Sulla questione delle “sacche” ucraine

Molti si chiedono cosa sia la questione delle cosiddette “sacche” in cui le forze ucraine vengono circondate diverse volte. I generali ucraini sono semplicemente stupidi, o cos’altro? Cercherò di spiegare.
Si ricordi che le forze ucraine sono in genere “pesanti”. Hanno molti carri armati, artiglieria, munizioni, soldati, ecc., almeno inizialmente. Ma sono anche assai inferiori in competenze tattiche, morale e volontà. Al contrario, le forze della Resistenza hanno assai meno meno carri armati, pezzi d’artiglieria, munizioni e soldati. Ma il loro morale è alle stelle, le capacità tattiche sono eccellenti e combattono sulla propria terra, “giocare in casa” è un grande vantaggio. Si aggiunga che gli ucraini cercano disperatamente di dimostrare al mondo che “vincono”, mentre la Resistenza cerca di espellere una forza occupante. Ora, se si tiene tutto ciò in mente, si potrà facilmente capire come mai queste “sacche”. Succede così:
I politici a Kiev ordinano ai comandanti della cosiddetta “operazione antiterrorismo” di mostrare dei risultati. Questi si riuniscono e definiscono ciò che considerano città e villaggi importanti. Poi ordinano alle loro forze di entrare e prendere tali città o villaggi. Le forze della junta si muovono con molta potenza di fuoco, superiore per la sola distruzione di un paio di posti di blocco della Resistenza sulle strade principali, su cui passano per occupare le dette città. A questo punto dicono “missione compiuta, la nostra bandiera è sull’amministrazione della città X”. La BBC prende tali informazioni dai suoi ucraini e il mondo viene a conoscenza di un’altra vittoria ucraina. Nel frattempo, gli squadroni della morte ucraini eliminano eventuali simpatizzanti della Resistenza nelle città occupate. I carri armati vengono utilizzati per proteggere le forze ucraine mentre l’artiglieria a lungo raggio viene utilizzata per terrorizzare la popolazione della prossima città sulla lista. Poi tutto va a rotoli.
In primo luogo, una grande forza richiede molta benzina, lubrificanti, munizioni, rifornimenti, cibo, ecc. Ma le strade sono sotto la costante minaccia delle forze della Resistenza. Successivamente, i novorussi, lentamente ma inevitabilmente, portano qualche pezzo d’artiglieria che inizia a bombardare le forze ucraine. A poco a poco, le forze ucraine, più grandi, sono costrette a trincerarsi mentre la Resistenza riprendere il pieno controllo delle strade principali e dei dintorni delle città. Questo è tutto; il cerchio si chiude, gli ucraini sono circondati e si forma la ‘sacca’. A quel punto accadono due cose: a) gli ucraini cercano di ritirarsi, b) rinforzi vengono inviati per salvarli. Ma a questo punto densità e qualità delle forze della Resistenza sono sufficienti a bloccare le strade principali e ad impedire ritirate o rinforzi. In alcuni casi gli ucraini riescono ad uscirne o ad aver rinforzi, ma in genere con grandi perdite in attrezzature e vite. E ciò porta ad un altro punto importante:
Gli ucraini preferiscono combattere sulle arterie principali. La Resistenza è di casa nelle foreste, colline, campi e cespugli (ciò che l’esercito russo chiama “la macchia”). Ciò significa che i movimenti ucraini sono molto prevedibili. Non così per la Resistenza. Gli ucraini temono la “macchia”, i novorussi l’amano. Non so di una sola battaglia, finora, in cui gli ucraini abbiano attaccato attraverso la “macchia”. I novorussi lo fanno sempre. Ben presto i rifornimenti diventano un problema reale, e con più o meno l’intera aviazione ucraina defunta, data la densità delle armi antiaeree della Resistenza, anche le grandi unità passano dalla modalità di combattimento a quella di sopravvivenza. Almeno 4 squadroni della morte ucraini vi si trovano proprio oggi. Ma si ricordi, gli ucraini hanno più armi e potenza di fuoco, quindi non è così facile ridurli e schiacciarli nelle sacche, ed è per questo che la Resistenza ha bisogno di tanto tempo per finirli. Facendolo, però, una per una. Se avessero tempo e forze, avrebbero potuto farlo facilmente, ma non è così. In questo momento, le principali forze che proteggono Marjupol sono bloccate in 2-3 sacche a sud-est di Donetsk. Ma invece di perdere tempo a ridurle, le Forze Armate della Novorussia hanno lanciato l’attacco lungo le coste su Marjupol, dove gli ucraini sono già nel panico non essendovi nulla che si frapponga tra loro e la Resistenza. E questa è la mossa giusta dei novorussi. Proprio come negli scacchi, un pezzo bloccato è essenzialmente inutile, come le forze ucraine in una sacca. La cosa importante è mantenere l’iniziativa e sfruttare il vantaggio. Questo è il motivo per cui la Resistenza avanza verso Marjupol. Se la città viene presa, o anche circondata, o se le sacche a sud di Donetsk sono ridotte, sarà il crollo del fronte meridionale ucraino contro Novorussia. Ci sono dei rischi però.
In primo luogo, qualsiasi forza dei novorussi diretta su Marjupol rischia di esser accerchiata dai rinforzi ucraini. Ora, non si sa di certo cosa facciano gli ucraini, ma è probabile siano nel panico totale a Kiev e che rinforzi saranno inviati da tutto il Paese per evitare che Marjupol cada in mano dei novorussi. I novorussi devono fare molta attenzione al loro tergo (ma poi, c’è la certezza che i tanti occhi del GRU, nello spazio e a terra, lo stiano già facendo al loro posto). In secondo luogo, gli ucraini circondati potrebbero cercare di unire le forze per uscirsene o attaccare verso nord. Se non ci riescono, probabilmente faranno ciò che hanno già fatto, scappare per salvarsi abbandonando tutte le attrezzature pesanti, o combattere fino all’ultimo. In entrambi i casi va bene per i novorussi.
Spero che la breve (e un po’ semplificata) spiegazione tracci, almeno nelle linee generali, perché e come tali “sacche” vanno costantemente formandosi.
Cordiali saluti, Saker

AGOSTO 27, 2014
Vineyard Saker 26 agosto 2014

http://aurorasito.wordpress.com/2014/08/27/sulla-questione-delle-sacche-ucraine/

HOW CRIMEA HAS BECOME RUSSIAN AGAIN / UKRAINE VERSUS NOVOROSSIYA (1)

Design and management Luc MICHEL / 

Images EODE TV – Krimm24 – Rossiya24 /

Presentation Bashir Mohamed Ladan /

Editing Ibrahim Kamgue / Production Romain Mbomnda /

Co-production Luc MICHEL – EODE TV – Afrique Media

 Program 1 full on: English summary/ French and partly English sound/

https://vimeo.com/104540023 EODE-TV - UKR. V. NOVOROSSIYA 1 crimea (2014 08 27) ENGL

PROGRAM ‘UKRAINE VERSUS NOVOROSSIYA’ 1 /

HOW CRIMEA HAS BECOME RUSSIAN AGAIN

(first broadcast July 14, 2014)

 The crisis in Ukraine is in the spotlight of the media since the end of November 2013.

