Terzo Valico, il ritmo lento dell’alta velocità italiana

ARQUATA SCRIVIA 02 ottobre 2014

dall’inviato Marco Menduni

Alessandria – Piove e la strada che porta alle spalle di Arquata Scrivia, dietro al centro commerciale e alla mole imponente del cementificio, è un pantano sul quale i pneumatici slittano. Ti aspetti che sia il verde la tinta predominante, invece è l’arancione. Il colore delle recinzioni in plastica che, via via, stanno delimitando aree sempre più vaste intorno al cantiere. Giù per uno stradino laterale c’è l’accesso, poi la scritta “sorveglianza armata” induce a maggior prudenza.

Logico sia questo uno dei punti più presidiati dell’intero tracciato del Terzo Valico, dopo le manifestazioni dei No Tav. C’è il presidio permanente dei contestatori, lungo la strada, ma alle undici e mezza della mattina, sotto il nubifragio, non c’è nessuno. Pochissimi al lavoro anche dietro le recinzioni. Voglia di parlare: zero. Ovvio: mancano le autorizzazioni, aprir bocca porta guai. Così bisogna raccogliere le indicazioni così, a mezza voce: «Al lavoro non ci sono più che una decine di operai».

Altra rivelazione di sottecchi: «C’è un guaio, un guasto meccanico complicato all’apparecchiatura». Che poi è un mostro metallico composto da tre silos in fila, alti e stretti. Ci spiegano che devono divorare e trattare le terre di scavo. C’è una ruspa che va su e giù senza che, da semplici osservatori, se ne comprenda il senso. Il braccio di una gru gialla teso verso l’alto, immobile. «In questi tempi non si vede lavorare che una decina di operai, anche se dicono che presto ne arriveranno almeno altri venti». Arriveranno, ma per l’intanto non si può utilizzare il verbo fervere e riferirlo ai lavori. Qui si sta costruendo la galleria di servizio; poi via al traforo, che provenendo da Genova immetterà i convogli nella Padana.

Lavoro ad andamento lento? L’unica cosa che sembra procedere di buona lena è la recinzione di parti sempre più ampie del territorio. Confermato: gli operai che stanno mangiando, presto presto, alla trattoria accanto al Lidl lo spiegano senza reticenze. «Andiamo – raccontano – con il nostro camioncino ma il nostro è un lavoro di contorno: montiamo recinzioni». Sono molte di più rispetto al 10 settembre, ultima volta che eravamo stati qui, per un esproprio annunciato che il Cociv poi non ha eseguito, sui terreni di Radimero. Da allora i contestatori hanno utilizzato un’altra tecnica di disturbo. Arrivano di soppiatto e abbattono le recinzioni. Gli uomini con il camioncino le ritirano su. La tela di Penelope.

Esci dal fango e ti butti in autostrada. Poco più giù del casello di Bolzaneto, sponda destra del Polcevera, c’è Trasta. E a Trasta sta sorgendo uno dei campi base che ospiteranno gli operai, i tecnici, i geometri, gli ingegneri addetti all’opera. All’ora di pranzo non c’è nessuno, sembra una piazza d’armi sotto il sole che intanto ha rotto le nubi. In un angolo lontano due operai lavorano: «Siamo di un appalto esterno – spiegano con forte accento meridionale – stiamo bonificando il terreno, poi qui sorgeranno altre casette del campo base». Dentro c’è una zona di ristoro con le macchinette delle bibite del caffè. Sedie davanti, quattro operai albanesi si riposano, sudati, e chiacchierano.

«Io sono l’unico genovese qua – racconta il conducente di un’autobotte – sono tutti napoletani, siciliani, vengono dall’Abruzzo e dalla Basilicata. C’è anche qualche straniero, dell’Est soprattutto». Anche il nostro interlocutore lavora per l’appalto a una ditta di Firenze: «Siamo in 50, io l’unico di Genova. Guardi, glielo ripeto perché a volte mi sento io il foresto, qui». La pausa? «Devo portare acqua su allo scavo, ci vuole un’ora per riempire il serbatoio. Poi di nuovo lassù. Ci vuole acqua in continuazione mentre le sonde lavorano, se no si alza un polverone che non si vede più nulla».

Lassù, in realtà, non è lontano. In via Castel Morrone lavorano altri operai di una ditta esterna, specializzata in manutenzioni stradali. C’è un gran viavai di camioncini. C’è il tunnel di un piccolo viadotto. Ci inoltriamo senza che nessuno ci fermi. Bisogna percorrere uno sterrato in salita, poi, davanti a noi, l’imboccatura di quella che sarà la galleria “Campasso”. Arrivati davanti ai prefabbricati chiediamo informazioni: lei è uno dei responsabili? «Sì, sono io». Spiega che i lavori sono iniziati a giugno. Quanto dovrete perforare? «Per duemilacinquecento metri, nel nostro tratto, ma siamo solo all’inizio». E da giugno quanti ne avete scavati? «Sessanta metri». Da profani, sembra un ritmo lento: «Sì, ma siamo solo all’inizio, ho già detto».

Ancora qualche domanda. In quanti lavorano in questo cantiere? La risposta: una settantina di persone. Ma anche qui, quando sono ormai quasi le due e mezza, non vediamo più di quattro o cinque operai in tuta. E le ricadute sull’occupazione cittadina? La risposta ancora una volta vuol essere tranquillizzante: «Ce ne sono, ce ne sono genovesi che lavorano, delle ditte della zona». Segue l’invito, garbato, ad allontanarsi: «Se le succede un guaio, ci vado di mezzo».

Tornati alla base dopo questo reportage corsaro, senza farsi annunciare e senza concordare nulla, chiediamo informazioni al Cociv, il consorzio incaricato della progettazione e della costruzione del Terzo Valico. Alcune stridono con le confidenze raccolte. Sul guasto al macchinario di Arquata la risposta è: «Non ci risulta. Eventuali problemi ai macchinari sono relativi alla normale attività di manutenzione di macchinari così complessi».

Sugli espropri «stiamo andando avanti, come noto, secondo il programma di acquisizione». Sul cantiere di via Castel Morrone: «Sono in corso gli scavi della galleria “Campasso”, lungo in totale 600 m (non 2,5 km) e da cui inizia la galleria di valico. Nei primi metri questa galleria passa sotto alcuni edifici per cui lo scavo deve avanzare lentamente». In cantiere ci avevano dato cifre diverse: queste ultime sono quelle ufficiali del Cociv.

Terzo Valico, il ritmo lento dell’alta velocità italianaultima modifica: 2014-10-02T21:03:22+02:00da davi-luciano
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