IL MINISTRO PADOAN: “LE COSE VANNO PEGGIO DI COME PREVEDEVAMO” di REDAZIONE

nel suo efficente e perfetto mercato un personaggio così pagato sarebbe stato licenziato in tronco.
Certo, solo una questione di fondi da spendere, magari in grandi opere UTILI ALLA SUA MAFIA
Se lo dice lui che ammette di aver sbagliato previsioni e valutazioni sullo stato attuale…………COME NON FIDARSI

“Non posso che confermare che il quadro macroeconomico e’ deludente e i dati recenti sulla Germania fanno suonare il campanello d’allarme”. Lo ha detto il ministro delle finanze Pier Carlo Padoan, parlando in qualità di presidente di turno dell’Ecofin in un’audizione al Parlamento europeo a Bruxelles. I dati attuali “indicano che la debolezza e’ più persistente nel tempo e più estesa geograficamente di quanto ci aspettavamo 6 mesi fa”, ha aggiunto Padoan.

“Il patto di stabilita’ interno e’ un sistema inefficiente” che impedisce il pieno utilizzo dei fondi europei, ha detto il ministro, il quale ha sottolineato che il governo sta studiando “come ridisegnare il sistema, pur mantenendo la disciplina dei conti”. “Sono in favore di una riconsiderazione delle aree di destinazione dei fondi strutturali e delle risorse, soprattutto in virtù della maggiore attenzione sulla creazione di lavoro e la crescita” ha spiegato Padoan nel corso dell’audizione: “Sono in favore – ha precisato – di uno scambio di vedute su come ridisegnare la strategia sull’allocazione” dei fondi Ue.

Il ministro ha invitato ad applicare la flessibilità prevista dai trattati e “una prospettiva di più lungo termine nell’usare le regole”. Parlando agli eurodeputati, Padoan ha sottolineato che “se vogliamo esseri seri sulle riforme strutturali, dobbiamo considerare che ci vuole tempo perche’ diano frutti”, e ha quindi precisato che “per vedere i benefici servono non uno, ma due o tre anni”.

Intanto oggi sono stati attivati 24 contratti di sviluppo, investimenti per 1,40 miliardi, 700 dei quali finanziati dallo Stato attraverso i fondi Ue che “creeranno o salvaguarderanno 25 mila posti di lavoro”. Queste le cifre annunciate a palazzo Chigi dal premier Matteo Renzi insieme al ministro dello Sviluppo Federica Guidi e al sottosegretario alla presidenza Graziano Delrio. L’80% dei contratti riguarderà le regioni del Sud e sara’ quindi “concentrato nelle quattro regioni dell’obiettivo Convergenza, ovvero Campania, Calabria, Puglia e Sicilia”. Il 44% dei programmi di investimento e’ promosso da imprese controllate da gruppi esteri.

Nel dettaglio, dei 24 contratti firmati oggi, 20 riguardano l’industria, 3 il turismo e uno il commercio. Si va dalla produzione di energia alle telecomunicazioni all’alimentare: tra le principali imprese coinvolte figurano Telecom (complessivamente 93 milioni sul tavolo tra investimenti e agevolazioni per migliorare la rete a fibra ottica di Calabria, Sicilia e Puglia), Vodafone (65 milioni di investimento in Sicilia) Bridgestone ( 53 milioni in Puglia) e Unilever (45 milioni per la produzione di gelati in Puglia). Euralenergy gioca la partita più consistente: 174 milioni per la produzione di energia in Sardegna. Ma i contratti riguardano anche realtà come Ponti, San Marzano, Kimbo, Ferrarelle, De Cecco. Complessivamente, si legge nelle slide diffuse dal governo, fino ad oggi, sono stati approvati 36 programmi di investimento strategici in larghissima parte localizzati nelle regioni del Mezzogiorno.