A diplomatic crisis between the duo Washington-Brussels against Moscow. Where Kiev politicians are just pawns.

A crisis turned into dirty war in the east, by the pro-Western Kiev junta that took power in the coup of 21 February 2014 on the orders of its masters, the USA and the IMF.

A complex issue, full of hidden backgrounds where geopolitics, ideology, history, economic appetites, and NATO expansion to the East mingle and overlap.

 We open for you this issue with Luc MICHEL, international correspondent of AFRICA MEDIA and the EODE-TV boss. We will present four special programs UKRAINE VERSUS NOVOROSSIYA.

This is the first devoted to the issue of the coming back of the Crimea to Russia. Crimea has seen two key events in the history of Europe and the world. At the Yalta Conference in 1943 and in the referendum of March 16, 2014.

 Luc MICHEL was in the Crimea at the time of the referendum of self-determination as with his NGO EODE he organized the International Monitoring Mission (Western reaction was a hate campaign against him, including over 1,200 defamatory articles).

He shows unique analyzes made in the heart of the action of 15 to 18 March 2014 and also shares exclusive footage filmed by the TV crew EODE following him there. Here also the Crimean referendum in the heart of the event.

 GEOPOLITICS – HISTORY – IDEOLOGIES …

 In the Ukrainian crisis, history and ideologies are closely intertwined. The confrontation in the Crimea, which is that of two Ukraines, the one of the West and the one of the South East is above all an ideological clash. Fascism and anti-fascism, nostalgia of Bandera’s fascism and memory of the Great Patriotic War. Luc MICHEL explains in what this confrontation has both caused and precipitated the crisis in Ukraine and the uprising of the people of Crimea.

Such a confrontation explains the results of the referendum of 16 March 2014. You will see in particular the rally of the victory of YES and pro-Russian people, on the evening of March 16, Lenin Square in Simferopol. That’s what the NATO media will call without shame or remorse “a climate of fear and a referendum under the threat of the Russian army.” You can judge by yourself!

 Our program closes with strong images. The crowd in Simferopol, which just received the results of the referendum on the night of March 16. YES is 96%. On the podium the leaders of the triumphant uprising, including the new president Axionov and the new mayor of Sevastopol. And sailors of the Russian Fleet. Then sounded a vibrant Russian anthem. Crimea is Russian again!

Luc MICHEL is there, a few meters away in the crowd, laughing and crying, in fervent communion. “A night of victory, a highlight of my political life,” he said …

 EODE Press Office

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 # AFRIQUE MEDIA co-produced a series of special programs with geopolitical expert Luc MICHEL and his EODE-TV channel on the theme: UKRAINE VERSUS NOVOROSSIYA, the Ukrainian crisis. The most comprehensive information on the crisis in Ukraine and the Black Sea.

All themes analyzed.

 With Luc MICHEL, geopolitical expert and expert on Russian and Ukrainian worlds, we’ll find out inside information. Our expert knows intimately indeed the region. Since the 80s, Luc MICHEL has traveled throughout Eastern Europe: Baltics, Central Europe, Russia, Siberia, Ukraine, Belarus, Yugoslavia, Caucasus, Balkans … Sometimes observer, often actor of events. Many missions for his NGO EODE that organizes electoral monitoring and makes  “parallel diplomacy” according to the Belgian press. Many political actions and conferences for his transnational political organization in Eurasia, the PCN-NCP. He especially knows Ukraine, Moldova and Transdniestria (PMR), and other countries of the Black Sea and the Balkans. Finally he also directed his private life to the east, Ukrainian girlfriend, then married to a Russian from Riga. His current wife is a native of Transylvania.

 www.afriquemedia.tv

EODE T-V on Vimeo: https://vimeo.com/eodetv

I boschi sono anche suoi: non catturate l’orsa Daniza

 Non ha senso pretendere che un animale predatore, reintrodotto per libera scelta dall’uomo, non difenda i suoi cuccioli
 
Gianluca Felicetti – Mar, 26/08/2014
È grande la mobilitazione popolare di questi giorni in difesa dell’orsa Daniza in Trentino. Una bella prova di senso civico, buon senso, in favore del diritto di una mamma a vivere libera con i suoi figli.
 
daniza
Non lo ha purtroppo capito il Ministro dell’Ambiente Galletti che ha avallato al telefono dalle sue vacanze la condanna all’ergastolo del plantigrado, l’ennesimo, in 100 metri per 100 spacciati come un «rifugio naturale». Dando peraltro un colpo in testa alla politica ambientale del suo stesso Ministero, di rinaturalizzazione del territorio e tutela della biodiversità.
 
Ora speriamo che le vie legali diano ragione a noi che, con la stragrande maggioranza degli italiani, chiediamo semplicemente che Daniza possa continuare a fare l’orsa e che i suoi cuccioli non vengano fatti crescere solo per essere catturati e imprigionati fra qualche anno.
 
D’altronde l’orsa non è andata in Trentino di sua spontanea volontá. Da una quindicina d’anni, con il Progetto «Life Ursus», pagato fior di milioni dalla ora colpevolmente silenziosa Unione Europea (Commissario Potocnick, se ci sei batti un colpo) diversi plantigradi sono stati portati dalla Slovenia sul nostro arco alpino. Per ripopolare quelle zone con un abitante presente da migliaia di anni e poi sterminato dalla nostra specie.
 
Non è il caso di tornare qui sulla vergognosa Provincia di Trento, Autonoma tanto da decidere per conto proprio due mesi fa una modifica unilaterale dell’Accordo interregionale sulla protezione dell’orso, inserendo grazie al proprio Assessore-veterinario-amministratore unico del macello Alta Valsugana (sic), Dallapiccola, la definizione di animale «nocivo» cancellata dalla legislazione nazionale dal 1977. Una premessa importante, per quanto poi successo con Daniza.
 
La morale di questi giorni, a mio avviso, è che sulla pelle di questi animali si gioca l’incompetenza di Amministratori pubblici, l’inconsistenza di uffici cosiddetti tecnici e scientifici e operazioni di marketing turistico dal corto respiro fondate proprio su una classica accusa che si fa a noi animalisti. Quella di pensare che il mondo, il mondo degli altri animali, selvatici, sia come quello disegnato da Disney. Dove i conflitti fra specie non esistono, dove tutto «finisce bene». I Servizi faunistici provinciali, i biologi dell’Ispra, non avevano messo in conto che un cercatore di funghi (la cui sicurezza sta a cuore anche a noi) avrebbe potuto mai incappare in un orso? E che il diritto, per entrambi, all’autodifesa con i propri mezzi (artigli o gambe levate) non sia naturale? Quanti fungaioli muoiono ogni anno per colpi di fucili da caccia eppure non si chiudono, purtroppo, i cacciatori in un recinto?
 
