libro di spifferatore bancario,E’ rarissimo che un whistleblower venga fuori dall’ambiente bancario.

E’ l’eccezione che conferma la regola il libro di cui si parla qui sotto.

di Vincenzo Imperatore
Io so e ho le prove
Editore Chiarelettere (2014)
148 pagg. 13 Euro

Da: http://www.affaritaliani.it/Rubriche/Il_rigoletto/il-rigoletto-io-so-e-ho-le-prove.html

Rigoletto

Il Rigoletto/ “Io so e ho le prove”. Il caso editoriale dell’autunno
E’ la prima volta che un ex manager bancario racconta tutto. Vincenzo Imperatore, per 20 anni nelle direzioni operative dei piu’ blasonati istituti di credito italiani, nel libro “Io so e ho le prove” svela i segreti, le strategie e i maneggi delle banche a danno del correntista. Dai costi eccessivi caricati sui conti correnti alla moltiplicazione delle commissioni. Dall’anatocismo all’usura. Fino alle manovre massive, aumenti quasi impercettibili dei tassi che piu’ del 90% dei correntisti non vede e che producono incassi d’oro per gli istituti…

di Angelo de’ Cherubini – 20 ottobre 2014

Le clamorose rivelazioni di Vincenzo Imperatore, gola profonda del sistema bancario, sono il libro del momento. Tre edizioni in una sola settimana. Come annuncia la casa editrice Chiarelettere, il libro al momento risulta quasi esaurito. E’ primo su ibs.it e amazon.it. Domenica sera alla Gabbia, su La7, il libro e’ stato paragonato alla Casta di Stella e Rizzo, un caso editoriale senza precedenti.

Introduzione

E’ la prima volta che un ex manager bancario racconta tutto. Vincenzo Imperatore e’ stato per vent’anni nelle direzioni operative di alcuni tra i piu’ blasonati istituti di credito italiani. Prima e dopo la crisi economica. La sua testimonianza svela i segreti, le strategie e i maneggi delle banche a danno del correntista.

I costi eccessivi caricati sui conti correnti (“almeno il 20 per cento di quello che il correntista paga non dipende dal tasso d’interesse”, scrive Imperatore). La moltiplicazione delle commissioni. Il ricatto psicologico dietro le richieste di rientro. L’anatocismo e l’usura. Le cosiddette manovre massive, aumenti quasi impercettibili dei tassi che piu’ del 90 per cento dei correntisti non vede e che producono incassi d’oro per gli istituti. Le procedure di calmierazione reclami per i clienti che si accorgono di movimenti strani sul conto e minacciano di chiuderlo (“Noi lo chiamavamo sistema 72H”, ricorda Imperatore).

Le tecniche per piazzare un diamante, una polizza assicurativa o un derivato (“Ci garantivano una redditivita’ enorme”). E ancora centinaia di irregolarita’ e leggerezze nella redazione dei contratti. Questo libro rappresenta finalmente uno strumento unico e imprescindibile dalla parte del correntista.

L’autore

Vincenzo Imperatore (Napoli 1963), laureato con il massimo dei voti in Economia e commercio, dopo un master in Business administration a Roma e’ stato quadro direttivo addetto alla gestione delle risorse umane, poi direttore di filiale, direttore Centro piccole e medie imprese e direttore di area nelle piazze piu’ importanti del Meridione. Nel 2012 sceglie la strada della libera professione e fonda InMind Consulting, societa’ di consulenza aziendale che tra le altre attivita’ assiste i propri clienti nelle ristrutturazioni dei debiti bancari.

Ricatti Psicologici

“Se li denuncio o protesto mi tolgono il fido.” E’ la paura di ogni correntista. Il ricatto psicologico delle banche. Molti di voi, purtroppo, si saranno trovati di fronte a un funzionario imbufalito, che con un tono stentoreo (mai usato prima di allora) ha minacciato: “Se non rientra immediatamente dallo scoperto, giro la pratica all’ufficio contenziosi”. E’ una di quelle situazioni dove nessuno si vorrebbe mai trovare. Il panico e’ la prima, legittima reazione. La fronte s’imperla di sudore e le parole per controbattere vengono meno.

E’ bene sapere, pero’, che si tratta di puro terrorismo psicologico. I manager bancari sono arroganti ma non stupidi. E non hanno alcun interesse a tradurre – soprattutto in un momento di profonda crisi economica – le situazioni in “contenzioso oggettivo”.

Allora perche’ tanta “crudelta’ ” con il cliente? Si tratta di pura tattica, per provare a recuperare quanto piu’ possibile e rafforzare una posizione che talvolta e’ piu’ debole di quanto possiate immaginare. Se la banca “gira” tutta la pratica, e quindi l’intera esposizione debitoria di un’azienda o di un correntista, a contenzioso, incamera in bilancio una perdita immediata dell’intero importo prestato o, quanto meno, “una previsione di perdita” non inferiore mediamente al 70-80 per cento dell’esposizione.

Se invece mantiene la posizione in “situazione incagliata” o “sotto controllo”, incamera in bilancio solo il costo dell’accantonamento e cioe’ della previsione di perdita (e non della perdita) che potrebbe, a puro titolo di esempio, essere tra il 20 e il 30 per cento. Cerca quindi di limitare i danni, facendo leva anche sull’atteggiamento vessatorio nei confronti dello sprovveduto correntista.

Quando la situazione con un cliente e’ irrimediabile, a tal punto da spingere la banca a interrompere il rapporto, e girarlo quindi a contenzioso, essa tenta a tutti i costi, come si dice in gergo, la “regolarizzazione formale” delle eventuali anomalie presenti nella contrattualistica prima di “attivare le garanzie” e cioe’ richiedere i soldi ai garanti del cliente oppure agire sui beni immobili degli stessi.

Soprattutto la regolarizzazione formale e’ svolta in maniera surrettizia e talvolta scorretta e serve a mettere una toppa sui contratti “irregolari” stipulati in precedenza con lo stesso cliente. Essa viene “camuffata” in due modi. Intanto, attraverso la concessione di un finanziamento da tre a cinque anni che non costituisce nuova finanza per il risparmiatore, ma serve solo a eliminare la pregressa esposizione di conto corrente. Altro non e’ che un piano di rientro (anche questo offerto in alternativa) camuffato da finanziamento.

Ma l’aspetto ancora piu’ subdolo consiste nell’inserimento nel contratto di finanziamento (o nel piano di rientro) di una clausola che manlevi la banca da ogni responsabilita’ riguardo alle irregolarita’ contenute nel precedente contratto di erogazione, di cui, ovviamente, il correntista non sa nulla. Pertanto, mentre il cliente pensa che l’istituto gli stia venendo incontro, deve sapere che in realta’ questo lo sta semplicemente fregando per la seconda volta.

