EMERGENZA ASSOLUTA DI CIBO E MEDICINE !!!!!!!!!!!PER I CANI DEL RIFUGIO CAMPANO I FAVOLOSI CANI 80 !! EMERGENZA DONAZIONI E CIBO

80 magnifici cani

purtroppo le istituzioni abbandonano gli umani, figuriamoci gli animali e così, pochi altri umani devono sopperire alla cattiveria umana.
Mettiamoci una mano sulla coscienza, inoltriamo a veterinari e negozianti di articoli per animali se possono aiutare queste meravigliose creature senza colpa alcuna ma sono nate in un pianeta soggiogato dalla violenza umana. Ma capisco che fingere che non esistano fa star meglio

EMERGENZA ASSOLUTA DI CIBO E MEDICINE !!!!!!!!!!!PER I CANI DEL RIFUGIO CAMPANO I FAVOLOSI CANI 80 !! EMERGENZA DONAZIONI E CIBO PER RIFOCILLARE I TROVATELLI CHE SONO MOLTI FATE GIRARE GRAZIE !!I

Cani di Orsola Napoli da poco hanno un nuovo nome:
“EIPA Ente Italiano Protezione Animali Sez. di Napoli”
La vecchia denominazione resterà in vigore ancora per tutto il 2014.
Negli eventi abbiamo inserito il nostro nuovo IBAN con la nuova intestazione, non spaventatevi, siamo sempre noi, è sempre la nostra Orsola!!
Per chi volesse donare pappe, il nostro fornitore è vicino al rifugio, lascio qui il suo numero di telefono, basta chiamare e lui ci porta le pappe fino in rifugio: Sig. Esposito Luigi tel 0815198942. Ovviamente vi spedira’ fattura dei prodotti che ci avete donato.

ECCO SOTTO LA LISTA DI MEDICINE CHE URGONO CON URGENZA ASSOLUTA CANI A RISCHIO MORTE SE NON SI TROVANO !!!

Bassado o Miraclin
Cobaforte compresse
Be total
Ronaxan 250
Vibravet 200
Ceftriaxone
Allopurinolo 300 compresse
Vitamine gruppo B12
Urys compresse
Renal Advantis polvere della Candioli

URGONO ANTIPARASSITARI SENZA ANTIPARASSITARI I I CANI RISCHIANO GRAVI MALATTIE !!!

Servono croccantini Renal e scatolette Renal

Chi vuole aiutarci con un piccolo contributo, può effettuare
BONIFICO sul nostro conto:

EIPA Ente Italiano Protezione Animali Sez. di Napoli:
Presidente Piscitelli Orsola I.

IBAN: IT43Z0760103400001020117154
per i versamenti dall’estero:
Codice BIC/SWIFT = BPPIITRRXXX

(causale: PAPPA RIFUGIO)

PER SPEDIRE MATERIALE O ALTRO :
“ORSOLA PISCITELLI
CORSO UMBERTO I N.381
80034 MARIGLIANO ( NAPOLI )
sotto il link della pagina del rifugio campano !
https://www.facebook.com/canidiorsola.napoli

ORSOLA NEL SUO RIFUGIO I FAVOLOSI CANI 80 CON L’ AIUTO DI ALCUNE VOLONTARIE SVOLGE SILENZIOSAMENTE IL SUO LAVORO SALVANDO DAL TERRITORIO TANTISSIMI CANI