Sul lavoro e il rilancio dell’occupazione “la politica si gioca la sua credibilità”, ha detto Renzi. E con la firma dei 24 progetti “il governo prova a dare messaggi concreti: alla fine dei mille giorni l’Italia sara’ nelle condizioni di guidare la ripresa economica e non di essere il fanalino di coda”. “Il governo e’ impegnato a testa alta e viso aperto per realizzare gli impegni che ci siamo dati”, ha detto. “Le immagini di chi vuole bloccare, fermare, ostruire il cammino delle riforme in Italia sono le immagini di chi pensa che si possa andare avanti così”, ha aggiunto Renzi, con un chiaro riferimento al rischio stallo sulle riforme. “Mentre loro fanno ostruzionismo per provare a bloccare il cambiamento, noi ci occupiamo di posti di lavoro. Più di un miliardo di investimenti, ventiquattro progetti, venticinquemila posti di lavoro salvati o creati. E, soprattutto, il ritorno di una politica industriale in Italia”.

http://www.miglioverde.eu/padoan-le-cose-vanno-peggio-di-come-prevedevamo/

Ucraina, restano nella zona di combattimento oltre 1200 orfani

Ucraina, restano nella zona di combattimento oltre 1200 orfani

© Foto: RIA Novosti/Andrey Stenin

Sono oltre 1200 gli orfani che non sono stati evacuati dalle zone di guerra del Donbass, lo ha dichiarato domenica, il rappresentante presidenziale per i Diritti dei bambini Pavel Astakhov.

Secondo le sue parole, nella una zona dei combattimenti nelle regioni di Lugansk e di Donetsk ci sono oltre 60 enti pubblici per bambini orfani e bambini rimasti senza la cura dei genitori: orfanotrofi e case per bambini, scuole internato, orfanotrofi familiari.

“Le autorità di Kiev hanno vietato di evacuare e salvare gli orfani e non farlo da soli, rendendo il bambini ostaggi più vulnerabili per le ambizioni politiche”, ha detto Astakhov.
Per saperne di piùhttp://italian.ruvr.ru/news/2014_07_27/Ucraina-restano-nella-zona-di-combattimento-oltre-1200-orfani-7907/

Obama ha superato Bush nel sondaggio degli insoddisfatti

Un premio per questo non cè? Ma non era il principe del cambiamento ed emblema della pace? SI vede

Obama ha superato Bush nel sondaggio degli insoddisfatti

© Foto: AP/J. Scott Applewhite

Secondo un sondaggio, che è stato avviato dalla emittente CNN, il numero di residenti negli Stati Uniti che sostengono l’idea di mettere sotto accusa il presidente Barack Obama, perchè insoddisfatti della sua politica supera quello di George W. Bush nel momento in cui era capo di stato.

Il 33% degli americani crede che Obama dovrebbe essere rimosso dal suo incarico. Mentre i 3 anni prima della fine del suo mandato voler mettere sotto accusa Bush, che si trovava al 30%. I discorsi sull’impeachment di Obama sono iniziati questa estate dopo che diversi membri del Partito Repubblicano degli Stati Uniti avevano criticato fortemente le politiche del Presidente.
Per saperne di più: http://italian.ruvr.ru/news/2014_07_26/Obama-ha-superato-Bush-nel-sondaggio-degli-insoddisfatti-0534/?utm_medium=referral&utm_source=pulsenews

Una mia semplice idea: ABBASSARE Il DEFICIT/PIL CREANDO UN MILIONE DI NUOVI POSTI DI LAVORO

sé tempo indeterminato, tra poco sarà reato solo usare questo termine Lesa maestà Mercato

Sembra impossibile? invece è facile. E’ sufficiente varare una legge in cui si abolisce totalmente l’IRAP. Unica condizione: per essere esentata dall’IRAP l’azienda deve assumere, a tempo indeterminato, nuovi dipendenti per un costo del lavoro pari all’IRAP risparmiata.

Subito un esempio: piccola impresa che paga 120 mila euro di IRAP all’anno. Viene esentata dall’IRAP, se assume 4 nuovi dipendenti dal costo medio di 30 mila euro l’anno (stipendi più contributi).

E’ possibile che qualche azienda non aderisca, ma sarebbe veramente strano: a parità di costi, perchè non avere del personale in più? qualsiasi imprenditore, se gli offrissero gratis nuovi dipendenti saprebbe bene che farsene, per migliorare il prodotto/servizio offerto.