La dicitura e’ su quasi tutti i contratti e spesso e volentieri e’ in cima alle clausole. “La parte mutuaria dichiara, sotto la propria esclusiva responsabilita’, che il presente mutuo, come dalla stessa richiesto, e’ destinato esclusivamente alla estinzione delle seguenti esposizioni nei confronti della banca medesima, da intendersi certe, liquide ed esigibili, e/o altri istituti finanziari.”

Segue l’esposizione debitoria e poi ricomincia: “Pertanto autorizza la banca, esonerandola da ogni responsabilita’ al riguardo, a utilizzare la somma erogata, e con valuta stipula atto, alla estinzione delle descritte debitorie, con esclusione di ogni effetto novativo per le esposizioni nei confronti della banca medesima”. Dietro il linguaggio “banchese”, fatto apposta per non essere compreso, si cela l’inghippo. Il segreto e’ proprio nel passaggio “estinzione delle descritte debitorie”. Insomma, con una semplice firmetta, scurdammoce ‘o passato, con tutto quello che ne consegue.

Queste due operazioni di “ripulitura” sono l’estremo tentativo di “sistemare” vecchi affidamenti che potrebbero contenere le irregolarita’ formali di cui stiamo parlando. Entrambe, in fase di giudizio, potrebbero rivelarsi frecce nell’arco del correntista.

La troika è già tra noi

Ma insomma appare veramente normale che l’uomo che ha operato i tagli relativi alla spendig review nel nostro Paese torno poi a fare il lavoro che faceva prima, e nello specifico alle dipendenze del Fondo Monetario Internazionale? Possibile che sul serio non si capisca come un conflitto di interessi serpeggi in modo così chiaro e allo stesso tempo gli italiani, pronti a stracciarsi le vesti per qualsiasi cosa di poco conto, non trovino poi neanche la capacità di cogliere una situazione così paradossale e non si trovi una persona che sia una, neanche nella cloaca di facebook, per sollevare qualche ragionevole dubbio? Carlo Cottarelli, finito il lavoro per il Governo Renzi sfociato nell’indicazione dei 15 miliardi di tagli all’interno della Legge di Stabilità 2015, fa insomma fagotto, lascia non senza qualche polemica l’Italia, e torna a Washington, alle dipendenze dell’Fmi. Tutto normale? Tutto nella norma?

A noi non sembra affatto. Colui che venne scelto dall’alto, ovvero per chiamata diretta, senza alcuna possibilità di consultazione popolare, per intervenire chirurgicamente in uno degli organi interni del nostro Paese, in una operazione praticamente a cuore aperto, è poi la stessa persona che lavora per un organismo che ha nel suo motivo di esistere una missione diametralmente opposta a quella che invece è propria di uno Stato. Il Fondo Monetario Internazionale lavora per le aziende transnazionali, per gli interessi privati di queste, per l’economico, il finanziario e il mercatismo, mentre chi opera per un Paese che si vuole sovrano dovrebbe operare per il sociale, per l’economia reale e per il bene pubblico.

Carlo Cottarelli, beninteso, non è il solo caso in questione. Ed è certo che di tagli agli sprechi il nostro Paese ha un disperato bisogno. Di altri casi è pieno, cioè è la norma, il mondo. Da Mario Draghi che da Goldman Sachs è passato poi alla Banca Centrale Europea e, per rimanere al caso italiano, da Mario Monti che nel 2010 è stato presidente europeo della Commissione Trilaterale (gruppo di interesse fondato da David Rockfeller) e membro del comitato elettivo del Gruppo Bilderberg. Non solo, tra il 2005 e il 2011 è stato international advisor per Goldman Sachs e membro del “Senior European Advisory Council” per l’agenzia di rating Moody’s. Per poi finire, quasi manu militari e con l’appoggio incondizionato di Giorgio Napolitano, a dirigere uno dei governi italiani che più di altri, tra il suo operato e quello della Fornero (quest’ultima un passato tra Intesa Sanpaolo, Confindustria e la World Bank) ha praticamente spianato la strada allo smantellamento sociale che stiamo vivendo.

Sono solo due nomi, i più recenti, di una lista lunghissima, tra Presidenti del Consiglio, Ministri e Sottosegretari e Consulenti tecnici dei vari governi degli ultimi decenni per portare qualche esempio.

La sostanza è sempre la stessa: esponenti di spicco di quel mondo lobbistico e finanziario, speculativo, a trazione statunitense e dunque votati da sempre al conseguimento del massimo profitto per le grandi aziende private transnazionali che vengono poi installati nei posti chiave dei vari Paesi per risolvere i problemi interni relativi al pubblico, al popolo. In qualità di “tecnici”, e si sa bene di quale ambito, con quali mansioni, con quali obiettivi, passano dal privato al pubblico per poi tornare ovviamente al privato e magari ottenere qualche ulteriore scatto in avanti, in carriera, dopo aver “prestato servizio”, a favore di chi è facile immaginarlo oltre che verificarlo di giorno in giorno sulla nostra pelle, in quei pochi mesi di lavoro nel settore pubblico.

Possibile che vada tutto bene, all’italiano medio? Possibile che continui ancora a votare per esponenti e partiti politici che poi, una volta al governo, non fanno altro che mettere la cosa pubblica nelle mani di questi “inviati” della speculazione privata?

E certo, prima che si levi la prima manina alzata, certo che di tagli agli sprechi ce ne è bisogno. Certo che le Regioni (per dirne solo una) oggi in combutta con Renzi per le indicazioni contenute dentro la manovra, debbano tagliare tutti gli illeciti (sotto forma di sprechi, di consulenze, di peculato di vario tipo) che hanno accumulato negli anni. Basti pensare al caso siciliano, così come è facile immaginare si debba fare in qualsiasi settore della cosa pubblica. Ma che sia una persona che ha nella missione di vita di tutto il suo lavoro quello di fare gli interessi del privato a decidere poi cosa debba avvenire a livello anche pubblico, è come nominare il capo d’impresa anche a rappresentante dei lavoratori dell’azienda.

Quella di Carlo Cottarelli è solo l’ultima parabola nota: dall’Fmi all’Italia e ritorno.

Per tutti quelli che non credono che la troika possa sul serio arrivare a governarci. Per tutti quelli che non hanno capito che la troika ci governa già.

Valerio Lo Monaco
http://www.ilribelle.com/la-voce-del-ribelle/2014/10/20/la-troika-e-gia-tra-noi.html
20.10.2014

UNA SECESSIONE AMERICANA ?

Postato il Lunedì, 20 ottobre
DI MARC TO MARKET
 
Si scopre adesso che anche gli Stati Uniti potrebbero essere oggetto di sentimenti secessionisti. Una Grande Mappa geografica mostra il il risultato di un sondaggio – svolto da Jim Gaines, per la Reuters – basato su dati tratti da Internet che analizzano le risposte ad una semplice domanda:
 
“Sei favorevole o contrario all’idea che il tuo stato si ritiri pacificamente dal Governo Federale U.S.A.?”
 