“L’Associazione di volontariato “I Favolosi Cani 80?, nasce con l’intento di sostenere e proseguire il lavoro che, per molti anni, Orsola Piscitelli sola, senza aiuti economici o materiali da parte di nessuna istituzione, tra grandi fatiche e mille ostacoli, ha portato avanti al fine di accudire e curare gli animali in difficoltà del suo territorio. Si tratta di una zona della provincia di Napoli in cui la possibilità d’imbattersi in un cane malato o in difficoltà è estremamente frequente. Orsola, che se vede un animale soffrire è incapace di girare lo sguardo e di non intervenire, ha costruito artigianalmente, con le sue forze, un piccolo rifugio dove cani malati, feriti, vecchi, abbandonati, maltrattati trovano un’accoglienza amorosa e conforto per le ferite fisiche e psicologiche.
Gli obiettivi principali dell’Associazione sono:
•    fare in modo che il maggior numero degli ospiti del rifugio possa trovare una sistemazione definitiva in una famiglia che li sappia amare;
•    trovare un terreno dove poter costruire un nuovo rifugio con strutture più adeguate e confortevoli per i cani;
•    sostenere tutte le iniziative che possano contribuire a debellare il fenomeno del randagismo, dell’abbandono e del maltrattamento;
•    divulgare una cultura di rispetto dell’altro diverso da noi e di combattere ogni forma di violenza e di sfruttamento nei confronti degli animali;
•    promuovere campagne di sterilizzazione.” QUESTE MEDICINE SONO URGENTISSIME IL RIFUGIO E STRAPIENO CON OLTRE 90 CANI !!!I farmaci che servono in rifugio:

GRAZIE DI CUORE A TUTTI I DONATORI CHE IN QUESTI MESI HANNO DONATO PAPPE O DONAZIONI AL RIFUGIO METTERE TUTTI I NOMI NON CREDO ENTREREBBERO NELLA LISTA VI RINGRAZIO TUTTI DAL PROFONDO DEL MIO CUORE UN ABBRACCIO GRANDE DA SARA DA PARTE DEL RIFUGIO CAMPANO I FAVOLOSI CANI 80 IN EMERGENZA ASSOLUTA !I

FAVOLOSI 80 RINGRAZIANO ? ? ?

vi prego gentilmente quando donate se non volete rimanere anonimi di mettere in questa pagina orario e luogo ,di modo da potere riconoscere da chi arrivano le donazioni

VOLEVO RINGRAZIARE DAL PROFONDO DEL MIO CUORE TUTTI I DONATORI !
https://www.facebook.com/events/536183816432024/?ref_newsfeed_story_type=regular

“Sovversioni colorate”: è il momento della Cina

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L’offensiva dell’imperialismo statunitense è generale – e segnala quanto sia lenta e irta di ostacoli la transizione al multipolarismo – e tocca, quasi in contemporanea, i suoi due principali competitori globali: prima la Russia, ora la Cina popolare. E avviene proprio mentre i rapporti politici, economici e militari tra Mosca e Pechino si fanno sempre più stretti e rivelano una crescente capacità di attrazione nei confronti di altre potenze emergenti, India su tutte.
 
Le proteste in atto a Hong Kong, organizzate da quel Movimento pandemocratico al quale tante cancellerie e governi occidentali hanno lisciato il pelo (incontri al Consolato Usa di Hong Kong, donazioni da Oltreoceano, dubbi legami di alcuni magnati con la Cia, programmi di addestramento di futuri leader della protesta, e l’azione di educazione politico-culturale dell’Hong Kong American Center presieduto dall’ex diplomatico statunitense Morton Holbrook)1 si configura come l’ultima, in ordine di tempo, manifestazione sovversiva delle “rivoluzioni colorate”, che da qualche lustro colpiscono con precisione chirurgica in zone strategiche i governi non allineati – puntualmente descritti come “regimi sanguinari” – in nome della libertà, della non-violenze e dei diritti.
 
È successo in Libia, si tenta ancora in Siria, approfittando dell’ennesima – ma poco credibile – crociata contro l’estremismo islamico, e si è dispiegato, con successo iniziale, con il movimento di piazza Maidan a Kiev in funzione anti-russa; tutto in un quadro di massiccio, pervicace e corale appoggio dei principali media internazionali.
 
