Nell’eurozona arriverà il QE – e come ovunque sarà un fallimento

ma no, è la cattiva Germania che impedisce la fine dell’austerità…impedisce i salvifici QE che il gentile Mario Draghi vuole fare per il bene dei popoli, si sa che la prima preoccupazione dei banchieri è il benessere della gente. Ma se un gentil uomo de sinistra per giunta europeista come Guido Sapelli dice che iniettando soldi nelle banche termina l’austerità perché queste banche poi regalano sti soldi ai cittadini sarà vero….un uomo di sinistra non mente mai e si sa che  la sinistra difende i deboli mica le banche (vedi Mps, decreto Bankitalia, etc etc etc etc)

9 settembre 2014

 

Dalla legge di Parkinson sappiamo che la burocrazia statale è un blob che si espande indefinitamente fino a sommergere e soffocare la società. Il suo interesse è il breve termine; è in questo lasso di tempo che agisce garantendosi privilegi e potere. Ciò che stiamo passando oggi non è altro che il risultato di decisioni sballate prese anni fa. Ai burocrati conviene ignorare le conseguenze di lungo termine, non ricoprirebbero il loro loro ruolo se ci tenessero o se ne preoccupassero. Questo discorso possiamo traslarlo benissimo al dibattito attuale su un probabile QE nella zona euro per pungolare adeguatamente l’economia in rallentamento. Spronare la domanda aggregata, si dice, farà ripartire investimenti e consumi; ma come è possibile che gonfiare oltremodo il bilancio della banca centrale con asset di dubbia qualità possa rilanciare il perseguimento di investimenti produttivi? Anche se la BCE iniziasse a tutti gli effetti un giro di QE, ciò non porterebbe altro che ad un’allocazione errata di risorse, ulteriori errori imprenditoriali e bolle negli asset. In un certo senso, quello che è stato raggiunto negli USA (abbassamento storico dei rendimenti obbligazionari statali), è stato anche raggiunto in Europa grazie ai mercati e alle banche commerciali (spalleggiate dalla BCE). Quale è stato il risultato? Stagnazione peggiore. I problemi sono ancora tutti lì: i bilanci delle attività improduttive sono un disastro, le attività commerciali sono strozzate dal fisco, l’indebitamento privato non ha subito un deleveraging, spesa pubblica e tasse continuano a salire, ecc. Si è comprato solo tempo, ed il QE in Europa (qualora implementato) non farà altro che guadagnare solo altro tempo in attesa di miracoli che non arriverannoIl cappio al collo della pianificazione centrale si fa sempre più stretto, perché soffocando l’economia in generale non fa altro che soffocare se stessa.E’ una questione di tempo prima che imploda.

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I dati non hanno portato con sé nessuna sorpresa e nemmeno le risposte dei commentatori. Dopo una serie di relazioni deboli arrivate dalla Germania negli ultimi mesi, i dati relativi al PIL della zona Euro pubblicati la scorsa settimana hanno confermato che nel secondo trimestre l’economia ha rallentato. Com’era prevedibile, questo ha portato a nuove richieste di intervento della BCE. “Europe now needs full-blown QE” ha diagnosticato l’editorialista del Financial Times, e sulla prima pagina il giornale ha citato Richard Barwell, economista europeo della Royal Bank of Scotland: “E’ tempo che la BCE prenda il controllo e faccia quello che deve fare, invece di sfornare misure deboli come quelle presentate nel mese di giugno.”
 
Mi chiedo se la richiesta di maggiori “stimoli” sia ora semplicemente una reazione impulsiva, meri riflessi pavloviani imbevuti di cinque anni di implacabile allentamento monetario. Questi economisti ed editorialisti hanno pensato realmente a cosa possono condurre i loro suggerimenti? Se sì, perché pensano che i mali europei verranno curati dal denaro facile e dal credito a basso costo? Pompare sempre più soldi freschi di stampa nel sistema bancario rappresenta davvero la risposta ad ogni problema economico? Il QE è stato un successo laddove è stato implementato?
 
Il fatto è che negli anni il denaro è fluito in dosi maggiori. Certo, le banche commerciali non hanno ceduto nel concedere nuovo credito, ma ciò non sorprende dato che si stanno ancora leccando le ferite del 2008. La “valutazione della qualità degli asset” ed una regolamentazione più severa stanno facendo la loro parte, e se queste misure sono necessarie per rendere più sicura la finanza, come affermano i relativi sostenitori, allora il loro abbandono per il bene di una rapida ripresa del PIL — e di breve durata — non sembra consigliabile. Il fatto è che i creditori sono riluttanti a concedere prestiti ed i mutuatari sono riluttanti a prendere in prestito, ed entrambe le figure hanno buone ragioni per la loro riluttanza.
 
Pensiamo davvero che le aziende italiane, francesi e tedesche abbiano cassetti pieni di progetti di investimento interessanti che verrebbero messi in cantiere immediatamente se solo i tassi fossero più bassi? Penso che qualunque progetto di investimento di Siemens, BMW, Total e Fiat sarebbe già stato realizzato, dato il panorama economico allettante fornito dal denaro facile. Questa droga monetaria ha un rendimento marginale in rapida diminuzione.
 
