L’alluvione a Genova è di origine artificiale, provocata dall’uomo! Ecco la verità shock!

http://www.notiziedalweb.org/alluvione-genova-origine-artificiale/

Posted on October 11, 2014 by admin
Rosario Marcianò, presidente del “comitato tanker enemy” che da anni si occupa di geoingneria e dintorni, sostiene che l’alluvione che ha colpito e che sta mettendo in ginocchio Genova anche in queste ore sarebbe di origine artificiale. Si tratta di accuse gravissime, ve le riportiamo per conoscenza: ognuno si faccia la propria idea.

Ecco la sua teoria:

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Nubifragio a Genova tra il 9 ed il 10 ottobre 2014: ancora vittime innocenti e distruzione. Ancora una volta si tratta di un disastro voluto e di origine artificiale. Infatti in natura non esistono le “celle temporalesche V-Shape autorigeneranti” (termine subito inventato dai centri meteo nazionali) [1]. E’ un fenomeno che è stato puntualmente registrato dal radar Doppler della Protezione civile (che, anche in questo frangente, non ha avvertito la popolazione). E’ dunque l’ennesima prova provata che, per provocare il flagello, si è impiegato con tutta probabilità, il TAURUS MOLECOLAR CLOUDS (TMC-65), installato su imbarcazioni, così come si verificò in altre innumerevoli drammatiche occasioni in Italia. E’ ormai chiaro l’intento distruttivo perpetrato sulla nostra penisola ad opera di ignoti, con il solo scopo di avvalorare le tesi bislacche di un fantomatico ed inesistente “riscaldamento globale” da biossido di carbonio sì da incoraggiare e legalizzare, fiaccando il morale del cittadino inerme, l’uso della geoingegneria.

Nel novembre 2011 prevedemmo, con tre giorni di anticipo, l’alluvione a Genova e nel Levante Ligure (LINK). I metodi adottati allora nell’indurre l’alluvione sono perfettamente assimilabili a quelli del 10 ottobre 2014.

Matteo Renzi ha di recente dichiarato che “bisogna agire in qualsiasi modo per contrastare il riscaldamento globale”. I notiziari di regime ripetono che questi nubifragi accadono causa del global warming. Morale? Ci stanno imbrogliando.

Mentre stiamo scrivendo, nel Ponente Ligure, stanno coprendo con scie chimiche igroscopiche. Dalla mappa satellitare si evince chiaramente che concentrano la perturbazione artificiale su Genova e sul Levante Ligure al fine di renderla micidiale.

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[1] Le cosiddette “celle autorigeneranti” violano il secondo principio della termodinamica, poiché in un sistema è impossibile realizzare una trasformazione ciclica il cui unico risultato sia la trasformazione in lavoro di tutto il calore assorbito da una sorgente omogenea, vale a dire che un temporale autorigenerante richiederebbe un costante apporto di energia che, invece, con il passare del tempo tende a diminuire.

Fonte: Tanker Enemy, Informatitalia

Profezie facili. L’alluvione di Genova secondo Usb (un mese fa!)

http://contropiano.org/politica/item/26849-profezie-facili-l-alluvione-di-genova-secondo-usb-un-mese-facontropiano.org

Profezie facili. L'alluvione di Genova secondo Usb (un mese fa!)

Un comunicato dell’USB – PI della Provincia di Genova più di un mese fa menzionava l’alluvione.

di USB -PI Provincia di Genova

I primi giorni di settembre, quando nulla faceva presagire quanto sarebbe accaduto più di un mese dopo, l’USB – PI della Provincia di Genova diffondeva un comunicato indirizzato ai cittadini, in quanto utenti dei servizi della Provincia, per denunciare gli effetti dei pesanti tagli governativi sui lavoratori e sui servizi.

Fummo facili profeti, ma non ci voleva tanto, purtroppo.

Vale la pena rileggerlo ora, alla luce dei fatti odierni…. e rimanere senza parole.

Di seguito il comunicato. 

Memorandum per l’utenza della Provincia di Genova
(Da appendere nelle bacheche e negli uffici)

Dal 1 settembre 2014 tutte le attività della Provincia di Genova funzioneranno a scartamento ridotto.

In tutti gli uffici noi lavoratori saremo presenti solo due pomeriggi alla settimana.

Gli altri giorni saltiamo il pasto, lavoriamo di più, mangiamo meno e offriamo un servizio peggiore.

Le scuole gestite da noi saranno chiuse il sabato.

La Formazione Professionale gestita direttamente dall’Ente è ormai al collasso.

Non funzioneranno più le centraline che misurano l’inquinamento atmosferico (ma chi se ne frega intanto i danni alla salute si manifesteranno a lungo termine).

La vegetazione nei torrenti crescerà rigogliosa, mettendo a rischio la sicurezza (ma chi se ne frega, alluvione più alluvione meno ….).

Il personale impegnato sulle strade provinciali nei mesi di settembre e ottobre sarà presente solo un pomeriggio alla settimana (lunedì). Dal martedì alla domenica invitiamo tutti ad incrociare le dita. Comunque da tempo non c’è più un euro per svolgere al meglio i servizi, come avete avuto già modo di vedere questa estate, data la situazione dell’erba non tagliata e delle buche sulle strade.

Se avrete bisogno dei Centri d’Emergenza vi avvertiamo che i turni di presenza dei lavoratori reperibili sono stati ridotti (consigliamo di munirsi del Manuale delle Giovani Marmotte).

Tutto ciò è la conseguenza del risparmio di 100.000 € a causa dei tagli del Governo Renzi, che dopo averci cancellato dal 1 gennaio 2015 ci finisce con un colpo alla nuca tagliandoci tutte le risorse. Potevano tagliare ai dirigenti ma i nostri amministratori hanno fatto un’altra scelta.

Avvisiamo che la situazione non potrà che peggiorare considerati i nuovi tagli al bilancio previsti per novembre. Speriamo in una primavera eterna, senza pioggia e neve.

Ricordiamo infine a tutti gli utenti che, nonostante a noi lavoratori abbiano tagliato pesantemente il salario, continuiamo comunque a svolgere il nostro dovere con passione e professionalità.

Avvisiamo altresì che noi lavoratori non ci arrenderemo ai tagli e alla cancellazione dei servizi pubblici e nei prossimi mesi continueremo a lottare per noi ma anche per voi. Per questo siamo mobilitati affinché si torni ad un orario e ad un trattamento più consono alle funzioni da noi svolte.

USB-P.I. Provincia di Genova

LE ADOLESCENTI AUSTRIACHE CHE SI ERANO ARRUOLATE NELL’ISIS VOGLIONO TORNARE A CASA. VIENNA: PRATICAMENTE IMPOSSIBILE

Dovevano essere le “ragazze-immagine” della jihad in Siria. Ma Samra Kesinovic, 16 anni, e la sua amica Sabina Selimovic, 15 anni, hanno contattato le famiglie per cercare aiuto. Avrebbero sposato combattenti ceceni e ora sarebbero entrambe incinte
Sabina Selimovic e Samra Kesinovic
12/10/2014
Due adolescenti austriache di origine bosniaca, diventate le “ragazze immagine” per la jihad in Siria, stanno ora disperatamente cercando di tornare a casa. Stando a quanto riferito dai media austriaci, citati dal Daily Mail, Samra Kesinovic, 16 anni, e la sua amica Sabina Selimovic, 15 anni, avrebbero contattato le loro famiglie chiedendo di aiutarle a tornare a casa. Le due ragazze erano scomparse da Vienna il 10 aprile scorso, lasciando un biglietto ai genitori in cui chiedevano di non cercarle: “Serviremo Allah e moriremo per lui”.

 Una volta arrivate nella città siriana di Raqqa, roccaforte dei jihadisti dello Stato islamico, avrebbero sposato combattenti ceceni e ora sarebbero entrambe incinte. Secondo fonti della sicurezza citate dal quotidiano austriaco Oesterreich, le due ragazze non avrebbero alcuna possibilità di tornare a casa perchè troppe persone le associano con l’Isis.

 Lo stesso portavoce del ministero dell’Interno di Vienna, Karl-Heinz Grundboeck, ha sottolineato che “una volta partito, è quasi impossibile” tornare in Austria. Si stima siano circa 160 gli austriaci che si sarebbero uniti ai jihadisti attivi in Iraq e Siria.