E ora pare essere arrivato il momento di Hong Kong presentando al pubblico l’ennesima riedizione della sempiterna lotta del “bene” contro il “male”, della “libertà” contro “l’oppressione”, riesumando dal cassetto degli attrezzi dell’anticomunismo il precedente di piazza Tienanmen. Da noi ci ha già pensato la Repubblica – quando vogliamo noi italiani siamo puntuali come i treni svizzeri! – a definire i campi del confronto, utilizzando definizioni che – non è un caso – strizzano l’occhio al variegato universo della sinistra radicale (e a-ideologica) assai sensibile al dispiegarsi di movimenti di protesta “dal basso” e abituata alla denuncia del tradimento della Cina post-maoista: “l’ex cortina di bambù rischia di trasformarsi nella nuova frontiera armata dello scontro tra la dittatura del capital-comunismo cinese e la democrazia del consumismo finanziario occidentale”. Perché la sinistra dovrebbe difendere, contro l’avanzata delle giovani speranze delle democrazia, un Paese simbolo dello sfruttamento capitalista? Scientifica capacità di cogliere e sfruttare le tante contraddizioni presenti nello schieramento antagonista.
 
Eppure il discorso tenuto da Obama a West Point nel maggio scorso era stato assai chiaro, anche se gran parte della stampa aveva preferito soffermarsi sulle innovazioni militari. Il primo presidente afro-americano della storia statunitense aveva sottolineato bene in quale campo la “potenza di fuoco” di Washington fosse ancora inarrivabile per gli avversari strategici: “I nostri valori ispirano i leader nei parlamenti e dei movimenti scesi nelle piazze di tutto il mondo. […] La nostra capacità di plasmare l’opinione pubblica mondiale ha contribuito a isolare la Russia. Grazie alla leadership americana il mondo ha immediatamente condannato le azioni russe, l’Europa e il G7 si sono uniti a noi nell’imporre sanzioni, la Nato ha rafforzato il nostro impegno per gli alleati dell’Europa orientale […]”2. Un vero e proprio esercito di riserva costituito da partiti amici, fondazioni, giornali e organizzazioni non governative (la “società civile”) può essere mobilitato per indebolire ogni opposizione.
 
La speranza è ora rappresentata dai giovani di “Occupy central” e dagli studenti scesi in piazza a Hong Kong per chiedere elezioni libere, senza alcun controllo da parte di Pechino3. Il che equivale a chiedere la fine della centralità del Partito comunista cinese in una parte – la più esposta alle influenze straniere – del suo territorio, mettendone in discussione il ruolo di guida, con effetti pericolosi per la tenuta complessiva della Cina popolare, dal punto di vista politico e sociale, con ovvie ripercussioni su una possibile riunificazione con Taiwan in nome della prassi del “Un Paese due Sistemi”. L’ipotesi – assai realistica – che gli stessi animatori dell’originale “Occupy Central” siano stati scavalcati dal movimento di protesta e costretti ad inseguirla nella sua radicalizzazione non è certo una buona notizia e rende possibile lo scoppio di violenze al fine di provocare un intervento più vigoroso delle forze dell’ordine o dell’esercito cinese. Si segnalano, ormai, le costruzioni delle prime barricate, l’avvio di un organizzato servizio di rifornimento (cibo e attrezzature) ai manifestanti, mentre avanza l’ipotesi da parte di due altre organizzazioni (Scholarism4 e la Federation of Student) di un ultimatum (il 1° ottobre) al governo sotto la minaccia di un’ulteriore estensione della protesta.
 
L’analisi sugli avvenimenti della ex colonia britannica – e tra i manifestanti compaiono proprio le bandiere della dominazione coloniale, durante la quale ad avere diritto di voto era solo la Corona britannica! – deve essere inquadrata nel più ampio teatro asiatico. Mi riferisco al progressivo scatenarsi di attentati nell’altra periferia – storicamente sensibile – dell’ex Celeste impero, quello Xinjiang, da anni al centro della proiezione economica e politica di Pechino lungo la rinnovata “Via della seta”, dove sono in azione anche gruppi dell’estremismo islamico che si sono formati in un laboratorio della sovversione quale è stata ridotta parte della Siria; ma soprattutto al Pivot to Asia messo in pratica – anche se con qualche difficoltà – dall’amministrazione Obama, con tanto di riattivazione di alleanze e collaborazioni militari in funzione anti-cinese (Filippine, Australia) e via libera alla rinascita del nazionalismo giapponese in funzione di “vice-sceriffato” (per ora controllabile) nell’Asia orientale.
 