Prospettiva Globale
 
Nella maggior parte delle principali economie, i tassi sono vicini allo zero da più di cinque anni e sono state adottate varie misure di stimolo aggiuntive, tra cui alcune da parte della BCE che non sono state un QE a titolo definitivo. Eppure l’economia globale è poco frizzante. I sostenitori dell’attivismo della banca centrale punteranno agli Stati Uniti ed al Regno Unito. Di recente la crescita in questi paesi è stata più forte e molti si aspettano un aumento dei tassi di interesse in un futuro non troppo lontano. Eppure anche se prendiamo gli ultimi dati trimestrali sul PIL degli Stati Uniti, l’attuale ripresa, iniziata nel 2009, è ancora la più lenta sin dalla Seconda Guerra Mondiale. La FED non ha ancora finito con il suo programma di acquisto di bond, dissolvendolo molto lentamente e con attenzione, temendo che l’economia, o in ogni caso i mercati finanziari, potessero imbizzarrirsi in un ambiente più “normale” (se qualcuno sa ancora cosa sia). Vedremo quanto mordente è rimasto nell’economia una volta che lo stimolo verrà rimosso completamente ed i tassi di interesse cominceranno a salire — se questo accadrà mai.
 
Poi c’è il Giappone. Sotto la guida di Abe e Kuroda, è fermamente impegnato in un QE al quadrato ricoprendo il ruolo di protagonista nel movimento “crescita attraverso la stampa di denaro”. Nel secondo trimestre l’economia si è contratta di un incredibile 6.8% annualizzato, imitando quelle prestazioni registrate quando il Giappone venne investito da uno tsunami nel 2011. Questa volta la contrazione economica sembra che sia stata guidata principalmente da un aumento delle imposte sulle vendite (credo che i governi debbano tenere sotto controllo il loro deficit, soprattutto quando parliamo di Giappone), le quali avevano inizialmente generato un primo trimestre forte, in quanto i consumatori si sono dati al consumo sfrenato in previsione dell’aumento fiscale. Ora è tempo di pagare. Eppure, guardando attraverso i due trimestri, il Wall Street Journal parla di “lenta ripresa del Giappone, nonostante un pesante stimolo”.
 
Altrove il Dibattito E’ Andato Oltre
 
Nei paesi anglosassoni il dibattito circa gli effetti collaterali dell’allentamento monetario sembra intensificarsi. La scorsa settimana Martin Feldstein e Robert Rubin, in un editoriale per il Wall Street Journal, hanno avvertito dei rischi per la stabilità finanziaria dovuti alla politica di stimolo della FED, la quale punta verso valori alti degli asset ed una minimizzazione dei premi al rischio, sottolineando che è stato chiesto troppo alla politica monetaria. Paul Singer, fondatore dell’hedge fund Elliott Management e nemesi di Cristina Fernandez de Kirchner, ha affermato che la politica monetaria ultra allentata ha fallito e che invece sono necessarie riforme strutturali ed un contesto normativo più favorevole alle imprese. Tutto questo prima ancora di prendere in considerazione la mia posizione (quella propugnata dalla scuola austriaca), secondo cui ogni forma di stimolo monetario è in ultima analisi distruttiva perché (al meglio) può comprare un po’ di crescita di breve termine al prezzo di distorcere i mercati dei capitali e seminare i semi di una correzione futura. Nessuno stimolo monetario può mai portare ad una crescita duratura.
 
Niente di tutto questo sembra turbare gli appassionati dell’interventismo monetario in Europa. Quando i dati deludono, la risposta inevitabile è quella di chiedere alla BCE di stampare più soldi.
 
I critici della BCE hanno ragione quando affermano che la BCE di recente è stata meno accomodante rispetto ad alcuni dei suoi cugini, vale a dire la FED e la Banca del Giappone. L’economia della zona euro sta di fronte a noi senza molto trucco monetario. Se non ci piace quello che vediamo, allora la colpa dovrebbe andare alla politica inefficace dell’élite europea, al presidente socialista francese Hollande, alle politiche fiscali anti-ricchi ed alla burocrazia statale fuori controllo che paralizza il paese; alla Merkel, che non solo non è riuscita ad emanare un unico programma di riforme pro-crescita da quando è diventata cancelliere della Germania (per quanto tempo il paese può fare affidamento sulle riforme di Schroeder del 2002?), ma ora abbraccia la politica di un salario minimo nazionale ed un’età pensionabile al di sotto dei 63 anni, posizioni che in precedenza aveva contestato; al boy scout Renzi, che parla parla, ma finora non è riuscito a concludere nulla. Ma poi l’ironia della sorte vuole che saltino fuori affermazioni come: “In democrazia il popolo riesce a mettere in riga i propri governanti.” Gli impedimenti strutturali europei alla crescita spesso sembrano godere di grande sostegno pubblico.
 
Richiedere condizioni monetarie ancora più allentate e credito a buon mercato è il segno di una bancarotta intellettuale e d’incompetenza politica.
 
[*] traduzione di Francesco Simoncelli
 
da Freedoniadi Johnny Cloaca

GILBERT NKAMTO (EODE AFRICA) : MYTHES ET REALITES SUR BOKO HARAM

EODE-TV & La Voix de la Russie / Avec EODE Press Office/ 2014 09 09/

EODE-TV & LVDLR - GIL boko haram au cameroun (2014 09 09) FR

Interview audio sur : https://vimeo.com/105485132

 GILBERT NKAMTO, N° 2 D’EODE, SUR ‘LA VOIX DELA RUSSIE’ :

BOKO HARAM AU CAMEROUN

 Interview de Gilbert NKAMTO, Administrateur général d’EODE-AFRICA et N° 2 de l’Ong EODE, panafricaniste et camerounais, ce 14 août 2014, par le journaliste Igor YAZON pour les services Afrique de la Radio LA VOIX DE LA RUSSIE.

