La svolta di Grillo sull’euro: una mossa tattica o una scelta ineludibile?

grillo
di Luciano Lago
 
Alla fine anche Grillo è arrivato da ultimo sulle conclusioni a cui erano arrivati da molto tempo la Lega di Salvini ed altri movimenti in Europa come il Front National di Marine Lepen in Francia, come Geert Wilders ed il suo partito in Olanda, come Heinz-Christian Strache del Partito FPO (Partito delle Libertà) in Austria e tanti altri movimenti politici che hanno sostenuto scelte di dissociazione dall’euro, di ritorno alla sovranità e di autonomia dalle direttive dell’Unione Europea.
 
Il movimento di Grillo, alla necessità di uscire dalla gabbia dell’euro, ci arriva tardi ed ormai fuori tempo, dopo aver tergiversato ed essere rimasto ondivago su questa come sui altre questioni in questi mesi, occupandosi di altre tematiche, pur importanti e condivisibili ma non ugualmente essenziali.
 
Grillo vuole farsi promotore di un referendum sull’uscita dall’euro che sarebbe comunque senza efficacia legale (non ammesso dalla Costituzione) che richiederebbe tempi lunghi per raccogliere le firme ed alla fine controproducente perchè i “mercati” e le centrali finanziarie avrebbero tutto il tempo di stringere l’Italia in una morsa per non permettere una manovra unilaterale ed indolore di uscita dall’euro a cui, è di fondamentale interesse per la grande finanza, tenere ancorata l’Italia.
 
Si tratta di una proposta che può essere fatta soltanto da chi ha una visione molto superficiale delle cose (e non sembra il caso di Grillo) o da chi è in mala fede o persegue altri fini.
 
I poteri sovranazionali che hanno sottratto sovranità all’Italia e l’hanno a poco a poco spolpata economicamente e disarticolata socialmente, non si farebbero certo scappare la preda per effetto di una iniziativa politica del movimento di Grillo, anche se questi fosse in grado di otttenere il 60% dei consensi. Consideriamo che, soltanto per gli interessi sul debito, l’Italia paga alle banche oltre 80 miliardi l’anno e che, per i versamenti ai fondi europei come il MES/ESM, ci sono altre decine di miliardi di euro ogni anno da versare nelle casse di Bruxelles (127 miliardi soltanto il MES). Ovvio che aumenta il debito pubblico ma questo non si dice.
 
Quando mai il cartello bancario, che è il detentore dell’euro e garante del sistema, potrebbe rinunciare ad una simile gallina dalle uova d’oro.
 
Chi opera nella comunicazione sa bene quale sia il potere di condizionamento e di manipolazione di cui dispongono i poteri dominanti del sistema , padroni della quasi totalità dei media, possiamo immaginarci come questi influenzerebbero l’opinione pubblica, in una eventuale referendum per l’uscita dall’euro, con una campagna terroristica che prospetterebbe al pubblico italiano, facilmente influenzabile e non preparato su questi temi, l’idea di un annullamento dei risparmi e l’annientamento dei redditi che ( farebbero abilmente credere) deriverebbe da una uscita dell’Italia dall’euro.
 
Inutile anche pensare di fronteggiare la possente macchina della propaganda mediatica di cui il sistema dispone per falsare la realtà, imporre una visione distorta e seminare paura ed apprensione nel pubblico. Questo significa che si avrebbe un effetto del tutto controproducente con un formidabile assenso di massa alle politiche del governo per far rimanere il paese ancorato a Bruxelles ed all’euro, fatto questo che imprigionerebbe l’Italia nella gabbia dell’euro vita natural durante sottraendo del tutto qualsiasi possibilità di cambiamento.
 
Possiamo quindi chiederci perchè Grillo ha fatto proprio adesso questa proposta e la risposta, a nostro avviso, va ricercata in due fattori:
 
1) in una possibile manovra di recupero del consenso (che in parte si stava erodendo) riportando alla ribalta il suo movimento su un tema attuale, nel momento in cui tutti gli indicatori economici ci dicono che il paese si trova ormai sulla china in discesa verso commissariamento e possibile default, causa l’avvitarsi dell’indebitamento, decrescita e deflazione con tutte le coseguenze in termini di nuove manovre di tagli alla spesa pubblica e svendita del patrimonio pubblico.
 
2) perchè Grillo è in possesso di informazioni riservate, come altre volte è successo (vedi il caso Parmalat) su un possibile piano B già previsto da Bruxelles o dalla Germania per la fuoriuscita dell’Italia e di altri paesi dal sistema dell’euro ed in questo caso sta cercando di anticipare i tempi.
 
Possiamo soltanto ipotizzare chi abbia fornito a Grillo queste informazioni riservate, visti i buoni rapporti intercorrenti tra lui stesso, il Casaleggio ed altri loro collaboratori, con ambienti della finanza anglosassone, nonchè con la stessa ambasciata USA e con quella britannica. Naturalmente tutte le ipotesi sono buone ma non possiamo dimenticare che Grillo si trovò nel ‘1992 sul famoso Panfilo Britannia e che Casaleggio dispone di forti collegamenti con ambienti finanziari.
 
D’altra parte sono le stesse testate finanziarie britanniche a informarci che la situazione dell’economia italiana è ormai vicinissima al punto di non ritorno, come hanno scritto giornali come il “Financial Times” attraverso la penna di Wofgang Munchau, oltre al The Telegraph di Ambrose Evans Pritchard che si sono più volte occupati dell’Italia. naturalmente nulla è apparso sui media italiani riguardo a queste analisi che non provengono da organi di stampa complottisti o populisti ma da prestigiose e qualificate testate internazionali.
 
In Italia, grazie ad un incredibile travisamento della realtà operato dai media, TV e giornali, si continua a credere che sia sufficiente qualche riforma portata avanti dal “prestigiatore fiorentino” per far ripartire il paese mentre invece i sentori sono ormai diversi: fuga massiccia di capitali, fuga delle imprese, voci dall’estero che danno già l’Italia per spacciata verso il default.
 
Nel paese manca ormai la liquidità, lo Stato deve chiedere una moneta straniera in prestito, dietro interessi, tutti i nodi sono venuti al pettine come dimostra anche la vergognosa vicenda dell’alluvione a Genova, con l’evidenza di una classe politica locale e nazionale totalmente incompetente e dedita all’affarismo ed al clientelismo, mentre il paese sprofonda letteralmente tra frane, allagamenti, nubifragi e paralisi procurata per effetto della burocrazia e della tassazione record.
 
La stessa protezione Civile, già vanto dell’Italia fino a poche anni addietro, non ha più il denaro che servirebbe per rappezzare qualche emergenza e salvare un pò di vite. Il denaro viene speso soltanto per accogliere una massa di immigrati e profughi, quelli si sono fondi stanziati e subito spesi, per pagare gli stipendi ai dirigenti pubblici ed alle alte burocrazie di Stato (magistrati e alti funzionari) che dispongono del potere di poter paralizzare qualsiasi decisione e qualunque riforma.
 
Chi volete che venga ad investire in un paese così: i capitali si dirottano altrove e in Italia arrivano soltanto i grandi avvoltoi dell finanziarie e delle multinazionali per acquisti a saldo.
 