Ma la Cina popolare va colpita e ridimensionata, costringendola a volgere le spalle all’esterno per una dispendiosa campagna di controllo del fronte interno, perché potenza politica ed economica (e presto anche militare) al centro della costruzione di una fitta rete di “resistenza” (accordo politico con la Russia, accordo politico economico in ambito Brics su nuova architettura internazionale in campo politico e finanziario, prossimo allargamento della Shanghai Cooperation Organisation all’India, rapporti sempre più stretti con Africa e America Latina) all’unipolarismo militare statunitense e al predominio della “catechesi” liberista. Non da ultimo la storica “prima volta” dell’esercitazione militare con l’Iran in una zona assai calda, e storicamente fulcro della presenza militare di Washington, come lo stretto di Hormuz, di fronte alla Us Navy stanziata nel Bahrein, punto di passaggio strategico per i rifornimenti di petrolio. Per il Global Times, giornale di stampo nazionalista legato al Quotidiano del Popolo, “l’esercitazione è il segnale dell’importanza della partnership con l’Iran al fine di evitare un blocco dello Stretto di Hormuz da parte degli Stati Uniti”; prospettiva confermata dall’analista militare Huang Dong: la Cina non sta provocando gli Stati Uniti, ma l’invio di navi da guerra nel Golfo Persico serve a far sapere a Washington che la marina cinese ha la capacità di difendere lo Stretto di Hormuz e l’Oceano Indiano5.
 
In questo quadro Hong Kong potrebbe essere utilizzato come “incubatore” – espressione al The Economist – di una possibile destabilizzazione della Cina intera che metta fine alla pericolosa anomalia di un Paese a guida comunista in grado di conquistare sempre più consenso a livello internazionale.
 
NOTE
1Si rinvia a “Pro-Beijing Media Accuses Hong Kong Student Leader of U.S. Government Ties”, Wall Street Journal, 25 settembre 2014.
2Il discorso è stato riportato integralmente dal Washington Post nell’edizione online del 28 maggio 2014.
3Sullo specifico si rinvia al precedente “Hong Kong, colonialismo di ritorno e speranze di rivoluzione colorata”,
http://www.marx21.it/internazionale/cina/24511-hong-kong-colonialismo-di-ritorno-e-speranze-di-qrivoluzioneq.html
4E di sospetti legami con gli Stati Uniti è accusato proprio il leader di Scholarism, Joshua Wong.
5Si veda “Cina e Iran, cooperazione nei mari lontani”, www.lantidiplomatico.it
 
Diego Angelo Bertozzi
 
 
Le anime candide e democratiche hanno un nuovo simbolo e una nuova lotta per scaldare i loro cuori: un nerd di 17 anni saltato fuori dal nulla che sta guidando la rivolta studentesca di Hong Kong in nome di maggiore democrazia da parte di Pechino nei confronti dell’ex colonia britannica e di una vera riforma elettorale rappresentativa.
 
Vi dico subito come la penso, onde evitare fraintendimenti: la faccia pulita e l’età del novello Che Guevara d’Oriente (chi potrebbe pensare che un diciassettenne che sembra uscito dalla pubblicità di una lozione anti-brufoli sia un destabilizzatore di professione?), quanto sta accadendo e il suo timing sono la prova incontrovertibile che questa ennesima “primavera” è eterodiretta come le precedenti – nel mondo arabo e in Ucraina – da parte degli Stati Uniti in quella che è una vera e propria guerra asimmetrica geofinanziaria per non perdere lo status di mercato di riferimento e non far perdere al dollaro quello di benchmark nel mercato valutario e negli scambi commerciali a livello globale.
Di più, attraverso l’attacco diretto alla Cina, Washington punta a far deragliare la politica di rigore del nuovo governo di Pechino, impegnato, come vi dicevo una decina di giorni fa, in un’operazione di sgonfiamento controllato della bolla del credito attraverso iniezioni di liquidità mirate a intervallare quello che è invece un vero e proprio credit crunch strutturale. Il perché è presto detto: costringere la Banca del popolo cinese a una sua forma di Qe che inondi il mercato di liquidità per tamponare lo shortfall derivante dal “tapering” della Fed previsto per la fine di questo mese e dall’iniezione della Bce in tal senso. Non a caso, lunedì sera le autorità di Pechino hanno avvertito chiaramente gli Usa di non immischiarsi in questioni interne della Cina, dopo che la Casa Bianca aveva reso noto il suo supporto alla “rivoluzione degli ombrelli”. Insomma, i comunisti operano come la scuola austriaca, gli statunitensi come Keynes: il mondo al contrario.
 