L’IRAP dà al bilancio dello Stato un gettito di 30 miliardi.  Per semplicità espositiva, ecco adesso delle cifre facili, l’importante è capire il concetto: se tutte le aziende esistenti aderissero alla nuova legge, a 30  mila euro di costo medio, avremmo un milione di nuovi occupati.

Tutto ciò premesso, andrò ora a dimostrare perchè contro intuitivamente si abbasserebbe il rapporto deficit/PIL.
Partiamo dal deficit: nel bilancio dello Stato verrebbero meno 30 miliardi di entrate alla voce IRAP.

MA:
– ipotizzando che almeno la metà dei nuovi occupati siano disoccupati che beneficiano di indennità varie a carico dello Stato, con un costo medio di 10 mila euro a persona, nel bilancio di quest’ultimo si avrebbero minori uscite per 5 miliardi( se fosssero tutti, sarebbero 10 miliardi).
– dei 30 miliardi di nuovo costo del lavoro creato , la metà circa rientra nelle casse dello stato tra IRPEF e contributi, quindi 15 miliardi.
– dei 15 miliardi di stipendi netti nuovi distribuiti nell’economia, il 20% circa rientra nelle casse dello Stato dall’ IVA (sulle spese effettuate).

Mi fermo qui, ma vi sono certamente altre entrate indirette. Dunque – coeteris paribus- al numeratore del DEFICIT/PIL la voce deficit aumenterebbe di 7 miliardi= -30+5+15+3.

Passiamo al denominatore. Il PIL aumenterebbe direttamente di  15 miliardi  (per stipendi netti addizionali, mi tengo basso per semplificare con cifre rotonde). Pertanto: +7/+15 = il DEFICIT/PIL scenderebbe di almeno mezzo punto percentuale. Se oggi siamo al 2,8% si andrebbe al 2,3%.
Ciò, senza considerare gli effetti indotti, quelli che in economia si definiscono “da moltiplicatore”. Ma è facile immaginare come la maggior domanda derivante dall’1% di PIL addizionale così creato, provochi a sua volta ulteriore crescita del PIL.
Questo benefico effetto , consentirebbe quindi di abolire l’IRAP per le aziende di nuova costituzione, così consentendo una riduzione del cuneo fiscale, dando un netto impulso alla competitività del sistema economico nazionale, favorendo anche nuovi investimenti dall’estero.
Non male, vero?
So bene che la nuova legge andrebbe corredata da una serie di paletti, per evitare aggiramenti della normativa (ad esempio chiusura di società esistenti e apertura di nuove per beneficiare della non-Irap senza nuove assunzioni); oppure adattamenti per i settori che usano contratti stagionali; oppure ancora mettere a fuoco le eccezioni alla regola dei contratti a tempo indeterminato.
MA una cosa è sicura: ognuna di queste ed altre problematiche può ben essere risolta.
http://michelespallino.blogspot.it/2014/07/una-mia-semplice-idea.html?utm_medium=referral&utm_source=pulsenews

Il Presidente slovacco dona il suo stipendio alle famiglie povere

Renzi ha dato max 80 euro a chi uno stipendio ce l’ha.

26 luglio 2014, 13:02

© Foto: en.wikipedia.org/mine edit/cc-by-sa 3.0
Il Presidente della Slovacchia ha dato il suo stipendio alle famiglie povere. Così, il neo-eletto Andrej Kiska ha mantenuto la sua promessa.

In precedenza, aveva dichiarato che avrebbe rifiutato il suo stipendio, poiché si considera un uomo ricco. Lo stipendio del Presidente della Slovacchia è di quasi 5,5 mila euro. Questo denaro sarà distribuito tra dieci famiglie bisognose.