Sarà interessante vedere nelle prossime settimane se i 5 Stelle sceglieranno la strada di associarsi agli altri partiti o movimenti che hanno fatto dell’uscita dall’euro il nerbo del loro progrmma (la Lega di Salvini e F.lli D’Italia) o se vorranno mantenersi distanziati come hanno fatto in occasione della formazione dei gruppi al Parlamento europeo.
 
Il movimento di Grillo e Casaleggio è composto da varie anime, potrebbe essere insidiato da forze interne e arrivare ad una scissione fra coloro che sono d’accordo con la linea ufficiale e quelli che non lo sono, tuttavia sarà soltanto il tempo a farci verificare la sincerità della nuova posizione assunta da Grillo ed acclamata come svolta del movimento in quel del Circo Massimo. Nella palude della politica italiana, appiattita nell’attesa dei provvedimenti salvifici di Renzi, qualsiasi sbuffo di Grillo fa notizia.
 

RENZI: IL SEGRETO DEL CAZZARO

 Postato il Martedì, 14 ottobre 
DI DANIELE BASCIU
 
econommt.com
 
Abbiamo Renzi che va avanti a ruota libera, con montagne di balle senza contraddittorio, forse perchè spesso i giornalisti non prendono la briga di leggere i documenti ufficiali del Governo, come il DEF.
 
Ieri ha dichiarato che taglierà le tasse per 18 mld:
 
La più grande riduzione” mai vista in Italia.
 
Il segreto del cazzaro è la sicurezza quando si sparano le balle, contro ogni evidenza. Così per lui non è un problema la tabella del DEF da cui risulta che dal 2014 al 2015
 
AUMENTERA’ LE TASSE DI 10 MILIARDI COMPLESSIVI !!!
 
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Ed è incredibile che non ci sia mezzo giornalista che gli rida in faccia, quando le racconta.
 
Daniele Basciu
 
 
Link: http://econommt.com/2014/10/14/renzi-il-segreto-del-cazzaro/RENZI: NASO LUNGO, COPERTA CORTA La balla degli sgravi fiscali

Ieri, 13.10.14, a Bergamo, davanti a un pubblico di Confindustria, Renzi annuncia tagli per 18 miliardi e pari riduzione della pressione fiscale per rilanciare l’economia, vantandosene. Questo annuncio è incompatibile con l’ultimo DEF e con la Nota di Aggiornamento, in cui il governo formalmente si vincola, anche nei confronti dell’UE, ad aumentare la pressione fiscale fino al 2017, pure se continuerà la recessione; inoltre vi sono clausole di salvaguardia che faranno scattare aumenti dell’IVA, se necessario a garantire i saldi obbligati di bilancio. Insomma, il governo non può ridurre la pressione fiscale, anzi necessariamente la aumenterà.
 
Quindi Renzi ieri, a meno che intenda rompere con l’Eurozona, ha mentito pubblicamente. Ingannandoli, ha raccolto il plauso prima degli sprovveduti industriali presenti in sala, e poi dei mass media che stanno al  gioco suo e di chi l’ha messo lì e lo dirige. Quand’anche Renzi non avesse gli impegni di bilancio suddetti, non credo che gli sarebbe possibile trovare 18 miliardi senza tagliare trasferimenti alle pubbliche amministrazioni, senza tagliare i servizi ai cittadini o rincararli, senza aumentare altrove la pressione fiscale (penso alle incombenti revisioni catastali e alla solita introduzione di presunzioni di redditi inesistenti), cioè senza rivalersi diversamente sulla gente, come del resto ha fatto per la mancia degli € 80.  Non è possibile, perché gli apparati dei partiti e la burocrazia vivono mangiando spesa pubblica attraverso sprechi creste, quindi se Renzi cercasse di tagliare spesa pubblica inutile e parassitaria, essi lo silurerebbero.
 
Ma anche se riuscisse a ridurre le tasse senza colpire in altro modo e cittadini, la cosa non avrebbe l’effetto di rilanciare l’economia nazionale, e ciò per due diverse ragioni, che adesso espongo.
 
Prima ragione: spostare i soldi non fa ripartire l’economia. E’ come tirare una coperta corta. Bisogna allungare la coperta, per farla ripartire. L’esperienza giapponese (e di altri paesi) descritta e analizzata matematicamente da Richard Werner nei suoi saggi The Princes of the Yen e New Paradigms in Macroeconomics, dimostra che sono senza effetto, ai fini della rilancio dell’economia, tutte le manovre di spostamento di liquidità (dal settore pubblico a quello privato o viceversa, dai consumi agli investimenti o viceversa, dalle imposte dirette a quelle indirette o viceversa). L’unica manovra che abbia effetto di rilancio è l’aumento della liquidità nell’economia reale. Ma al contrario noi abbiamo oramai, in Italia, una continua sottrazione della liquidità, per effetto di 1)trasferimenti netti a UE (diamo all’UE più di quanto di ritorna); 2)trasferimenti al Meccanismo Europeo di Stabilità (57 miliardi);   3)fuga di capitali (solo quest’anno, 67 miliardi); 4)contrazione del credito concesso. Quindi la coperta continua ad accorciarsi, riducendo non solo la domanda e gli investimenti, ma la stessa solvibilità dei debiti già contratti, quindi facendo dilagare insolvenze e fallimenti e diffondendo un clima di cupa sfiducia nel futuro. Va precisato che questo dissanguamento monetario sistematico non è accidentale – altrimenti sarebbe inspiegabile – bensì viene portato avanti dalle istituzioni nazionali ed europee al fine di costringere l’Italia a svendere i suoi assets e mercati sottocosto a capitali finanziari stranieri, nonché a cedere loro il potere politico sul Paese. Si noti che gli oltre 2000 miliardi creati dalla Banca centrale europea e immessi nel sistema bancario dell’eurozona, non hanno prodotto alcun rilancio dell’economia reale, la quale sta rallentando persino in Germania e Finlandia; e questo perché sono andati in impieghi improduttivi, speculativi, e non nell’economia reale. Se Draghi e soci avessero voluto rilanciare l’economia, fare il bene della gente, avrebbero immesso quei soldi nel settore produttivo.
 
Seconda ragione: Renzi potrebbe ancora dire che i suoi famosi 18 miliardi li sposterà, mediante una dura spending review, da impieghi pubblici aventi basso effetto moltiplicatore sul reddito nazionale – che so, 1,1 – a impieghi privati di famiglie e imprenditori aventi più alto moltiplicatore sul reddito nazionale – che so, 1,3, così che produrranno un aumento del reddito di  5,4 miliardi anziché di 1,8. Ma anche questo non può avvenire, perché condizione affinché le famiglie spendano di più anziché mettere da parte, e le imprese investano di più anziché tesaurizzare, è che il quadro complessivo del sistema-paese sia positivo e le aspettative siano pure positive, che ci sia fiducia. La famiglia non spende ma risparmia, se teme il futuro; e, se spende, compra prodotti di importazione, meno costosi – quindi quella spesa non aiuta il reddito nazionale ma peggiora la bilancia dei pagamenti. L’imprenditore, a sua volta, non investe e non assume, se non prevede una domanda che assorba i suoi prodotti. Il rimedio, allora, sarebbe quindi quello keynesiano: non tagliare la spesa pubblica, ma dirigerla per quanto possibile, anche aumentandola a deficit, in investimenti pubblici utili e ben progettati, infrastrutturali, che, traducendosi direttamente in appalti, inducano assunzione di forza lavoro quindi domanda solvibile, e insieme migliorino l’efficienza e la produttività, quindi la competitività, del sistema paese. Ma, nell’Europa del rigore, della crescita e della solidarietà, questo tema è tabù. Intanto, i capitali, le imprese migliori, i tecnici e i ricercatori, i giovani, stanno emigrando in massa, e l’Italia diviene una bara previdenziale-assistenziale, cioè un deposito, forse uno smaltitoio, di pensionati, di disoccupati, di sussidiati, di lavoratori a nero, di immigrati mantenuti. Questo processo oramai è consolidato e si alimenta da sé.
 