Si fa un gran parlare sulla frammentazione dell’ordinamento internazionale. Sia il fallimento del Doha Round in seno all’OMC, che gli sforzi per rendere concreti dei firewall nazionali, si riducono a mere informazioni digitali, come il calo della circolazione transfrontaliera dei capitali dopo il 2008, come il declino del commercio e ilcrescendo di un sentimento anti-immigrazione generalizzato, sono tutti particolari del quadro pessimistico dipintoda molti osservatori.
 
Il referendum scozzese inoltre ha sottolineato quanto lo stesso concetto di stato-nazione sia vulnerabile, per effetto delle forze centrifughe che si sono scatenate. Parti della Spagna vogliono andarsene. In varie parti dell’Italia e della Germania si odono rumori secessionisti e a volte sembra che, se non fosse per Bruxelles, il Belgio abbia giàcessato di esistere come paese.
 
Si scopre adesso che anche gli Stati Uniti potrebbero essere oggetto di sentimenti secessionisti. La GrandeMappa geografica, qui sotto, mostra il il risultato di un sondaggio svolto da Jim Gaines, per la Reuters. Ilsondaggio si è basato su dati tratti da Internet che riportavano le risposte – circa 9000 intervistati – ad unasemplice domanda:
 
“Sei favorevole o contrario all’idea che il tuo stato si ritiri pacificamente dal Governo Federale U.S.A.?”
 
secess
 I risultati sono stati rilevati da Gaines su base regionale ed è disponibile una analisi dei dati per categoriademografica stato per stato. Il rapporto di Gaines dimostra che i repubblicani sono più favorevoli dei democratici ad uscire dalla Federazione, gli indipendentisti sono più di destra che di sinistra, sono più giovani che anziani, hanno un reddito più basso e non sono laureati.
 
Aggregando i dati, risulta che circa un quarto (23,9%) degli intervistati ha risposto affermativamente alla domanda, arrivando ad una percentuale ben superiore a quelle raggiunte dalla maggior parte dei partiti anti-europeisti in Europa – come la UKIP e AfD (Ndt. : e la Lega in Italia). Che significa questo?
 
Significa forse che il prossimo anno, per il 150° anniversario della fine della guerra per l’indipendenza del Sud(guerra civile), gli investitori dovranno cominciare a preoccuparsi di un nuovo movimento secessionista?
 
Gaines riferisce che le conversazioni di follow-up con alcuni degli intervistati hanno potuto appurare che il votosecessionista era più un voto di protesta che un autentico desiderio di secessione. Il senso di frustrazione, secondo Gaines, era generalizzato, bipartisan, e profondamente sentito, anche se un po’ incoerente. Si tratta diun’espressione di disapprovazione per la direzione che il paese ha preso o che sta prendendo, piuttosto che una vera voglia di indipendenza.
 
Anche in Europa i sondaggi hanno verificato, sulla stessa falsariga, che molti elettori dei partiti anti-UE vogliono in realtà esprimere – anche loro – lo stesso stato di disapprovazione e frustrazione. In Germania, recentemente il partito  euroscettico AfD è riuscito a prendere seggi in due governi regionali tedeschi grazie alla sua agendasociale conservatrice, non per la sua posizione anti-europeista, motivo per cui si era da poco formato, per esempio.
 
Le élite politiche americane ed europee avranno il loro bel da fare con queste persone. Si potrà arrivare ad una soluzione economica solo per una parte del problema, che non è solo il ritmo della crescita o il livello della disoccupazione storicamente alto in molti paesi. La questione da risolvere veramente è la disparità di reddito e di distribuzione della ricchezza che indica come le misure aggregate dell’attività economica non siano più un elemento sufficiente per consentire alla cittadinanza un accesso ad una qualità di vita migliore.
 
In molti paesi ad alto reddito, la crisi sta passando sopra alle regole del contratto sociale che, pur di trovare la strada per uscire dalla crisi, viene calpestato e, visto  che non si trovano altre vie di  fuga, si continua a violarlo sempre più profondamente.
 
 
 
23.09.2014
 
Il testo di questo articolo è liberamente utilizzabile a scopi non commerciali, citando la fonte comedonchisciotte.org e l’autore della traduzione Bosque Primario

Usa, uno stimolo per i mutui subprime?

Il calo dei rendimenti dei titoli del Tesoro Usa rappresenterebbe un ulteriore stimolo all’espansione del mercato dei mutui e all’estensione dei prestiti immobiliari anche alla clientela più rischiosa. Lo sostiene il presidente di Yardeni Research.
 
Il calo dei rendimenti dei titoli del Tesoro Usa rappresenterebbe un ulteriore stimolo all’espansione del mercato dei mutui e all’estensione dei prestiti immobiliari anche alla clientela più rischiosa. Lo sostiene un’analisi di Ed Yardeni, presidente e Chief Investment Strategist della società di consulenza Yardeni Research. Il tasso di interesse medio applicato sui mutui a trent’anni, nota Yardeni su Business Insider, è sceso sotto quota 4% per la prima volta dalla fine di maggio del 2013. Uno stimolo implicito che si affianca alla ripresa del mercato delle costruzioni. Il totale delle nuove unità abitative, circa un milione l’anno scorso, dovrebbe crescere nel corso del 2014.
 
Ma il fattore decisivo, nota Yardeni, dovrebbe essere costituito dalla decisione del governo di concedere alle agenzie federali Freddie Mac e Fannie Mae di abbassare gli standard creditizi per i debitori più rischiosi. “Ci risiamo” nota Yerdeni. “Il governo ha incoraggiato il mercato dei subprime durante lo scorso decennio ed è finita molto male” aggiunge. Ora, conclude, “i due principali costruttori di mortgage-backed securities (i titoli derivati coperti dai crediti bancari nei confronti dei contraenti dei mutui, ndr), che saranno garantiti esplicitamente e non più implicitamente come in passato, dallo Stato, stanno studiando programmi per rendere più semplice il finanziamento di mutui a tassi ridotti fino al 3% per alcuni clienti”.
20 Ottobre 2014
http://www.valori.it/finanza/usa-uno-stimolo-mutui-subprime-8014.html?utm_medium=referral&utm_source=pulsenews

RENZI: NASO LUNGO, COPERTA CORTA. La balla degli sgravi fiscali

La balla degli sgravi fiscali

di Marco Della Luna

Ieri, 13.10.14, a Bergamo, davanti a un pubblico di Confindustria, Renzi annuncia tagli per 18 miliardi e pari riduzione della pressione fiscale per rilanciare l’economia, vantandosene.

Questo annuncio è incompatibile con l’ultimo DEF e con la Nota di Aggiornamento, in cui il governo formalmente si vincola, anche nei confronti dell’UE, ad aumentare la pressione fiscale fino al 2017, pure se continuerà la recessione; inoltre vi sono clausole di salvaguardia che faranno scattare aumenti dell’IVA, se necessario a garantire i saldi obbligati di bilancio. Insomma, il governo non può ridurre la pressione fiscale, anzi necessariamente la aumenterà.

