Prima significativa vittoria di agricoltori e attivisti che si sono battutti contro la presenza di sementi geneticamente modificate. La battaglia continua.
“Monsanto commercializzerà sementi geneticamente modificate unicamente laddove sussisteranno un ampio supporto politico, una rilevante domanda degli agricoltori e ci si trovi in presenza di un sistema regolatorio chiaro e applicabile”, aveva dichiarato la scorsa settimana al Sole 24 Ore Federico Bertoli, responsabile commerciale della Monsanto per Italia e Grecia. Condizioni mancanti in Italia, grazie anche alle recenti e ripetute mobilitazioni dal basso di chi chiede un’agricoltura biodiversa, libera dagli Ogm, costruita sulla base di relazioni dirette tra i piccoli agricoltori e i consumatori.
L’allerta contro Monsanto resta comunque alta, anche in vista di Expo 2015 (il padiglione statunitense, Food 2.0, dovrebbe essere finanziato proprio dalla multinazionale), e perché ora il business europeo dell’azienda punterà “esclusivamente sull’agricoltura convenzionale”, come ha dichiarato Bertoli al Sole: mais, colza e i semi degli ortaggi rappresentano ancora il 98% delle vendite Monsanto in Europa.
Dopo questo importante traguardo, continuiamo a ribadire che l’agricoltura del domani si debba sviluppare a partire da una proprietà condivisa delle sementi, che devono restare nelle mani di agricoltori su piccola scala, i quali sono gli unici ad avere le competenze e le conoscenze per poterli autoriprodurre anno dopo anno. Solo valorizzando questi saperi e riportandoli al centro della filiera agroalimentare, l’agricoltura può essere davvero libera e la terra può diventare uno strumento per aprire nuovi spazi di democrazia.
In questo senso, l’inaugurazione di Expo 2015 chiama nuove mobilitazioni: con l’autunno gli Organismi genuinamente mobilitati torneranno in campo, per costruire nuove iniziative a tutela della biodiversità.
Tutte le debolezze del fronte pro-Ogm, capeggiato in Friuli Venezia Giulia da Giorgio Fidenato e i soci dell’associazione Futuragra, invece, vengono ora al pettine: proprio quella piccola parte di agricoltori manovrati dai grandi interessi sementieri che ha provato a introdurre la coltivazione del mais geneticamente modificato Mon810 in Italia, ne esce sconfitta.