 Interview sur la Thématique :

BOKO HARAM AU CAMEROUN

 et dont les questions portent notamment  sur

1 – La présence de Boko Haram au Cameroun,

2 – La tension qui existerait au Cameroun entre chrétiens et musulmans,

3 – Le rôle de la Communauté internationale pour endiguer la menace qu’exerce Boko Haram, qui menace la stabilité au Cameroun et au Nigeria.

4 – Comment expliquer l’impuissance du Nigeria, puissance militaire africaine, face au Boko Haram …

 # Article de Igor YAZON sur LA VOIX DELA RUSSIE

sur : http://french.ruvr.ru/radio_broadcast/5646896/276023022/

EODE-TV / EODE Press Office

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http://www.eode.org/

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DOCU CHOC : LA SALE GUERRE DE KIEV AU DONBASS (1)

 Conception et direction Luc MICHEL / Images EODE-TV – Ukraine Crisis /

Présentation Bachir Mohamed Ladan /

Montage Ibrahim Kamgue/ Réalisation Romain Mbomnda/

Coproduction Luc MICHEL – EODE-TV – Afrique Media

 ATTENTION : images de guerre extrêmement dures – 18+

DOCU CHOC : LA SALE GUERRE DE KIEV AU DONBASS (Partie 1)

EODE-TV & AMTV - DOCU CHOC la sale guerre au Donbass PART 1 (2014 09 08) FR 1

 Film – 1ère Partie – complet sur : https://vimeo.com/105584107

 Nous entamons une nouvelle série d’émissions dans le cadre de la coproduction entre AFRIQUE MEDIA, Luc MICHEL et sa chaîne EODE-TV. Cette série nous l’avons appellée DOCU CHOC car elle veut vous présenter des documentaires, des images et des analyses qui sont dissimulées et censurées par les médias occidentaux et les télévisions de l’OTAN.

 Et nous commençons avec un film qui décoiffe, venu de la DNR, la République populaire de Donetsk, qui montre sans fards la sale guerre que la Junte de Kièv mène contre les populations russophones du Donbass. Un film dur, des images qui dérangent, la vérité sur ce qui se passe à l’Est, où l’Ukraine entend écraser la Novorossiya dans le sang.

 Mais avant ce film, nous retrouvons Luc MICHEL, géopoliticien et spécialiste des mondes russe et ukrainien et de leurs idéologies, qui nous esquisse le contexte …

Que se passe-t-il au Donbass et en Ukraine ? Pourquoi cette sale guerre de Kiev contre son propre peuple ?

 DOCU CHOC : « UKRAINE CRISIS »

 Un avertissement s’impose : ces images sont évidemment réservées à un public adulte et déconseillée aux âmes sensibles.

 Voici la première partie de notre documentaire choc. Des images jamais montrées par les médias occidentaux, parce que l’OTAN, les USA et l’Union Européenne, qui parrainent cette sale guerre et la soutiennent, ne veulent pas que le public européen, américain ou africain voit ces scènes de cauchemar.

EODE-TV & AMTV - DOCU CHOC la sale guerre au Donbass PART 1 (2014 09 08) FR 2

 Voici donc la guerre de la Junte de Kiev sans fard.

Nous allons suivre  le bataillon punitif néonazi AZOV. Voir la Transcarpathie, dans l’Ouest ukrainien, et ses minorités hongroises et roumaines refuser la guerre et la mobilisation. Nous allons assister aux tirs à l’arme lourde et aux missiles Grad sur Donetsk, Lugansk, Horlivska ou Pervomaiesk. Des crimes de guerre. Des prisonniers de l’Armée ukrainienne vont nous confirmer ces crimes. Nous allons plonger au cœur de la peur et de la détresse des civils du Donbass : enfants, femmes, vieillards. Non ils ne sont pas des terroristes comme le prétend Kiev. Nous allons les suivre dans les hôpitaux et les morgues. Nous allons surtout voir la colère de ce peuple qui ne veut plus de l’Ukraine …

 EODE Press Office

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www.afriquemedia.tv

EODE T-V on Vimeo: https://vimeo.com/eodetv

Notturna in Clarea ancora per ribadire il No

A due giorni dal bliz notturno nel cantiere della Maddalena, una marcia illuminata dalla luna piena, fari e piena di maschere antigas, caschi, scudi…

di Gabriella Tittonel

Marcia notturna del popolo del No Tav lo scorso sabato in Clarea, a due giorni dal bliz notturno nel cantiere della Maddalena. Una marcia illuminata da una luna piena impegnata anch’essa a farsi spazio tra nuvola e nuvola e che ha visto lungo il sentiero persone di tutte le età, di tutte le fasce sociali impegnate a raggiungere il cantiere e fermate, anche in questa occasione, davanti al limite scelto come invalicabile dalle Forze dell’Ordine, quello del ponte sul Clarea.

Qui, come sempre, presente un consistente numero di persone in divisa, tutte con casco, scudi e spara lacrimogeni, maschere antigas indossate, altre con telecamere e vario corredo identificativo, mentre a ridosso del ponte e poi lungo la cosiddetta strada di compensazione, una lunga fila di cellulari dalle instancabili luci blu contribuiva a illuminare uno scenario di ante guerra.

Haidi Giuliani. Foto di Luca Perino

Davanti a tanto apparato slogan, canti e battute non sono mancati, sono stati ricordati i fatti di alcuni giorni fa a Napoli, ma anche quanto avvenuto nel 2001 a Genova: testimone minuta, dall’apparenza fragile ma determinata, Haidi Giuliani, alla quale  a Genova venne ucciso il figlio e che davanti alle Forze dell’Ordine è venuta con un cartello dove rivendicava questa nuova morte, in silenzio, con rispetto, certamente con dolore.