No, è che anche in questo caso, vogliamo imporre, come la nostra specie ha fatto sempre, alle prime normali difficoltá e peraltro evitabili, la legge «del più forte» e vogliamo di fatto che i boschi siano silenziosi, artificiali. Per poi esclamare stupore alla visione del primo documentario sulla savana africana che, però, è lì ben lontana…
 
Gli orsi dunque vanno bene solo in tv, nei cartoni animati, nei manifesti turistici, come pelouche. Un po’ come i lupi in Maremma: viva l’immagine di natura incontaminata solo fino a che è sulle foto pubblicitarie e sui social network. Guai però se i predatori, concorrenti di una categoria umana con prolungamento metallico, fanno i predatori.
 
*Presidente Lega anti vivisezione (Lav)

MONREALE 27 AGOSTO 2014 ALTRA VITTIMA ALL’INTERNO DELL’ACETILENE.

Questa sera l’articolo lo voglio scrivere io… Giornali e tv se volete pubblicate questo. Non darò altre informazioni telefoniche…

Titolo: Quante vittime ancora?

Sottotitolo: Il Sindaco di Monreale è nella MERDA perchè le precedenti Amministrazioni “hanno destinato” i soldi stanziati per il randagismo per “altre spese”, la Magistratura indaga DA ANNI, I CANI CONTINUANO A MORIRE…

Se c’è una cosa che non tollero è la strumentalizzazione e con questo non intendo attaccare chi lavora per giornali e/o tv ma chi decide su COME INFORMARE.
Siamo sempre a Monreale. “Il Sindaco di Monreale ha lasciato morire un altro cane all’interno dell’acetilene.”
Peccato che ancor prima che il Sindaco fosse colpevole c’è: una mancanza di struttura idonea dipendente dalle precedenti Amministrazioni Comunali, una mancanza di fondi dipendente dalle precedenti Amministrazioni Comunali, un servizio di reperibilità Comunale per il recupero degli animali formato da Geometri, Architetti, operatori dell’Acquedotto, senza mezzi di trasporto idonei, un servizio di veterinari Asp in grado di “suturare” delle ferite da morso AL CRANIO CON PRESENZA DI MATERIA GRIGIA (parole dello stesso veterinario) “all’interno dell’Acetilene”, effettuare terapia antibiotica e lasciare lì dentro l’animale per le ore successive fino alla lenta, atroce, dolorosa MORTE. L’Acetilene, ormai purtroppo nota struttura per la triste vicenda dei cuccioli, diventa nuovamente in trampolino di lancio per il Ponte Arcobaleno. A questo punto mi chiedo:
Per quale motivo un Veterinario Asp, viste le gravi condizioni dell’animale, decide di suturarlo e non RICOVERARLO IMMEDIATAMENTE presso una CLINICA di Palermo? Risposta: PERCHE’ IL COMUNE NON HA I SOLDI PER PAGARE QUESTE SPESE.
Come può un Veterinario Asp lasciare un Animale in quelle gravi condizioni in un locale che tutto è tranne che una struttura a norma (che loro stessi devono autorizzare) senza una prescrizione medica, una terapia da effettuare, un controllo previsto per il giorno successivo? Risposta : ……………..

A questo punto mi chiedo: Ci vuole molto a capire che i COMUNI SICILIANI (IN PARTICOLARE) SONO IN EMERGENZA? LA CALAMITA’ NATURALE ESISTE SOLO PER GLI EVENTI CHE COLPISCONO L’UOMO? GLI ANIMALI NON HANNO GLI STESSI DIRITTI E NON SONO TUTELATI DA NORME? DOVE CAZZO SONO LE NORME CHE LI TUTELANO? CHI DEVE VERIFICARE CHE LE STESSE VENGANO RISPETTATE? CHE CAZZO DI COLPA PUO’ AVERE UN SINDACO IN CARICA DA 2 MESI CHE HA PRESO IN MANO UN COMUNE IN DEFICIT, DISSESTATO, CON BUCHI NEL BILANCIO ASSURDI E NON IN CONDIZIONE DI POTER GARANTIRE IL MINIMO INDISPENSABILE? (E NON MI RIFERISCO SOLTANTO AGLI ANIMALI). ESISTE UNA POSSIBILITA’ CHE VENGANO STANZIATE PICCOLE MA INDISPENSABILI CIFRE PER GARANTIRE ALMENO I SERVIZI INDISPENSABILI? DA DOVE CAZZO DEVONO ARRIVARE QUESTI SOLDI CHE LE AMMINISTRAZIONI PRECEDENTI HANNO “UTILIZZATO PER ALTRO” E PRINCIPALMENTE QUANDO? QUANTI MORTI ANCORA? PER QUANTO TEMPO ANCORA DOBBIAMO SENTIRCI RESPONSABILI DI MORTI CHE NON DIPENDONO DA NOI MA CHE “FORSE” (SICURAMENTE) SI POTEVANO EVITARE SE NOI VOLONTARI ELEMOSINAVAMO SOLDI ALL’ITALIA INTERA SENTENDOCI DEFINITI DEGLI EROI? EROI IL CAZZO… SONO STANCO DI SENTIRMI DIRE SEI UN EROE PERCHE’ CARICO UN CANE IN MACCHINA E PAGO CON VOSTRI SOLDI, SONO STANCO DI CERCARE STALLI, PENSIONI PER CANI CHE NON VERRANNO MAI ADOTTATI. SONO STANCO DI SENTIRMI IN COLPA PERCHE’ ABBIAMO FATTO TARDI O PERCHE’ HAI 200 EMERGENZE E SEGNALAZIONI E SEI COSTRETTO A TRASCURARE TERAPIE, PULIZIE, MOMENTI DI SVAGO E GIOCHI PER I CANI CHE TENGO A CASA. SONO STANCO DI QUESTO GOVERNO CHE NON VUOLE RENDERSI CONTO CHE MEZZA ITALIA E’ IN EMERGENZA. SI SUSSEGUONO LE AMMINISTRAZIONI, OGNUNA PARTE CON LA VOLONTA’ DI VOLER FARE (COME L’ATTUALE SINDACO) E ALLA FINE SONO COSTRETTI A RINUNCIARE PERCHE’?
A MONREALE C’E’ ATTUALMENTE UN SINDACO CHE VUOLE FARE, VUOLE AIUTARE QUESTI ANIMALI, IL MINISTERO, LO STATO CHE AIUTI PUO’ DARE? QUEI CAZZO DI 80.000 EURO NON CI SONO PIU’ E MAI PIU’ CI SARANNO, POSSIAMO RIPARTIRE DA ZERO? POSSIAMO EVITARE PER UNA VOLTA CHE ANCHE QUESTA AMMINISTRAZIONE DIVENTI VERGOGNOSAMENTE INSENSIBILE AL PROBLEMA RANDAGISMO COME LA PRECEDENTE? NON E’ MIA INTENZIONE DIFENDERE IL SINDACO, IL MIO SCOPO E’ APPROFITTARE DELLA SUA DISPONIBILITA’. ODIO LA POLITICA, ODIO GLI UOMINI, ODIO LA STRUMENTALIZZAZIONE DI OGNI TIPO.