Volete una ricetta per un lieto fine di questo articolo? Molto semplice: la BCE emette nuovo denaro e, invece di regalarlo alle banche, lo usa per pagare gli interessi sul debito pubblico dei paesi aderenti, rinunciando a richiedere loro il rimborso, ma con vincolo a destinare le somme così risparmiate per 1/3 a riduzione della pressione fiscale generale e per 2/3 a investimenti infrastrutturali nel senso sopra indicato.
 
Marco Della Luna
 
 

Renzi: “Il Ttip ha l’appoggio totale e incondizionato del governo Italiano”

se è contrario pure Cofferati che disse che il referendum per l’art 18 era un errore (era d’accordo quindi nel discriminare lavoratori in seria e serie B)

http://www.repubblica.it/online/economia/articiottodue/articiottodue/articiottodue.html

Politica – Domenico Giovinazzo

 14 ottobre 2014
Il premier si augura che l’accordo di libero scambio tra Usa e Ue si chiuda entro la fine del prossimo anno. Per Calenda la pubblicazione del mandato della trattativa rispondere a chi si oppone all’accordo, ma le perplessità rimangono
 
Il Trattato transatlantico per il commercio e gli investimenti ha “l’appoggio totale e incondizionato del governo” italiano. Lo ha dichiarato il presidente del Consiglio Matteo Renzi, intervenendo a Palazzo Colonna, a Roma, dove si è tenuta una giornata di dialogo sul Ttip organizzata dal vice ministro per lo Sviluppo economico Carlo Calenda.
 
“Ogni giorno che passa è un giorno perso”, secondo Renzi, il quale si attende “un salto di qualità e uno scatto in avanti” nelle trattative, con l’augurio che si concludano “entro la fine del prossimo anno”. Perché il Ttip, ne è convinto il premier, “non è un semplice accordo commerciale come altri, ma è una scelta strategica e culturale per l’Ue”.
 
Il presidente del Consiglio non ammette critiche dunque. Anzi, l’iniziativa di oggi “è una risposta” a tutti coloro che si oppongono alla firma dell’accordo tra Usa e Ue. Poco importa se le contestazioni arrivino da premi nobel come Joseph Stiglitz, o da parlamentari europei dello stesso partito del premier, come Sergio Cofferati.
 
Anche Calenda ha puntato il dito contro “chi ritiene che il Ttip sia un accordo fatto per le multinazionali, con l’obiettivo si abbassare gli standard di sicurezza sociali e regolamentari”. Da questo punto di vista ha salutato con favore la declassificazione del mandato per le trattative. Se il documento viene letto “in buona fede”, sostiene il viceministro, si trovano tutte le “risposte alle comprensibili preoccupazioni dell’opinione pubblica”. In particolare, secondo l’interpretazione che Calenda dà del mandato, “i servizi pubblici non sono oggetto di negoziazione, così come non lo è la cultura o l’accesso indiscriminato degli OGM, o ancora la possibilità di limitare la sovranità dei governi europei”.
 
Tuttavia, soprattutto su quest’ultimo punto, i pareri non sono concordanti. La segretaria generale del Ces (Confederazione dei sindacati europei) ha espresso forti critiche all’Isds, il meccanismo che consentirebbe a un’azienda di intentare causa contro uno Stato membro davanti alla Corte di giustizia europea, qualora si ritenesse danneggiata da una legge nazionale in contrasto con il Ttip. Per Bernadette Ségol, “occorre eliminare il meccanismo di risoluzione delle controversie investitore-Stato”. La sindacalista si chiede “perché, nelle nostre democrazie, gli investitori abbiano bisogno di tutele speciali”.
 
Che le regole siano il vero punto cruciale del trattato lo ha confermato esplicitamente Giorgio Squinzi. Per il presidente di Confindustria, infatti, “il vero problema non sono le barriere tariffarie ma quelle regolamentari”.

Francia. Fine dell’ecotaxe. Trasporto pubblico? A piedi

Più Tir, meno treni. Ministero francese dell’Ambiente all’isteria. Ai primi di ottobre firma l’accordo per una nuova discenderia nel tunnel Av della linea Torino-Lione, a metà ottobre sospende l’ecotaxe da cui dipende l’intera rete di trasporti nazionale.

di Massimo Bonato

In Francia c’è chi ride e c’è chi piange. I più però sono rimasti allibiti, quando la ministra dell’Ecologia e dell’ambiente Ségolène Royal ha annunciato giovedì 9 ottobre all’Assemblea nazionale la sospensione della ecotaxe. O meglio la sospensione sine die della sua ultima propaggine, rappresentata dal “pedaggio per mezzi pesanti”.

Più Tir, meno trasporto pubblico locale. Più autoarticolati meno treni. In sintesi.

È anche quello che ha rinfacciato alla ministra Patrice Carvalho del Front de gauche definendo questa soluzione la “consacrazione” a un futuro “tout routier”. Come dire “Autotrasporto a tutta birra!”
Come riporta «Les Echos» nei diversi articoli che dedica all’argomento, la Royal denuncia “l’incapacità di applicare” il sistema di tassazione prevista per il transito del traffico pesante”; dichiara di voler “trovare una soluzione che non distrugge posti di lavoro ma ne crea”; e soprattutto di voler  far pagare le aziende autostradali che dalla loro recente creazione hanno versato 15 miliardi di euro in dividendi ai propri azionisti, cosa che fa dire a Mme Royal “C’è qualcosa che non funziona”.

Intanto, più che creare posti di lavori se ne perde qualcuno per la strada. Ne san qualcosa i 130 doganieri di Ecomuv, consorzio controllato dall’italiana Autostrade, e reclutati tra il 2012 e il 2013 per assicurare la riscossione della tassa.
Ne san qualcosa soprattutto le organizzazioni che rappresentano i settori del trasporto ferroviario, del trasporto urbano, della viabilità fluviale e delle opere pubbliche i cui progetti e la cui stessa esistenza dipendono dall’ecotaxe. Comparti che contano complessivamente oltre 600.000 posti di lavoro diretti e indiretti.
Organizzazioni che infatti si sono sollevate dichiarando in un comunicato congiunto che “senza finanziamenti pubblici, l’intero settore sarebbe seriamente compromesso”.
E non c’è da scherzare.
Il Gart (Groupement des autorités responsables de transport), il Fnaut (Fédération Nationale des Associations d’Usagers des Transports), l’Utp (Union des Transports Publics et Ferroviaires), il Tdie (Transport-Développement-Intermodalité-Environnement), il TFF (Transporteurs Fluviaux de France),  la Federazione nazionale dei Lavori pubblici, la federazione delle industrie ferroviarie, l’Agenzia per il finanziamento delle infrastrutture del trasporto (AFITF) sono sul piede di guerra. Come dire che l’intero studio messo a punto dal Comité 21 il giugno dello scorso anno è già alle spalle e viene meno la stessa conferenza Stato-Regioni.

