IL NUOVO VANGELO DELLA SINISTRA

Landini disse che si sarebbe occupato le fabbriche se fosse stato approvato il Job Act, è stato occupato qualcosa? O meglio, avete trovato fabbriche aperte?
La credibilità e coerenza, roba che non è proprio “sinistra” (manco destra)

Nell’epoca della scomparsa della religione dalla vita degli uomini, ciò che va in scena sono surrogati liturgici. Certo, esiste un mondo della sinistra. Non si può negarlo. Ma esso è un fenomeno di folclore che, per intenderci, corrisponde all’immaginario di costume e cultural-popolare della Fiom, delle manifestazioni in piazza, delle filastrocche per Rodotà presidente, de Il Manifesto, il popolo viola e così via.
 
di Simone Sauza
 
Dopo l’incontro tra Landini, Vendola, Civati & co. in piazza degli Apostoli, da cui il nome del patto, in Italia sta andando in scena una peculiarissima e blasfemissima guerra santa. Da una parte il Nazareno, neo-messia del verbo tecnocratico e figlio trinitario di colui che a Porta a Porta si proclamò in odore di santità; dall’altra gli Apostoli, sedicenti testimoni della dottrina delle origini della sinistra post-comunista.
 
Il Jobs Act dovrebbe essere, a rigor di logica, il Nuovo-Nuovo Testamento di un’alleanza ben poco santa tra vecchio e nuovo mondo. In gioco vi è nientemeno che la riscrittura dei Vangeli, a quanto pare. Eppure, dietro alla magniloquenza del linguaggio messo in atto dai protagonisti, si celano vecchi attori e vecchi poteri; e la questione del lavoro non è altro che l’appendice della questione più grande: ovvero quello delle imposizioni dell’Unione Europea che vanificano qualsiasi protagonismo dei governi e significato delle opposizioni. D’altronde è notizia recente la bacchettata ai francesi rifilata dal Commissario europeo per gli affari economici, il finlandese Jyrki Kaitanen, in merito allo sforamento del vincolo del 3% annunciato da Hollande. La fretta del Nazareno pie’ veloce andrebbe letta, dunque, non tanto come la sua nota iperattività, quanto come la necessità di presentarsi al vertice europeo sul lavoro con qualcosa in mano. La logica è sempre la stessa.
 
Tutto si gioca sul filo del linguaggio. Sarà una riforma pasticciata? Non importa. Sarà una riforma non discussa, poco democratica? Importa ancora meno. Ciò che conta è portare “qualcosa”, siano esse parole, perlopiù. Ciò che conta è il gesto, che assicura la prona fedeltà del governo italiano. Per questo Renzi lo ha presentato addirittura come il programma di riforme strutturali più ambizioso che l’Italia abbia mai avuto, «senza pari per complessità e velocità».
 
Lo sfondo di qualsiasi manovra italiana è l’occhio guardiano della Troika; e ormai non è più nemmeno una questione di complottismo. È Renzi stesso ad ammetterlo implicitamente, quando la forzatura sul Jobs Act viene spiegata con l’esigenza del posizionamento al vertice UE. La questione della fiducia si inscrive in una strategia che pone all’angolo l’area laburista. Renzi aveva detto che non avrebbe temuto agguati in Senato dalla minoranza PD. Del resto, come avrebbe potuto: la pistola era puntata direttamente alle loro tempie. In pochi si sarebbero presi la responsabilità di votare no alla fiducia, cioè al governo.
 
Da anni ormai assistiamo all’uso violento della questione della responsabilità. Lo abbiamo visto in particolare con Monti. In nome della responsabilità e del moderatismo si giustifica qualsiasi manovra radicale di cambiamento (ma si deve davvero ricordare la banalità che il cambiamento non è di per sé una virtù?). Chi non è d’accordo è fuori dalla “realtà” o dalla “storia” o dalla “modernità”:  quell’unica realtà che deve imporsi come dominante.
 
Il richiamo alla responsabilità è diventato qualcosa di violento. Anche il linguaggio evidentemente, specie quello politico, ha connaturata una parte intrinseca di violenza. Con l’evoluzione massmediatica della democrazia, esso ha il compito di imporre visioni del mondo unificate e mascherate da normalità e neutralità. Il linguaggio articola i nostri orizzonti di significato; e il potere politico si gioca sempre di più, quindi, su una colonizzazione dell’immaginario.
 