Sblocca Italia, gli aiuti a Enel e alle ex municipalizzate con inceneritori “strategici”

http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/10/10/sblocca-italia-gli-aiuti-a-enel-e-alle-ex-municipalizzate-con-inceneritori-strategici/1148002/

Il Fatto Quotidiano

Ai costi attuali, incenerire rifiuti per produrre energia non è un grande affare nemmeno se si dispone di impianti moderni ed efficienti. Il decreto, che viaggia in direzione contraria alla linea comunitaria del riciclo, punta però a mettere in circolo la spazzatura di tutta la Penisola dando un ruolo primario ai vecchi impianti di combustione

Sblocca Italia, gli aiuti a Enel e alle ex municipalizzate con inceneritori “strategici”
L’obiettivo sembra ragionevole: attuare un “sistema integrato e moderno di gestione dei rifiuti atto a conseguire la sicurezza nazionale nell’autosufficienza e superare le procedure di infrazione per mancata attuazione delle norme europee di settore”. Il mezzo è controverso: dichiarare per decreto gli inceneritori “infrastrutture strategiche di preminente interesse nazionale” e permettere il conferimento di rifiuti solidi urbani provenienti da altre Regioni per farli funzionare a pieno carico. L’esito finale non è scontato, ma in realtà l’articolo 35 del decreto Sblocca Italia dà soprattutto una boccata d’ossigeno alle ex municipalizzate che gestiscono gli inceneritori e un aiutino all’Enel che intenderebbe convertire alcune centrali a olio combustibile, ormai obsolete, in impianti di recupero energia dai rifiuti urbani e speciali. Il termine “boccata d’ossigeno” non è usato a caso: ai costi attuali, incenerire rifiuti per produrre energia non è un grande affare nemmeno se si dispone di impianti moderni ed efficienti. Ne sanno qualcosa a Verona, dove il sindaco Flavio Tosi e i vertici della municipalizzata Agsm hanno puntato molto sul contestatissimo progetto di Ca’ del Bue, salvo scoprire pochi mesi fa che senza incentivi l’impresa non sta in piedi. Al nuovo impianto, infatti, non sono stati riconosciuti i contributi Cip6 di cui beneficiava il vecchio inceneritore e la regione Veneto ha inoltre tagliato da 190 a 150mila tonnellate annue la quota di rifiuti destinata a Verona. Il presidente di Agsm, il leghista Paolo Paternoster, ha dichiarato all’Arena che l’impianto si potrebbe anche fare “con una potenzialità di sole 150mila tonnellate, ma dovremmo innalzare la tariffa di conferimento da 140 ad almeno 160 euro a tonnellata e noi questo non lo vogliamo”. La ragione è semplice: sarebbe una tariffa totalmente fuori mercato e tanto varrebbe – anche a costo di dover pagare delle penali all’impresa spagnola che si è aggiudicata la commessa – rinunciare alla costruzione.

Ora però il decreto Sblocca Italia mette in circolo la monnezza di tutta la Penisola dando nuove speranze al sindaco Tosi e ai suoi fedelissimi che vedono così cadere il limite regionale di 150mila tonnellate. Però, di lì a dire che l’impianto sarà economicamente conveniente ce ne passa. A Torino, dotata di un modernissimo impianto a tre linee, “la tariffa di conferimento è di 116 euro a tonnellata più il trasporto – dice Pietro Colucci, presidente e amministratore delegato di Kinexia e grande esperto di waste management – e la vicina Liguria deve decidere se spedirli lì, se spenderne circa 83 per conferirli in discarica o se fare come Napoli che smaltisce all’estero a un costo di 95 euro a tonnellata, più il costo del trasporto marittimo. Come sostengo da tempo, in Italia e in Europa si combatte una vera e propria guerra sui rifiuti con le imprese scandinave che praticano sconti sempre più aggressivi per far girare i loro impianti e con gli enti locali che si ritrovano a fare i conti con crescenti difficoltà di bilancio”. L’obiettivo dell’autosufficienza, dunque, non sembra così alla portata: “Dei poco più di 50 inceneritori presenti in Italia, ne resteranno una decina seri e di grandi dimensioni – sottolinea Colucci – i più piccoli sono destinati a chiudere al termine degli 8 anni di incentivi. Investimenti come quello di Torino, però, difficilmente verranno replicati: per fare l’impianto ci sono voluti 11 anni e a Firenze, dove avevano un progetto simile, Hera ha poi rinunciato”.

Insomma, incenerire non conviene più e da anni la politica europea sui rifiuti va in tutt’altra direzione, che è quella dei rifiuti zero, con altissimi tassi di raccolta differenziata, di riuso e di recupero. “Il modello di business deve cambiare – dice ancora Colucci – Noi a Chivasso con il Comune e la Consulta ambientale abbiamo avviato il progetto WastEnd per realizzare un polo per il riciclo dei materiali in loco e contiamo di poter recuperare o riutilizzare in altre forme circa il 90-95% dei rifiuti”. Il progetto prevede circa 50 milioni di investimento in 3 anni, ha una valenza fortemente innovativa (si sta anche valutando la possibilità di realizzare il primo impianto in Italia per il recupero dei materassi), una discreta ricaduta occupazionale (si prevedono dai 50 ai 70 addetti) e soprattutto va nella direzione indicata dall’Europa, quella appunto dei “rifiuti zero”. Curioso il fatto che un premier giovane, riformista che si propone in totale rottura con il passato abbia definito “infrastrutture strategiche” i vecchi inceneritori anziché i poli per il riuso e il recupero dei rifiuti che giocoforza saranno il futuro. Del resto si tratta di una scelta coerente con tutto l’impianto dello Sblocca Italia che replica la vecchia ricetta clientelare all’italiana con le regalie ai concessionari autostradali, la follia dell’Alta Velocità e il via libera alle trivelle per lo sfruttamento degli idrocarburi. Territorio, ambiente e cittadini, in questo schema, non sono proprio contemplati.

La Nato si prepara a utilizzare ISIS contro Mosca e Pechino

Imola Oggi

domenica, 28, settembre, 2014

 Non più solo arabi (prima libici, poi siriani, poi iracheni) ma da oggi anche caucasici e addirittura cinesi. Avverte Thierry Meyssan: la composizione dei miliziani del Califfato Islamico rivela con precisione le intenzioni dei suoi segreti protettori atlantici. Di fatto, si arruolano combattenti e ufficiali provenienti dai paesi che saranno presto attaccati.

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Mentre l’opinione pubblica occidentale viene imbevuta di informazioni sulla costituzione di una presunta coalizione internazionale volta a combattere l’Emirato Islamico, quest’ultimo cambia forma con discrezione: i suoi principali ufficiali non sono già più di origine araba, ma provengono dalla Georgia e dalla Cina. Per Meyssan, questa mutazione dimostra chela Nato si prepara a utilizzare l’Emirato Islamico contro Mosca e Pechino. Pertanto, russi e cinesi «devono intervenire adesso contro gli jihadisti, prima che tornino a seminare il caos nei loro paesi di origine». Lo si ricava da un’attenta analisi dell’identità dei combattenti, fornita da Meyssan in un servizio tradotto da “Megachip”.

uiguri

Finora, riassume Meyssan, gli Stati Uniti «sono stati capaci di distruggere gli Stati solo in Afghanistan, in Iraq e in Libia, ossia in paesi la cui popolazione è Combattenti cinesi (uiguri) arruolati nell’Isisorganizzata in tribù», mentre «hanno fallito ovunque altrove». In Siria, la destabilizzazione si è fermata a metà strada: attraverso gli jihadisti, gli Usa hanno “conquistato” il nord-est del paese, attorno al distretto di Deir ez-Zor, prima “capitale” del Califfato, senza però riuscire a sottrarre ad Assad il grosso del territorio siriano. In prima battuta, il cosiddetto Emirato Islamico ha esibito la sua origine araba. Il primo nucleo si chiamava “Al-Qaeda in Iraq”: non combatteva contro gli invasori statunitensi, ma contro gli sciiti iracheni. Poi cambiò nome: prima “Emirato Islamico in Iraq” e poi Isil, “Emirato Islamico in Iraq e nel Levante”. Nell’ottobre 2007, l’esercito statunitense si impadronì nei pressi di Sinjar di 606 schedature di membri stranieri dell’organizzazione: schede studiate da esperti dell’accademia militare di West Point.