Per saperne di più: http://italian.ruvr.ru/news/2014_07_26/Il-Presidente-slovacco-dona-il-suo-stipendio-alle-famiglie-povere-2575/?utm_medium=referral&utm_source=pulsenews

DOVE PORTANO QUESTE RIFORME

di Marco della Luna, avvocato in Mantova

Ci sono due linee di riforme “indispensabili per la crescita”. Linee convergenti. Pericolosamente.
La prima linea è istituzionale-strutturale e sta producendo:
-svuotamento dei poteri e dell’autonomia degli Stati nazionali parlamentari
-concentrazione dei poteri politici in organismi sovrannazionali
-isolamento tecnocratico degli organismi decidenti
-soprattutto, indipendenza e gestione autoreferenziale delle banche centrali e della politica monetaria
-riduzione della partecipazione e dell’influenza democratiche sugli organismi decidenti
-riduzione della trasparenza, della responsabilità, della controllabilità degli organismi decidenti
-riduzione della conoscibilità dei loro obiettivi di medio e lungo termine e degli effetti di medio e lungo termine delle loro decisioni.
Queste caratteristiche (votate da quasi tutto il parlamento, perché comportano la blindatura della partitocrazia contro la società civile) sono marcatamente proprie soprattutto dell’UE: quasi tutto il potere, e tutto il potere legislativo, sono in mano ad organismi non elettivi, non responsabili, non trasparenti, burocratici, intergovernativi. L’unico organo elettivo, cioè il parlamento, ha poteri limitati, che preferisce non esercitare (non ha mai costretto la Commissione a un rendiconto), e la sua natura di cagnolino da passeggio è stata evidenziata da come è stato fatto votare il nuovo presidente dell’UE: era ammesso un solo candidato – Juncker – e il voto era segreto. Per giunta, nessun elettore europeo, prima di votare, aveva saputo che sarebbe stato Juncker il candidato unico alla presidenza.
Nessuna meraviglia se le medesime caratteristiche le ritroviamo anche nella urgente e irresistibile marcia delle riforme istituzionali di Renzi: queste riforme, appunto, diminuiscono la partecipazione e l’influenza degli elettori, ostacolano i referendum, danno al premier i poteri sia politico-legislativi, che di controllo (su se stesso) anche solo con un 22% dei consensi. Nessuna meraviglia: è chiaro che l’Italia e la sua costituzione devono essere riformate in questo senso per integrarsi nella struttura autocratica dell’UE.
La seconda linea di riforme, iniziata alla fine degli anni ’70, è quella economico-finanziaria, e punta essenzialmente a difendere e tutelare gli interessi dei creditori finanziari con sacrificio degli altri interessi sociali: il modello di sviluppo keynesiano, caratterizzato dallo Stato che corregge il mercato e fa investimenti anticiclici per evitare la recessione e assicurare l’occupazione, al prezzo di una costante, fisiologica inflazione, viene sostituito con un modello da alcuni ritenuto hayekiano, ma che tale non è perché F. Von Hayek voleva non solo il libero mercato come unico regolatore dell’economia, ma anche uno Stato che tenga il mercato libero dai monopoli e che si astenga dall’assistenzialismo sociale e imprenditoriale. Il modello economico-finanziario imposto all’UE fa per contro tutto questo, anzi in esso i grandi monopoli bancario-finanziari dettano la politica degli Stati e dell’Unione.
Il detto modello raggiunge lo scopo della tutela degli interessi dei creditori-finanziari mediante alcuni principali strumenti: indipendenza-irresponsabilità delle banche centrali dai parlamenti, vincoli di bilancio pubblico (proibizione della spesa pubblica antirecessiva), stretta monetaria, compressione salariale (e della domanda interna) per assicurare un pareggio o un surplus della bilancia estera, socializzazione delle perdite delle banche. Quando la politica economica è affidata ai banchieri centrali, che, per statuto, deliberano e operano non solo in autonomia ma nella segretezza e nella irresponsabilità, la democrazia rappresentativa è finita, il consenso popolare è superato.
Il risultato – prevedibile e inevitabile perché facente parte degli obiettivi – è la deflazione, la disoccupazione, l’avvitamento fiscale, la recessione o stagnazione – che ora si prospetta pure per la Germania.
