Quando Marx non è anti-capitalista

di Lorenzo Vitelli – 22/09/2014
 
Fonte: L’intellettuale dissidente
 
Un marxista ortodosso, ancora oggi, non ripudia il comfort, il securitarismo borghese, così come Marx non ripudiava quel famoso viaggio in treno in prima classe, e ambisce conseguentemente alla possibilità per il proletariato di accedere allo stile di vita borghese, pur ribaltando i rapporti di forza. Non è sufficiente infatti al proletario essere un proletario per essere anche anti-borghese e perciò anti-capitalista.
 
Con una rilettura critica dell’opera di Karl Marx e dei successivi marxismi, si può spiegare l’istinto mutevole e trasformista di una certa sinistra che da socialista è divenuta finalmente liberale. Si dice, in genere, che questa caduta derivi dall’abbandono del filosofo di Treviri, ma si può pensare che proprio nell’opera marxiana vi siano alcuni degli elementi che hanno favorito un atteggiamento compromissorio. Non si può senza dubbio condannare la forza mobilitante totale di un pensiero come quello del tedesco, né la sua disamina impietosa della coscienza borghese e delle contraddizioni interne al sistema capitalistico, della volontà di rendere la filosofia una prassi trasformatrice, ma ciò che in Marx rimane vincolante, e che ha osteggiato lo sviluppo di un conflitto realmente anti-capitalista, è l’esito di una teoria politica circoscritta all’interno delle logiche di una “ragione economica” essenzialmente borghese, espressione proprio di un compimento dell’Illuminismo,  da cui ne consegue un’impossibilità di superare la forma storica capitalistica con l’accettazione dogmatica della sua opera. Di fatto l’opposizione marxista – come sostiene Niekisch – fino al 1918 non era stata che una lotta interna al sistema capitalistico, e finalmente, ancora oggi, se guardiamo la parabola degli esponenti della sinistra tutta, non possiamo omettere il fallimento di un tentativo che si era proposto come rivoluzionario. C’è qualcosa nel marxismo, così come negli eredi del pensiero marxiano, che fa difetto. Non si spiegherebbe altrimenti l’insuccesso di un’ideologia di così vasta portata e influenza, notoriamente sugli strati più disagiati e popolosi della società. Non si spiegherebbe, allo stesso tempo, il così facile atteggiamento compromissorio dei suoi esponenti con il Potere sin dai tempi della creazione dei sindacati, punto di incontro e di accomodamento tra proletariato e padronato, in cui il primo con il rivendicazionismo salariale si accontenta delle avance del secondo. Non si spiegherebbero, ancora, i facili trasformismi della gioventù sessantottina pseudo-comunista, che da Potere Operaio passa ai vertici dirigenziali del Paese o nelle redazioni di grandi testate (per approfondire).
 