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«Siamo solo 200 combattenti, tutti iracheni», dichiarò l’emiro Amir al-Baghdadi. «Questa menzogna – scrive Meyssan – è paragonabile a quella di altre organizzazioni terroristiche in Siria, che dichiarano di annoverare solo incidentalmente degli stranieri fra i propri ranghi». In realtà, l’esercito siriano stima in almeno 250.000 il numero degli jihadisti stranieri che hanno combattuto in Siria nel corso degli ultimi tre anni. Inoltre, il “califfo Ibrahim” (il nuovo nome di Amir al-Baghdadi) ora afferma che la sua organizzazione è composta in gran parte da stranieri, che il territorio siriano non è più per i siriani e il territorio iracheno non è più per gli iracheni, ma solo per i suoi jihadisti. «Secondo i documenti sequestrati a Sinjar – spiega Meyssan – il 41% dei terroristi stranieri membri dell’“Emirato Islamico dell’Iraq” erano cittadini sauditi, il 18,8% erano libici, e solo l’8,2% erano siriani. Se si rapportano queste cifre alla popolazione di ciascuno dei paesi coinvolti, la Tarkhan Batirashvili, sergente dell’intelligence militare georgiana, è diventato uno dei principali leader dell’Emirato islamico sotto il nome di Abu Omar al-Shishanipopolazione libica ha fornito in proporzione 2 volte più combattenti di quella dell’Arabia Saudita e cinque volte di più rispetto a quella della Siria».

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Per quanto riguarda gli jihadisti siriani, la loro origine era dispersa nel paese, ma il 34,3% proveniva dalla città di Deir ez-Zor. Una città che, dopo il ritiro dell’“Emirato islamico” da Raqqa, è diventata la capitale del Califfato. In Siria, Deir ez-Zor ha la particolarità di essere popolata prevalentemente da arabi sunniti organizzati in tribù, e da minoranze curde e armene: proprio il carattere tribale del territorio ha permesso la penetrazione jihadista appoggiata dall’Occidente. Ora, ennesima svolta: «Una purga colpisce gli ufficiali del Maghreb». Per esempio, «i tunisini che hanno preso l’aeroporto militare di Raqqa il 25 agosto, sono stati arrestati per disobbedienza, giudicati e giustiziati dai loro superiori». E’ la prova, dice Meyssan, che l’“Emirato Islamico” intende «ridimensionare i suoi combattenti arabi e promuovere degli ufficiali ceceni gentilmente forniti dai servizi segreti georgiani», collegati con la Cia e ostili alla Russia, dopo la crisi dell’Ossezia del Sud.

Inoltre, un’altra categoria di jihadisti ha fatto la sua comparsa: i cinesi. «Da giugno, gli Stati Uniti e la Turchia hanno trasportato centinaia di combattenti cinesi e le loro famiglie nel nord-est della Siria», racconta Meyssan. «Alcuni di loro diventano immediatamente ufficiali: sono per lo più uiguri, cinesi della Cina popolare, ma musulmani sunniti e turcofoni». Diventa quindi evidente che il Califfato «estenderà le sue operazioni in Russia e in Cina, poiché questi due paesi rappresentano i suoi bersagli finali».

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Secondo Meyssan, «stiamo sicuramente per assistere a una nuova campagna di comunicazione della Nato: la sua aviazione spingerà gli jihadisti fuori dall’Iraq e lascerà che si stabiliscano a Deir ez-Zor. La Cia fornirà denaro, armi, munizioni e informazioni ai “rivoluzionari siriani moderati” (sic) dell’Esl, l’“Esercito Siriano Libero”, che poi si cambieranno il cappello e lo useranno sotto la bandiera dell’“Emirato Islamico”», come già avvenne nel maggio del 2013. «All’epoca, il senatore John McCain si era recato illegalmente in Siria per incontrare lo stato maggiore dell’Esl. Secondo la Al centro della foto Abu al-Khazakhi Anisah, primo jihadista “cinese” dell’Emirato islamico ucciso in azione (era di origine kazaka)fotografia poi diffusa per attestare l’incontro, questo stato maggiore comprendeva un certo Abu Youssef, ufficialmente ricercato dal Dipartimento di Stato Usa con il nome di Abu Du’a, in realtà l’attuale “califfo Ibrahim”. Così, lo stesso uomo era – a seconda delle circostanze e contemporaneamente – sia un leader “moderato” dell’Esl, sia un leader estremista in seno all’“Emirato islamico”».

Una volta muniti di queste informazioni, continua Meyssan, apprezzeremo nel suo giusto valore il documento presentato al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite il 14 luglio dall’ambasciatore siriano Bashar al-Jaafari. Si tratta di una lettera del comandante in capo dell’Esl, Salim Idriss, datata 17 gennaio 2014. Vi si legge:

«Con la presente vi comunico che le munizioni inviate dallo stato maggiore ai dirigenti dei consigli militari rivoluzionari della regione orientale devono essere distribuite, in conformità con quanto concordato, per due terzi ai signori della guerra del “Fronte al-Nusra”, il restante terzo da distribuire tra i militari e gli elementi rivoluzionari per la lotta contro le bande dell’“Emirato Islamico in Iraq e nel Levante”. Grazie per averci inviato le prove di consegna di tutte le munizioni, precisando i quantitativi e le McCain con, da sinistra, Ibrahim al-Badri (Isil-Isis) e il generale dell’Esl Salim Idris (con gli occhiali)qualità, debitamente firmate dai dirigenti e dai signori della guerra in persona, in modo che possiamo trasmetterle ai partner turchi e francesi».

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In altre parole, sottolinea Meyssan, due potenze della Nato – la Turchia e la Francia – hanno fornito munizioni per due terzi al “Fronte Al-Nusra”, che l’Onu classifica come appartenente ad Al-Qaeda, e per un terzo all’Esl, al fine di lottare contro l’“Emirato Islamico”, guidato da uno dei suoi ufficiali superiori. «In realtà, l’Esl è scomparso dal campo e le munizioni erano dunque destinate per due terzi ad Al-Qaeda e per un terzo all’“Emirato Islamico”». Grazie a questo dispositivo con doppia funzione, conclude Meyssan, «la Nato continuerà a lanciare le sue orde di jihadisti contro la Siria con la pretesa di combatterle». Tuttavia, «quando la Nato avrà stabilito il caos in tutto il mondo arabo, compreso il suo alleato saudita», finirà per rivolgere il Califfato contro le due grandi potenze in via di sviluppo, la Russia e la Cina. «Ecco perché queste due potenze dovrebbero intervenire subito e stroncare sul nascere l’esercito privato che la Nato sta costruendo e addestrando nel mondo arabo. In caso contrario, Mosca e Pechino dovranno presto affrontarlo sul proprio suolo».

A Minsk viene lanciata l’Unione economica eurasiatica

http://italian.irib.ir/analisi/articoli/item/170380

irib

Sabato, 11 Ottobre 2014 08:52

A Minsk viene lanciata l’Unione economica eurasiatica

 
Il 10 ottobre il baricentro del processo di integrazione politica ed economica degli Stati ex-sovietici si è spostato a Minsk. In Bielorussia si è tenuto un vertice dei Capi di Stato della CSI, seguito dall’incontro dedicato alla creazione dell’Unione Economica Eurasiatica (UEE) che dal 1 gennaio 2015 prenderà il posto della Comunità Economica Eurasiatica (EurAsEC) creata ancora nel 2000.

 A Minsk all’Unione economica di Russia, Bielorussia e Kazakistan ha aderito anche l’Armenia, mentre la Kirghizia ha confermato la sua intenzione di diventarne parte.

 Il vertice CSI costituisce la parte centrale della giornata. Ovviamente a Minsk si è parlato anche della crisi in Ucraina, ma il grande assente era appunto il presidente ucraino Petr Poroshenko. Fino all’ultimo Poroshenko ha esitato, ma alla fine ha mandato al vertice l’ambasciatore dell’Ucraina in Bielorussia.

 A questo proposito il presidente dell’Uzbekistan Islam Karimov ha detto: “Pare che Poroshenko non riesca a decidere se l’Ucraina ha bisogno della CSI”.

 Il presidente della Bielorussia Aleksandr Lukashenko ha dichiarato che è necessario porre la fine alla guerra nel centro dell’Europa, mentre le parti coinvolte nel conflitto nel Sud-Est dell’Ucraina non solo devono cessare lo spargimento di sangue, ma anche rispettare rigorosamente la tregua firmata a Minsk.

 È inammissibile che le questioni di vitale importanza, che riguardano un paese come l’Ucraina, vengano decise lontano da essa, non so se a Berlino o Milano. Allora è logico chiedere: a cosa serve appellare alla CSI per altre questioni di natura economica, politica e diplomatica?

 Lukashenko ha menzionato Milano, perché nei giorni del 16-17 ottobre nel capoluogo lombardo si terrà il forum “Asia-Europa” (ASEM), al quale parteciperanno anche i dirigenti dell’Unione Europea. Corrono le voci che Putin e Poroshenko potrebbero incontrarsi ai margini del forum.