La Costituzione italiana del 1948 è, per contro, esplicitamente keynesiana: l’art. 1 fonda la Repubblica sul lavoro, non sul capitale, e numerose altre norme riconoscono al lavoro (all’occupazione, alla produzione, agli investimenti) il primato assoluto e la funzione di perequazione sostanziale tra i cittadini; quindi essa è in opposizione radicale e inconciliabile col modello politico-economico costitutivo dell’UE e della BCE, che si basa sulla priorità alla prevenzione dell’inflazione (primaria minaccia per le rendite finanziarie), e per prevenirla impone l’austerità, cioè innanzitutto l’astensione dagli investimenti pubblici anticiclici per uscire dalla recessione – sicché la recessione perdura, diviene strutturale e non accidentale.
La storia della c.d. integrazione europea è in realtà la storia della sostituzione di un modello socio-economico-istituzionale con un modello opposto, ossia dei valori sociali e produttivi, fondanti per la democrazia elettiva e la legittimità costituzionale, col loro contrario: parassistimo finanziario e autocrazia. E’ la storia di un’inversione non dichiarata, che è avanzata di soppiatto, sotto il camuffamento di ideali sbandierati e mai attuati di solidarietà integrazione dei popoli, identità comune, di promesso sviluppo che non arriva mai. Un’inversione di cui oramai sentiamo fortemente gli effetti pratici, anche se molti di noi non sanno da che cosa provengano, e pensano che le cause siano la corruzione o l’evasione o l’articolo 18.
In Italia, oltre a queste piaghe, le due linee di riforme, di cui Napolitano, Monti, Letta e Renzi sono paladini e artefici – soprattutto Napolitano, che, per imporla e accelerarla, deborda continuamente dalla sua funzione di garante e arbitro per intervenire nella politica dei partiti – sul piano economico sta producendo un continuo e rapido aumento del debito pubblico – cioè l’opposto di ciò che promette – e l’emigrazione di capitali, imprese e cervelli, con la deindustrializzazione del paese e la moria delle sue aziende (dirò poi perché queste loro azioni non vanno condannate, nemmeno moralmente).
La direzione, la finalità autocratica, essenzialmente dittatoriale, a cui mira la prima linea di riforme, cioè quelle istituzionali, spiega chiaramente la ragione per la quale, paradossalmente, ci si ostina a portare avanti la seconda linea di riforme, cioè quella economico-finanziaria, sebbene stia producendo effetti rovinosi e contrari a quelli che dovrebbe produrre, tra la sofferenza di milioni di persone: le due linee di riforme convergono in un’operazione di ingegneria sociale, di costruzione di una società radicalmente e apertamente oligarchica che comandi incontrastata le popolazioni fiaccate e rassegnate da molti anni di frustrazioni e insicurezze, e impoverite di redditi, risparmi, diritti civili, sociali, politici. Il modello economico in via di imposizione, con le sue riforme, non importa se produce recessione o stagnazione, il suo scopo reale e non detto non è la crescita, ma una riforma dell’ordinamento sociale e giuridico che assicuri il dominio sulla popolazione generale, la possibilità di sfruttarla senza limiti, l’estrazione da essa di rendite certe per il capitale finanziario anche in periodi di contrazione del pil, e il tutto in modo formalmente legittimo. A questo servono le riforme. E le privatizzazioni, che ieri Padoan ha ripromesso, parlando in Cina, che verranno eseguite.
Torniamo alle riforme strutturali: giustizia, amministrazione, lavoro, privatizzazioni . Il governo afferma che servirebbero per rilanciare il Paese economicamente, ma chiaramente così non può essere.
Le privatizzazioni sono state già ampiamente fatte, coi risultati che sappiamo: regali agli amici del palazzo, peggioramento e rincaro dei servizi per i cittadini, immediato sperpero dei ricavi senza alcuna riduzione del debito pubblico né della spesa pubblica. Le riforme del lavoro ci sono state, e hanno già peggiorato la situazione. La giustizia è già stata riformata molte volte, ed è sempre andata peggiorando. Il processo civile è stato riformato ogni anno per circa 22 anni, ma la situazione non è affatto migliorata. Quello penale ha pure avuto le sue riforme, ma il risultato è negativo. Si può diminuire il numero dei processi aumentando le tasse su di essi, per scoraggiare la domanda di giustizia – e anche questo è stato fatto molte volte, l’ultima il