Quindi Renzi ieri, a meno che intenda rompere con l’Eurozona – mossa che lo esorto e lo aiuterei a compiere -, ha mentito pubblicamente (mentire in politica non è immorale perché è indispensabile e perché vulgus vult decipi). Mentendo, ha raccolto il plauso prima degli sprovveduti industriali presenti in sala (che però forse hanno capito, a torto o ragione, che Renzi stesse dicendo loro: a voi abbasso le tasse, e mi rifaccio sul resto della popolazione), e poi dei mass media che stanno al gioco suo e di chi l’ha messo lì e lo dirige. Potenza degli spin doctors e dello story telling, che sanno lavorare con l’ignoranza e l’ingenuità persino degli imprenditori.

Quand’anche Renzi non avesse gli impegni di bilancio suddetti, non credo che gli sarebbe possibile trovare 18 miliardi senza tagliare trasferimenti alle pubbliche amministrazioni, senza tagliare i servizi ai cittadini o rincararli, senza aumentare altrove la pressione fiscale (penso alle incombenti revisioni catastali e alla solita introduzione di presunzioni di redditi inesistenti), cioè senza rivalersi diversamente sulla gente, come del resto ha fatto per la mancia degli € 80. Non è possibile, perché gli apparati dei partiti e la burocrazia vivono mangiando spesa pubblica attraverso sprechi creste, quindi se Renzi cercasse di tagliare spesa pubblica inutile e parassitaria, essi lo silurerebbero.

Ma anche se riuscisse a ridurre le tasse senza colpire in altro modo e cittadini, la cosa non avrebbe l’effetto di rilanciare l’economia nazionale, e ciò per due diverse ragioni, che adesso espongo.

Prima ragione: spostare i soldi non fa ripartire l’economia. E’ come tirare una coperta corta. Bisogna allungare la coperta, per farla ripartire. L’esperienza giapponese (e di altri paesi) descritta e analizzata matematicamente da Richard Werner nei suoi saggi The Princes of the Yen e New Paradigms in Macroeconomics, dimostra che sono senza effetto, ai fini della rilancio dell’economia, tutte le manovre di spostamento di liquidità (dal settore pubblico a quello privato o viceversa, dai consumi agli investimenti o viceversa, dalle imposte dirette a quelle indirette o viceversa).

L’unica manovra che abbia effetto di rilancio è l’aumento della liquidità nell’economia reale. Ma al contrario noi abbiamo oramai, in Italia, una continua sottrazione della liquidità, per effetto di 1)trasferimenti netti a UE (diamo all’UE più di quanto di ritorna); 2)trasferimenti al Meccanismo Europeo di Stabilità (57 miliardi); 3)fuga di capitali (solo quest’anno, 67 miliardi); 4)rimesse degli immigrati; 5)contrazione del credito concesso dalle banche. Quindi la coperta continua ad accorciarsi, riducendo non solo la domanda e gli investimenti, ma la stessa solvibilità dei debiti già contratti, quindi facendo dilagare insolvenze e fallimenti e diffondendo un clima di cupa sfiducia nel futuro. Va precisato che questo dissanguamento monetario sistematico non è accidentale – altrimenti sarebbe inspiegabile – bensì viene portato avanti dalle istituzioni nazionali ed europee al fine di costringere l’Italia a svendere i suoi assets e mercati sottocosto a capitali finanziari stranieri, nonché a cedere loro il potere politico sul Paese.

Si noti che gli oltre 2000 miliardi creati dalla Banca centrale europea e immessi nel sistema bancario dell’eurozona, non hanno prodotto alcun rilancio dell’economia reale, la quale sta rallentando persino in Germania e Finlandia; e questo perché sono andati in impieghi improduttivi, speculativi, e non nell’economia reale. Se Draghi e soci avessero voluto rilanciare l’economia, fare il bene della gente, avrebbero immesso quei soldi nel settore produttivo.

Seconda ragione: Renzi potrebbe ancora dire che i suoi famosi 18 miliardi li sposterà, mediante una dura spending review, da impieghi pubblici aventi basso effetto moltiplicatore sul reddito nazionale – che so, 1,1 – a impieghi privati di famiglie e imprenditori aventi più alto moltiplicatore sul reddito nazionale– che so, 1,3, così che produrranno un aumento del reddito di 5,4 miliardi anziché di 1,8. Ma anche questo non può avvenire, perché condizione affinché le famiglie spendano di più anziché mettere da parte, e le imprese investano di più anziché tesaurizzare, è che il quadro complessivo del sistema-paese sia positivo e le aspettative siano pure positive, che ci sia fiducia.

La famiglia non spende ma risparmia, se teme il futuro; e, se spende, compra prodotti di importazione, meno costosi – quindi quella spesa non aiuta il reddito nazionale ma peggiora la bilancia dei pagamenti.

L’imprenditore, a sua volta, non investe e non assume, se non prevede una domanda che assorba i suoi prodotti. Il rimedio, allora, sarebbe quindi quello keynesiano: non tagliare la spesa pubblica, ma dirigerla per quanto possibile, anche aumentandola a deficit, in investimenti pubblici utili e ben progettati, infrastrutturali, che, traducendosi direttamente in appalti, inducano assunzione di forza lavoro quindi domanda solvibile, e insieme migliorino l’efficienza e la produttività, quindi la competitività, del sistema paese. Ma, nell’Europa del rigore, della crescita e della solidarietà, questo tema è tabù.

Intanto, i capitali, le imprese migliori, i tecnici e i ricercatori, i giovani, stanno emigrando in massa, e l’Italia diviene una bara previdenziale-assistenziale, cioè un deposito, forse uno smaltitoio, di pensionati, di disoccupati, di sussidiati, di lavoratori a nero, di immigrati mantenuti. Questo processo oramai è consolidato e si alimenta da sé.

Volete una ricetta per un lieto fine di questo articolo? Molto semplice: la BCE emette nuovo denaro e, invece di regalarlo alle banche, lo usa per pagare gli interessi sul debito pubblico dei paesi aderenti, rinunciando a richiedere loro il rimborso, ma con vincolo a destinare le somme così risparmiate per 1/3 a riduzione della pressione fiscale generale e per 2/3 a investimenti infrastrutturali nel senso sopra indicato. 14.10.14

Marco Della Luna.info
http://www.controinformazione.info/renzi-naso-lungo-coperta-corta-la-balla-degli-sgravi-fiscali/#more-7166

Una scelta di vita o di morte fra due sistemi

di Lyndon La Rouche

Questa settimana si riuniscono a Washington DC, quelli del G-20, il FMI ed i BRICS  ed al margine di queste riunioni si riuniranno anche i rappresentanti del gruppo dei BRICS (Brasile , Russia, India, Cina e Sud Africa) per esaminare la partenza della Nuova Banca dello Sviluppo dei BRICS, creata di recente in Luglio nel corso del vertice dei BRICS  in Brasile. Questa settimana  quindi  una storia di due sistemi in una stessa città.