L’ecotaxe è un sistema di tassazione ecologica che si riferisce a tutti i veicoli trasporto merci francesi ed esteri superiori a 3,5 t e comprende 15.000 km di strade nazionali e dipartimentali francesi. Una tassa verde che doveva incoraggiare una più razionale organizzazione del trasporto merci, e i cui proventi (inizialmente di 1,15 miliardi di euro) dovevano essere utilizzati per finanziare nuove infrastrutture per il trasporto: dalla nuova linea di tram di Grenoble al parcheggio per biciclette di Annemasse, passando per i grandi progetti ferroviari, stradali e fluviali. Una ricaduta sul territorio che viene a mancare all’intera Francia.

Chi si dice soddisfatto sono per converso gli autotrasportatori, le loro organizzazioni e i loro sindacati.
E già al di qua delle Alpi il plauso non tarda a riecheggiare nei siti di categoria come assotir.it, e nelle parole di Claudio Donati, segretario nazionale di Transfrigoroute Italia Assotir, che dichiara: “Un esempio positivo di quanto sia possibile, con l’unità della categoria e con la fermezza nella tutela delle imprese e dei loro equilibri finanziari ed occupazionali, costringere i governi a risolvere in modo positivo le questioni che gravano sull’autotrasporto e a riconoscere come esso sia una risorsa per il Paese, da salvaguardare e da sostenere”.
Insomma, sgravati di un’imposta, gli autoarticolati ridiventeranno cruccio di chi sin da ora si preoccupa in Savoia, per esempio, per il deteriorarsi della condizione ambientale e gli inevitabili più alti tassi di inquinamento, come riferisce France3Alpes. E l’invasione di strade e autostrade italiane è vicina, tanto da oltr’alpe, tanto da parte di chi qui sta già tirando la giacchetta la ministro Lupi perché addivenga a migliori consigli e relazioni sindacali.

Con buona pace di chi ha ammannito per anni la panacea del trasporto intermodale, del trasporto merci ad alta velocità (peraltro mai preso seriamente in considerazione dalla Francia) per sollevare le strade dal trasporto su gomma e l’ambiente da relativo inquinamento.
Con buona pace di chi cantava vittoria soltanto agli inizi di ottobre, quando il governo francese trovò i 105,78 milioni di euro (che solo in giugno non avrebbe saputo dove reperire) per iniziare i lavori alla galleria esplorativa di Saint-Martin-La-Porte. Accordo firmato da quello stesso ministero dell’Ambiente francese che ora sospende l’ecotaxe per restituire alle strade autoarticolati e togliere dai binari i treni, regionali e non.

Resta da chiedersi quale sia il senso di tutto ciò, ben sapendo di non essere soli. Ci sono milioni di francesi alla fermata del pullman, ad aspettare che arrivi.

M.B. 15.10.14

TTIP accordi pericolosi e politiche europee. Colloquio con Tiziana Beghin deputata cinque stelle in Europa

Passati i giorni caldi delle elezioni, dopo una pioggia di critiche sugli accordi assunti con il gruppo di Farage, del M5S in Europa si sa ben poco. Eppure i parlamentari del movimento sono in prima fila nell’occuparsi di quei trattati misteriosi di cui nessuno parla.

di Davide Amerio

Oltre alle riforme imposte dal governo Renzi gravitano sulla nostra testa accordi celati da sigle misteriose di cui poco si parla e si conosce ma che potrebbero avere impatti drammatici sulle nostre vite. Ne abbiamo parlato con l’On. Tiziana Beghin deputata per il Movimento Cinque Stelle al Parlamento Europeo.

Iniziamo dalle elezioni Europee: ci sono state molte critiche per la scelta del movimento di associarsi all’UKIP di Farange, com’è la situazione dei rapporti con loro e come funziona il gruppo?

Il vantaggio di lavorare con un gruppo come quello di Farange è di non essere obbligati ad avere posizioni comuni, non ci sono imposizioni come abbiamo visto accadere in altri gruppi. Su certe tematiche gli altri sono dipendenti da volontà imposte a priori e sulle quali non si può assolutamente discutere. Noi abbiamo invece la possibilità di essere liberi. Con Farange non abbiamo particolari punti in comune; sulla politica economica non siamo sempre in linea ma lo siamo su alcuni concetti di base, come per esempio il cambio dell’attuale sistema e la volontà di indipendenza da regole non scritte che si vogliono imporre nell’interesse di altri.
Per esempio quando abbiamo posto le nostre valutazioni sui commissari designati per la commissione europea c’è stato un vero e proprio teatrino: ciascun gruppo sosteneva un commissario piuttosto che un altro e si sono viste ripetere le dinamiche cui assistiamo anche in Italia. Voto compatto dei Socialisti e dei Popolari sui candidati con l’opposizione nostra e dei Verdi. Però quando sono mancati i voti dei Socialisti per un candidato siamo rimasti stupiti nel vedere che i verdi lo hanno sostenuto mentre avevano votato contro sino a quel momento. Sono obbligati a giocare entro schemi predefinti. Allora vale forse la pena essere in un gruppo dove puoi far valere la tua voce in modo sincero e schietto. Non fa parte del nostro modo di essere il sostenere qualcuno e poi trovare delle giustificazioni con l’elettorato. La scelta quindi del gruppo UKIP si è quindi rivelta positiva.

Com’è il vostro rapporto all’interno del PE dove come tu dici si riproducono le stesse dinamiche nazionali cui assistiamo qui in Italia?

La valutazione complessiva, pur non avendo potuto conoscere tutti gli oltre 700 parlamentari, è comunque di una maggiore serietà. Una maggiore adesione a quelli che sono i valori di un rappresentante istituzionale che lavora e che si impegna. La storia che sono tutti iper assenteisti e che non ci sono mai è vera a metà. Le statistiche ufficiali che vengono presentate sono poco affidabili per capire chi e come lavora. Uno può essere sempre presente durante le votazioni a Strasburgo (due volte al mese) ma non partecipare mai al lavoro delle commissioni che è ben più impegnativo. Oppure una persona può partecipare ai lavori delle commissione poi magari causa malattia essere assente alle votazioni ed ecco che le statistiche fanno sembrare che non abbia fatto nulla. Essendo noi 5 Stelle sempre presenti posso assicurare che ci sono tante altre persone nel Parlamento Europeo che lavorano seriamente. I Rapporti sono abbastanza buoni in generale, forse i tedeschi hanno qualche diffidenza verso di noi anche perché non lesiniamo critiche nei loro confronti. Ci sono stati anche episodi molto positivi: il Segretariato degli Affari Esteri ha inviato i complimenti scritti ai miei colleghi per il lavoro fatto durante la crisi della Ucraina con il conseguente embargo. Il duro e serio lavoro dei colleghi è stato apprezzato.

Nelle ultime settimane J. Stiglitz ha tenuto una lezione di economia presso il nostroParlamento. Occasione per ribadire cosa non funziona con l’euro e con l’Europa sulla linea di quanto sostenuto dagli economisti qui ritenuti “dissidenti”. Sulla base della vostra esperienza quanta consapevolezza c’è in Europa sul livello di malcontento chevien espresso in ogni occasione elettorale?