Il corteo è poi risalito al piazzale delle centraline, da dove il cosiddetto cantiere si è mostrato in tutto il suo provocatorio sfavillio e da dove, ad illuminare la notte, sono partiti tutta una serie di luminosi fuochi artificiali, accompagnati dalla battitura, insistente, rumorosa, voce di popolo che non si arrende.

Questa la cronaca di una notte che ha chiuso idealmente il campeggio di settembre.

Ma con questa val la pena di fare alcune semplici considerazioni, maturate in questo ennesimo incontro tra manifestanti e Forze dell’Ordine. Incontro surreale, perché da ambedue i lati c’erano persone con identici problemi da risolvere, con eguali territori dove questioni come la devastazione, l’inquinamento, le malattie diventate naturale conseguenza sarebbero questioni da risolvere insieme. E invece no. Tutti birilli di un gioco più grande, che vuole nemici in campo per muovere le sue pedine. Sarebbe tempo di cambiare. Di chiedere insieme le cose importanti della vita: l’ambiente non contaminato e non distrutto, le scuole, gli ospedali, il lavoro. Ce ne sarebbe per tutti di che vivere, ci vorrebbe solo un po’ di saggezza e di coraggio.

In quella notte che si è aperta al giorno dedicato dalla Chiesa alla giornata per la custodia del creato è opportuno sottolineare allora quanto un uomo di chiesa, proprio in questa giornata ha ribadito: “Dio perdona sempre, l’uomo qualche volta, la natura mai”. Sarà bene pensarci, fin che abbiamo un briciolo di tempo. Intanto che piccoli e grandi disastri, in questa nostra nazione che si riempie la bocca di grandi opere, si susseguono, segno di incuria, superficialità, decisioni assassine che conducono gli umani gli uni contro gli altri.

G.T. 08.09.14

Fracking vietato in Italia

La Commissione Ambiente della Camera ha dato via libera al Collegato ambientale che impedisce sul territorio l’uso di tecniche di fratturazione per l’estrazione di idrocarburi.

di Massimo Bonato

All’atteggiamento possibilista dell’Ue, che ha deciso di non normare l’estrazione di idrocarburi non convenzionali tramite fracking, lasciando a ciascun Paese la responsabilità di provvedere a sé, l’Italia risponde con il divieto. Vietato il fracking sul territorio italiano. A deciderlo, giovedì 4 settembre, la commissione Ambiente della Camera, dando il via libera a un emendamento al Collegato ambientale.

Soddisfatti gli ambientalisti che da tempo premevano per una chiara presa di posizione, stante la lacuna normativa in tal merito.

Facendo perno sul principio di precauzione “per quanto attiene il rischio sismico e la prevenzione di incidenti rilevanti” ha annunciato Enrico Borghi, membro della Commissione e fautore del provvedimento, “con questa decisione si è scelto di tutelare le falde acquifere e il sottosuolo”.

Un provvedimento a cui plaude Ermete Realacci, presidente della Commissione ambiente della Camera, secondo il quale “si tratta di un provvedimento molto importante e articolato, che promuove misure in sostegno della green economy e per il contenimento dell’uso eccessivo di risorse naturali”.

M.B. 08.09.14

La Giustizia che verrà

Luci e ombre sul futuro dei processi ai No Tav sui quali potranno influire i movimenti all’interno di Procura e Tribunale di Torino. C’è speranza di un ritorno se non altro a una “normalità” giudiziaria?

di Fabrizio Salmoni

 Si riaprirà fra pochi giorni con l’udienza del 16 Settembre del maxiprocesso  la stagione giudiziaria che riguarda i valsusini e le prospettive sono preoccupanti: la frangia estremista della Procura non molla l’osso per quanto riguarda le accuse di terrorismo respinte dalla Cassazione con richiesta di “riformulare”. Ed è appunto quello che i pm stanno tentando di fare con qualche gioco delle tre carte giuridico: far passare il teorema del terrorismo tramite un giro di carte che ne supporti la sostanza. L’obiettivo è di tenere in carcere i sette arrestati per il compressore o quantomeno ottenerne durissime condanne. In attesa comunque del Tribunale del Riesame che si riunirà il 29 Settembre per pronunciarsi sulle scarcerazioni. C’è qualche speranza di un ricorso ai domiciliari il che sarebbe un brutto segnale per i teoremi di Rinaudo e Padalino.

Entro fine anno poi si dovrebbe giungere a sentenza anche per il maxiprocesso: solo più qualche teste da sentire e poi si andrà alle requisitorie dei pm. Vista la conduzione del processo sinora, si aspettano condanne, forse non per tutti e forse non gravissime ma soprattutto pesanti sanzioni pecuniarie, un’ eventualità solo apparentemente non politica perchè in realtà, in sintonia con la scelta dell’aula bunker, sono le condanne normalmente inflitte e più efficaci contro le associazioni mafiose. Figuriamoci contro imputati che fanno in gran parte  lavori precari e vite certo non agiate. Tali sanzioni sarebbero subito esecutive almeno nella parte giudicata essenziale e toccherà di nuovo a tutti gli italiani che vedono nel movimento No Tav la componente più avanzata delle lotte sociali rendere inefficace una misura repressiva che si ripropone di fermare i singoli, costringerli a “ritirarsi” di fronte al rischio e alle conseguenze di una grave penalizzazione sulla vita quotidiana.