Come tale rappresenta quello che il poeta tedesco Federico Schiller caratterizzava come un “movimento gravido”, nel momento in cui,  se non  si offre una leadership per far avanzare l’umanità, il risultato sarebbe la tragica distruzione dell’umanità.

La realtà che molti rifiutano di riconoscere è quella che la regione transatlantica è ormai un sistema moribondo, che continua a cercare di imporsi sul resto del mondo. Il regime del FMI e della Banca Mondiale ha abbandonato già da molto tempo il proposito di Franklin D. Roosevelt (il fondatore)  di utilizzare i metodi del sistema americano dello sviluppo economico dopo la seconda guerra mondiale, in opposizione al sistema imperiale genocida britannico. La continuazione dell’ esistenza di questo  produce soltanto i peggiori incubi dell’austerità genocida, malattie epidemiche e guerre perpetue giorno per giorno. Si tratta di un sistema anti umano opposto completamento al vero proposito di sviluppo dell’umanità  ed alla utilizzazione delle capacità creative dell’umanità per dominare le leggi dell’universo ed esercitare il dominio sull’universo fisico mediante la scienza e la tecnologia.

In contrasto con questo dantesco sistema moribondo, sta sorgendo un nuovo sistema planetario centrato nei paesi del BRICS.

Di fronte al fatto che il sistema del FMI e della Banca Mondiale si rifiutano di ritornare al proposito originale del sistema della post guerra di Bretton Woods di creato da Rooswelt, queste nazioni hanno preso l’iniziativa per creare il seme di un nuovo sistema di Bretton Woods come quello che ha promosso già da tempo Lyndon La Rouche, per sostituire il sistema del FMI e della Banca mondiale che si trovano finanziariamente e moralmente in bancarotta (vedere “La Rouche’s 40 Year Recors, a new International Economic Order”). Per questo fine, nel suo recente vertice che si è svolto a Fortaleza, Brasile, il gruppo dei BRICS, ha creato una Nuova Banca dello Sviluppo, sulla quale discuteranno più ampiamente questa settimana in Washington, D.C..

Da allora, le nazioni dei BRICS hanno lanciato una offensiva globale, non soltanto per sviluppare i propri paesi e popoli, ma anche per offrire al resto del mondo l’opportunità di far diventare realtà le proprie aspirazioni per lo sviluppo. Altre nazioni con veri leaders impegnati con i loro popoli e con l’umanità in generale, come Argentina ed Egitto, benchè  formalmente non siano membri del BRICS ,si sono unite a questa lotta.

Mentre la regione  Transatlantica e Giappone hanno abbandonato la scienza e la tecnologia e in questo modo hanno abbandonato il futuro dell’umanità. In specie per i giovani che patiscono la disoccupazione cronica, le nazioni dei BRICS ed loro dirigenti si sono impegnati con una politica di sviluppo. Il primo ministro dell’India, Narendra  Modi, ha fatto una chiamata recentemente per creare un movimento di massa nella tradizione del Mahatma Gandhi e di Matin Luther King, Jr., questa volta impegnato con lo sviluppo. Gli indiani non soltanto sono riusciti a mettere in orbita su Marte un satellite nel loro primo tentativo, ma hanno anche lanciato uno programma chiamato INSPIRE per motivare i giovani indiani a partecipare nel loro programma spaziale.

I cinesi si sono impegnati in un programma lunare orientato ad esplorare l’helio 3 per utilizzarlo come combustibile per l’energia di fusione. In se questo rappresenta un impegno a dominare le leggi del sistema solare, qualche cosa che gli USA hanno abbandonato per completo dall’assassinio del presidente Kennedy.

La caratteristica dei BRICS nel suo insieme non è geopolitica, come lo sono gli Stati uniti, l’Europa ed il Giappone sotto il dominio dell’impero britannico. Mentre che l’Occidente ha abbandonato effettivamente il principio del trattato di Westfalia- l’operare a favore dell’altro (mutua assistenza fra gli stati)-il principio che ebbe termine con la Guerra dei trenta anni nel 1.600, il principio dei BRCS è quello di incetivare la creatività per se stessi e per gli altri.

Intanto che il mondo  si trova ad affrontare  una espressione moderna dei quattro cavalieri dell’Apocalisse-il crollo finanziario, le malattie epidemiche,decadimento e guerra perpetua che conduce ad una estinzione termonucleare- esiste soltanto una via d’uscita.  L’Occidente, comandato dagli USA, deve riconoscere che ha perso la corsa ed ha perso  la sua missione dal cielo. Bisogna ritornare alla nostra migliore tradizione dei Padri Fondatori . Una volta di più dobbiamo arrivare ad essere un faro di speranza ed un tempo della libertà per il mondo.

Noi negli Stati Uniti dobbiamo smettere di evadere la realtà e finire di mentire a noi stessi, o altrimenti, come il protagonista di una tragedia classica, moriremo per effetto dei nostri stessi deliri autodistruttivi ed alla nostra codardia. In ultima istanza, l’opzione è la tua! Scegli l’unione con i BRICS per una pace basata nello sviluppo!

Fonte: Espia digital

Traduzione: Luciano Lago
http://www.controinformazione.info/una-scelta-di-vita-o-di-morte-fra-due-sistemi/#more-7171

Dove inizia la “soglia della NATO”?

di Igor Siletskij

l Pentagono ha precisato che il Segretario della Difesa Chuck Hagel non ha minacciato la Russia in alcun modo. Eppure, come si devono capire le parole di Hagel secondo cui le forze armate degli USA “dovranno avere a che fare con la Russia revisionista”?

Non c’è nessun chiarimento in merito. Mosca però ne desume che il Pentagono stia studiando degli scenari di operazioni da svolgere alle frontiere della Russia.

È toccato all’ammiraglio John Kirby intervenire per chiarire la posizione del Pentagono nei confronti della Russia. In questo è stato aiutato dal principale esperto del Dipartimento di Stato per le situazioni delicate – Jen Psaki.

Al giornalista che ha chiesto di spiegare che cosa voleva dire Hagel quando ha chiamato la Russia “revisionista”, Kirby ha risposto che intendeva l’intenzione di Mosca di “tornare ai gloriosi giorni dell’Unione Sovietica”. All’ammiraglio è stato chiesto anche come poteva la Russia avvicinarsi alla NATO, se in realtà è stata la NATO ad avvicinarsi alle frontiere della Russia mediante l’inclusione di nuovi membri. La risposta dell’ammiraglio è stata esauriente: questa è la visione del presidente Putin, Washington vede la situazione diversamente.

Jen Psaki, da parte sua, ha dichiarato che la minaccia viene dalla Russia e non da parte della NATO, e questa minaccia “è percepita da altri Stati”. Dopo ciò i giornalisti sono stati invitati ad andarsene. La domanda principale è rimasta sospesa nell’aria.