Sono tutti molto preoccupati dalla crescita dei movimenti euro scettici, fenomeno che non si aspettavano. All’interno del Parlamento l’euro scetticismo non ha un peso determinante nel senso che le più grosse forze PPE e S&D continuano imperterrite, avendo i numeri, a fare quello che vogliono. Ma c’è una seria preoccupazione; se non cambiano le cose in questa legislatura europea nei prossimi cinque anni, all’interno degli stati membri prenderanno decisamente peso delle forze di rottura verso l’attuale sistema. In Francia e in Inghilterra, purtroppo non in Italia, abbiamo visto le reazioni anti europee. Al momento attuale lo strapotere di chi è ai vertici dei dicktat monetari continua a giocare sulla speculazione e sui movimenti monetari che nulla hanno a che vedere con l’economia reale. Credo siano consapevoli di essere arrivati in un punto in cui devono necessariamente trovare delle soluzioni. Noi abbiamo sentito i commissari continuare però a proclamare slogan astratti senza soluzioni concrete. Nel caso dell’Italia le riforme non possono essere solo di tipo istituzionale perché questo non ha una relazione diretta con l’economia. Sul Job Act sono molto critica, come imprenditrice; certo che il mercato del lavoro va regolamentato ma la priorità in questo momento è creare il lavoro. Se ci concentriamo soltanto sulla regolamentazione di ciò che già esiste ma non crea nuovi posti di lavoro è come se ci mettessimo a spolverare i libri di una libreria mentre sta arrivando un terremoto che ci farà crollare tutto addosso.

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Veniamo al tema dell’accordo TTIP che molti denunciano come un cappio al collo degli stati nazionali imposto dalle multi nazionali. Il pericolo di questi accordi è stato sottolineato dallo stesso Stiglitz.

E’ un accordo di libero scambio che viene presentato come la soluzione di tutti i mali, come se aprire tutte le porte del libero scambio fosse sufficiente per uscire dalla situazione attuale. Un accordo simile è già pronto con il Canada (CETA) e dovremmo votarlo a breve. Il TTIP lo ricalca dal punto di vista metodologico e ideologico anche se cambia il peso delle due economie, ma le regole sono le stesse. Abolizione di tutte le barriere doganali e non doganali ma, ed é l’appunto che noi facciamo da tempo, nessuno conosce i dettagli negoziali dell’accordo che procedono da un anno e mezzo (delegazione Italiana guidata da Ignazio Bersero). La giustificazione è che il segreto fa parte delle strategie di contrattazione. In realtà loro necessariamente dovrebbero informarci, perché una volta che il trattato è concluso è veramente troppo tardi per influenzarlo. Per noi non è accettabile che ai cittadini venga fornito l’accordo finale senza che abbiano potuto esprimere una valutazione su cosa succederà con quegli accordi. Le pressioni non sono sole le nostre e hanno avuto efficacia in quanto hanno inziato a darci alcuni dei documenti riservati e ci consentiranno di accedere a delle stanze di lettura dove sarà possibile leggere (non riprodurre) i documenti negoziali. Faremo dei gruppi di monitoraggio e avremo occasione di sapere qualcosa in più. Certo è probabile ci facciano sapere quello che vogliono loro, temo, ma sicuramente potremo farci un’idea concreta su cosa ci aspetta.

Il problema principale riguarda le barriere non tariffarie ovvero le regolamentazioni. I dazi sono bassi già adesso, è risaputo. Il beneficio per le nostre aziende sarà ridicolo. Le Pmi italiane che sopravvivono oggi nel 90% dei casi sono già proiettate verso i mercati internazionali perché diversamente non esisterebbero. Quelle che sono prevalentemente rivolte al mercato interno non avranno alcun beneficio dall’abbattimento delle tariffe. Anzi moriranno perché saranno inglobate da quelle americane che verranno a casa nostra. Il peso è molto sbilanciato: da una parte Pmi con 15, 50, 70 dipendenti quando dall’altra parte le “piccole” imprese americane ne hanno 500! Le nostre aziende sono già presenti sui mercati statunitensi, per esempio i viticoltori, i grandi produttori di salumi e di altre eccellenze italiane, in generale il food e la moda; certamente potranno avere qualche vantaggio da alcune semplificazioni burocratiche ma in realtà essendo l’Italia quella con le barriere più alte sarà il nostro mercato ad essere invaso.

In effetti la storia industriale ci insegna come il grande che ‘assorbe’ il piccolo non lo fa per mantenerlo in vita ma per impossessarsi del mercato di riferimento e del marchio e i lavoratori finiscono a casa.

Esattamente. Non è questione di protezionismo nazionalistico come ci accusano alcuni ‘liberal’; qui è questione di protezionismo degli interessi pubblici rispetto a interessi privati. Noi dobbiamo tutelare chi lavora in casa nostra rispetto agli interessi delle multinazionali.
Un altro grosso problema sono le privatizzazioni. L’interesse di queste multinazionali è quello di arrivare a gamba tesa sulla nostra sanità, sulla nostra acqua e su tutto ciò che per noi rappresenta comunque storicamente una grossa conquista sociale ed è un servizio pubblico.

Altro problema di questo trattato è la clausola ISDS sulla composizione delle controversie. Le Corporation si vogliono tutelare e insistono nell’inserire questa clausola che consente, nel momento in cui sarà stato approvato questo trattato di libero scambio, la prevaricazione del privato sul pubblico. Una azienda americana che vendesse i suoi prodotti da noi, o vincesse un appalto pubblico, di fronte a un Ente locale o allo Stato che approvasse una normativa per impedire loro di svolgere l’attività commerciale, è autorizzata a fare causa allo Stato per mancati profitti. Lo Stato non è più a quel punto libero di determinare che una qualsivoglia materia è esclusivamente pubblica. In questo caso il tribunale di riferimento è un arbitrato internazionale composto da tre membri scelti dagli stessi studi legali che assitono le multinazionali. Conoscendo come funziona il sistema giuridico americano noi ci troveremmo veramente nei guai. Quindi saremmo costretti o a indennizzi miliardari alle multinazionali – qualora volessimo tornare a tutelare alcune competenze che noi consideriamo pubbliche, – o alla totale cessione di sovranità ai privati per evitare di pagare milioni di multe.

Come imprenditrice, laureata in economia e parlamentare, che impressione ti fanno le nuove regole Esa 2010 per l’elaborazione dei dati del Pil con inserimento della droga e della prostituzione nel computo?

Dare un parere su questa cosa è un po’ assurdo. Da un lato queste cose esistono e vale la pena misurarle, dall’altra questa impostazione tende a legittimarle. Personalmente farei fatica a pensare a inserire nel Pil un’attività criminale. Un’attività deleteria per il cittadino preferirei considerarla come tale.

Siamo dentro il semestre europeo presieduto dall’Italia. Siamo vincolati da accordi capestro come Fiscal Compact e Mes, come la vedi l’Italia da Bruxelles?