A fronte di questa situazione ci sono movimenti all’interno di Procura e del Tribunale che fanno sperare in un sensibile “appeasement” del pesante clima imposto da Caselli e dai suoi pm. Innanzitutto si deve ancora capire l’atteggiamento che il nuovo Procuratore Capo avrà nei confronti delle lotte sociali. Spataro potrebbe avere meno debiti da saldare con il Pd di quanti ne aveva Caselli e una veduta più “normale” della realtà, meno autoritaria.

Dovrebbe anche cambiare il Presidente del Tribunale, quello che aveva confermato la sede aula-bunker, e si vocifera di una rimozione di Rinaudo, ovviamente travestita da promozione a incarico più prestigioso, a una posizione di consulenza con la Commissione Europea. Insomma, movimenti che farebbero entrare aria nuova a Palazzo di Giustizia, aria che nessuno garantisce sia meno inquinata dai politici ma almeno diversa. Del resto, il movimento No Tav non chiederebbe altro che un ritorno alla “normalità” giudiziaria.

Quanto poi le tematiche della contestazione alla Torino-Lione siano penetrate nel tessuto sociale da poter influire anche sulle politiche giudiziarie è difficile capire ma intanto qualche piccolo segnale c’è già stato: qualche non luogo a procedere, qualche assoluzione. Un po’ di luce in fondo al maledetto tunnel.

A Gennaio inizierà poi il processo a Erri De Luca che lo scrittore intende affrontare all’attacco. Sarà un processo molto mediatico che porterà le tematiche dei No Tav alla ribalta dei media, almeno per qualche breve tempo e non farà certo del bene a Virano & co.

(F.S. 07.09.14).

Cooperativa CMC: indagati tre dirigenti

La cooperativa CMC piuttosto invisa a tutti coloro che si occupano di ambiente e salvaguardia del territorio è nuovamente oggetto di indagini giudiziarie

di Davide Amerio

La cooperativa (rossa) CMC (Cooperativa Murtori Cementisti) principale cooperativa tra quelle iscritte alla Legacoop è nuovamente oggetto di indagini giudiziarie.

Già chiacchierata per i lavori di Expo2015 in una indagine del Pm Alfreo Robledo che indaga su “turbativa d’asta dovuta all’eccesso di ribasso’ e in un’altra della Procura di Trani per quanto riguarda il porto di Molfetta, negli ultimi mesi il Premier Renzi pare le abbia ‘regalato’ un appalto fruttuoso da 250 miloni di euro per un’autostrada in Angola.

Sempre al centro di polemiche ambientaliste, sovente oggetto di indagini delle Procure d’Italia e di altri lavori discutibili come il Tav in Val di Susa giunge ora notizia  di un altro ‘inciampo’ giudiziario. Tre manager dell’azienda sono stati iscritti nel registro degli indagati da parte della procura di Ravenna. L’inchiesta che coinvolge anche ex dirigenti del Comune e della Provincia riguarda i reati di falso ideologico, abuso d’ufficio, falso ideologico commesso dal privato in atto pubblico e svolgimento di opere edilizie senza autorizzazione.

L’indagine è ancora in fase preliminare ma il Pm che coordina l’inchiesta, Isabella Cavallari, ha chiesto e ottenuto una proroga delle indagini preliminari per accertare se emergono in modo chiaro elementi di reato. L’indagine era inizialmente a carico di ignoti.

La questione riguarderebbe una variante al Poc (Piano operativo comunale) relativamente ad un’area logistica occupata dalla CMC. La zona è al centro da tempo di polemiche e di esposti giudiziari per le procedure utilizzate dal comune nel gestire il passaggio del terreno da zona agricola a zona industriale. La contestazione riguarda proprio l’utilizzo di una variante al Poc mentre avrebbe dovuto essere predisposta una variante Psc (il vecchio Piano regolatore).

Nel frattempo la CMC avrebbe provveduto ad effettuare movimenti terra sulle aree predisponendole all’importazione della sabbia di risulta da escavazioni di fondali. Lavori che furono sospesi.

D.A. 07.09.14

Renzi e la sinistra europea. Il Patto del Tortellino al Festival dell’Unità di Bologna.

“Io non mollo di mezzo centimetro” dichiara Renzi alla platea e “alla nuova generazione di leader socialisti”.

di Massimo Bonato

Il menu disponibile al ristorante Bertoldo dove Matteo Renzi ha pranzato con il francese Manuel Valls e lo spagnolo Pedro Sánchez ha fatto il giro delle testate europee. O perlomeno di quella Europa mediterranea che ha voluto parlare dell’incontro tenutosi in chiusura della festa del Partito democratico a Bologna domenica 7 settembre. Visto che l’incontro è ripreso in prima pagina lunedì 8 settembre da testate francesi e spagnole, ma non ve n’è cenno sulle tedesche come «Frankfurter Algemeine Zeitung», «Die Welt», «Abendzeitung», «Der Tagesspiegel», o le olandesi «De Telegraaf», «Algemeen Dagblad», «Reformatorisch Dagblad».

Un tributo alla cucina italiana, un omaggio a Bologna, una ghiotta dimostrazione di quel Made in Italy che Renzi vuol salvaguardare in Europa, il Tortellino si è trasformato nel Patto con la sinistra europea: il Patto del Tortellino.

Un po’ come quando si comincia una dieta o si decide di smettere di fumare, la cosa migliore è rendere pubblico il proposito come escamotage per non venirvi meno, la dimensione europea che ha chiuso la festa indica gli impegni assunti da Renzi come ineluttabili per l’Italia e faro per l’Europa riformista.