Il tutto è cominciato con il discorso che il capo del Pentagono ha pronunciato alla conferenza annuale dell’Associazione dell’esercito americano. Hagel ha dichiarato: i criteri cui dovranno essere conformi i militari saranno sempre più complessi.
Attualmente i nostri soldati si trovano in Polonia e negli Stati baltici, dove rinforzano e sostengono i nostri alleati di fronte all’aggressione russa. Il ruolo dell’esercito potrà solo crescere. Per molto tempo ancora vivremo con varie minacce che vengono dai terroristi e dai ribelli. Ma dobbiamo fare qualcosa anche con la Russia revisionista, il cui esercito, moderno e con notevole capacità combattiva, è già alla soglia della NATO.

Delle dichiarazioni del genere ne abbiamo sentite anche prima e anche di livello più alto. Parlando all’ONU lo stesso presidente Obama ha messo la Russia al secondo posto nella graduatoria delle minacce al mondo, tra l’Ebola e il terrorismo. Dopo ciò il primo ministro della Russia, Dmitry Medvedev, ha espresso la sua preoccupazione per lo stato di salute dei politici americani.

Ciò è un fatto molto triste. Deve essere una specie di aberrazione. Ma di che “reset” possiamo parlare? Occorre tornare alla posizione di normalità, almeno a livello zero, solo dopo ciò si potrà parlare di come svilupperemo i rapporti nel futuro. Non chiudiamo la porta a nessuno. Vogliamo essere in rapporti costruttivi e amichevoli con tutti i popoli civili.

Tornando al discorso di Hagel, quello che più colpisce è appunto l’affermazione che la Russia “è già alla soglia della NATO”. Negli ultimi 20 anni è stata proprio la NATO a violare tutti gli accordi e tutte le promesse fatte alla Russia. Probabilmente adesso spera di poter chiudere un capitolo di questo rapporto, dice il politologo russo Aleksey Fenenko.

È un’esortazione a rivedere l’Atto costitutivo Russia-NATO. Nel 1997 abbiamo raggiunto con la NATO un’intesa che obbligava l’alleanza a non dislocare grandi forze nel territorio dei nuovi membri nel mar Baltico e nel mar Nero. Tuttavia, dopo il vertice di Galles, gli americani dicono che qui deve essere dislocata l’infrastruttura militare degli USA. Penso che fra poco cominceranno a farlo.

In modo analogo le parole di Hagel sono state intese dal Ministero della Difesa della Russia. Ciò dimostra che il Pentagono sta studiando degli scenari di operazioni in vicinanza delle frontiere russe, ha dichiarato il ministro della Difesa Serghei Shoygu. Il ministro ha fatto ricordare che oggi nel mondo non esiste nessun focolaio di tensione in cui non fossero presenti i militari degli USA. Anzi, dopo le “missioni di democratizzazione” le regioni del loro intervento sprofondano in un caos di sangue. Gli esempi sono noti: Iraq, Libia, Afghanistan, e adesso anche la Siria. Persino l’Ucraina con la sua tragedia non è rimasta senza “premura” del gruppo operativo del comando centrale delgi USA, ha detto il ministro Shoygu.

Il portavoce del presidente russo, Dmitry Peskov, ha dichiarato che Mosca è rammaricata dal fatto che Washington stia facendo delle dichiarazioni tanto emotive e poco professionali che non corrispondono in alcun modo alla realtà.

Fonte: Italian.ruvr.ru
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La silente guerra al terrorismo della Russia

di Giovanni Giacalone

Mentre diverse organizzazioni islamiste e predicatori radicali trovavano rifugio in numerosi paesi europei come la Gran Bretagna, la Finlandia, il Belgio, la Germania e l’Austria, in Russia già nel febbraio 2003 la Corte Suprema dichiarava fuorilegge numerose organizzazioni ritenute terroriste dalle autorità di Mosca; tra di loro al-Qaeda, Gamaa al-Islamiya, Fratelli Musulmani, Hizb u-Tahrir, Lashkar e-Taiba, al-Haramain.

La Repubblica Federale di Russia è da anni alle prese con una dura lotta contro gli estremisti islamici nel Caucaso ma al di là dei fatti più eclatanti come la tragedia di Beslan o l’attacco al teatro Dubrovka, se ne sente parlare poco. Nei due casi sopra citati ci furono molte critiche da parte dei media occidentali per come vennero gestite le operazioni di salvataggio ma sorge lecito chiedersi in che modo le autorità dei paesi dell’EU o degli Usa sarebbero riusciti a gestire situazioni così complesse. I terroristi ceceni hanno messo alla prova anche l’amministrazione Obama con l’attentato alla maratona di Boston e l’esito non è certo stato dei migliori. Fatto sta che il teatro ceceno e quello daghestano hanno fatto scuola e la Russia oggi sa come gestire il terrorismo di matrice islamica, lo ha dimostrato di recente ma anche in passato.

Infatti, mentre diverse organizzazioni islamiste e predicatori radicali trovavano rifugio in numerosi paesi europei come la Gran Bretagna, la Finlandia, il Belgio, la Germania e l’Austria, in Russia già nel febbraio 2003 la Corte Suprema dichiarava fuorilegge numerose organizzazioni ritenute terroriste dalle autorità di Mosca; tra di loro al-Qaeda, Gamaa al-Islamiya, Fratelli Musulmani, Hizb u-Tahrir, Lashkar e-Taiba, al-Haramain. 1 L’Emirato del Caucaso, nato nell’ottobre 2007 dalle ceneri dell’ex movimento secessionista della Repubblica Cecena di Ichkeria, ha sostituito l’iniziale ideologia indipendentista con quella jihadista puntando alla costruzione di un “Emirato” islamico in Caucaso. La nuova organizzazione di Dokku Umarov si è resa responsabile di numerosi attentati in suolo russo, come la bomba alla metropolitana di Mosca del 2010 e quello all’aeroporto Domodedovo del gennaio 2011. La risposta russa è però stata decisa ed è andata a colpire nelle aree dove questi gruppi facevano base; come conseguenza, nell’arco di pochi anni l’organizzazione è stata depotenziata, resa inoffensiva e la sua leadership decapitata. Lo dimostrano gli obiettivi stessi degli attentatori: se inizialmente sia il separatismo ceceno che l’Emirato mirava a colpire Mosca, dopo il 2011 i terroristi hanno fatto sempre più fatica a raggiungere la capitale e si sono concentrati prevalentemente in territorio caucasico.