Il semestre europeo è una questione in realtà molto di facciata. Non vedo in questi mesi con il presidente Renzi alcun cambio di direzione. L’impressione è che sia una carica molto simbolica.
Per il discorso trattati noi come Parlamento Europeo non abbiamo la possibilità di modificarli perché è competenza esclusiva degli stati che li hanno contratti ma sono e rimangono il nostro primo punto del programma come M5S perché dobbiamo uscire fuori da questo problema grave del debito pubblico. Questo non aumenta per un debito prodotto dal saldo governativo (saldo primario), e possiamo fare tutte le spending review di questo mondo ma gli interessi continuano a crescere. Un’azienda che è in difficoltà non può fare altro che fare un concordato (sul debito che ha contratto), non ha alternative, a meno di produrre improvvisamente con una marginalità così alta da poter assorbire ciò che è stato fatto in passato. Ma questo è praticamente impossibile. Sono le cause che hanno prodotto il debito che vanno rimosse, i piccoli correttivi non servono a nulla. La vera questione è politica, bisognerà vedere se in Italia ci sarà qualcuno in grado di assumersi la responsabilità di scelte che vadano in direzione diversa da quelle imposta dall’Europa.

Come sai in Val Susa è sempre aperta la questione Tav che ultimamente si ammanta di dichiarazioni sempre più contraddittorie tra proclami governativi (siamo nei tempi!) e documenti ufficiali che smentiscono tali dichiarazioni. Può il M5S fare qualcosa in Europa?

L’italia non è nei tempi. Abbiamo fatto un incontro con GUE e Verdi, io non sono in commissione trasporti, c’è una mia collega, ma mi ha concesso di occuparmi del Tav in quanto abitante in Piemonte e direttamente interessata alla vicenda. Abbiamo fatto un incontro con il comitato No Tav francese e il prossimo 14 ottobre avremo una tavola rotonda qui in Parlamento Europeo organizzato con Gue, Verdi, insieme a Presidio Europa No Tav e il presidente della commissione turismo. Questo evento si chiamerà “Il progetto del Tunnel Lione-Torino fermiamo un disastro”. Sono invitati diversi esponenti tra cui Paolo Prieri, Luca Giunti, Silvio Montesini, Alberto Poggio (per l’Italia). Poi esperti ambientali francesi. Discuteremo la strategia di pressione francese e italiana nei confronti di questa opera.

D.A. 13.10.14

Propaganda delle “grandi opere” nella scuola: è passato il tempo dei balilla!!!

Terzo Valico: un consorzio di aziende private pretende di utilizzare la scuola pubblica come palcoscenico pubblicitario e propagandistico a favore delle “grandi opere” mentre nelle stesse regioni coinvolte dall’operazione, Liguria e Piemonte, appare evidente la necessità di opere realmente utili a tutela del territorio e della vita e dei beni dei cittadini.

Balilla
di Cosimo Scarinzi*

Terzo Valico: un consorzio di aziende private pretende di utilizzare la scuola pubblica come palcoscenico pubblicitario e propagandistico a favore delle “grandi opere” mentre nelle stesse regioni coinvolte dall’operazione, Liguria e Piemonte, appare evidente la necessità di opere realmente utili a tutela del territorio e della vita e dei beni dei cittadini.
Credevamo, e continuiamo a pensare, che la scuola pubblica debba essere il luogo dove si opera per un sapere libero da interessi economici, politici, comunque di parte.
Non così la pensano i dirigenti del COCIV Consorzio Collegamenti Integrati Veloci composto dalle società di costruzioni Salini-Impregilo (64%), Società Italiana Condotte d’Acqua (31%), CIV (5%), la società che è Il General Contractor incaricato della progettazione e costruzione del Terzo Valico.

Il COCIV propone infatti, riprendiamo dal loro dépliant, “… un progetto educational (l’inglese nel testo serve a rendere più “autorevole” la proposta) per le scuole primarie delle province di Alessandria, Asti, Genova, Imperia, La Spezia e Savona finalizzato a COSTRUIRE CONSENSO E CONVERSAZIONI POSITIVE (sic) attorno alle grandi opere come strumenti utili per la crescita del “sistema paese”. Il progetto parla delle grandi opere e in particolare del Terzo Valico….adottando il concept dell’apertura dell’Italia all’Europa e si concretizza nell’immagine di un percorso di scoperta ed esplorazione”.
COCIV non si risparmia nell’impresa, ha preparato 1000 kit mediatici disciplinari da distribuire in oltre 200 scuole, organizza workshop per i docenti che dovranno, lo dicono loro, fungere da passaparola, organizza un concorso a premi, ha preparato una campagna di indottrinamento degna di miglior causa.
In sintesi, ma vale la pensa di leggere bene il loro dépliant che alleghiamo, COCIV si propone di orientare docenti, studenti, famiglie a sostegno del Terzo Valico con il sostegno degli enti locali.

Siamo di fronte, insomma, ad un esempio evidente di utilizzo della scuola pubblica come palcoscenico per il lancio di una grande opera volta a garantire profitti al COCIV e non ad un effettivo confronto con la popolazione, i movimenti a difesa del territorio, l’opinione pubblica.

La CUB Scuola Università Ricerca rileva che questo progetto va rispedito al mittente, invita i collegi docenti, le assemblee sindacali, i delegati sindacali di scuola, le associazioni degli studenti e dei genitori a mobilitarsi contro la trasformazione della scuola pubblica in un luogo di pubblicità e propaganda, organizzerà iniziative di contrasto a questa operazione.
La CUB Scuola Università Ricerca invita inoltre i dirigenti scolastici a non farsi strumenti di un’iniziativa che con la scuola pubblica non ha nulla a che vedere e che ne snatura le funzioni e i compiti e valuterà le possibili azioni legali contro questo genere di manovre.
Gli insegnanti e gli alunni non sono, non devono essere, una massa di manovra piegata agli interessi del grande capitale!

*Coordinatore Nazionale del CUB Scuola Università Ricerca

Il dépliant del Cociv: terzo_valico_scuole (121 Kbyte)

Moncenisio 1933-1960 storie senza tempo di un confine conteso.

Il Moncenisio è un patrimonio di storia incredibile e Fabrizio Arietti ne fornisce una ulteriore preziosa prova. Il suo ultimo libro è denso di emozioni e ci racconta le vicende e le battaglie di chi ha combattuto e vissuto sulla linea di confine con i cugini d’Oltralpe.

di Davide Amerio

ogni volta in cui mi capita di andare al Moncenisio e passo vicino al lago guardando il paesaggio circostante, non posso fare a meno di pensare a quanto mi sarebbe piaciuto vedere quel piccolo paese oramai scomparso tra le acque […] ogni volta non posso fare a meno di pensare a quanto avrei voluto entrare attraverso quel complesso di fabbricati attorniati da altissime mura; si chiamava ospizio ma non aveva nulla a che fare con gli anziani e per secoli fu tappa fondamentale per viaggiatori stremati dal freddo, dalla fatica, dalla fame […]

Inizia così l’introduzione di Fabrizio Arietti alla presentazione del suo ultimo lavoro intitolatoMoncenisio 1933 – 1960 memorie e cronache di confine (edizioni del Capricorno) – che si è tenuta domenica 12 ottobre presso il centro polivalente di Venaus.

Alla presenza del sindaco Nilo Durbiano, e di una sala gremita, i racconti raccolti con passione nel libro da Fabrizio sono stati presentati in anteprima attraverso un documentario ricco di immagini e testimonianze e da una breve parentesi teatrale animata da Carlo Ravetto e Carlo Pesando.