Naturalmente sono stati chiamati i Carabinieri e il Veterinario Asp per constatare la morte dell’Animale e le Associazioni Liv Palermo Lida Palermo e Ugda Palermo si recheranno presso la Stazione dei carabinieri di Monreale per formalizzare denuncia contro l’Amministrazione Comunale e il Veterinario Asp intervenuto la notte del recupero e responsabile del ricovero presso l’Acetilene.

R.I.P Amico mio…

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UCRAINA: KIEV, CI ASPETTIAMO «AIUTO PRATICO» DA NATO

abbiamo usufruito noi della bontà liberatrice degli mmerikani non sarebbe giusto negarla agli aspiranti democratici ucraini…..

Lo dice il premier Iatseniuk

(ANSA) – MOSCA, 27 AGO –

Il governo di Kiev si aspetta che la Nato prenda delle «decisioni cruciali» per «un aiuto pratico» all’Ucraina al vertice dell’Alleanza atlantica in programma il 4 settembre. Lo ha dichiarato il premier ucraino Arseni Iatseniuk, citato dall’agenzia Interfax.

(ANSA) YK2 27-AGO-14

FIRENZE: SFRATTATI E SENZA LAVORO, MOGLIE, MARITO E SUOCERO 82ENNE DORMONO FUORI DALL’OSPEDALE

ammazza che affitti da ladri a firenze, manco gli stipendi fossero più alti

24 agosto 2014

Può succedere così, all’improvviso un giorno di agosto. Il lavoro non si trova più, il padrone di casa non accetta un nuovo rinvio dell’affitto, e un’intera famiglia finisce per strada. O meglio sotto la pensilina di un ospedale. Paolo, Marinella e Italiano “abitano” fuori da Torregalli da una decina di giorni. Hanno scelto una panchina sulla destra dell’ingresso. Uno scatolone con dentro un po’ di vestiti, una valigia, qualche borsa, un ombrello e la gabbia del gatto Baffino: tutto quello che gli è rimasto occupa metà della seduta. Nell’altra ci stanno loro, quando non sono in giro dentro l’ospedale. «Di notte ci arrangiamo così, io e Marinella ci sdraiamo qui fuori e suo padre, che ha 82 anni, prende l’ascensore e va all’ultimo piano. Si mette a dormire sulle sedie della sala d’attesa di un reparto».
La presenza dei tre senza casa è stata notata quasi subito dal personale dell’ospedale. Sono stati interpellati gli assistenti sociali sia di Scandicci che di Firenze. Una soluzione, almeno a sentire Paolo, non è lontana. Lunedì dovrebbe arrivare una risposta riguardo ad un alloggio popolare. «Intanto aspettiamo qua, non stiamo male. E tutti sono molto gentili». Per mangiare vanno alla Caritas, per lavarsi usano un bagno al piano terra. «Abbiamo deciso di venire qui perché è riparato, e infatti la pioggia non è un problema. Dove dovevamo andare, sotto un ponte?», diceva ieri Paolo. Ha 52 anni e fino ad alcuni mesi fa lavorava come contadino in un’azienda agricola sulle colline sopra Firenze. Quando ha smesso è iniziata la crisi della famiglia. «Abitavamo in un appartamento a Scandicci: due stanze da letto, salotto e cucina. Non riuscivamo più a sostenere l’affitto di 900 euro. Io da solo guadagnavo 1.200, 1.300 al mese, poi c’era quello che portava a casa mia moglie». Marinella faceva le pulizie ed ha avuto problemi anche lei a trovare qualcuno che le desse un lavoro. Saltate due entrate, è rimasta solo la pensione di Italiano, il padre della donna, che ormai molti anni fa lavorava in una fabbrica di vernici. Troppo poco. Italiano sta scomodo sulla panchina, dove ha appoggiato un paio di stampelle. E’ un po’ sordo e non ha molta voglia di parlare di quello che è successo alla sua famiglia. Ancora una volta un ospedale si trova di fronte a un’emergenza sociale e abitativa. Sono tanti i casi di persone che finiscono nelle strutture sanitarie a chiedere aiuto per problemi non di salute. A Careggi c’è una coppia che vive ormai da anni in una capanna di lamiera nascosta dalla vegetazione a poche decine di metri dall’ingresso della Piastra dei servizi.(…)

Leggi tutto su firenze.repubblica

http://www.crisitaly.org/notizie/firenze-sfrattati-e-senza-lavoro-moglie-marito-e-suocero-82enne-dormono-fuori-dallospedale/

Immigrati richiedenti asilo spacciavano droga ai ragazzini sotto i 14 anni

vedi che vogliono lavorare?

Richiedenti asilo spacciavano droga agli under 14. Il covo: una casa data gratis da una associazione

CIVIDALE – Spacciavano marijuana a ragazzi giovani, minori e under 14, il covo era una casa a Cividale del Friuli (Udine): protagonisti dell’attività criminale quattro cittadini afghani richiedenti asilo politico.

L’indagine del Nucleo Investigativo della Compagnia provinciale dei Carabinieri di Trieste è partita dai controlli effettuati nel capoluogo giuliano, dove i militari hanno notato che molti minori erano in possesso di piccole dosi di droga. Da Trieste i carabinieri sono arrivati a Cividale, e in collaborazione con la locale compagnia hanno perquisito l’abitazione e fermato gli spacciatori.

La casa era molto frequentata dai giovanissimi, che per rifornirsi scambiavano messaggi anche attraverso i social media, spesso in inglese, con gli afghani. Nella mezz’ora della perquisizione – hanno raccontato i militari – ben sette ragazzi hanno suonato il campanello per acquistare la propria piccola dose, di solito tre grammi per trenta euro.

I carabinieri hanno sequestrato circa trenta grammi, nascosti nel frigo dell’abitazione in un barattolo di yogurt. La Procura di Udine ha chiesto per i quattro afghani la custodia cautelare in carcere. L’abitazione dove alloggiavano gli spacciatori era data in locazione gratuita, grazie alla collaborazione di un’associazione attenta ai problemi dell’immigrazione.