Nell’estate del 2013 Dokku Umarov fece la voce grossa minacciando attentati alle Olimpiadi invernali a Sochi del febbraio 2014, località sul Mar Nero certamente non lontana dalle aree dove ancora sono presenti alcune formazioni jihadiste. Nonostante ciò l’Emirato non è riuscito a spingersi oltre Volgograd con i ben noti attentati del 29 e 30 dicembre, il primo alla stazione dei treni e l’altro su un bus di linea. Due attentati indubbiamente drammatici, con 32 morti e un’ottantina di feriti che andarono ad aggiungersi a quello di due mesi prima, sempre a Volgograd, nel quale una donna kamikaze si fece saltare in aria su un bus frequentato in prevalenza da studenti universitari. Il risultato fu l’uccisione di numerosi terroristi, tra cui il mandante nonché marito dell’attentatrice suicida, Dmitry Sokolov e dello stesso leader dell’Emirato del Caucaso Dokku Umarov. Le forze di sicurezza federali diedero il via a una serie di operazioni in tutto il Caucaso ma prevalentemente in Daghestan, con un continuo e sistematico assedio alle varie bande jihadiste. Nel febbraio 2014 venne ucciso in Daghestan Jamaldin Mirzaev “Abu Abdullah”, leader della milizia “Kadar” e tra gli organizzatori degli attentati di Volgograd. Pochi giorni dopo toccò a Sheikh-Akhmed Baisuev, noto anche come “l’emiro di Gudermes”.

In Daghestan e altre zone del Caucaso come la Kabardino-Balkaria, l’Inguscezia e la Cecenia le autorità locali sono sistematicamente alle prese con bande di jihadisti che spesso fondono la “religione” con attività illegali di vario tipo legate al banditismo. In più occasioni civili e militari sono diventati bersaglio degli estremisti, come il 17 gennaio 2014 quando alcuni terroristi spararono con un lancia granate contro il secondo piano di un ristorante nel centro di Makhachkala; il giorno seguente le truppe federali accerchiarono l’abitazione dove si nascondevano gli organizzatori dell’attentato che vennero uccisi dopo un breve conflitto a fuoco. In Daghestan soltanto nei mesi di agosto e settembre 2014 ben 12 terroristi sono stati eliminati dalle forze di sicurezza e 32 gli arrestati. L’ultima operazione di questo mese risale alla notte di giovedì Derbent, nella zona meridionale del paese, dove una cellula composta da tre jihadisti è stata neutralizzata.

Lo scorso 6 ottobre le forze speciali russe hanno ucciso, durante uno scontro a fuoco, Alidibir Asludinov, estremista da poco rientrato in Daghestan dopo essere stato per un anno e mezzo in Siria a combattere insieme ai jihadisti; secondo fonti locali, Asludinov si era unito alla banda “Kizilyurt” ed era in procinto di preparare un attentato. La jihad fa breccia li dove lo Stato e le sue istituzioni sono assenti, questo è un dato di fatto e la Russia l’ha sperimentato in prima persona in seguito al crollo dell’Unione Sovietica, quando i vari movimenti islamisti radicali hanno iniziato il processo di infiltrazione, non solo nel Caucaso ma anche nelle repubbliche dell’Asia centrale come l’Uzbekistan, il Tajikistan e il Turkmenistan. Fatto sta che la Russia ha dovuto trovare in tempi brevi le modalità più opportune per affrontarlo e i risultati sono sotto gli occhi di tutti.

Fonte: L’Intellettuale dissidente
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Renzi per la guerra i soldi li trova: soldati italiani tornano in Iraq

Dopo il vertice con Barack Obama, l’ammiraglio Binelli Mantelli e i generali turchi che bombardano il Pkk, l’Italia invierà armi e militari nella regione di Erbil in Iraq.

di Manlio Dinucci

L’Italia invierà armi e militari nella regione di Erbil in Iraq, per rafforzare «le capacità di autodifesa dei kurdi» contro l’avanzata dell’Isis: lo annuncia la ministra della difesa, Roberta Pinotti, alle commissioni riunite Esteri e Difesa di Camera e Senato. Non a caso due giorni dopo che il capo di stato maggiore della difesa, l’ammiraglio Luigi Binelli Mantelli, ha partecipato in rappresentanza dell’Italia alla riunione, nella base militare di Andrews (Washington), delle massime autorità militari dei 22 paesi della coalizione la cui missione ufficiale è «degradare e distruggere l’Isis».

All’incontro – presieduto dal generale Martin Dempsey, capo dello stato maggiore congiunto degli Stati uniti – è intervenuto Obama, sottolineando che gli Usa intensificheranno «l’azione contro obiettivi sia in Iraq che in Siria», nel quadro di una coalizione internazionale. Gli alleati degli Usa, oltre ai raid aerei in ambedue i paesi, forniscono «armi e assistenza alle forze irachene e all’opposizione siriana» (contro Assad) e «miliardi di dollari di aiuti», definiti «umanitari».

In ambienti vicini alla Casa Bianca si ritiene che, nonostante l’impegno ufficiale di non impiegare soldati in missioni di combattimento in Iraq e Siria, Obama stia preparando l’invio di forze speciali (Berretti Verdi, Delta Force, Navy Seals), che si aggiungeranno ai «consiglieri» e agli «addestratori» già sul terreno per la «guerra coperta».
Intanto Washington preme perché gli alleati si assumano maggiori compiti, comprese operazioni terrestri. Non è dato sapere quali impegni abbia assunto per l’Italia, a Andrews, il capo di stato maggiore. Lo si può però dedurre dall’annuncio della Pinotti.

L’Italia non solo fornirà «ulteriori stock di munizioni di modello ex-sovietico, provenienti dal materiale confiscato nel 1994», ma anche «armi e munizioni controcarro in uso all’Esercito italiano», più un aereo KC-767 per il rifornimento in volo dei caccia e due velivoli Predator a pilotaggio remoto, presto affiancati da «altri assetti pilotati per la ricognizione aerea». L’Italia invierà inoltre 280 militari per l’addestramento e la formazione di forze kurde e, fatto ancora più importante, «una cellula di ufficiali per le attività di pianificazione».

È dunque un comando avanzato per nuove operazioni militari effettuate in modo coperto da forze speciali italiane, oggi potenziate con la nascita del nuovo comando unificato istituito alla caserma della Folgore a Pisa.

L’intervento militare italiano in Iraq rientra nella strategia statunitense. E i kurdi che l’Italia va a sostenere sono quelli della Regione autonoma del Kurdistan, centro petrolifero in grande ascesa e sede di decine di compagnie Usa e occidentali, sotto la presidenza di Masoud Barzani, capo del Partito democratico del Kurdistan, fedelissimo degli Usa.

Non a caso, mentre colpisce le forze dell’Isis che minacciano la regione in cui è al potere Barzani, l’aviazione statunitense e alleata fa quasi cilecca nel colpire l’Isis che attacca la zona del Pkk, le cui forze (che sono quelle che combattono realmente l’Isis sul fronte del confine siriano) vengono per di più bombardate dall’aviazione turca.

Significativo è che all’incontro di Andrews abbia partecipato il capo di stato maggiore della Turchia e che la Casa Bianca abbia minimizzato gli attacchi aerei turchi contro i kurdi del Pkk, assicurando che sono in corso colloqui su «ulteriori impegni» di Ankara. Lo stesso avviene in Siria, dove gli attacchi aeronavali Usa stanno demolendo non l’Isis, ma le installazioni petrolifere siriane per far crollare il governo di Damasco.