“Con le riforme vorrei prendere un impegno: io non mollo di mezzo centimetro”, ha infatti dichiarato il premier alla platea e “alla nuova generazione di leader socialisti”. Lo dice a Diederik Samsom, capo del Partito laburista olandese; al tedesco Achim Post, che potrebbe aiutarlo a convincere la Merkel a rallentare con la fissa della restituzione del prestito; a Pedro Sánchez, stella nascente del Psoe spagnolo, alla sua prima visita in Italia; a Manuel Valls, testa di ponte di François Hollande.

La dizione “nuova generazione” non è retorica. Fotografia di gruppo in camicia bianca. Sono giovani. La gioventù porta con sé, e sulle pagine dei quotidiani, la parola “speranza”; meglio la “esperanza”, che dallo spagnolo di Sánchez si tramuta in qualcosa di più simile al dimesso “désespoir” francese, mai però pronunciato, ma soltanto sussurrato, accennato e preterito nei sondaggi e nelle percentuali dei solerti quotidiani francesi.

“Noi siamo impegnati per fare dell’Europa una cosa seria. Non ci interessano vincoli di bilancio e spread, ma valori, dignità e ideali comuni” ha detto Renzi. Attacca i tecnici che non han saputo prevedere la crisi; difende gli 80 euro come segno di civiltà; vaticina che l’Europa cambierà solo se a cambiare sarà il Pd dal suo interno; promette la legge elettorale e la riforma costituzionale; e con grintosa sicumera “Noi i soldi sappiamo dove metterli: nell’edilizia scolastica, nella banda larga e nelle opere contro il dissesto. Noi sappiamo dove metterli ma devono essere investimenti slegati dalla cultura del rigore del patto di stabilità”.

Gli fa da contraltare Sánchez, rispondendo a chi assicura che le cose non cambieranno dicendo che “il cinismo non ha mai costruito una scuola o aperto un ospedale” («El Mundo»). Il punto è di lasciare, facendo eco a Renzi, “la destra senza futuro”, perché si farà in Spagna “quel che si è cominciato a fare qui”, in Italia.

Manuel Valls parla soprattutto di soldi, di economia e politica monetaria. Budget e riforme strutturali sono quelle che premono al francese mentre si gode il “bagno di gioventù e di ottimismo sotto il sole di Bologna” («Les Echos»). Ne ha bisogno, se tutta la politica socialista francese è riassunta in quel “Aidez-moi!” supplichevole lanciato ai militanti italiani, che «Le Monde» non manca di sottolineare, aggiungendo che in fondo, quella platea non sa nulla del dibattito in corso nella sinistra francese, in piena Caporetto post Le Pen. Però l’Italia è anche il Paese in cui l’idea di impresa non è “antinominica all’ideale socialista” e in cui le riforme avanzano, secondo il quotidiano d’oltr’Alpe. Dunque un po’ di “jalousie” per Renzi, perché, al di là delle parole e dei propositi quel che fa lume è il borsino dei consensi. Manuel Valls a Bologna si rilassa, poiché in patria condivide con François Hollande la caduta a picco riportata in questi giorni da «Le Parisien», «Le Figaro» o «Paris Match» che si basano sui dati Ifop (Institut français d’opinion publique) dando il presidente a un 19% di consensi e .il premier francese a 43% (solo a luglio era al 50%).

Il borsino delle preferenze fa la differenza. È innanzitutto su queste percentuali che il faro Renzi si accende per “la nuova generazione di leader socialisti”. Per «El Pais», ad esempio, Renzi è per Sánchez un punto di riferimento “non tanto per il suo modo di governare” quanto per aver fermato l’avanzata del M5S “che aveva capitalizzato la rabbia sociale contro l’autocompiacimento della Casta”, e soprattutto per quel 40,8% di voti che lo han creato premier e alla fiducia rinnovata dagli italiani a mesi dalle elezioni.

Sánchez cerca di intercettare il consenso di quelle piazze che gli Indignados han fatto fremere; la Francia in piazza ci va poco, e a infiammarsi è per ora soltanto la Calais degli immigrati africani che lottano per i diritti umani, i loro. Le piazze italiane brulicano ogni giorno, ma non di consenso.

“Siamo stufi che ci dicano di dover fare più sforzi quando li abbiamo fatti per tutta la vita. Non si può costruire un’Europa contro gli europei e ora siamo certi che esiste un altro modo di fare le cose” tuona  Pedro Sánchez dal palco. Ma a mangiare i tortellini ci son solo lui e il francese.

M.B. 08.09.14

Renzi a Brescia: crisi energetica? Trivelliamo Basilicata e Sicilia

“Perderò qualche voto ma la vinco la sfida energetica”. Il petrolio c’è, basta bucare.

di Massimo Bonato

“Siamo in una forte crisi energetica e non estraiamo il petrolio che c’e’ in Basilicata e Sicilia?” Una frase retorica che fa presagire la decisione già presa da Matteo Renzi che la pronuncia. E infatti: “Io la norma per tirar su il petrolio l’ho fatta. Allora, potrò perdere qualche voto, – quello dei comitati ambientalisti – ma lo tireremo fuori e creeremo nuovi posti di lavoro“.

È per parlare di lavoro che Renzi si trova sabato 6 settembre a Gussago (Brescia), all’inaugurazione delle “Rubinetterie bresciane”, presenti Giorgio Squinzi, presidente della Confindustria, e Giuliano Poletti, ministro del Lavoro. Il decreto Sblocca Italia è il tema del momento, un provvedimento in via di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale che “non serve tanto a mettere nuovi soldi ma a dire che i soldi già ci sono e li dobbiamo spendere”. E parla quindi di crisi energetica.