Sabato 23 Agosto 2014

http://www.ilgazzettino.it/NORDEST/UDINE/immigrati_richiedenti_asilo_pusher_spaccio_droga_minori_cividale_friuli/notizie/859819.shtml

Industrie e banche agli stranieri, per Renzi va bene così

noi vogliamo portare aziende???? Ma Renzi ha capito che la Indesit è stata comprata dalla Whirpool, non è che la Whirpool abbia deciso di aprire altri stabilimenti assumendo……Non t sta bene? Sei autarchico….se essere autarchici significa tutelare i posti di lavoro in Italia si vede subito chi sta contro i lavoratori e chi noLa vendita della Indesit a Whirpool è solo l’ultimo caso: si sta verificando nel silenzio generale la fine dell’Italia industriale, come predetto da Luciano Gallino. Il pericolo imminente è quello di cedere al capitale estero non solo le industrie ma anche le grandi banche, e di svendere completamente il risparmio italiano. A causa del declino verticale dell’industria e della sofferenza delle banche italiane, e a causa della colpevole inerzia governativa e dei pesanti vincoli europei, il capitalismo nazionale sta diventando un servile vassallo di quello internazionale. E l’Italia rischia così di precipitare definitivamente nel Terzo Mondo. Se l’“Economist” definisce “untangled” (sciolto, smembrato) il capitalismo italiano, sfugge il peso della svolta forzata di Mediobanca, che ha deciso di sciogliere gli accordi incrociati tra le maggiori aziende nazionali: da allora, secondo Enrico Grazzini, il capitalismo italiano si è votato a una sorta di suicidio irreversibile.

Al cosiddetto capitalismo di relazione, «cioè all’intreccio tra capitalismo (semifallito) delle grandi famiglie, capitalismo finanziario e capitalismo (quasi dismesso) di Stato, si è sostituito l’arrembaggio dell’industria e della finanza internazionale, con la benedizione del governo Renzi», scrive Grazzini su “Micromega”. Intervistato dal “Corriere della Sera”, il premier ha definito «un’operazione fantastica» la vendita dell’Indesit di Merloni alla concorrente Whirpool: «Ho parlato personalmente io con gli americani a Palazzo Chigi. Non si attraggono gli investimenti esteri riscoprendo una visione autarchica e superata del mondo. Noi vogliamo portare aziende da tutto il mondo a Taranto come a Termini Imerese. Il punto non è il passaporto, ma il piano industriale. Gli imprenditori stranieri sono i benvenuti in Italia se hanno soldi e idee per creare posti di lavoro». Così, commenta Grazzini, il liberista Renzi esulta di fronte al fatto che il capitalismo industriale italiano non è più competitivo e si sta smembrando a favore dei capitali stranieri.Ovvio che gli investimenti esteri sono benvenuti, non si possono proteggere a tutti i costi le società nazionali, «ma bisognerebbe assolutamente evitare di cedere le industrie strategiche indispensabili per il futuro industriale del nostro paese». Quasi sempre, continua Grazzini, le cessioni all’estero arricchiscono solo le grandi famiglie, come i Merloni e i Tronchetti Provera (vedi i casi di Pirelli e Telecom Italia). L’ondata di cessioni industriali non comporta solo la riduzione drastica dell’occupazione, ma anche l’impossibilità di mantenere le condizioni per uno sviluppo economico autonomo e democratico. L’Italia, «cedendo le sue industrie e le sue banche», di fatto «mina le basi del suo sviluppo». E, da domani, «peserà come il due di picche nel turbolento scenario economico e politico europeo e mondiale». Parla da sola la “fuga” americana della Fiat, «propiziata dai miliardi concessi da Obama per proteggere l’industria americana dell’auto e dal silenzio criminale e assurdo dei governi italiani».De-italianizzata anche Telecom, che non ha più pesanti azionisti italiani e «dietro lo schermo ideologico della public company guidata dai manager è sostanzialmente in vendita», sono rimasti pochissimi i grandi gruppi italiani in grado di competere sul mercato internazionale. «E sono praticamente tutti statali, ovvero Eni, Enel, Finmeccanica, Fincantieri e pochi altri». Nonostante i peccati mortali attribuiti (spesso giustamente) ai boiardi di Stato, quel che resta della nostra industria pubblica sa competere meglio di quella privata, rileva Grazzini. «Anche per queste industrie strategiche il governo prevede però una disgraziata privatizzazione a favore dei capitali esteri, con l’obiettivo (falso) di diminuire il debito pubblico e rispettare i vincoli di deficit pubblico posti dall’Unione Europea». La verità è ben altra: «L’euro ci strozza e la Ue vuole farci vendere i gioielli di famiglia. Ma anche un grullo capisce che non si può alleggerire un debito di 2.100 miliardi con la vendita di quote di società da cui ricavare al massimo qualche decina di miliardi».All’opposto, lo Stato francese difende il controllo della sua industria nucleare e dell’energia, diventando il maggiore azionista di Areva per impedirne la completa acquisizione da parte dell’americana General Electric. «L’ideologia liberista di Renzi non è più praticata neppure presso i paesi più liberisti», scrive Grazzini. «Obama protegge gelosamente le sue industrie strategiche, l’auto, l’hi-tech e la finanza. La Fed, la banca centrale americana, stampa decine di miliardi di dollari al mese grazie ai quali le banche d’affari e