mese scorso – ed è una schifezza. Si può accelerare i processi diminuendo le garanzie e i diritti processuali, e così si peggiora la qualità delle sentenze, già molto bassa. La situazione della giustizia, o meglio della giurisdizione, deriva non tanto dalle regole processuali, quanto dall’incertezza e pletoricità, contraddittorietà e mutevolezza delle norme, comprese le norme di riforma. Deriva dalla litigiosità della popolazione e dalle manie giudiziarie instillate dai mass media. Deriva dalla mentalità e dalle prassi dei magistrati. Tutte cose che non si correggono con le leggi e soprattutto che possono cambiare solo con le generazioni. Analogo discorso vale per la pubblica amministrazione, che è per giunta dominata da una mentalità-prassi tradizionalmente, nel suo insieme, burocratica, corporativa, parassitaria, clientelare, indifferente ai risultati pratici per la gente. E anche questo non lo si cambia con una legge di riforma.
Quindi è assurdo ciò che promette Renzi, ossia che queste riforme strutturali rilancerebbero l’economia. Possono solo rilanciare l’affarismo spartitorio e screditare ulteriormente il settore pubblico – e questo credo sia il vero obiettivo.
Ce le presentano come riforme necessarie e salvifiche, ma queste sono riforme sbagliate e in mala fede sin dal loro concepimento. Nel 1999 l’Ocse tracciava una sintesi delle riforme economiche attuate in numerosi paesi nel decennio che si stava chiudendo. In breve, le linee lungo le quali si era sviluppata l’azione di politica economica in quel decennio e lungo le quali si sarebbe sviluppata negli anni seguenti sono queste:
i) Ampliamento degli strumenti finanziari e riduzione della regolamentazione dei sistemi finanziari;
ii) Riduzione delle aliquote per i redditi più alti;
iii) Liberalizzazione dei movimenti dei capitali e ulteriore liberalizzazione del commercio internazionale;
iv) Deregolamentazione e privatizzazione nei settori delle utilities;
v) Restrizioni all’utilizzo delle politiche industriali;
vi) Flessibilizzazione dei mercati del lavoro e irrigidimento dei criteri di fruizione del welfare state;
vii) Riduzione dell’area dell’intervento pubblico nell’economia;
viii) Riduzione degli oneri, legali ed economici, allo svolgimento dell’attività d’impresa.
Maurizio Zenezini, in Riforme economiche e crescita: una discussione critica, Quaderni del dipartimento di economia politica e statistica dell’Università di Siena, n.696 – Aprile 2014, studiando come, negli ultimi vent’anni, i paesi europei hanno introdotto numerose riforme economiche orientate a rendere le istituzioni economiche più “favorevoli ai mercati”, nella convinzione che l’ambiente regolativo costituisca un fondamentale fattore di crescita economica. In base ai dati empirici, ossia sottoponendo queste riforme alla prova dei fatti, gli effetti sulla crescita e l’occupazione dei più recenti interventi di riforma in Italia appaiono virtualmente nulli nel breve periodo e modesti, nel migliore dei casi, nel lungo periodo. O meglio, risultano nettamente negativi: le riforme flessibilizzanti del mercato del lavoro hanno peggiorato l’occupazione, le riforme bancarie hanno destabilizzato il sistema bancario, etc.
Di fronte agli insuccessi delle riforme che ha imposto, l’OCSE le difende con gli argomenti più arbitrari, chiaramente in mala fede, come il dire che, se non le si fosse fatte, ora le cose andrebbero molto peggio. Conclude Zenezini:
“Se le riforme non mantengono le loro promesse, potremo dichiarare che l’efficacia di una riforma già effettuata dipende da qualche altra riforma ancora da effettuare che, a sua volta, richiederà quasi certamente riforme in nuove direzioni: le riforme del mercato del lavoro non funzionano se i mercati dei prodotti restano rigidi, le riforme delle utilities non funzionano se il commercio al dettaglio resta impantanato nelle regolamentazioni comunali, se le lavanderie restano chiuse il sabato pomeriggio, se i giudici non compilano il “calendario udienze” (Ocse, 2013a, p. 86).
In alternativa, si potrà affermare che le riforme agiscono nei tempi lunghi, mentre gli effetti di breve termine sono difficili da modellare, e potrebbero anche essere negativi: “le riforme […] dovrebbero aumentare il prodotto potenziale di lungo periodo, ma la grandezza di questo effetto, specialmente nel breve periodo, è difficile da stimare con qualsiasi grado di precisione” (Ocse, 2013a, p. 84).