 A Minsk Vladimir Putin ha respinto le accuse di UE, Ucraina e Moldavia che sostengono che Mosca sta impedendo l’integrazione di Ucraina e Moldavia con l’Europa

 Non ci siamo mai opposti al ravvicinamento con l’Unione Europea e noi stessi vogliamo diventare più vicini. Si tratta delle condizioni della nostra cooperazione. I problemi sorgono non perché la Russia ha adottato delle contromisure per difendersi, ma perché i nostri partner non ritengono opportuno discutere in maniera tempestiva, aperta, globale, concreta e professionale dei rischi ai quali l’economia della Russia e di altri paesi CSI viene esposta a seguito delle norme dell’area di libero scambio, nel senso di adesione dei nostri colleghi ad altre unioni economiche e commerciali

 Ai vertici di Minsk hanno partecipato i presidenti della Russia, Bielorussia, Kazakistan, Tagikistan, Kirghizia, Armenia, Azerbaigian, Uzbekistan, Turkmenistan e Moldavia.

 A Minsk sono stati firmati dei documenti che riguardano i controlli alle frontiere, la migrazione, la lotta al traffico di droga e di esseri umani, nonché l’attività di intelligence finanziaria. Vladimir Putin ha invitato i suoi omologhi alle celebrazioni dedicate alla 70ma ricorrenza della fine della Grande Guerra Patriottica che si terranno l’anno prossimo. L’invito è stato accettato da tutti. Il prossimo vertice della CSI si terrà ad Astana, in Kazakistan, in settembre-ottobre 2015.

 Con l’ingresso dell’Armenia l’Unione Economica Eurasiatica sale al quinto posto tra le associazioni economiche regionali con il PIL complessivo più grande. Nell’area post-sovietica sarà l’unione economica più grande in assoluto con oltre 190 milioni di abitanti. Per quanto riguarda l’estensione geografica – 20,5 milioni di km2, non ha rivali. Gli Stati UEE hanno quasi l’8% di tutti i giacimenti mondiali di petrolio, il 22% di quelli di gas e di carbone, e sono leader assoluti dal punto di vista delle risorse di uranio, diamanti, metalli del gruppo del platino, oro, argento e di altri metalli rari.

 Attualmente sono stati già elaborati accordi sull’area di libero scambio tra UEE e Vietnam, Israele, India e Egitto.

 Sotto molti aspetti l’UEE sarà un analogo dell’UE, ma molto più vasta. Tutti i membri dell’UEE si impegnano a garantire la libera circolazione di merci, servizi, capitali e manodopera, e ad attenersi alla politica concordata nei settori chiave, e cioè commercio, energia, industria, agricoltura e trasporti. In prospettiva Mosca non esclude neanche una moneta unica.

Genova 9 ottobre, la furia dell’acqua

post — 10 ottobre 2014 at 16:52
da noterzovalico.org

10 ottobre 2014,

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Un giorno di pioggia intensa e a Genova si manifesta, per l’ennesima volta, l’intesa perfetta tra urbanizzazione e stagione delle piogge. L’ennesima, repentina, alluvione. Un deja-vù. A una quantomeno strana estate, è seguito un torrido settembre e, così, nel giro di pochi giorni, i primi giorni di piogge, torrenziali, hanno di nuovo bussato alla porta di Genova. Senza scomodare i cambiamenti climatici, certamente influenti sulle dinamiche meteorologiche e ecologiche dell’area del mediterraneo, senza dilungarsi sui fenomeni meteorologici importanti a cui è sottoposta questa particolare area geografica, senza inoltrarsi nella climatologia ligure, con piogge intense e ben localizzate, né nelle dinamiche idrografiche e del regime torrentizio ligure, è evidente che, a Genova, il problema è l’urbanizzazione e la saturazione di cemento e infrastrutture, il cui impatto sull’ambiente è ormai sotto gli occhi di tutti, innegabile. Chi dice il contrario, chi nega, mente, parla in malafede, o in ignoranza. Ancora una vittima, ancora un morto. Sempre a Marassi. La causa dell’ alluvione, degli allagamenti, di tutti i“danni” della pioggia di oggi sono da addebitare alla colata di cemento a cui è sottoposto il territorio genovese dallo scorso secolo, a chi l’ha voluta, sostenuta e sviluppata, a quella classe dirigente politico-economica assassina, che tutt’ora persevera nel gonfiarsi le tasche con la distruzione del territorio, dividendosi il bottino con aziende, lobby e affaristi senza scrupoli. Non è una caso che le zone più colpite, ancora una volta, siano la Valbisagno e la Valpolcevera, i quartieri collinari e le aree urbane a fondo delle valli genovesi. Ma è tutta la città di Genova, da ponente a levante, a subire di nuovo i disastri voluti dalla classe politico-economica, fautrice locale di quel modello di sviluppo che sta devastando il pianeta: lo sviluppo capitalista. Aggressione edilizia del territorio, estesi disboscamenti, sfruttamento delle aree fluviali, l’urbanizzazione, con il suo treno di cementificazione, di dissesto idrogeologico e costrizione delle dinamiche idrografiche naturali, l’industrializzazione, sono all’origine dell’eterna emergenzadi Genova. Ebbene, vediamo che negli anni la classe dirigente, ha trovato sempre il modo di tradurre i disastri che ha causato in nuovi profitti e nuovi progetti distruttivi (oltre che in più ampi spazi di potere e controllo), di nascondere tutto sotto una spessa coltre di menzogne, e senza neanche domandarsi se fosse il caso di fermarsi, ha continuato (per nulla indisturbata) a perseverare nel distruggere il territorio per farne profitto. Le esondazioni dei torrenti Sturla, Scrivia, Bisagno e Fereggiano e dei rii minori sono fenomeni naturali; a non esserlo sono il contesto urbano che le determina e caratterizza, in cui avvengono e in cui sono costrette, con tutte le conseguenze. Per Genova, l’ennessimo bollettino di guerra.

A Trasta, ancora una volta, un fiume di fango dovuto al dilavamento delle zone disboscate per i cantieri del TAV-Terzo Valico ha invaso la strada principale. Allagamenti e colate di fango diffuse in tutta la Valpolcevera, sia sul lato destro che sinistro di tutta la vallata. Laddove sorgevano i boschi e le colline di Trasta e San Quirico, sorgono ora due enormi cantieri dell’Alta Velocità, quello della “galleria Campasso” e quella della “finestra Polcevera”, voluti da COCIV con la sentita partecipazione del Comune di Genova, Regione Liguria e dello Stato italiano. Qui, fino all’anno scorso, vivevano le due colline sopra Via Castel Morrone e Via Tecci, che giorno dopo giorno vedevano la città avvicinarsi minacciosa sempre più. I loro boschi saldavano i versanti, impedivano il veloce scorrere dell’acqua, ne rallentavano la forza. COCIV e istituzioni, lì, hanno avuto la meglio sulla lotta no tav che da due anni continua con coraggio da Genova fino al Basso Piemonte. Gli operai del COCIV, incitati dai sui dirigenti, acclamati dal governi Comunale e Regionali per bocca di Doria, La Paita e Bernini, applauditi da Ministri e segretari di governo, hanno iniziato la loro opera distruttiva. Benne, ruspe, trivelle, camion e gallerie hanno sostituito quelle distese di alberi. E le conseguenze non hanno tardato a presentarsi. Non è la prima volta che Trasta viene colpita dai fiumi di fango dei cantieri del TAV, solo pochi giorni fa era successo a San Quirico-Pontedicimo. Così più volte nell’ultimo anno, così chissà quante altre volte ancora. Questo è solo l’inizio. Chi ancora avrà il coraggio di dire che le priorità di Genova sono le grandi opere e il Tav-Terzo Valico, si commenta da solo, dovrà essere zittito in ogni occasione.

Quello che abbiamo sotto gli occhi ancora una volta oggi, è lo scenario a cui ci vorrebbero abituare, se non fermiamo i loro piani scellerati. Questo, il triste futuro a cui ci vorrebbero rassegnati e impotenti. La realtà dei fatti ci travolge; a chi ancora non ha aperto gli occhi, a chi ancora non ha alzato la voce, a chi ancora non si è messo di mezzo sul serio: questo è il momento. Sollevarsi, ribellarsi, rivoltarsi, è possibile.La rassegnazione è il primo nemico da sconfiggere.La consapevolezza di chi si oppone a questo modello di sviluppo e alle Grandi Opere trova ancora una volta la realtà a dargli conferma ulteriore. C’è chi dice NO, chi lotta, chi resiste a questa devastante e disastrosa idea di mondo che anche nell’Alta Velocità si concretizza.

Quello che i no tav, insieme a tanti altri, dicono da anni si manifesta ogni giorno di più. Lo scenario di oggi fa rabbia, rabbia enorme: bisogna continuare a lottare. Bisogna bloccare il Terzo Valico e le grandi opere, una volta per tutte.