Petrolio che aveva stretto attorno a Greenpeace 50 sindaci siciliani, con sostegno del Governo Regionale e delle Associazioni Ambientaliste che insieme avevano raccolto nel 2012 oltre 57 mila fime, dando vita alla campagna “U mari nun si spirtusa” contro la petrolizzazione del Canale di Sicilia.

In realtà le piattaforme petrolifere dovrebbero raddoppiare, dal momento che una, la Vega A della Edison già si trova al largo di Pozzallo (Ragusa). Per la Vega B, alla quale ora si guarda, esiste un progetto di trent’anni fa. Spiega però Legambiente: “L’area dove dovrà essere ubicata rientra all’interno della fascia di rispetto delle 12 miglia imposta, per i nuovi impianti. Quindi, se la piattaforma Vega B fosse considerata un nuovo progetto non potrebbe essere realizzata. Per la Edison, invece, la Vega B non deve essere considerata un nuovo progetto, perchè fa parte di un programma approvato dal Ministero oltre trent’anni fa. Praticamente, dopo aver realizzato Vega A, hanno per così dire dimenticato di realizzare la seconda piattaforma e dopo trent’anni se la sono ricordata”. “L’ambiente ibleo, – scrive Legambiente – non ha certo bisogno di questa spada di Damocle, né l’economia potrà avere positive ripercussioni da un comparto che, grazie ad una politica collusa e corrotta, paga le royalties più basse al mondo e non paga imposte allo Stato per le prime 50.000 tonnellate estratte. Alla luce di questi fatti è logico mettere a rischio il mare, il turismo e la pesca per estrarre una quantità di petrolio che servirà a fare girare i nostri camion per neanche due mesi?”

M.B. 06.09.14

L’agenda del governo? Scritta dall’ambasciata Usa

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Administator | 08-09-2014 

Fonte: www.libreidee.org

Cari elettori italiani, sapevate che il programma di governo – qualsiasi governo – lo scrive direttamente l’ambasciatoreUsa a Roma? Fateci caso: l’attuale politica economica di Renzi – rottamare lo Stato e svendere l’Italia – è esattamente quanto richiesto dall’“amico americano”. 
«Quando, allevato, sostenuto e finanziato, si ritenne Renzi pronto, scattò l’operazione “Renzi al governo”», scrive Stefano Ali. «Goldman Sachs, McKinsey, Morgan Stanley, Ubs e perfino la nostrana Unicredit si sperticarono in “endorsement”». È noto il caso Ubs che, in un report per l’Eurozona nel gennaio 2014 individuava già Renzi quale capo del governo. «È evidente che un report di quel genere non potesse essere prodotto in una settimana: erano già mesi, quindi, che Renzi era il capo del governo predestinato. Sulle stesse “primarie” (tanto discusse sotto l’aspetto della trasparenza) si allunga l’ombra di una sovra-organizzazione a sostegno di Renzi. L’ultima spinta a Napolitano venne data con lo “scandalo Friedman”: a proposito, ne avete mai più sentito parlare, dopo l’incarico a Renzi?».

Col “rottamatore”, scrive Ali in un post ripreso da “Come Don Chisciotte”, gli Usa «hanno costruito lo strumento finale: il rottamatore ha definitivamente rottamato la sinistra italiana, oltre che impegnarsi strenuamente nel rottamare la democrazia». E’ una vicenda che parte da lontano. Per la precisione dal 2008, quando si arena il secondo governo Prodi e Veltroni fonda il Pd. A parlare sono due cablo di “Wikileaks”, che si riferiscono alle imminenti elezioni italiane. L’8 aprile, l’ambasciatore Ronald Spogli riferisce a Washington che «Berlusconi e Veltroni hanno fatto una campagna elettorale noiosa», dominata «dalle loro personalità» ma «non dalle proposte politiche». I programmi? Identici: «Entrambi promettendo tagli alle spese governative, aumento delle pensioni, abbassamento delle tasse e taglio alla burocrazia per le imprese». La stampa italiana? Nebbia: «Si è focalizzata sulle discussioni circa l’organizzazione elettorale e i commenti volgari del frequentemente volgare alleato di Berlusconi, Umberto Bossi». Il peggio, però, arriva col secondo “cablo”, l’11 aprile: dovendo proprio scegliere, gli Usa preferirebbero Vetroni, più pronto a eseguire gli ordini di Washington.

«E’ un vero e proprio programma di governo», annota Ali, «con tanto di indicazione sui ministri». Le elezioni, scrive Spogli, «ci daranno l’opportunità di spingere il nostro programma con rinnovato vigore», dopo mesi di crisi e il fastidio rappresentato da Rifondazione Comunista, spina nel fianco dell’esecutivo Prodi. «Se le nostre relazioni con il governo Prodi erano buone, le nostre relazioni con il prossimo governo promettono ancora meglio. Forse molto meglio», scrive Ronald Spogli. «Si può anticipare che faremo progressi sul programma, se dovesse vincere a sorpresa Veltroni, ed eccellenti progressi se Berlusconi tornasse alpotere». Molto esplicito, l’ambasciatore: «A prescindere da chi vince, ci incontreremo con i probabili membri del nuovo governo appena possibile dopo le elezioni, durante il periodo di formazione del governo in aprile e nei primi giorni di maggio per marcare le nostre priorità politiche chiave e la direzione che ci piacerebbe prendesse la politica italiana. Ci piacerebbe che esponenti del governo Usa venissero per far pressioni sul programma, incluso il periodo tra le elezioni e l’insediamento del nuovo governo».