le industrie statunitensi possono acquistare facilmente i concorrenti esteri. Anche grazie al “privilegio esorbitante” del dollaro facile, il 40% circa della Borsa italiana è in mano a banche d’affari, fondi pensione e fondi speculativi e di private equity americani, arabi, europei, fondi sovrani di Stati esteri». Esempio: il fondo BlackRock, gigante della finanza Usa, è uno dei principali azionisti non solo di Telecom Italia ma anche di Unicredit e Intesa, cioè delle due principali banche nazionali in cui confluisce gran parte del risparmio degli italiani.Ma non è solo il governo americano a intervenire a favore della sua industria: secondo uno studio di Mediobanca, il governo britannico e quello tedesco hanno speso rispettivamente 1.213 e 446 miliardi di euro per salvare le loro banche nazionali dalla crisi. Angela Merkel fa di tutto per proteggere e sviluppare l’industria tedesca dell’auto e della meccanica. La Germania, inoltre, «manovra l’euro come se fosse il marco per favorire le sue esportazioni e la proiezione internazionale della sua industria». E il governo bianco-rosa della cancelliera finanzia (giustamente) con denaro pubblico la sua industria delle energie alternative, contrastando duramente l’Unione Europea che vorrebbe impedire gli aiuti di Stato anti-competitivi. «I paesi emergenti – a partire da Cina, India e Brasile – sono riusciti a svilupparsi negli ultimi decenni attirando gli investimenti industriali esteri, ma anche proteggendo le industrie strategiche grazie allo stretto controllo dei capitali stranieri».Solo una politica pubblica attiva e intelligente, conclude Grazzini, può infatti difendere l’economia nazionale dall’assalto dei grandi enti finanziari che divorano le industrie, sviluppando ricerca, infrastrutture, aziende hi-tech e energie alternative. «Purtroppo il governo Renzi sembra avere una visione di politica economica completamente subordinata all’ideologia del “lasciar fare” ai mercati finanziari. Il governo interviene solo “a babbo morto” quando un’azienda è completamente fallita, come Alitalia, per cederla ai capitali esteri, cercando solo, per quanto possibile, di salvare le grandi banche creditrici (Intesa e Mps innanzitutto, nel caso Alitalia)». A fermare la slavina basterebbe un intervento deciso della Cassa Depositi e Prestiti, «l’unico ente nazionale simile a una banca pubblica». Meglio ancora: «Il governo dovrebbe nazionalizzare e gestire una grande banca, e finanziare (con profitto pubblico) le piccole aziende italiane in grave crisi di liquidità», nonché «le medie aziende del cosiddetto “quarto capitalismo” in grado di competere sui mercati internazionali».Un fondo pubblico specializzato, continua Grazzini, dovrebbe inoltre co-finanziare massicciamente le società private di “venture capital”, per sponsorizzare l’avvio e lo sviluppo globale di nuove start-up nei campi promettenti ma incerti dell’hi-tech. Peccato che politica sia praticamente inesistente, a cominciare da sinistra e sindacati, pur sapendo che «l’intervento statale non basta assolutamente per salvare e sviluppare l’industria nazionale: nell’economia dell’innovazione e delle conoscenze occorre mobilitare soprattutto l’intelligenza e la partecipazione dei lavoratori». Democrazia dal basso, per consentire alla forza lavoro – come avviene in Germania – di eleggere i suoi rappresentanti nei consigli di amministrazione delle grandi imprese, come l’Ilva e Telecom. Per Grazzini, «il pericolo maggiore – e imminente – è che non solo le industrie manifatturiere ma anche le banche nazionali vengano cedute all’estero (come è già successo con Mps, la terza banca nazionale) e che il risparmio degli italiani vada ad alimentare completamente lo sviluppo delle economie estere». Con soddisfazione sospetta, l’“Economist” annuncia che dal 2010 le fondazioni nazionali (lottizzate, ma pur sempre semi-pubbliche) abbiano perso la presa sulle banche italiane quotate in Borsa, che ormai dipendono dal “libero” mercato azionario per il 77%, con investitori stranieri padroni dell’11% del credito italiano, cioè il doppio rispetto a pochi anni fa.L’unificazione bancaria europea decisa dalla Ue genera la necessità di ricorrere al mercato per ricapitalizzare le banche nazionali colme di debiti in sofferenza a causa della crisi, e spesso dei crediti erogati agli “amici”. «L’apertura del mercato bancario nazionale sollecitata dall’Unione Europea è una fortuna per la speculazione internazionale», spiega Grazzini. «Le ricapitalizzazioni sono una manna per gli investitori esteri che con pochi soldi potranno acquistare il risparmio nazionale: ma senza il minimo controllo sul risparmio non ci saranno nuovi investimenti e prospettive di sviluppo più o meno sostenibile». L’Italia? «Diventerà irrimediabilmente un paese del terzo mondo». Ama conclusione: «L’economia italiana avrebbe bisogno di democrazia economica dal basso, di una avanzata politica industriale, di capitani d’industria come Enrico Mattei e Adriano Olivetti, di innovatori come Steve Jobs, di banchieri come Raffaele Mattioli, e di politici della statura di De Gaulle per difendere e sviluppare l’economia nazionale. Purtroppo invece in Italia hanno prevalso i Marchionne, i Berlusconi e i Renzi».