Fermiamoli!

Intanto che scriviamo continua ininterrottamente a piovere , non sembra ancora finita

EBOLA E’ UN’ ARMA BIOLOGICA CREATA IN LABORATORIO

EBOLA E' UN' ARMA BIOLOGICA CREATA IN LABORATORIO

CREATA DAGLI USA IN LABORATORIO

Ad affermare una ipotesi così grave è il Daily Observer, il più importante quotidiano liberiano, pubblicando un articolo firmato dal dottor Cyril Broderick, professore di patologia vegetale molto stimato a Monrovia, che ipotizza, argomentando con cura, che EBOLA e AIDS sarebbero stati CREATI IN LABORATORIO DAGLI USA, precisamente “armi biologiche da testare sugli africani, per ridurre la popolazione”

Una notizia ovviamente CENSURATA dai nostri media, ma che merita di essere divulgata.
In pochi, come ad esempio RT Russia Today, hanno parlato dell’argomento, (video in fondo al post originale, raggiungibile dal link sotto indicato).

 Qui di seguito l’articolo, in traduzione automatica, consultabile QUI sul sito originale del quotidiano.

 Gli scienziati sostengono che malattie mortali come Ebola e l’AIDS sono armi biologiche create per essere testate sugli africani. Altri rapporti hanno collegato l’epidemia di virus Ebola a un tentativo di ridurre la popolazione dell’Africa. Liberia sembra essere la nazione con più veloce tasso di crescita della popolazione di tutto il continente africano.

Dr. Cyril Broderick, Professore Di Patologia Vegetale

Cari cittadini del mondo:
Ho letto una serie di articoli dal tuo outreach Internet, nonché gli articoli da altre fonti circa le perdite in Liberia e in altri paesi dell’Africa occidentale circa la devastazione umana causata dal virus Ebola. Circa una settimana fa, ho letto un articolo pubblicato sulla pubblicazione sommaria notizia internet degli Amici della Liberia che ha detto che vi era un accordo che l’inizio della epidemia di Ebola in Africa occidentale è dovuto al contatto di due anni di età bambino con i pipistrelli che avevano volato in dal Congo.

Tale relazione mi ha reso sconcertato con la segnalazione su Ebola, e ha stimolato una risposta agli “Amici della Liberia,” dicendo che gli africani non sono ignoranti e creduloni, come viene implicato.

Una risposta da Dr. Verlon Stone ha detto che l’articolo non era la loro, e che “Amici della Liberia” è stato semplicemente fornendo un servizio. Ha poi chiesto se poteva pubblicare la mia lettera nel loro forum Internet. Ho dato il mio permesso, ma io non l’ho visto pubblicato.

A causa della diffusa perdita della vita, paura, traumi fisiologici, e disperazione tra i liberiani e altri cittadini dell’Africa occidentale, è doveroso che io faccio un contributo alla risoluzione di questa situazione devastante, che può continuare a ripresentarsi, se non è adeguatamente e adeguatamente affrontato.

Voglio affrontare la situazione in cinque (5) punti:

 1 EBOLA È UN ORGANISMO GENETICAMENTE MODIFICATO (OGM)

Horowitz (1998) è stata deliberata e inequivocabile quando ha spiegato la minaccia di nuove malattie nel suo testo, Virus emergenti: AIDS e Ebola – Natura, incidenti o intenzionali. Nella sua intervista con il Dr. Robert Strecker nel capitolo 7, la discussione, nei primi anni 1970, ha reso evidente che la guerra era tra i paesi che hanno ospitato il KGB e la CIA, e la ‘produzione’ di ‘AIDS-come i virus’ era chiaramente orientata all’altra.Passando Durante l’intervista, si è parlato di Fort Detrick, “il Palazzo Ebola,” e ‘un sacco di problemi con malattie strane “in” Frederick [Maryland]. “Dal capitolo 12 del suo testo, aveva confermato l’esistenza di un militare-medico-industria americana che conduce i test di armi biologiche con il pretesto di amministrare vaccinazioni per controllare le malattie e migliorare la salute di “africani neri all’estero.” Il libro è un testo eccellente, e tutti i leader più chiunque abbia interesse per la scienza, la salute, la gente, e l’intrigo dovrebbero studiarlo. Sono stupito che i leader africani stanno facendo nessun riconoscimenti o riferimenti a questi documenti.

 2 EBOLA HA UNA STORIA TERRIBILE, E IL TEST SI È SEGRETAMENTE SVOLTO IN AFRICA

Ora sto leggendo The Hot Zone, un romanzo, da Richard Preston (copyright 1989 e il 1994); è strazianti. Lo scrittore prolifico e prominente, Steven King, è citato come dicendo che il libro è “Una delle cose più orribili che abbia mai letto. Quello che una notevole parte di lavoro. “Come un bestseller del New York Times, The Hot Zone è presentato come” Una storia vera terrificante. “Terrificante, sì, perché la descrizione patologica di ciò che è stato trovato in animali uccisi dal virus Ebola è ciò che il virus ha fatto ai cittadini della Guinea, Sierra Leone e la Liberia nel suo focolaio più recente: virus Ebola distrugge gli organi interni delle persone e il corpo si deteriora rapidamente dopo la morte. Si ammorbidisce e tessuti trasformano in gelatina, anche se viene refrigerato per mantenerlo freddo. Liquefazione spontanea è ciò che accade al corpo di persone uccise dal virus Ebola! L’autore indicato nel punto 1, il Dr. Horowitz, rimprovera zona calda per la scrittura di essere politicamente corretto; Capisco perché il suo libro fa ogni sforzo per essere molto fattuale. Il 1976 Ebola incidente in Zaire, durante Presidente Mobutu Sese Seko, è stata l’introduzione degli OGM Ebola in Africa.

 3. IN SITI INTORNO ALL’AFRICA, E IN AFRICA OCCIDENTALE, NEL CORSO DEGLI ANNI SONO STATI ISTITUITI TEST PER MALATTIE EMERGENTI, SOPRATTUTTO EBOLA

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) e diverse altre agenzie delle Nazioni Unite sono stati implicati nella selezione e paesi africani allettanti per partecipare agli eventi di prova, promuovendo le vaccinazioni, ma perseguendo vari reggimenti di test. Il 2 agosto, 2014 articolo, Africa Occidentale: Cosa US Biological Warfare ricercatori facendo nella zona Ebola? da Jon Rappoport di Global Research individua il problema che sta affrontando i governi africani.

Evidente in questa e altre relazioni sono, tra gli altri:

  • (A) La US Army Medical Research Institute di Malattie Infettive (USAMRIID), un noto centro per la ricerca bio-guerra, che si trova a Fort Detrick, nel Maryland;
    (B) la Tulane University, a New Orleans, Stati Uniti d’America, vincitore di assegni di ricerca, tra cui una sovvenzione di oltre 7000 mila dollari il National Institute of Health (NIH) per finanziare la ricerca con la febbre emorragica virale Lassa;
    (C) il Centro statunitense per il Controllo delle Malattie (CDC);
    (D) Medici Senza Frontiere (conosciuto anche con il nome francese, Medici Senza Frontiere);
    (E) Tekmira, una società farmaceutica canadese;
    (F) GlaxoSmithKline del Regno Unito; e
    (G) il Kenema governo Hospital di Kenema, Sierra Leone.

Rapporti raccontano storie del Dipartimento della Difesa (DoD) finanziano studi Ebola sull’uomo, studi iniziati poche settimane prima dello scoppio di Ebola in Guinea e Sierra Leone. I rapporti continuano e dichiarare che il DoD ha dato un contratto del valore di 140 milioni dollari di dollari per Tekmira, una società farmaceutica canadese, per condurre una ricerca Ebola. Questo lavoro di ricerca ha coinvolto l’iniezione e infusione di esseri umani sani con il virus Ebola mortale.

Quindi, il DoD è elencato come collaboratore in uno studio clinico “First in Human” Ebola (NCT02041715, iniziato nel gennaio 2014 poco prima di una epidemia di Ebola è stata dichiarata in Africa occidentale a marzo. Inquietante, molte relazioni concludono inoltre che il governo degli Stati Uniti dispone di un laboratorio di ricerca virale febbre bioterrorismo in Kenema, una città l’epicentro del focolaio di Ebola in Africa occidentale. L’unico ramoscello d’ulivo positivo ed etico pertinente visto in tutta la mia lettura è che Theguardian.com riferito, “Il finanziamento del governo degli Stati Uniti della sperimentazione sull’uomo sano Ebola viene in mezzo avvertimenti di scienziati di Harvard e Yale che tali esperimenti virus rischio innescando una pandemia in tutto il mondo. “Quella minaccia persiste.