Le Borse asiatiche stanno già pagando un caro prezzo a questa rivolta per ora pacifica, ma il peggio deve ancora arrivare, visto che lunedì il capo economista di Deutsche Bank, Taimur Baig, ha dichiarato quanto segue: «Hong Kong chiaramente sta rischiando il suo ruolo di porta d’ingresso per l’investimento nella Cina continentale, visto che i timori degli investitori lasciano il Paese in una posizione molto più precaria di quella di Singapore come principale capitale finanziaria dell’Asia». Come vi dicevo, i risultati derivanti dalla prima settimana di proteste pacifiche sui mercati si sono già fatti sentire, ma un eventuale rallentamento ulteriore della crescita cinese e l’aumento dei tassi di interesse Usa potrebbero davvero far crescere pericolosamente l’insoddisfazione e il timore.
 
Negli anni recenti, il combinato di flussi monetari dalla Cina continentale e i tassi sui mutui praticamente a zero – la valuta di Hong Kong è legata da un peg fisso al dollaro, quindi i tassi locali seguono quelli decisi dalla Fed – ha fatto da propellente al mercato immobiliare, i cui costi solo saliti a massimi record, più del 300% rispetto ai minimi del 2003. Certo, ogni oscillazione al ribasso renderebbe più a buon mercato quegli immobili ma colpirebbe al tempo stesso i bilanci della middle-class proprietaria di case, la quale in queste ore sta simpatizzando con i dimostranti.
 
Il mercato azionario, poi, è già calato dell’8,3% da inizio settembre e anche il nuovo trading link sulle equities tra i mercati di Hong Kong e Shanghai, che dovrebbe attivarsi a fine ottobre, potrebbe non offrire molto sollievo, visto che le valutazioni dei titoli quotati a Hong Kong sono in linea con i loro pari nella Cina continentale, fornendo pochissime opportunità di arbitraggio da sfruttare. Ma soprattutto perché le manifestazioni a orologeria di questi giorni riusciranno nell’intento principale, ovvero oscurare il significato politico-economico di questo accordo: l’internazionalizzazione ulteriore dei mercati cinesi, visto che le persone che hanno attualmente un conto aperto a Hong Kong, grazie a questo link, potrebbero tutte insieme comprare fino a 3 miliardi di dollari al giorno di titoli azionari cinesi.
 
Inoltre, il fatto che il programma di stimolo monetario per l’economia della Cina varato dal precedente Governo abbia ormai perso efficacia e il nuovo plenum stia resistendo in tutti i modi al lancio di un Qe in piena regola ci dicono che le possibilità di un supporto di Pechino al mercato di Hong Kong appaiono limitate. Per finire, anche chi vede nelle proteste una possibile motivazione per cui la Cina decida di scegliere la Free Trade Zone di Shanghai per il suo programma di liberalizzazione finanziaria invece di Hong Kong, deve scontrarsi contro la realtà: ovvero, che nonostante le fanfare che accompagnarono la sua inaugurazione un anno fa, i progressi legislativi per regolare inflows di capitale dentro e fuori Shanghai sono lentissimi. Insomma, ci vorranno decenni prima che Shanghai possa essere un’alternativa credibile a Hong Kong.
 
