E’ stato accertato – scrive la Cassazione, sentenza 40613 della Terza sezione penale depositata oggi – che i fatti si sono svolti all’interno di un ufficio di polizia e durante il servizio di vigilanza alle persone fermate, con abuso dei poteri e violazione dei doveri inerenti la funzione pubblica di agente di polizia”. I reati sono stati commessi nell’esercizio delle mansioni assegnate al poliziotto dunque, “andava confermata la responsabilità civile dello Stato che, peraltro, nonostante il Pigozzi fosse già stato coinvolto in fatti di violenza contro soggetti in stato di fermo e condannato in primo grado, ha ritenuto opportuno adibirlo ancora una volta allo svolgimento di mansioni che prevedevano il contatto diretto con le persone arrestate o fermate e che quindi rendevano elevatissimo il rischio di commissione di reati della stessa indole”. Con questa decisione – presidente Alfredo Teresi, relatore Lorenzo Orilia – la Cassazione ha deciso nel merito e ha ridato vigore all’originaria condanna inflitta anche allo Stato in primo grado.