E appunto questo atteggiamento è decifrabile, se guardiamo a quegli assiomi che la teoria marxiana condivide con la borghesia capitalista; il materialismo, l’internazionalismo come variazione dell’universalismo borghese e oggi della globalizzazione, nonché l’economicismo e ancora l’aspirazione di entrambe le classi ad un’esistenza borghese, agli stessi desideri o “beni” prodotti dal capitale. Un marxista ortodosso, ancora oggi, non ripudia il comfort, il securitarismo borghese, così come Marx non ripudiava quel famoso viaggio in treno in prima classe, e ambisce conseguentemente alla possibilità per il proletariato di accedere allo stile di vita borghese, pur ribaltando i rapporti di forza. La sedia non cambia, dunque, ma cambia solo chi ci si siede, e dopo il borghese è il turno dell’operaio, aspirante borghese. E’ per questo che Niekisch comprese le potenzialità della rivoluzione comunista in Russia piuttosto che in Germania. Perché la ruralità russa ed i suoi valori contadini si mantenevano ancora, profondamente, anti-borghesi, mentre l’operaio metropolitano tedesco era un proletario borghesizzato. Di fatto le masse proletarie delle grandi metropoli europee sembravano ormai affette, e questo è il dato che Marx non comprese, dal ressentiment nietzscheano tipico della morale debole, più che da un istinto autenticamente rivoluzionario. Non è sufficiente infatti al proletario essere un proletario per essere anche anti-borghese e perciò anti-capitalista. Tanto è vero che la dicotomia messa sul tavolo dal Vittorini, può avere una valenza più significativa e realista di quella adottata da Marx, e sostituisce alla bipartizione della società in borghesi e proletari, liberi e non-liberi, quella di borghesi in atto e borghesi in potenza: “non conta nulla – scrive Vittorini – essere per le proprie condizioni di vita un proletario, un non-libero, quando si tende, grazie al miraggio offerto dalla dialettica borghese, a diventare un libero, un borghese”. Nella teoria marxiana la lotta alla borghesia rimane sempre su un piano meramente economico e mai ideale e perciò la forma capitalistica rimane sedimentata in altre vesti, che pur non essendo economiche impediscono, se evadiamo dal materialismo storico che forza tutto al rapporto economico, di superare le contraddizioni del capitalismo.
 
Ciò che il marxismo non è riuscito a fare è creare un typus idealmente anti-borghese, che sicuramente il contadino rappresentava maggiormente rispetto al proletario. Il proletario, invero, descrive solo uno status economico e non morale, e la sua costellazione di valori viene condivisa dal borghese. In Marx perciò non si delinea l’antropologia di un uomo rinnovato, o l’operaio come figura mitica, sicché si è venuta a creare una massa arrendevole di operai che ha ceduto gradualmente al compromesso con la borghesia. Proprio da qui possiamo presumere che abbia avuto origine il riformismo politico dei partiti operai. E questo spiegherebbe anche il tradimento di un certa intellighenzia che si è svenduta al Capitale perché ha smesso di leggere Marx, ma piuttosto perché in Marx i punti di incontro con la borghesia sono tanti, e proprio attraverso il superamento di questi raccordi il pensiero marxiano deve essere riabilitato per trovare la sua pericolosità.

Lavrov i terroristi non si possono dividere in buoni e cattivi

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Il  ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, ha dichiarato Mercoledì che il governo russo non effettua distinzioni fra “terroristi e buoni” e t. “cattivi” per poi criticare il doppio standard adottato dall’Occidente (USA ed Unione europea) in quanto all’atteggiamento adottato verso i  gruppi terroristi in Iraq ed in Siria.
 
Il capo della diplomazia russa, nel corso di una intervista radiofonica ad un canale radio nella città di San Pietroburgo, ha voluto ricordare che il gruppo takfiro ISIS  (Daesh in arabo) è la stessa banda ache gli USA ed i suoi soci europei utilizzavano per rovesciare il governo legittimo della Siria, tuttavia adesso questo gruppo si è trasformato nel loro principale nemico numero uno.
 
In accordo con le dichiarazioni fatte da Lavrov, Washington ha riferito che, nelle ultime operazioni di attacchi  aerei fatte dalle forze USA, i terroristi annientati erano i “terroristi cattivi”, quelli che hanno decapitato vari ostaggi nordamericani qualche settimana prima.
 
Nella lotta contro il terrorismo abbiamo bisogno di regole e di principi generali, il fatto che vari gruppi terroristi aiutino gli Stati Uniti a rovesciare un leader legittimo di un paese membro dell’Organizzazione delle Nazioni Unite, non significa che si possano dividere e classificare i terroristi come “buoni e cattivi” o estremisti e moderati, ha indicato l’alto funzionario russo. Il titolare degli Esteri russo  ha ricordato quando il Kremlino  aveva proposto a Washington ed ai suoi alleati di fare una alleanza con il governo siriano per mettere fine d’una volta ai gruppi estremisti collegati ad Al-Qaeda, quelli che operavano in ogni parte del territorio siriano, i leaders occidentali non hanno prestato attenzione a questa proposta affermando che per loro la questione più importante era l’allontanamento dal potere del Presidente siriano Bashar al-Assad.
 