La vendita della Indesit a Whirpool è solo l’ultimo caso: si sta verificando nel silenzio generale la fine dell’Italia industriale, come predetto da Luciano Gallino. Il pericolo imminente è quello di cedere al capitale estero non solo le industrie ma anche le grandi banche, e di svendere completamente il risparmio italiano. A causa del declino verticale dell’industria e della sofferenza delle banche italiane, e a causa della colpevole inerzia governativa e dei pesanti vincoli europei, il capitalismo nazionale sta diventando un servile vassallo di quello internazionale. E l’Italia rischia così di precipitare definitivamente nel Terzo Mondo. Se l’“Economist” definisce “untangled” (sciolto, smembrato) il capitalismo italiano, sfugge il peso della svolta forzata di Mediobanca, che ha deciso di sciogliere gli accordi incrociati tra le maggiori aziende nazionali: da allora, secondo Enrico Grazzini, il capitalismo italiano si è votato a una sorta di suicidio irreversibile.
Al cosiddetto capitalismo di relazione, «cioè all’intreccio tra capitalismo (semifallito) delle grandi famiglie, capitalismo finanziario e capitalismo (quasi Indesitdismesso) di Stato, si è sostituito l’arrembaggio dell’industria e della finanza internazionale, con la benedizione del governo Renzi», scrive Grazzini su “Micromega”. Intervistato dal “Corriere della Sera”, il premier ha definito «un’operazione fantastica» la vendita dell’Indesit di Merloni alla concorrente Whirpool: «Ho parlato personalmente io con gli americani a Palazzo Chigi. Non si attraggono gli investimenti esteri riscoprendo una visione autarchica e superata del mondo. Noi vogliamo portare aziende da tutto il mondo a Taranto come a Termini Imerese. Il punto non è il passaporto, ma il piano industriale. Gli imprenditori stranieri sono i benvenuti in Italia se hanno soldi e idee per creare posti di lavoro». Così, commenta Grazzini, il liberista Renzi esulta di fronte al fatto che il capitalismo industriale italiano non è più competitivo e si sta smembrando a favore dei capitali stranieri.
Ovvio che gli investimenti esteri sono benvenuti, non si possono proteggere a tutti i costi le società nazionali, «ma bisognerebbe assolutamente evitare di cedere le industrie strategiche indispensabili per il futuro industriale del nostro paese». Quasi sempre, continua Grazzini, le cessioni all’estero arricchiscono solo le grandi famiglie, come i Merloni e i Tronchetti Provera (vedi i casi di Pirelli e Telecom Italia). L’ondata di cessioni industriali non comporta solo la riduzione drastica dell’occupazione, ma anche l’impossibilità di mantenere le condizioni per uno sviluppo economico autonomo e democratico. L’Italia, «cedendo le sue industrie e le sue banche», di fatto «mina le basi del suo sviluppo». E, da domani, «peserà come il due di picche nel turbolento scenario economico e politico europeo e mondiale». Parla da sola la “fuga” americana della Fiat, «propiziata dai  Marchionne e Obamamiliardi concessi da Obama per proteggere l’industria americana dell’auto e dal silenzio criminale e assurdo dei governi italiani».
De-italianizzata anche Telecom, che non ha più pesanti azionisti italiani e «dietro lo schermo ideologico della public company guidata dai manager è sostanzialmente in vendita», sono rimasti pochissimi i grandi gruppi italiani in grado di competere sul mercato internazionale. «E sono praticamente tutti statali, ovvero Eni, Enel, Finmeccanica, Fincantieri e pochi altri». Nonostante i peccati mortali attribuiti (spesso giustamente) ai boiardi di Stato, quel che resta della nostra industria pubblica sa competere meglio di quella privata, rileva Grazzini. «Anche per queste industrie strategiche il governo prevede però una disgraziata privatizzazione a favore dei capitali esteri, con l’obiettivo (falso) di diminuire il debito pubblico e rispettare i vincoli di deficit pubblico posti dall’Unione Europea». La verità è ben altra: «L’euro ci strozza e la Ue vuole farci vendere i gioielli di famiglia. Ma anche un grullo capisce che non si può alleggerire un debito di 2.100 miliardi con la vendita di quote di società da cui ricavare al massimo qualche decina di miliardi».
All’opposto, lo Stato francese difende il controllo della sua industria nucleare e dell’energia, diventando il maggiore azionista di Areva per impedirne la completa acquisizione da parte dell’americana General Electric. «L’ideologia liberista di Renzi non è più praticata neppure presso i paesi più liberisti», scrive Grazzini. «Obama protegge gelosamente le sue industrie strategiche, l’auto, l’hi-tech e la finanza. La Fed, la banca centrale americana, stampa decine di miliardi di dollari al mese grazie ai quali le banche d’affari e le industrie statunitensi possono acquistare facilmente i concorrenti esteri. Anche grazie al “privilegio esorbitante” del dollaro facile, il 40% circa della Borsa italiana è in mano a banche d’affari, fondi pensione e fondi speculativi e di private equity americani, arabi, europei, fondi sovrani di Stati esteri». Esempio: il fondo BlackRock, gigante della finanza Usa, è uno dei principali azionisti non solo di Telecom Italia ma anche di Unicredit e Intesa, cioè delle Intesa Sanpaolodue principali banche nazionali in cui confluisce gran parte del risparmio degli italiani.
Ma non è solo il governo americano a intervenire a favore della sua industria: secondo uno studio di Mediobanca, il governo britannico e quello tedesco hanno speso rispettivamente 1.213 e 446 miliardi di euro per salvare le loro banche nazionali dalla crisi. Angela Merkel fa di tutto per proteggere e sviluppare l’industria tedesca dell’auto e della meccanica. La Germania, inoltre, «manovra l’euro come se fosse il marco per favorire le sue esportazioni e la proiezione internazionale della sua industria». E il governo bianco-rosa della cancelliera finanzia (giustamente) con denaro pubblico la sua industria delle energie alternative, contrastando duramente l’Unione Europea che vorrebbe impedire gli aiuti di Stato anti-competitivi. «I paesi emergenti – a partire da Cina, India e Brasile – sono riusciti a svilupparsi negli ultimi decenni attirando gli investimenti industriali esteri, ma anche proteggendo le industrie strategiche grazie allo stretto controllo dei capitali stranieri».
Solo una politica pubblica attiva e intelligente, conclude Grazzini, può infatti difendere l’economia nazionale dall’assalto dei grandi enti finanziari che divorano le industrie, sviluppando ricerca, infrastrutture, aziende hi-tech e energie alternative. «Purtroppo il governo Renzi sembra avere una visione di politica economica completamente subordinata all’ideologia del “lasciar fare” ai mercati finanziari. Il governo interviene solo “a babbo morto” quando un’azienda è completamente fallita, come Alitalia, per cederla ai capitali esteri, cercando solo, per quanto possibile, di salvare le grandi banche creditrici (Intesa e Mps innanzitutto, nel caso Alitalia)». A fermare la slavina basterebbe un intervento deciso della Cassa Depositi e Prestiti, «l’unico ente nazionale simile a una banca pubblica». Meglio ancora: «Il governo dovrebbe nazionalizzare e gestire una grande banca, e finanziare (con profitto pubblico) le piccole aziende italiane in grave crisi di liquidità», Enrico Grazzininonché «le medie aziende del cosiddetto “quarto capitalismo” in grado di competere sui mercati internazionali».
Un fondo pubblico specializzato, continua Grazzini, dovrebbe inoltre co-finanziare massicciamente le società private di “venture capital”, per sponsorizzare l’avvio e lo sviluppo globale di nuove start-up nei campi promettenti ma incerti dell’hi-tech. Peccato che politica sia praticamente inesistente, a cominciare da sinistra e sindacati, pur sapendo che «l’intervento statale non basta assolutamente per salvare e sviluppare l’industria nazionale: nell’economia dell’innovazione e delle conoscenze occorre mobilitare soprattutto l’intelligenza e la partecipazione dei lavoratori». Democrazia dal basso, per consentire alla forza lavoro – come avviene in Germania – di eleggere i suoi rappresentanti nei consigli di amministrazione delle grandi imprese, come l’Ilva e Telecom. Per Grazzini, «il pericolo maggiore – e imminente – è che non solo le industrie manifatturiere ma anche le banche nazionali vengano cedute all’estero (come è già successo con Mps, la terza banca nazionale) e che il risparmio degli italiani vada ad alimentare completamente lo sviluppo delle economie estere». Con soddisfazione sospetta, l’“Economist” annuncia che dal 2010 le fondazioni nazionali (lottizzate, ma pur sempre semi-pubbliche) abbiano perso la presa sulle banche italiane quotate in Borsa, che ormai dipendono Mattei e Olivettidal “libero” mercato azionario per il 77%, con investitori stranieri padroni dell’11% del credito italiano, cioè il doppio rispetto a pochi anni fa.
L’unificazione bancaria europea decisa dalla Ue genera la necessità di ricorrere al mercato per ricapitalizzare le banche nazionali colme di debiti in sofferenza a causa della crisi, e spesso dei crediti erogati agli “amici”. «L’apertura del mercato bancario nazionale sollecitata dall’Unione Europea è una fortuna per la speculazione internazionale», spiega Grazzini. «Le ricapitalizzazioni sono una manna per gli investitori esteri che con pochi soldi potranno acquistare il risparmio nazionale: ma senza il minimo controllo sul risparmio non ci saranno nuovi investimenti e prospettive di sviluppo più o meno sostenibile». L’Italia? «Diventerà irrimediabilmente un paese del terzo mondo». Ama conclusione: «L’economia italiana avrebbe bisogno di democrazia economica dal basso, di una avanzata politica industriale, di capitani d’industria come Enrico Mattei e Adriano Olivetti, di innovatori come Steve Jobs, di banchieri come Raffaele Mattioli, e di politici della statura di De Gaulle per difendere e sviluppare l’economia nazionale. Purtroppo invece in Italia hanno prevalso i Marchionne, i Berlusconi e i Renzi».
di Giorgio Cattaneo – 25/08/2014Fonte: Libreidee