Ma veniamo al punto nodale: perché attaccare, seppur con proteste pacifiche, proprio Hong Kong? E perché proprio ora? Partiamo dal primo interrogativo, a cui una prima risposta la fornisce la capo analista di Fitch a Pechino, Charlene Chu, a detta della quale «di tutte le liste relative a incidenti nel sistema bancario che aspettano di succedere, quella della Cina ha un posto al top. E se accadesse, potrebbe far schiantare l’intera economia globale». Il nodo è quello di cui vi ho parlato decine di volte, l’elefantiaco sistema bancario ombra della Cina, passato in cinque anni da 14 triliardi di dollari agli attuali 15, un qualcosa che per Chu significa una cosa sola: «Non c’è possibilità che la Cina non vada incontro a grossi problemi e ciò che è più importante e che questo potrebbe scatenare un disastro a livello globale».
 
Disastro dice: esattamente come dobbiamo aspettarcelo? «Una crisi del sistema bancario ombra cinese potrebbe concretizzarsi con la fine della ripresa giapponese nonostante l’Abenomics, lo schianto di economie come quelle della Corea del Sud e del Vietnam, destabilizzazione dei prezzi di titoli azionari e commodities, fino alla conseguenza estrema di far sospendere alla Fed il “tapering” del programma di stimolo monetario dopo alcune riunioni di emergenza a Washington. È inutile continuare a guardare verso economie come Argentina e Turchia per cercare focolai di crisi, la vera “wild card” è la seconda economia del pianeta».
 
Interessante, no? Si potrebbe arrivare a “obbligare” la Fed a continuare a stampare per causa di forza maggiore, ovvero una severa crisi bancaria asiatica: qualcuno a Washington potrebbe essere tentato dalla cosa, sicuramente a Wall Street sbavano alla sola idea. Tanto più che non è necessario, per ottenere questo risultato in grado di far espandere ancora un po’ la bolla, dando il tempo alla finanza Usa di scaricare la carta di cui è piena e mantenendo i corsi ancora un po’ artificialmente in “bull market”, arrivare fino alle estreme conseguenze. La Cina, infatti, alla fine dello scorso anno aveva riserve valutarie estere per 3,83 triliardi di dollari, una cifra sufficiente a tamponare la situazione sul nascere e a coprire per più di tre volte le liabilities estere di breve termine del Paese: certo, lo strizzamento dello stato patrimoniale della Banca del popolo a causa della vendita forzata di assets per finanziarie le liabilities estere porterebbe con sé una dolorosa contrazione del credito nell’economia interna cinese, ma questo processo è in parte già in atto ora.
 
Per questo vi dico che per fare danni sufficienti a garantire ancora un po’ di vita al Qe non serve scatenare l’inferno: a Washington hanno studiato il piano nel dettaglio e hanno puntato su tallone d’Achille cinese, ovvero le banche di Hong Kong, le quali, come ci mostra il grafico a fondo pagina, hanno un’esposizione creditizia su net claims verso aziende e clientela nella Cina continentale spaventosa, cresciuta a dismisura a partire dal 2008 quando alle misure espansive del vecchio Governo cinese si unì prima il programma Zirp di Ben Bernanke e poi il vero e proprio Qe della Fed.
 
Inoltre, la Hong Kong Monetary Authority ha puntato recentemente il dito sull’aumento sproporzionato del finanziamento in dollari da parte di soggetti della Cina continentale proprio attraverso il canale offshore di Hong Kong, quadruplicato negli ultimi tre anni e arrivato ora a oltre 1 triliardo di dollari. Insomma, gli ingredienti ci sono tutti e oggi, primo ottobre, in Cina scatta una settimana di festività nazionale che a Hong Kong e Macao corrisponderanno con una grande manifestazione di piazza, cui hanno già preannunciato la loro presenza anche attivisti stranieri: l’estrema provocazione alla pazienza delle autorità cinesi potrebbe scattare quindi nelle prossime ore, sperando in una risposta dura che tramuterebbe agli occhi dell’opinione pubblica narcotizzata del mondo l’immagine di Pechino come nuovo mostro dopo la Russia di Vladimir Putin.
 