Dall’altra parte della barricata, per così dire, abbiamo invece questo patto degli Apostoli, così rinominato dallo stesso Civati. Più che un progetto politico, nient’altro che una sorta di vacuo e condiviso malcontento per un centrosinistra ormai definitivamente sdoganato sulle posizioni che la destra economica porta avanti già dai reaganiani anni ottanta. (D’altronde, la Boschi con l’eterno sorriso della studentessa interrogata ha detto che lei è di sinistra perché la sinistra significa «anticipare il futuro»: il che vuol dire talmente poco che anche Hitler si sarebbe potuto definire di sinistra).
 
Ad ogni modo, non si capisce cosa ci sia di nuovo rispetto a Rivoluzione Civile, Sel, sinistre arcobaleno, rivoluzioni arancioni e, mi si permetta l’ossimoro, tutta la grigia iridescenza che la sinistra ha offerto negli ultimi vent’anni. Eppure, qualcosa di nuovo forse c’è: che nessuno ha parlato di nuovo partito. Nel PD sanno bene che una scissione sarebbe più fatale a loro che a Renzi. E Vendola sta bene così: naviga nel nulla – invero assai remunerativo dato che è ancora in carica come governatore regionale -, vuole un bimbo, ogni tanto ricompare con qualche astruso discorso con molti –ismi, e poi torna alla beata latitanza.
 
Ma ciò che più conta è che gli stessi protagonisti (forse escluso Landini che ha più i contorni romantico-grotteschi di un Don Chischotte) sono perfettamente consapevoli dell’ennesima farsa messa in atto. Ciò che si finge di dimenticare è che il vincolo europeo è strutturale. E le riforme economiche, così come quella del lavoro, sono imposte per adeguare l’intera eurozona alle stesse politiche astraendo dalle differenze specifiche dei paesi.
 
La governance globalizzata ha eroso, ad oggi (il che non vuol dire che sarà così per sempre), qualsiasi senso della dialettica tra governo e opposizioni. Le stesse categorie di destra e sinistra sono messe tra parentesi, dal momento che lo stato non ha la sovranità per effettuare nessuna politica di redistribuzione.
 
Questo tipo di adunate in piazza corrispondono meramente ad una questione di testimonianza. Nell’epoca della scomparsa della religione dalla vita degli uomini, ciò che va in scena sono surrogati liturgici. Certo, esiste un mondo della sinistra. Non si può negarlo. Ma esso è un fenomeno di folclore che, per intenderci, corrisponde all’immaginario di costume e cultural-popolare della Fiom, delle manifestazioni in piazza, delle filastrocche per Rodotà presidente, de Il Manifesto, il popolo viola e così via. Questo mondo ha bisogno di rimanere scisso tra le parole e i fatti.
 
Nel mentre di un silenzioso e reale scivolamento nell’orizzonte neoliberale delle pratiche concrete di vita politica, esso ha bisogno, appunto, di liturgie per la buona coscienza, per abbeverarsi alla fonte dell’ipocrisia. Ecco allora i Vendola, con le chiacchiere sul turbocapitalismo e le mani occupate a sorreggere il centrosinistra più antisocialista che sia mai esistito; oppure i sindacati in piazza ormai ridotti a bande di potere senza il sostegno nemmeno degli stessi lavoratori. E in questo rientra anche la compagine riformista keynesiana (da Civati agli economisti che, in buona fede, compaiono ogni tanto su talk show e giornali), fino ai cittadini che comprano Repubblica e Il Manifesto e vanno al Teatro Valle. È una questione di ritualità laica. La retorica anti-sistema, insomma, si ferma alle emissioni vocali contraddette dalla pratica politica o all’utopia testimoniale e minoritaria della sinistra e della destra antagonista. Lo scenario attuale consente solamente la reiterazione infinita di un universo simbolico, quello degli slogan e dei proclami del mondo comunista e post-comunista/keynesiano, del tutto impotente all’interno di un reale concreto unificato, reso impermeabile dalle regole della finanza e dei macro-mostri come l’attuale Unione Europea.
 
Senza margine di sovranità economica si può giocare al comunismo come alla più ragionata politica di spesa pubblica: l’irrilevanza è la stessa. Tutto il resto, la battaglia al Senato, la dimissione di Walter Tocci da senatore dopo aver votato sì alla fiducia, viene forzatamente relegato all’espressione di una testimoniale rivolta personale, per la propria coscienza e nient’altro. Il nucleo del problema, per ora, resta altrove.
 
IL NUOVO VANGELO DELLA SINISTRAultima modifica: 2014-10-11T13:49:53+02:00da davi-luciano
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