Il libro porta la prefazione di Luca Mercalli il quale sottolinea come il Moncenisio sia da molto tempo luogo di studio per la meteorologia. Lassù ci sono le tracce dei ghiacciai purtroppo scomparsi a causa del clima; alcuni di questi erano usati per recuperare i blocchi che a valle venivano usati al posto dei frigoriferi.

Il percorso delle immagini è un crescendo di emozioni suscitato dalla voce di chi ha vissuto in quegli anni della grande guerra. Gli scontri con la Francia, i tentativi di conquistare roccaforti inespugnabili con truppe mandate a combattere dal governo fascista senza neppure gli abiti adatti alle intemperie, al freddo e alla neve delle montagne.

Ci sono le storie che portano il sorriso, come quelle di Tilla la bizzarra locandiera che parlava un linguaggio volgare irriguardoso nei confronti di chiunque. Se aveva rispetto per i soldati semplici con gli ufficiali non risparmiava le sue male parole. Quando il principe Umberto di Savoia fece sosta al Moncenisio decise casualmente di visitare proprio il locale di Tilla. Gli ufficiali scongiurarono il principe di evitare questa visita ma il reale non badò alle raccomandazioni e fece ingresso con un nutrito gruppo di ufficiali al seguito, tutti molto preoccupati. Tilla era in trepida attesa, desiderava conoscere questo principe tanto alto. Fu così che all’ingresso del piccolo corteo nel locale non deluse le aspettative e alzando lo sguardo alla ricerca del principe esclamò: “Alura, chi a lé el piciu pi gros chi i deuv sèrve prima?” e tutti risero.

Dentro i racconti di guerra ci sono le persone e le loro vite, così come piace raccontarle a Fabrizio Arietti. Quello del bambino che assiste, di nascosto, al passaggio di consegne tra i carabinieri e i soldati francesi sul nuovo confine quando l’Italia dovette cedere il Moncenisio alla Francia.

La storia della famiglia Ghione dell’Albergo Bella Vista di Meana trasformato nel centro di comando del primo corpo d’armata per volontà del principe Umberto di Savoia che vi alloggiò con la consorte Maria Josè. L’albergo fu a lungo bombardato dai Francesi con cannoni piazzati su un treno blindato nascosto in una galleria a Modane. Non lo colpirono solo perché è protetto da una collina. A Meana c’è chi ricorda ancora dove caddero le bombe francesi e giura ci sia ancora traccia delle buche lasciate dalle esplosioni.

Vicende umane, toccanti, di vita e di morte. Di follia della guerra e di popoli confinanti costretti a combattere per qualche chilometro di confine in più. Allevatori che persero tutto e soldati che persero la vita le cui spoglie giacciono nel cimitero di Bramas e altri invece sopravvissuti prigionieri dei tedeschi che riuscirono a fuggire in modo rocambolesco.

_Arietti

Storie di uomini e donne da non dimenticare. Alla fine della presentazione abbiamo posto un paio di domande all’autore.

Come nasce questa passione così intensa per il Moncenisio?

E’ un rapporto bilaterale. In un senso da parte di mia madre perché mio bisnonno che era Costanzo Grosso di Susa, pioniere della fotografia, aveva avuto l’incarico dalla Forze idrauliche del Moncenisio per fare il report della costruzione delle dighe quindi posseggo le foto che documentano quella storia. Dall’altra parte, quella di mio padre, i miei bisnonni erano i guardiani delle vecchie dighe e questa combinazione ha influito nella mia vita.

Deve essere una bella emozione scavare nella memoria portando alla luce eventi e persone così lontane ma così presenti nella storia della valle.

Il mio interesse è proprio quello di trovare le ‘storie’ non solo quelle legate ai fatti stretti della guerra che rappresentano il ‘contesto’ ma far emergere le storie umane. Mi domando sempre come si poteva vivere in quei momenti così difficili; è la curiosità di capire la vita che conducevano allora.

Possiamo assicurare che Fabrizio è riuscito magistralmente nel suo intento.

D.A. 13.10.14

“ANCHE L’UNIONE EUROPEA NON VUOLE PIU’ INVESTIRE SUL TAV”

http://www.marcoscibona.it/home/?p=633

Michael Cramer (Presidente Commissione trasporti del Parlamento europeo) ha dichiarato oggi che l’Europa non coprirà il cofinanziamento del 40% della Torino-Lione ma probabilmente solo la tratta Genova – Rotterdam. Ha inoltre ricordato come le direttrici Nord Sud costituiscano le priorità per affrontare i problemi di trasporto in Europa. Le parole di Cramer rappresentano una grande vittoria per quanti si battono contro l’alta velocità in Valle di Susa. Infatti abbiamo avuto finalmente la conferma di quanto sostengono da tempo i No TAV: non esiste alcun mercato che giustifichi l’investimento sull’asse est-ovest, salvo gli interessi privati di partiti, mafie ed aziende ad essa legati.

Laddove non sono valse le ragioni tecniche, ambientali, legate alla tutela della salute, i sostenitori dell’opera si scontrano finalmente con la mancanza di fondi. L’Europa non ritiene conveniente quest’opera e privilegia altri investimenti ed altre tratte.

Incassiamo questa prima vittoria, consapevoli che tanta strada resta ancora da fare sia per quanto riguarda l’alta velocità in Valle di Susa sia per il Terzo Valico dove i numeri dimostrano l’inutilità della spesa ed i disagi per un ambiente fragile, come dimostrato dalle recenti alluvioni tra Piemonte e Liguria.

Dopo questa seria presa di coscienza da parte dell’Unione Europea, auspichiamo facciano altrettanto anche i politici italiani e francesi che non si sono ancora resi conto dell’inutilità dell’opera.

Francesca Frediani, consigliere M5S Piemonte
Federico Valetti, consigliere M5S Piemonte e vice presidente commissione trasporti
Marco Scibona, Senatore M5S

Sui finanziamenti TAV a rischio e frecciabianca deragliato.