 4 LA NECESSITÀ DI UN’AZIONE LEGALE PER OTTENERE IL RISARCIMENTO DANNI DERIVANTI DALLA PERPETUAZIONE DELL’INGIUSTIZIA CON MORTE, LESIONI E TRAUMA IMPOSTI A LIBERIANI ED ALTRI AFRICANI TRAMITE EBOLA E DA ALTRI AGENTI PATOGENI.

Gli Stati Uniti, Canada, Francia, e Regno Unito sono tutti implicati negli atti detestabili e diabolici che sono questi test Ebola. Vi è la necessità di perseguire un risarcimento penale e civile per danni, ed i paesi africani e le persone dovrebbero garantire la rappresentanza legale per chiedere i danni da questi paesi, alcune aziende e le Nazioni Unite. Prove sembra abbondante contro Tulane University, e si adatta dovrebbe cominciare da lì. Articolo di Yoichi Shimatsu, Il Ebola Breakout ha coinciso con il vaccino campagne delle Nazioni Unite, pubblicato il 18 agosto 2014, nella Liberty Beacon.

 5. I LEADER AFRICANI E I PAESI AFRICANI HANNO BISOGNO DI PRENDERE L’INIZIATIVA PER LA DIFESA DI NEONATI, BAMBINI, DONNE AFRICANE, UOMINI AFRICANI, E ANZIANI. QUESTI CITTADINI NON MERITANO DI ESSERE UTILIZZATI COME CAVIE!

L’Africa non deve relegare il continente a diventare la località per lo smaltimento e la deposizione di sostanze chimiche pericolose, droghe pericolose, e agenti chimici o biologici delle malattie emergenti. Vi è urgente necessità di azioni positive per proteggere i meno abbienti dei paesi più poveri, in particolare cittadini africani, di cui i paesi non sono scientificamente e industrialmente dotato come gli Stati Uniti e la maggior parte dei paesi occidentali, le fonti di maggior parte degli OGM virali o batteriche che sono strategicamente progettati come armi biologiche.

E ‘più inquietante che il governo degli Stati Uniti ha operato una febbre emorragica virale laboratorio di ricerca bioterrorismo in Sierra Leone. Ci sono altri? Dovunque esistono, è il momento di terminare loro. Se esistono altri siti, si consiglia di seguire il passo in ritardo ma essenziale: la Sierra Leone ha chiuso il laboratorio statunitense armi biologiche e si fermò Tulane University per ulteriori test.
Il mondo deve essere messo in guardia. Tutti gli africani, americani, europei, mediorientali, asiatici e persone provenienti da ogni conclave sulla Terra dovrebbe essere stupiti.

Popoli africani, in particolare i cittadini più in particolare della Liberia, Guinea e Sierra Leone sono vittime e muoiono ogni giorno. Ascoltare le persone che diffidano gli ospedali, che non può scuotere le mani, abbracciare i loro parenti e amici. Persone innocenti stanno morendo, e hanno bisogno del nostro aiuto. I paesi sono poveri e non possono permettersi l’intero lotto di dispositivi di protezione individuale (DPI) che la situazione richiede.

La minaccia è reale, ed è più grande di alcuni paesi africani. La sfida è globale, e chiediamo assistenza da tutto il mondo, tra cui Cina, Giappone, Australia, India, Germania, Italia, e anche le persone di buon cuore negli Stati Uniti, Francia, Regno Unito, Russia, Corea, Arabia Saudita, e in qualsiasi altro luogo il cui desiderio è quello di aiutare. La situazione è più tetra di quello che all’esterno può immaginare, e noi dobbiamo fornire assistenza per quanto possibile. Per garantire un futuro che ha meno di questo tipo di dramma, è importante che noi ora chiediamo che i nostri leader e governi siano onesti, trasparenti, eque e produttivamente impegnati. Essi devono rispondere alle persone. Si prega di alzarsi di interrompere le prove Ebola e la diffusione di questa malattia vile.

Grazie mille.
Cordiali saluti,

Il dottor Cyril E. Broderick, Sr.

Chi l’Autore:
Il dottor Broderick è un ex professore di Patologia Vegetale presso l’Università di Liberia di Facoltà di Agraria e Forestali. Egli è anche l’ex Osservatore Farmer nel 1980. Fu da questa colonna nel nostro giornale, il Daily Observer, che Firestone lo vide e gli offrì la carica di direttore della ricerca alla fine del 1980. Inoltre, egli è uno scienziato, che ha insegnato per molti anni presso l’Agricultural College della University of Delaware.

 VAI AL VIDEO 1 – il brevetto del virus ebola è americano

VAI AL VIDEO 2 – il vaccino è stato creato in Italia

VAI AL VIDEO IN INGLESE

 FONTI:

http://informatitalia.blogspot.it

http://terrarealtime.blogspot.it/2014/10/il-piu-importante-quotidiano-liberiano.html#more

Attraverso: http://ununiverso.altervista.org/blog/il-piu-importante-quotidiano-liberiano-ebola-e-aids-creati-in-laboratorio/

Genova: un disastro causato da incuria, cementificazione e grandi opere inutili come il Terzo Valico

 

11 ottobre 2014

da radiondadurto.org

Non da tregua il  su  e Liguria. Le alluvioni di questi giorni sono avvenute a causa del , cementificazione selvaggia, mancate opere di risanamento e anche devastanti grandi opere inutili come quella del terzo valico.

La protezione civile ha comunicato che l’allerta 2, il livello massimo di rischio, è stata prolungata fino a mezzanotte di lunedì per tutta la regione esclusa Imperia. Era previsto che terminasse alle 12 di oggi.

Un’ altra notte di paura quella di ieri nel capoluogo Genova a causa di due nubifragi che hanno allagato molte zone della città trasformando le strade in torrenti. Uno smottamento nella notte ha isolato Favale di Malvaro, una frana ha isolato 40 famiglie nel comune di Recco. All’alba una tempesta si è abbattuta sul Tigullio provocando problemi alla linea ferroviaria Livorno-Genova.

I tecnici sono ancora al lavoro per ripristinare la doppia linea Genova-Milano e Genova-Torino, interrotta da ieri per il deragliamento di un Frecciabianca a causa di una frana provocata dai cantieri dell’inutile grande opera del terzo valico ferroviario. Su questo incidente e più in generale sulla situazione che si registra a Genova e in Liguria vi proponiamo la corrispondenza con Toni,  terzo valico della Valpolcevera, dove è avvenuto il deragliamento del FrecciaBianca.

Così noi europei inventammo il Medio Oriente

http://temi.repubblica.it/limes/cosi-noi-europei-inventammo-il-medio-oriente/65558?ref=fbpe

Limes

a cura di Federico Petroni
Conversazione con Eugene Rogan, professore di Storia del Medio Oriente moderno al St Antony’s College.


[Carta di Laura Canali]

LIMES Riferendosi ai paesi mediorientali nati dopo la Prima Guerra Mondiale, in una delle sue pubblicazioni lei scrive: «La loro genesi gettò le basi di molti conflitti che avrebbero in seguito costellato la regione». A cosa si riferisce?

ROGAN Come cerco di mostrare in The Arabs, all’indomani della Prima Guerra Mondiale le potenze europee si accordarono tra loro sul modo in cui spartirsi i territori dell’impero ottomano e sulla forma da dare agli Stati sorti dalle sue ceneri senza la minima consultazione delle popolazioni e delle élite locali… Se guardiamo ai nazionalismi insoddisfatti o ai territori disputati, possiamo identificare precisi problemi nelle relazioni internazionali le cui origini possono essere rintracciate nelle frontiere disegnate durante e dopo la Grande guerra.
Un esempio è il fatto che non sia mai nato uno Stato curdo, nonostante già alla fine del conflitto i curdi fossero stati identificati come gruppo nazionale. Il trattato di Sèvres prevedeva la creazione di uno Stato curdo, ma rimase sulla carta. Disattendendo le aspirazioni nazionaliste curde si innescò il processo in virtù del quale assistiamo a periodiche ribellioni, insurrezioni come quelle del Pkk o violenze di Stato come quelle perpetrate in passato in Iran o in Iraq.

LIMES Quello kemalista non era comunque un progetto europeo.