http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=49205

CHOC: VOLANTINO MARE NOSTRUM DIFFUSO IN NORDAFRICA

lo so lo so. In Africa non deve rimanere nessuno. Tutti in Italia devono essere trasferiti ed accolti, altrimenti siamo razzisti.

volantino mare nostrum
AGOSTO 27, 2014 REDAZIONE

Questa sconvolgente immagine ce l’ha inviata un nostro lettore che viaggia spesso in Nordafrica come dipendente di una nota società petrolifera.

Proviene da una città portuale libica. A detta del lettore, che ci ha inviato in passato altre interessanti informazioni, questo tipo di volantino viene distribuito da alcune ONG nei rifugi preparati dalle organizzazioni criminali  per i clandestini sub-sahariani in attesa di partire.

Questo è in Arabo. E’ sciupato dal sole e fotografato dal lettore con un cellulare, ma è abbastanza leggibile.

Le due linee di scrittura invitano i clandestini a ‘non rischiare’ e a ‘telefonare al numero’.

Una sorta di agenzia viaggi. Loro vanno con i barconi per poche miglia, e poi telefonano al ‘numero in sovraimpressione’. E arrivano i traditori di Mare Nostrum.

Che pena. Che schifo.

Secondo un traduttore che abbiamo contattato, le scritte in arabo non sono grammaticamente molto corrette, il che non è strano, vista la scarsa cultura di chi opera in quell’ambiente criminale. Oppure potrebbe trattarsi di scafisti sub-sahariani con una conoscenza ridotta dell’arabo scritto.

Mare Nostrum è un’operazione ormai tragicomica. Siamo la barzelletta del Mediterraneo. La nostra Marina è la barzelletta del Mediterraneo.

E non solo, per come si veste lo scafista in capo.

Notizie di volantini simili ci erano giunte da alcuni agenti costretti ad accogliere i clandestini nei porti, ma non eravamo mai riusciti ad ottenere un’immagine. Perché agli agenti era proibito riprendere immagini degli sbarchi.

Ovviamente, non vogliamo neanche pensare all’evenienza alternativa, ovvero che sia direttamente il governo italiano, a diffondere tali volantini.
http://voxnews.info/2014/08/27/choc-volantino-mare-nostrum-diffuso-in-nordafrica/

Banche centrali in aiuto alle banche

sei contro la Ue delle banche? Sei quindi un estremista. Gli spin doctor politically correct han lavorato bene, dal pulpito dei moralmente superiori da bravi marchettari hanno dissimulato e fatto credere che la Ue fosse na roba per i popoli, pur sapendo che questo progetto è stato ideato e creato per il potere del capitale e della finanza. Lo sapevano fin dall’inizio. Li riconosci per l’inneggiamento alla tecnocrazia, pur fingendo di stare con la gente.che
Soldi alle banche….l’antiausterità per gli europeisti chic…

di Giuliano Augusto

L`incontro di Jackson Hole ribadisce i legami di interessi di Draghi e della Yellen con i loro reali padroni
Senza i prestiti (o meglio senza i regali) delle banche centrali alle banche, l’economia mondiale si fermerebbe e poi crollerebbe. Questo la convergenza di opinioni che si è realizzata al tradizionale incontro di Jackson Hole, dove il palcoscenico è stato occupato da due soggetti come Janet Yellen (Federal Reserve) e Mario Draghi (Banca centrale europea) che occupano la loro poltrona soltanto in virtù del fatto di essere persone di fiducia dell’Alta Finanza internazionale per la quale hanno a lungo lavorato.
Un conflitto di interessi che lascia indifferenti sia Barack Obama (il salvatore della Goldman Sachs) sia i suoi degni compari dell’Europarlamento che non hanno avuto alcuna remora a nominare Draghi, noto per il suo triennio alla vicepresidenza europea della stesa banca americana, condannata tre giorni fa a pagare una multa di 1,2 miliardi di dollari per avere truffato i piccoli risparmiatoriNon è la prima volta che succede e non sarà certo l’ultima. Crimine e attività bancaria, come si sa, sono sovrapponibili.

Le posizioni dei due sono state apparentemente divergenti sull’analisi della dinamica economica in corso ma convergenti sulle cose da fare. Si deve aiutare il settore finanziario. In tal modo, hanno detto i due, questo potrà aiutare con prestiti le imprese che saranno così messe in grado di investire nell’innovazione tecnologica. Di conseguenza si potrà riavviare la crescita economica in una Europa che si trova in recessione, con l’aggravante che pure la Germania, che ha sempre tirato, sta dando segnali preoccupanti di rallentamento. Mentre al contrario l’economia Usa, grazie anche alla bassa quotazione del dollaro, sta vivendo un buon momento.

Le solite affermazioni false, perché su entrambe le sponde dell’Atlantico Fed e Bce si sono preoccupate in primo luogo di premiare i loro referenti con soldi che le banche si sono guardate bene dal dare alle imprese, preferendo continuare a speculare ed utilizzare quella montagna di miliardi (di euro e di dollari) per ricostruire il proprio patrimonio, intaccato da speculazioni a tutto campo.

Draghi, tanto per cambiare, ha parlato della possibilità di “misure non convenzionali”. Affermazione che in buona sostanza significa altra liquidità da immettere in circolazioni e quindi altri soldi alle banche. A questo si potrà aggiungere una ulteriore riduzione dei tassi di interesse praticati dall’istituto di Francoforte. Attualmente il tasso di riferimento (quello praticato alle banche9 è pari allo 0,15%.

Soldi regalati insomma. Yellen e Draghi si sono detti d’accordo sulla necessità di una riforma del mercato del lavoro. Il come è presto detto. La più alta flessibilità per le imprese con la più ampia libertà di licenziamento. Come succede appunto negli Stati Uniti. Il mondo è sempre più globalizzato e bisogna tenerne conto.

Dagli Usa alla Cina fino all’Europa è ormai un unico grande mercato, sul quale devono valere le stesse regole. Un unico grande mercato dove prodotti finiti, materie prime, capitali e forza lavoro devono poter essere spostati e riallocati a piacere. Gli stessi stipendi e la stessa mancanza di tutele. E pazienza se i lavoratori cinesi guadagnano sei volte meno degli europei. Gli Usa stanno riducendo progressivamente gli stimoli all’economia (la Fed compra sempre meno titoli pubblici) e adesso la Yellen sta pensando di intervenire con un aumento dei tassi di interesse, in maniera tale da indebolire l’euro (in accordo con Draghi) e favorire le esportazioni europee. Nessuna intenzione invece da parte della Casa Bianca e della Fed di ridurre l’enorme debito pubblico Usa che, unito all’altrettanto enorme deficit commerciale, rappresenta il maggiore elemento di destabilizzazione dell’economia internazionale.

Fonte: Rinascita.eu

http://www.controinformazione.info/banche-centrali-in-aiuto-alle-banche/#more-6360