Marco Scibona (M5S) intervento di fine seduta 14 ottobre 2014 

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“Presidente, colleghi, lo scorso sabato 4 ottobre, nel corso di una conferenza stampa a Torino, i tecnici del movimento No Tav hanno illustrato alcuni documenti ufficiali che smentiscono la dichiarazione del ministro Lupi e del commissario straordinario della nuova linea Torino-Lione, l’archiettetto Virano.
Mentre i due ripetono continuamente che i lavori di realizzazione del tunnel geognostico di Chiomonte termineranno il 31 dicembre 2015, il Ministero delle infrastrutture scrive come data finale il 2017.
Non basta. Un recente appalto europeo di LTF (la società mista franco-italiana incaricata del lavoro) indica addirittura dicembre 2016.
Ad oggi, dopo quasi due anni di lavoro, è stato raggiunto il 17 per cento dell’avanzamento lavori. È difficile che il restante 83 per cento possa essere scavato in 15 mesi, e questo conferma le previsioni del Ministero e di LTF, smentendo assolutamente il Ministro e il commissario.
Le conseguenze del ritardo saranno gravi. Infatti la UE, che nel 2013 ha già ridotto il suo finanziamento a causa dei ritardi tecnici e amministrativi, ha stabilito che pagherà soltanto le opere realizzate fino al 31 dicembre 2015. Se – come è probabile – a quella data sarà eseguito solo il 50 per cento, il mancato introito sarebbe nell’ordine di 32-33 milioni di euro, milioni che ricadrebbero interamente su Francia e Italia, a meno di abbandonare l’opera a metà, presentimento che si fa sempre più pressante.
Inoltre, è notizia di oggi che il presidente della Commissione trasporti del Parlamento europeo Michael Cramer ha dichiarato che non è assolutamente detto che l’Europa cofinanzierà il 40 per cento della tratta transfrontaliera, perché l’opera non è prioritaria. Per l’Europa la priorità è l’andamento Nord-Sud (ripeto Nord-Sud) e non Sud-Nord, perché la parte del Terzo valico non è comprensiva della grande rete Ten-T.
Quindi, non si capisce – poi sul Terzo valico ci sarebbe da parlare – come andranno a finire questi lavori, compresi quelli del tunnel di base.
Ora, poiché non è immaginabile che uomini di alto onore come il ministro Lupi e il commissario Virano mentano consapevolmente, delle due l’una: o ignorano i documenti ufficiali, che invece dovrebbero conoscere e verificare; oppure sono stati mal informati dai loro collaboratori. In entrambi i casi, per salvaguardare almeno la loro stessa dignità, dovrebbero dimettersi dai loro incarichi.
Consentitemi, però, ritornando sul Terzo valico, di sottolineare come oggi, in Commissione, io e il collega Cioffi, ma anche la maggioranza, abbiamo chiesto una audizione urgente per quanto riguarda il contratto Cociv. Quattro giorni fa, infatti, durante l’alluvione di Genova, anche a Fegino si è verificato un mezzo disastro, per fortuna senza morti: un Frecciabianca è deragliato. Guardando le foto che si vedono nei vari siti giornalistici, appena sopra il treno deragliato si vede il cantiere del Terzo valico, con la dorsale di una collina appena disboscata.
Quindi, è lecito pensare che sia proprio quel disboscamento la causa del deragliamento del treno e di questo vorremmo avere chiarezza. Abbiamo anche chiesto una audizione urgente del consorzio Cociv in Commissione.”

Senato, governo salvo per un soffio: ok nota aggiornamento Def con 161 voti esatti

Esecutivo in bilico a Palazzo Madama: sulle misure economiche l’approvazione arriva solo grazie al sì di Orellana e alla non partecipazione di Calderoli che stava presiedendo i lavori dell’Aula. E i rischi di andare sotto proseguono anche in commissione Giustizia
 
Il governo torna in bilico al Senato. La nota di variazione al Def è stata approvata infatti solo grazie al contributo insperato dell’ex grillino Luis Alberto Orellana e grazie al caso che ha voluto che un esponente dell’opposizione, il leghista Roberto Calderoli, presiedesse l’assemblea al momento del voto (e quindi si astenesse come per prassi). La nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza autorizzava tra l’altro il rinvio al 2017 del pareggio di bilancio e ha avuto l’ok con il quorum esatto di 161 voti, quanti erano necessari per l’approvazione. Ancora da capire il significato politico di questi numeri che vanno affiancati a quelli di un’altra votazione, quella che ha dato il via libera con 162 voti alla risoluzione che impegna il governo a inserire nella legge di stabilità una serie di misure, tra cui la stabilizzazione del bonus fiscale di 80 euro, e l’ecobonus. Per la cronaca per il voto di fiducia per il Jobs Act la maggioranza era stata di 165.
 
Mentre è chiaro come sia stato determinante il voto favorevole di Orellana (reso pubblico da un ex compagno del M5s, Andrea Cioffi), essenziale è diventato anche il non voto del vicepresidente di Palazzo Madama Calderoli. Ove a presiedere fosse stato un altro vicepresidente di maggioranza, alla coalizione di governo sarebbe venuto a mancare un voto e conseguentemente la risoluzione sarebbe stata respinta. “Ha votato favorevolmente anche Walter Tocci (dimissionario) e con lui i senatori cosiddetti dissidenti (che non hanno votato il Jobs Act, per capirci) che qualcuno vorrebbe espellere dal gruppo – rivendica Pippo Civati – Spero che la vicenda insegni qualcosa agli scalmanati che si sono manifestati in questi giorni, minacciando espulsioni e sanzioni nei confronti di chi continua a comportarsi in modo corretto e leale, soprattutto verso gli elettori”.
 
Negli ultimi giorni il pallottoliere della maggioranza ha ricominciato a funzionare al Senato, da sempre – ai tempi del Porcellum – croce dei governi. Aveva assunto un significato doppio, per esempio, l’addio del senatore Antonio D’Alì al Nuovo Centrodestra per tornare a Forza Italia, anche se oggi, 14 ottobre, questo passaggio è stato “annullato” dal percorso contrario di Franco Langella, che ha lasciato il gruppo parlamentare del Gal (berlusconiani che spesso si sono ritrovati a sostenere prima Letta e poi Renzi) per approdare appunto con Angelino Alfano e quindi in maggioranza. Tuttavia, secondo le voci che circolano, Forza Italia punterebbe a recuperare alcuni suoi ex parlamentari: tra questi i più noti sono il pugliese Antonio Azzollini e il calabrese Tonino Gentile.
 
Ma i guai per la maggioranza non sembrano essere finiti. In commissione Giustizia, sempre a Palazzo Madama, è ripreso infatti l’esame del decreto sul processo civile, con votazioni che sono riprese dall’articolo 16 che riduce il numero dei giorni delle ferie dei magistrati (cavallo di battaglia estivo del presidente del Consiglio Matteo Renzi che sul punto si è scontrato a distanza con l’Anm). L’emendamento è passato: i magistrati potranno andare in ferie dall’1 al 31 agosto. La norma è stata modificata, rispetto al testo del governo, dal senatore Psi Enrico Buemi. Sono stati bocciati tutti gli altri emendamenti.
 
Ma la maggioranza rischia di non avere i numeri, secondo quanto apprende l’agenzia politica Public Policy, sulla norma del divorzio veloce, osteggiata da Nuovo Centrodestra, Per l’Italia e una parte del Pd. Secondo quanto riferito, i numeri potrebbero mancare durante la votazione dell’emendamento a firma della minoranza Pd che riformula la norma sulle separazione, prevedendo che questa venga comunque ratificata dal tribunale competente e non solo dagli avvocati delle parti. La proposta di modifica dovrebbe ricevere il parere contrario del governo ma Ncd sarebbe intenzionato a votare a favore facendo mancare i numeri della maggioranza.
 
Non solo. Il governo rischia di finire sotto anche su un emendamento di Carlo Giovanardi (Ncd) che introduce la mediazione assistita obbligatoria, nei casi in cui i coniugi con figli minori vogliano arrivare a uno scioglimento. La proposta di modifica dovrebbe ricevere il parere contrario del governo ma – a quanto riferito – Ncd e Forza Italia voteranno a favore facendo mancare i numeri della maggioranza. Il Pd infatti avrebbe bisogno dei numeri del M5s che a quanto si apprende non sosterrà la maggioranza. Per questo, nel caso manchino i numeri, il governo si prepara a presentare un maxiemendamento con la soppressione della norma. Secondo fonti di governo, l’emendamento sulla mediazione “è un pretesto” in vista dei nodi “veri” del decreto: divorzio veloce e ferie dei magistrati.