Ma ora veniamo alla seconda domanda, perché proprio ora? Perché una nuova crisi asiatica è alle porte dopo quella del maggio-giugno del 2013.
 
Mauro Bottarelli
 

LA diseguaglianza sociale nella storia….dall’antica Roma ai giorni nostri e si scopre che….

ma se gli Usa dicono che c’è un regime da abbattere perché non rispetta i diritti umani tutta la società civile dice yes sir alle armi
ffrr
 
Negli Stati Uniti d’oggi c’è il 50% in più della disuguaglianza sociale dell’antica Roma (schiavi compresi)
Tutto ciò che è necessario sapere sul record raggiunto dall’ineguaglianza negli Stati Uniti
La quota di reddito nelle mani dell’1% più ricco della popolazione americana è superiore a quella dei tempi degli schiavi dell’Antica Roma e pari ai picchi degli Anni ’20.
Se questo non è di aiuto per capire in che età viviamo, ZeroHedge invita a leggere le seguenti parole di Paul Singer della Elliot Management Corp che spiegano tutto ciò che è necessario sapere sul record raggiunto dall’ineguaglianza negli Stati Uniti, compreso chi sia il principale responsabile:
“La disuguaglianza negli Stati Uniti oggi è vicina ai suoi massimi storici, in gran parte perché le politiche della Federal Reserve sono riuscite a raggiungere il loro scopo: vale a dire, prezzi degli asset sempre più elevati (in particolare i prezzi delle azioni, obbligazioni e high-end immobiliare), che sono generalmente di proprietà dei contribuenti delle fasce di reddito più alte. La Fed sta facendo tutto il lavoro, perché le politiche del Presidente sono soppressive della crescita. In assenza della stampa di moneta da parte della FED e per mezzo dello ZIRP, l’economia sarebbe più debole o addirittura di nuovo in recessione.
 
La più grande ironia è che il Presidente inveisce contro la disuguaglianza come uno dei problemi più importanti del nostro tempo, mentre nella sostanza le sue politiche stanno erodendo drasticamente la classe media e portando la Fed – con l’incoraggiamento del Presidente – ad intraprendere una politica monetaria radicale, che sta esacerbando le ineguaglianze. Questa semplice verità non viene ripetuta a sufficienza”.
 
 

Foto La crisi morde: calano anche i prezzi delle merci false

La deflazione imperversa
La crisi morde: calano anche i prezzi delle merci false
Secondo una ricerca realizzata dal Ministero dello Sviluppo Economico e dal Censis

La crisi economica sta mordendo ferocemente l’Italia invadendo così anche il mercato delle merci false che negli ultimi cinque anni ha fatto registrare una diminuizione dei prezzi di circa il 18%.

Quello delle merci false un mercato molto florido ma una ricerca realizzata dal Ministero dello Sviluppo Economico in collaborazione con il Censis ne ha scoperto la debolezza.

La riduzione dei prezzi non è imputabile ad una maggiore consapevolezza del consumatore o ad una ritrovata moralità. La vera causa è la crisi o per essere più tecnici è la deflazione che colpisce ogni settore. Il consumatore non compra più, nemmeno il contraffatto, e il prezzo medio dei prodotti sequestrati in cinque anni è sceso da 13 euro a 10,7.
30/9/2014
http://www.voceditalia.it/articolo.asp?id=107544&utm_medium=referral&utm_source=pulsenews

Padoan, ma chi ti ha dato la patente?