Allo stesso modo il ministro ha informato che Mosca non pretende  di far parte nella denominata coalizione anti ISIS, capeggiata dagli USA, e così ha giustificato tale atteggiamento: “non proviamo vergogna visto che la Russia per prima ha fornito armamenti necessari ai governi dell’Iraq, della Siria e dello Yemen, paesi che più degli altri hanno subito gli attacchi dei terroristi e in questo modo abbiamo rafforzato le loro capacità di affrontare questi gruppi terroristi”.
 
Merita ricordare che gli Stati Uniti, con l’appoggio del Barein, della Giordania, dell’Arabia Saudita e degli Emirati Arabi Uniti e di vari paesi europei, hanno  iniziato dal Martedì scorso una campagna di attacchi aerei contro il Daesh all’interno del territorio siriano, cosa che ha provocato anche la morte di vari civili e la fuga di centinaia di cittadini del paese arabo.
 

L’ISIS non è una strana creatura

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“L’ISIS non è quella “strana creatura” saltata fuori dal nulla come vorrebbe far credere il circo mediatico internazionale, ma è il frutto di una lunga e laboriosa cooperazione tra diverse entità durata svariati anni. Com’è peraltro avvenuto anche con il suo “gemello” attualmente in disarmo: Al-Qa’ida, con la quale era in simbiosi fino a poco tempo fa. Non è infatti credibile che, in uno degli spazi più monitorati e tenuti sott’occhio dagli apparati di sicurezza di mezzo mondo, tale gruppo abbia potuto dilagare a sorpresa e conquistare in pochi giorni una così ampia fetta di territorio tra Siria e Irak per stabilirvi il cosiddetto “Califfato islamico”. Un’operazione, questa, che invece ha tutta l’aria di essere una risposta alle esigenze geopolitiche scaturite dalla sconfitta subita dalle milizie fondamentaliste in Siria, la quale poneva l’esigenza di spezzare quanto prima l’asse che, di fatto, lega vicendevolmente il regime siriano all’Iran. Tra i due Paesi, infatti, a dispetto dei piani statunitensi e israeliani sull’intera area a partire dal marzo 2003, è prevalsa in Irak una realtà politico-sociale organica agli interessi iraniani, che non può che rappresentare un intralcio ai progetti di risistemazione del “Grande Medio Oriente”. Da qui la repentina insorgenza di un gruppo su cui l’opinione pubblica occidentale non sapeva nulla, ma che è nata e prosperata sotto gli auspici di Arabia Saudita, Qatar, Stati Uniti Turchia e Israele. Tra l’altro l’autoproclamato Califfo Abu Bakr al-Baghdadi, il cui nome pare essere Ibrahim al-Badri, è stato detenuto – tra il febbraio 2004 ed il 2009 – a Camp Bucca, in Irak, fino a quando venne rimesso in libertà grazie all’indicazione di una commissione (Combined Review and Release Board) che ne raccomandò il “rilascio incondizionato”. La sua liberazione suscitò lo stupore del colonnello Kenneth King, tra gli ufficiali di comando a Camp Bucca nel periodo di detenzione di al-Baghdadi. Ciò spiegherebbe la riluttanza degli Stati Uniti a utilizzare i droni e la US Air Force per contrastare l’immediata avanzata del ISIS in Irak, com’era insistentemente richiesto dal primo ministro iracheno al-Maliki. Mentre ora invece, grazie alla Risoluzione n. 2170 votata prontamente dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU, gli Stati Uniti e un’ampia coalizione internazionale di “volenterosi” intendono bombardare nuovamente la Siria per sconfiggere i terroristi dell’ISIS.”
 
Da Il caos, nuova presenza permanente, intervista a Paolo Sensini.