In particolare, Spogli vorrebbe «sollevare le questioni» relative al “tono delle relazioni”, all’Iran, all’Afganistan, alla sicurezza energetica e quindi la Russia, e poi l’Iraq, il “processo di pace” in Medio Oriente, gli sviluppi in Libano e Siria, le basi militari Usa in Italia. E infine «competitività economica, assistenza estera, cambiamenti climatici e leggi di rafforzamento della cooperazione» tra Roma e Washington. Ma l’ambasciatore Spogli non si ferma qui: per ciascuna voce redige un dettagliato piano di intervento. Riguardo al “miglioramento delle relazioni”, ad esempio, scrive: «Sebbene il governo Prodi abbia seguito le politiche che supportiamo, sentiva il bisogno di fare gratuite dichiarazioni anti-americane per puntellare la componente di estrema sinistra. Tali commenti distraevano da discussioni importanti come il Medio Oriente, i Balcani e l’Iran. Anche se entrambi i leader candidati alle elezioni sono pro-America, dovremmo comunque incoraggiare il nuovo governo a riconoscere che i toni hanno importanza, nelle relazionibilaterali». Meglio quindi «esercitare la disciplina, per evitare retorica inutile». Politici italiani: attenti a come parlate,

A Ronald Spogli, già nel 2008, premeva che l’Italia prendesse le distanze dalla Russia in materia di energia: «Incoraggeremo il nuovo governo italiano a impostare come prioritaria la formulazione di una politica energetica nazionale che affronti realisticamente il crescente fabbisogno energetico e la preoccupante dipendenza dalla Russia». Consigli per gli acquisti: «Energia nucleare e energie rinnovabili dovrebbero fare parte del piano. L’Italia dovrebbe esercitare leadership a livello europeo, spingendo per una politica energetica che si occupi dell’estremamente preoccupante dipendenza dalla Russia». È un caso, si domanda Ali, se dopo vent’anni Berlusconirispolverò l’energia nucleare? Spogli insiste: «Suggeriremo di usare l’influenza che promana dalla comproprietà del governo italiano in Eni per fermare la compagnia dall’essere la punta di lancia di Gazprom. Questo probabilmente richiederà una nuova leadership in Eni». Spogli conta ovviamente sull’Italia anche per la gestione americana del conflitto israelo-palestinese. E, ancora sull’energia, aggiunge: «Quando ci occuperemo di negoziare accordi vincolanti e avremo bisogno che l’Ue scenda a compromessi per arrivare a un accordo che sia accettabile per il Congresso Usa, avremo bisogno di un interlocutore affidabile nel governo italiano che comprenda le ragioni dell’economia, oltre che quelle dell’ambiente».

Scontati, dice Ali, i diktat americani sulla politica estera – il comportamento italiano rispetto a Iran e Iraq, Russia e Afghanistan, nonché il “disappunto” che avrebbe creato il ritiro delle forze italiane dalle “missioni di pace”. Rivelatore, il cuore del “cablo” dell’11 aprile 2008: Berlusconi o Veltroni, l’Italia avrebbe fatto le medesime scelte, dettate dagliUsa. Cosa accadde dopo? Lo sappiamo: Berlusconi venne «accusato di troppe cose», tra cui «pedofilia, corruzione, evasione fiscale, collusioni con la mafia», tutte accuse che in Usa avrebbero determinato la fine di qualsiasi uomo politico. «Troppo, perché gli Usa continuassero a considerare Berlusconi un alleato fidato, perfino se a capo di un paese rammollito e corrotto come l’Italia». Per cacciarlo non bastarono le pressioni degli ex alleati che lo mollarono, da Casini a Fini. A metterlo da parte ci volle «la tempesta sui titoli Mediaset del 2011». Dopodiché, come da copione, seguirono Monti e Letta: «Tutte persone di “provata fede” filo-americana». Nel frattempo, «cresceva in provetta l’esperimento finale: Renzi, con la sua rete di amicizie particolari in Usa e in Israele (Carrai, Serra, Gutgeld, Bernabè, Kerry e, sopra tutti, Michael Ledeen)».

Riposi in pace, conclude Stefano Ali, «chi rimane convinto di essere di sinistra e non si accorge che la politica di riferimento è ben più di destra perfino rispetto a quella di Berlusconi». A parlare sono i fatti. E chi ancora si crede di sinistra «non riesce ad accettare di essere li a supportare – suo malgrado e contro la sua volontà cosciente – una politica liberista e imperialista». A nulla vale far presente che questa “sinistra” ha ammainato tutte le “bandiere” della sinistra per sostituirle con quelle un tempo sventolate dall’estrema destra: non più la Dc (che, nella sua mastodontica struttura correntizia, compensava al suo interno destra, sinistra e centro per far emergere una linea tutto sommato moderatamente popolare), ma il vecchio Partito Liberale Italiano e il vecchio Movimento Sociale Italiano». Berlusconi e il Pd non erano rivali nemmeno del 2008, come conferma l’ambasciatore Spogli. Amara conclusione: «Chi si ritiene di sinistra prenda atto che una agenda politica redatta fin nei dettagli dall’ambasciataUsa non è esattamente il programma di un governo di sinistra. Rassegnatevi, la vostra sinistra oggi è questa».

 Fontewww.libreidee.org