Mentre il Paese precipita nel baratro della disoccupazione e della recessione, il governo gli dà una spintarella. Togliere il Tfr alle imprese vuol dire metterle in mutande e costringerle a rivolgersi al credito bancario per finanziarsi. Il Tfr è dei lavoratori e su questo siamo tutti d’accordo, ma in un momento di stretta creditizia, provate a chiedere un fido a una banca…(togliere alle pmi una parte consistente della cassa vuol dire strozzarle). Forse riusciranno a saldare i tfr, ma potrebbero chiudere il mese dopo per mancanza di liquidità. Concentrarsi sulla possibilità di spesa, che in gran parte andrebbe ad acquisti legati all’importazione di beni dall’estero, invece che allo sviluppo delle pmi e quindi dell’occupazione con la restituzione dei crediti alle imprese, l’abolizione dell’IRAP, lo sfoltimento della burocrazia che impegna 45 giorni lavorativi e la diminuzione del carico fiscale ci si balocca con misure demagogiche. Padoan, ma chi ti ha dato la patente?

Truffa servizio sanitario, indagato ex presidente Inps Mastrapasqua

Nuovo filone dell’indagine della Procura di Roma su rimborsi non dovuti. Gli inquirenti hanno disposto una serie di perquisizioni da parte dei carabinieri in alcuni uffici della Regione Lazio, nella sede dell’ospedale Israelitico, di cui l’ex numero uno dell’Istituto di previdenza è direttore generale, e in uffici di Asl
 
Nuovo filone dell’inchiesta della Procura di Roma su una presunta truffa ai danni del servizio sanitario nazionale. Gli inquirenti hanno disposto perquisizioni da parte dei carabinieri in alcuni uffici della Regione Lazio, nella sede dell’ospedale Isrealitico e in uffici di Asl. Sono dieci, tra cui il direttore generale dell’ospedale Israelitico, Antonio Mastrapasqua, già numero uno dell’Inps, gli indagati. Nel registro degli indagati anche due funzionari della Regione Lazio già coinvolti nel procedimento madre, non legati all’attuale amministrazione e sette dipendenti dell’ospedale. I reati contestati, a vario titolo, sono il falso e la truffa.
 
Il nome di Mastrapasqua era emerso già gennaio per una indagine risalente al 2009, quando un controllo dell’Asl Roma D su alcune prestazioni dell’Ospedale Israelitico di Roma, portò alla luce diverse incongruenze. Si trattava in particolare di alcune fatture per semplici interventi odontoiatrici per cui però venivano richiesti alla Regione Lazio rimborsi da intervento con ricovero, più onerosi, e questo nonostante la struttura non avesse quel tipo di accreditamento. Dai controlli successivi emerse che tra il 2006 e il 2009 questo accadeva nella stragrande maggioranza dei casi verificati, il 94% delle cartelle cliniche.
 
La Regione governata da Nicola Zingaretti perciò aveva sospeso il pagamento di 15,5 milioni di euro in fatture all’Ospedale Israelitico, ma soprattutto aveva ‘congelato’ i due protocolli d’intesa che la vecchia amministrazione, in cui Renata Polverini era governatrice e commissario alla Sanità, stipulò con la struttura sanitaria nel 2011 e nel 2012 per intervenire nel groviglio amministrativo che si era venuto a creare tra esiti dei controlli, obiezioni e ricorsi al Tar. In quel caso gli inquirenti romani avevano individuato un presunto “ingiusto vantaggio” di circa 71 milioni di euro, per un totale di circa 85 milioni di euro contando anche le presunte fatture “gonfiate”. Mastrapasqua aveva depositato due memorie difensive in cui aveva chiarito la propria posizione. Nel mirino dei carabinieri all’epoca era finita anche un’altra pista: quella secondo cui parte di quel credito “non esigibile” sarebbe stato ceduto all’Inps per sanare i conti dell’Ospedale Israelitico.
 
Nel corso dell’ispezione svolta oggi presso la direzione dell’ospedale israelitico “i Nas non hanno riscontrato alcuna anomalia o alterazione dei luoghi. I fatti – sostiene la difesa – per cui oggi il dottor Mastrapasqua ha ricevuto un avviso di garanzia, insieme con altre persone a vario titolo dipendenti dell’ospedale, non afferiscono alle sue mansioni di direttore generale, ma rientrano tipicamente nelle responsabilità e nelle competenze del comparto sanitario”.