ROGAN Si prenda allora il caso palestinese: quei territori furono promessi a tre parti diverse durante il conflitto. Prima, nella corrispondenza McMahon-Hussein del 1915 tra il residente britannico del Cairo e lo šarīf della Mecca, la Palestina fu promessa a quello che sarebbe dovuto diventare lo Stato degli arabi. Poi, l’accordo Sykes-Picot del 1916 introdusse l’idea di porre quelle terre sotto tutela internazionale. Infine, la dichiarazione Balfour le promise agli ebrei. Il risultato fu una rivalità tra due nazionalismi incompatibili che avrebbe reso il Mandato britannico in Palestina il più disfunzionale dell’intero Medio Oriente. E innescato un conflitto che arriva sino ai giorni nostri. Un altro perfetto esempio è il Libano. La Francia s’imbarcò in un progetto di ingegneria frontaliera per ritagliare ai cristiani del Monte Libano il territorio più vasto possibile affinché essi potessero dominare il futuro Stato. Un’operazione mal concepita sin dall’inizio, perché il tasso di natalità tra i musulmani si rivelò molto più alto di quello dei cristiani: già dagli anni Quaranta i cristiani del Libano erano una minoranza nello Stato che governavano. Per cercare di bilanciare questi squilibri, i libanesi svilupparono una forma di governo settario che, nella sua rigidità, è stata la fonte di due grandi guerre civili, nel 1958 e nel 1975-1990, nonché delle attuali tensioni. 

 LIMES C’è una correlazione tra l’instabilità che oggi flagella paesi come Egitto, Turchia o Iraq e il fatto che alcuni di questi Stati sono figli della prima guerra mondiale? 

ROGAN Non li vedo tanto come figli ma come nipoti della Grande guerra. Britannici e francesi furono colonizzatori molto tenaci, opposero resistenza alle forze nazionaliste con ogni strumento – politico, militare, diplomatico – ed è solo nel secondo dopoguerra, con gli imperi ormai molto indeboliti, che le regioni mediorientali furono in grado di raggiungere l’indipendenza. Ma le élite nazionaliste che avevano guidato la lotta per l’indipendenza, molte delle quale istruite in Europa, erano ormai compromesse dal precedente fallimento nel negoziare la libertà. Quando un’ondata rivoluzionaria spazzò la regione, queste élite furono rimpiazzate da militari e tecnocrati. Ed è questo il Medio Oriente con cui facciamo i conti oggi. Ecco perché li definisco nipoti della Prima Guerra Mondiale.

 LIMES Un figlio ancora in vita però c’è: la Giordania. 

ROGAN Vero, in Giordania governa ancora la casa regnante posta sul trono dai britannici dopo la Prima Guerra Mondiale. Ed è stata in grado di gestire tre successioni senza grossi problemi all’interno dei confini ereditati dal Mandato britannico. Nonostante re Hussein abbia dovuto resistere alle pressioni dei nasseriani e a tentativi di golpe e di omicidio, nel tempo le istituzioni monarchiche si sono rafforzate. Certo, oggi re ‘Abdallāh non gode della popolarità del padre e nel 2011 anche la Giordania è stata scossa dalle richieste popolari di cambiamento che spazzavano il mondo arabo. Tuttavia, credo che i giordani – vedendo la guerra civile in Siria, le sommosse in Egitto e in Yemen, lo Stato fallito libico – siano ora molto riluttanti a scagliarsi contro il regime e a rischiare di importare l’instabilità che li circonda.

 LIMES A proposito della Siria, l’odierna instabilità è un lascito della Grande guerra?

ROGAN Non imputerei la guerra civile siriana ai confini tracciati dalle grandi potenze dopo la Prima Guerra Mondiale. Nella lotta nazionalista contro il Mandato francese, la Siria sviluppò un’identità nazionale che godeva di un sostegno popolare molto vasto. In un certo senso, questa è l’ironia della rivolta contro Asad: all’inizio era un movimento trasversale alle varie comunità siriane che mirava a ottenere più libertà politiche. Sono convinto che se Asad avesse allargato la sfera politica sarebbe stato rieletto presidente: i siriani non vedevano il dominio alauita come il problema principale, erano preoccupati piuttosto dalla scarsa partecipazione politica e dall’uso dell’intimidazione e della violenza contro i cittadini.

  LIMES Ritiene quindi che i confini mediorientali, tracciati nella sabbia dalle potenze coloniali, siano diventati reali nel corso del tempo?

ROGAN Nel XX secolo, la lotta per l’indipendenza e il processo di formazione dello Stato ha reso possibile a confini indiscutibilmente artificiali di acquisire un valore reale. Per quanto riguarda la Siria, la sua popolazione non ha messo in discussione quelle frontiere né la Siria in quanto Stato. Per questo motivo credo che la Siria – e l’Iraq, anche se solo in parte – sia riuscita a sviluppare una certa identità nazionale. In certi casi poi la creazione di alcuni paesi è avvenuta in modo autonomo. Non penso solo alla Turchia, uno Stato a tutti gli effetti. Penso anche all’Arabia Saudita, creata con le sue stesse forze. Certo, i britannici posero dei paletti – in Kuwait e in Transgiordania – ma l’Arabia Saudita gode della legittimità che le deriva, oltre dal controllo sulle città sante, dall’aver in gran parte stabilito autonomamente i propri confini.

LIMES Eppure altrove le potenze europee assemblarono territori che spesso avevano poco a che spartire l’un con l’altro.

ROGAN Vero. In questi territori non c’era un’idea coerente di Stato nazionale. Gli ottomani avevano identificato il nazionalismo come la più grave minaccia per l’impero – dopotutto era stato la forza che aveva fatto esplodere i Balcani sottraendoli a Costantinopoli. Nei territori arabi questo significò che le discussioni sulla questione nazionale furono immediatamente soppresse, spingendo alla clandestinità o all’esilio in Egitto, a Parigi o nelle Americhe chi ne volesse parlare liberamente. Gli arabi stavano solo incominciando a discutere le proprie idee di nazione e di nazionalismo quando all’orizzonte balenò la possibilità del crollo dell’impero ottomano, dopo quattro secoli un’eventualità considerata inimmaginabile. È solo nell’ottobre-novembre 1918, quando gli ottomani si ritirarono dal mondo arabo, che gli arabi politicamente attivi iniziarono a discutere il loro destino e come declinare lo slancio wilsoniano per l’autodeterminazione. Ma era troppo tardi. Francia, Russia e Gran Bretagna avevano già stretto accordi di spartizione dell’impero ottomano, a partire dal patto di Costantinopoli del 1915 con cui la Russia reclamava il Bosforo e i Dardanelli, lasciando alla Francia i territori siriani e alla Gran Bretagna il diritto di decidere in futuro cosa riservarsi. Così gli arabi si trovarono di fronte una soluzione imposta dall’esterno. Quello che sappiamo dei dibattiti dell’epoca è che molte organizzazioni cercarono di mandare delegazioni alla conferenza di pace di Versailles. C’era chi progettava uno Stato mesopotamico con Baghdad e Bassora e chi ne invocava un altro nelbilād al-Šām, la grande Siria. Dopo la «rivolta araba», molti volevano fare della Siria un regno, con a capo Faysal della dinastia hascemita. C’erano le comunità raccolte attorno al Monte Libano che puntavano sulla loro relazione speciale con la Francia per creare uno Stato cristiano e furono molto attive nell’attività di lobbying a Versailles. Infine c’erano i sauditi che stavano costruendo autonomamente il loro Stato a suon di conquiste. Se gli arabi fossero stati consultati, la mappa del Medio Oriente sarebbe stata molto diversa.

 LIMES Cioè?

ROGAN Se gli europei non si fossero spartiti le province arabe e avessero permesso agli hascemiti di instaurare monarchie in Mesopotamia, Siria e Hiğāz , sarebbe molto probabilmente esploso un conflitto tra gli stessi hascemiti e i sauditi. Le relazioni erano già molto tese e i sauditi erano più forti, come dimostra la presa dello Hiğāz negli anni Venti. Sarebbe stato difficile contenerli, visto il furore delle loro schiere di ihwān: avrebbero potuto facilmente conquistare il regno di Faysal in Siria e almeno l’area di Bassora. La tendenza sembrava puntare verso la creazione di un impero arabo saudita con capitale Riyad. E forse nel Nord dell’attuale Iraq si sarebbe creato uno Stato curdo. 

LIMES E il sionismo?

ROGAN Il sogno sionista è diventato realtà solo grazie all’intervento britannico. Di tutti i movimenti nazionalisti che parteciparono alla conferenza di pace di Parigi, i sionisti erano quelli con meno chances di farcela. Perseguivano un’agenda nazionalista in un territorio in cui non avevano presa demografica. Le popolazioni ebraiche della Palestina prima del 1917 erano molto inferiori al 10%: non era realistico creare una realtà nazionale in una situazione simile. Era possibile solo con una massiccia immigrazione. E una simile immigrazione può essere tollerata solo grazie al supporto di una grande potenza: senza l’intervento britannico in nessun modo i sionisti sarebbero stati in grado di persuadere la popolazione locale ad accettare l’enorme afflusso di popolazione, tale non solo da creare una nazione ma uno Stato. Non ho dubbi che senza la dichiarazione Balfour non ci sarebbe stato uno Stato ebraico in Palestina.