Obama, dopo l’incontro di Andrews, ha rimarcato che «distruggere l’Isis resta una missione difficile» e che «siamo appena agli inizi di una campagna a lungo termine». Non c’è dubbio, dato che l’Isis – costruito dai Paesi sunniti del Golfo a partire dall’Arabia saudita e dal fronte degli «Amici della Siria», tra cui Usa, Turchia, Gran Bretagna – corrisponde alla strategia statunitense che, dopo aver demolito con la guerra lo Stato libico e aver quasi demolito quello siriano, mira a balcanizzare l’Iraq, smembrandolo in tre regioni semi-autonome (kurda, sunnita, sciita) o in tre distinti Stati.

In questa lunga e costosa guerra viene portata l’Italia. I soldi non mancano: nella legge di stabilità, quelle per le «missioni internazionali di pace» (leggi missioni di guerra) vengono definite «spese indifferibili».

Fonte: Nena News
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Poveri, profughi economici e vittime dei massacri sociali, ossia il progetto europeo

di Eugenio Orso

“Il numero di persone a rischio di povertà potrebbe rimanere nel 2020 vicino a 100 milioni. E’ uno scandalo per l’Unione Europea che è la prima potenza economica del mondo. Accettare questo è inconcepibile“. Lo ha detto Laura Boldrini, presidente della Camera nell’intervento alla Conferenza sulla Carta Sociale Europea. (ANSA – Torino, 18 ottobre, ore 13:34)

In prima battuta, prima di entrare nel merito della questione, si potrebbe ben dire “da che pulpito viene la predica”! Trattandosi della Boldrini, che rappresenta le istituzioni di un paese asservito alla troika, la denuncia suona di moneta falsa, ha un che d’ipocrita ed è assolutamente manierista. Infatti, Boldrini è un prodotto della sinistra più moderna, infame e mercenaria, che per sopravvivere ai grandi cambiamenti dell’ultimo ventennio si è messa al servizio delle élite neocapitaliste. Di tanto in tanto, ne denuncia i crimini guardandosi bene, però, dall’indicare i colpevoli. Se l’unione europoide, con le sue politiche economiche improntate all’assoluto rigore, è responsabile di questa grande ondata di povertà nel vecchio continente, la Boldrini dovrebbe essergli ferocemente avversa. Eppure le cose non stanno in questi termini, perché l’”europeismo” invasivo della sinistra, adoratrice del feticcio sopranazionale, riemerge sempre e così la devozione nei confronti dei padroni e della loro unione finanziaria-elitista.

Sempre Boldini: “Abbiamo bisogno di un’Europa più forte, che risponda ai populismi dimostrando ciò che sa fare” (Intervento conclusivo – Conferenza internazionale ‘Il valore dell’Europa. Crescita, occupazione e diritti: l’Unione europea alla prova’ – Montecitorio, Sala della Regina, 14/03/2014); “La sfida che dobbiamo raccogliere, dopo anni di reticenza e disimpegno è restituire all’Italia l’orgoglio di battersi per gli Stati uniti d’Europa” (aprile 2014); “Non dobbiamo abbandonare il sogno degli Stati Uniti d’Europa” (incontro all’università di Catania, ottobre 2014); “Anche qui in America c’è preoccupazione per il rischio di un’avanzata delle forze populiste, euroscettiche, in grado di rallentare il progetto europeo” (da Washington, maggio 2014, prima delle elezioni europee).

Fin troppo stridente la contraddizione, tipica non solo della marionetta targata sel che deve fingere il rinnovamento istituzionale italiano, ma di tutta la sinistra euroserva, non soltanto nostrana. Da un lato, si denunciano gli squilibri sociali generati dal “progetto europeo”, dall’altro lato, si dichiara guerra ai populismi – ossia a chi sta, pur timidamente, dalla parte delle popolazioni impoverite – e si esalta il sogno elitista degli stati uniti d’Europa. Si critica solo a parole il massacro sociale in atto, ma si vorrebbe perpetuarlo portando il “progetto europeo”, venduto alle masse come un sogno calato dall’alto, fino alle estreme conseguenze. A ben vedere, la cosa non è paradossale, ma soltanto una manifestazione di cattiva coscienza della sinistra liberal, che liscia il pelo a chi soffre, per carpire o mantenere un po’ di consenso, e contemporaneamente dichiara fedeltà al padrone, che altrimenti la schiaccerebbe, non concedendogli premierati, presidenze della repubblica e presidenze della camera. Alle dichiarazioni scandalizzate sulla povertà in Europa non fanno seguito cambi di politiche economiche applicate, perché quelle non le può decidere la sinistra liberal, ma l’élite finanziaria che usa il servitore politico.

Già oggi, prima che entrino bene in circolo lo jobs act renziano, le privatizzazioni, gli ulteriori aggravi fiscali e tariffari a livello locale indotti dalla legge di stabilità, sembra che i poveri, in Italia, siano ben 16 milioni, compreso più di un milione di minori alla fame, con la tendenza a crescere da qui al 2020. Possiamo ragionevolmente presumere che vi saranno ondate di “profughi economici” europei in Europa. Profughi interni, costretti a spostarsi da sud a nord, dal Mediterraneo al Mare del Nord, dall’Europa orientale a quella nord occidentale per il pranzo e/o la cena. Profughi autoctoni per ragioni economiche, in concorrenza con gli extracomunitari, sempre di più compagni di sventura e sempre più in competizione per disputarsi pochi spiccioli. Fra questi, molti saranno italiani, come ad esempio i giovani costretti a cercare un futuro all’estero (per ora, 44% di disoccupazione giovanile censita, domani i due terzi). Non si tratterà, in tal caso, di una semplice “fuga di cervelli” che aspirano a retribuzioni dignitose e standard di vita più alti, ma della necessità di scampare all’indigenza vera e propria. Anche ammesso che l’unione europoide sia la prima potenza economica del mondo, come afferma la Boldrini, non potrà mantenere a lungo il primato (di cui noi, qui, in Italia, non sentiamo i benefici) nella vorticosa economia globale. Infatti, dopo la Francia sta entrando in crisi anche la Germania, che in questi anni ha fatto proprie le politiche del rigore elitiste per la rivincita sul resto d’Europa, dopo la sconfitta nella seconda guerra mondiale.

Per la Boldrini è inconcepibile accettare 100 milioni di poveri, nell’Europa dominata dall’unione elitista e dalle sue politiche, ma la Boldrini stessa vorrebbe che il “progetto europeo”, la vera causa dei 100 milioni di poveri, non rallenti e giunga a compimento.

Qual è dunque il vero messaggio di Laura Boldrini, comune a tutta la sinistra, dal pd che rispetta i parametri europei ai supporter di Tsipras che accettano l’euro? Più o meno quello che segue.

Punto il dito contro il male, ve lo indico, ma assolvo il carnefice, anzi, non lo cito neppure, perché è lui che mi consente di stare comodamente alla presidenza della camera.

Fonte: Pauper Class
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