 LIMES Un altro elemento che indebolì i popoli arabi all’indomani della guerra fu la scarsa preparazione a farsi carico di uno Stato.

ROGAN Di sicuro loro erano convinti di esserne in grado, o almeno così emerge dalle varie rappresentazioni che le delegazioni arabe fecero di loro stesse alla conferenza di pace di Parigi. Sostennero che non erano meno in grado di determinare le loro istituzioni politiche di quanto non lo fossero i popoli dei Balcani. L’unica cosa che mette in dubbio queste pretese è che avevano fatto parte di un impero in cui era stato necessario lottare per il solo diritto di partecipare alla vita politica. Molti arabi, specie dopo la rivoluzione del 1908, furono esclusi dalle sfere più alte di governo e discriminati in quanto arabi. Questo dimostra che non avevano accumulato l’esperienza per creare un nuovo governo e istituzioni statali, gestire un’economia e un potere giudiziario indipendente, dotarsi di un meccanismo per rinnovare la classe dirigente.

 LIMES Quanto pesa quell’impreparazione allo Stato sull’attuale instabilità mediorientale?

ROGAN Oggi non è tanto rilevante il fatto che quelle comunità dopo la Grande guerra non fossero pronte quanto la distorsione operata in seguito dal dominio coloniale sul sistema politico. Le energie politiche locali furono costrette a concentrarsi unicamente sull’indipendenza, tralasciando la vera politica. Raggiunta l’indipendenza, non si erano formate classi dirigenti in grado di gestire ad esempio l’economia. Lo vediamo in Egitto, dove oggi come decenni fa si cerca di gestire l’economia con programmi che sembravano e sembrano esercizi di fantasia.

 LIMES Nella regione è in corso un processo di erosione dello Stato per mano di poteri informali. Basti pensare alla Siria, dove si intersecano alleanze transnazionali su basi religiose o settarie.

ROGAN Vero, però questo è anche dovuto al fatto che il sistema degli Stati in Medio Oriente ha nel suo dna sia stabilità sia instabilità. In tutte le insurrezioni non solo mediorientali le potenze regionali combattono sempre una guerra per procura, cercando di avanzare i propri interessi statali. La crisi siriana si è internazionalizzata perché un movimento non violento di riforma è stato schiacciato con la violenza e si è evoluto in resistenza armata. Per organizzare un esercito c’è bisogno di armi, quindi di soldi. È qui che gli attori regionali entrano in gioco, perché sono gli unici a poter finanziare la lotta armata. In Siria, gli scontri tra le milizie identificano due lotte regionali: una tra le potenze sunnite e gli sciiti sostenuti dall’Iran; l’altra tra sauditi e qatarini sul ruolo della Fratellanza musulmana in politica. I sauditi temono i Fratelli in quanto partito islamista moderato che può sfidare la loro legittimità in patria e prediligono le correnti salafite. Questo scontro regionale viene declinato di Stato in Stato.

 LIMES Però attori non statali come lo Stato Islamico (Is) invocano esplicitamente l’erosione dei confini.

ROGAN È difficile sapere quanto questi movimenti con agende transnazionali siano sostenuti dalla gente comune. Ogni milizia ha un’idea ambiziosa che serve non solo per reclutare manodopera ma per indurla a sacrificare la propria vita. L’idea di lottare per un’impresa storica quale la creazione di un grande Stato ha un forte impatto motivazionale.

 LIMES Ma ha un forte impatto anche sulla legittimità degli Stati.

ROGAN L’avrebbe se questi gruppi armati fossero influenti al di là dei campi di battaglia. Hanno influenza in Siria e solo dove si combatte. Ma non in Iraq: la Repubblica islamica di Siria e Iraq non nascerà mai, al di là di quel che dice l’Is, perché è un progetto che non ha presa sugli iracheni. L’Is non è nemmeno in grado di controllare porzioni consistenti di territorio: al massimo può mantenere in vita l’insurrezione il più a lungo possibile, fintanto che riceverà armi dall’estero. Ma credere che possa realizzare il suo grande ideale e scardinare il sistema statale vorrebbe dire accordargli più consenso di quanto ne goda realmente.

 LIMES Qual è la linea di faglia che più minaccia la mappa politica del Medio Oriente?

ROGAN Le aspirazioni nazionali curde. Dalla caduta di Saddam nel 2003, la regione autonoma curda in Iraq sta passo dopo passo costruendo istituzioni statuali indipendenti. Lo sta facendo nel contesto di un Iraq federale, senza sfidare apertamente l’integrità dello Stato perché sa che scatenerebbe la reazione di Baghdad e della Turchia. Ma non si possono interpretare diversamente gli sforzi curdi nella creazione del proprio esecutivo e legislativo, delle proprie università, della propria versione della storia. E nel Nord-Est siriano si sta generando un’altra area di instabilità che forse nel futuro sfiderà l’integrità delle frontiere uscite dalla Prima Guerra Mondiale.

 LIMES Qual è l’eredità del tradimento delle promesse fatte a Versailles sulle relazioni tra il mondo arabo e l’Occidente?

ROGAN La gente comune in Medio Oriente ha una forte consapevolezza storica di quanto successo a Versailles. Lo impara a scuola, a differenza nostra che ignoriamo di aver fatto agli arabi promesse che non abbiamo mantenuto. Tuttavia, se da un lato ci accusano di non essere affidabili, dall’altro ci considerano partner essenziali per risolvere alcuni problemi internazionali. Per affrontare la questione israeliana o per far cessare la guerra civile in Siria gli arabi chiedono all’Occidente di intervenire, invocando la nostra responsabilità storica o la nostra migliore organizzazione. In ogni caso, è sopravvissuta la concezione di potenza occidentale dell’èra coloniale, quando eravamo gli arbitri assoluti dell’ordine internazionale. È una relazione di amore e odio, approfondita dal fatto che negli ultimi 25-30 anni molti arabi sono emigrati in Europa: vedono la libertà delle democrazie occidentali come modello a cui aspirare per plasmare un diverso sistema politico nei loro paesi. Un altro aspetto patologico è l’ascesa delle teorie del complotto per spiegare i ripetuti fallimenti dei governi, secondo cui le potenze occidentali sarebbero intente a tirare i fili della politica locale a loro piacimento. Hanno le loro ragioni, penso al colpo di Stato in Iran nel 1953 e a Suez nel 1956, ma vedere la politica plasmata dalla Cia o dal Mossad vuol dire ritirarsi nella fantasia e abdicare alle proprie responsabilità.

 LIMES In che misura essere arabi è un fattore della geopolitica contemporanea?

ROGAN Nel 2011 assistemmo a un significativo ritorno del fattore arabo, quando un movimento iniziato nella marginale Tunisia fu in grado di generare entusiasmo in tutta la regione. Gli eventi tunisini ed egiziani riuscirono a elettrizzare la gente negli altri paesi e a far intravedere una reale possibilità di cambiamento, perché tutti avevano gli stessi problemi e facevano le stesse domande; i problemi locali erano visti come parte di una stessa condizione araba. Nel 2012 e nel 2013, però, tutto questo è svanito: ci siamo accorti che non avevamo a che fare con un fenomeno arabo. Non c’era una sola rivoluzione araba. La primavera araba non esisteva.

 LIMES Ma c’è stata poi la controrivoluzione capeggiata dagli Stati del Golfo.

ROGAN Esatto, gli stessi che hanno sempre sentito la loro stabilità politica più minacciata dal cambiamento rivoluzionario. La priorità era che nessuna monarchia fosse rovesciata da movimenti popolari. Emblematico il fatto che l’Arabia Saudita si sia spinta a offrire di entrare nel Consiglio di cooperazione del Golfo a Giordania e Marocco, due Stati che col Golfo hanno poco a che spartire. A quel punto sarebbe a tutti gli effetti un’alleanza tra case regnanti contro le rivoluzioni popolari. Le monarchie hanno retto l’urto meglio delle repubbliche, puntellando le istituzioni governative e ridistribuendo le risorse. Ma non è finita: la politica saudita è ancora concentrata sul contenimento della minaccia rivoluzionaria.

 Per approfondire: Le maschere del califfo

il nuovo numero di Limes in uscita giovedì 18 settembre.

(16/09/2014)