Potremmo, infine, puntare il dito contro gli indici “formali” di deregolamentazione.
Gli organismi economici internazionali hanno misurato le numerose riforme fatta in Italia, su questa base esperti e responsabili della politica economica hanno regolarmente tracciato bilanci di tale attivismo riformatore, ma, dato che il paese si è infilato in una traiettoria di declino economico, “si può sospettare che i principi legali della regolamentazione delle attività economiche divergano dalla pratica, o dalla loro percezione, in Italia più che in altri paesi” (Ocse, 2013a, pp. 82 sgg.): se le riforme non funzionano, dovremo rivedere gli indici delle regolamentazioni.
Sarebbe impossibile fornire un’immagine più sconcertante della irresponsabilità che costituisce la cifra latente della politica economica degli ultimi decenni. Nessun riesame delle riforme effettuate è permesso, è impedita la discussione su politiche economiche alternative: se le riforme non funzionano, si può sempre dire che senza di esse le cose sarebbero andate peggio, se gli indici di deregolamentazione non sono correlati con la desiderata performance potremo denunciare l’insufficienza degli indici, se le riforme hanno effetti trascurabili, si chiederà comunque di rafforzarle e di aumentare la flessibilità, se una riforma mirata ad un particolare obiettivo non ha successo, si modificherà l’obiettivo o si punterà in qualche altra direzione.
E’ la stessa irresponsabilità che Keynes denunciava nel 1925 esaminando le conseguenze dellapolitica economica del governo Churchill (Keynes, 1925): Poiché il pubblico afferra sempre meglio le cause particolari che le cause generali, la depressione verrà attribuita alle tensioni industriali che l’accompagneranno, al piano Dawes, alla Cina, alle inevitabili conseguenze della grande guerra, ai dazi, alle tasse, a qualunque cosa al mondo fuorché alla politica monetaria generale, che è stata il motore di tutto.”
Da quanto detto prima appaiono alcune evidenti realtà, confermate dai fatti:
-in un sistema basato sulla moneta-debito, salvo ripudiare il debito o condonarlo o eliminare i creditori, è matematicamente impossibile azzerare o anche solo ridurre il debito complessivo;
-quindi chi lo propone come principio di virtuosità o come obiettivo o è un cretino o è un mistificatore;
-un singolo paese, se è competitivo nelle esportazioni, può ridurre e persino azzerare il proprio debito estero realizzando avanzi della bilancia delle partite correnti, cioè prendendo denaro da altri paesi, ma ciò matematicamente aggrava in pari misura l’indebitamento estero di questi altri paesi; analogamente, un particolare cittadino, un’impresa, un ente pubblico può chiudere i propri debiti accumulando attivi negli scambi con gli altri soggetti economici, ma ciò si traduce in un pari aumento dell’indebitamento di questi; tuttavia, siccome l’indebitamento complessivo inarrestabilmente cresce per effetto dell’accumularsi degli interessi, tutti i paesi, tutti gli altri soggetti in competizione tra loro tendono ad affondare nell’indebitamento (in metafora: su una barca che sta affondando io mi posso salvare arrampicandomi sulle tue spalle, ma solo provvisoriamente);
-ridurre il debito aggregato implica ridurre la liquidità nel sistema, perché tutta la liquidità è debito-credito;
-quindi comporta un aumento delle insolvenze e dei fallimenti;
-causa inoltre calo della domanda aggregata, quindi calo degli investimenti produttivi, i quali vengono fatti in base alle aspettative di redditività al netto delle tasse; sicché se i potenziali investitori vedono che la prospettiva è di tagli alla spesa pubblica, alta tassazione, riduzione del debito-liquidità, allora prevederanno che la domanda sarà bassa, cioè che non ci sarà domanda solvibile per i loro prodotti, perciò investiranno altrove.
Attualmente in Italia abbiamo un programma di tagli alla spesa pubblica, una pressione fiscale che non può calare anche a causa dei 40 miliardi all’anno di riduzione del debito pubblico che il governo dovrà fare in esecuzione del Fiscal Compact, un reddito e una capacità di spesa in picchiata anche a causa dell’alta disoccupazione e maloccupazione, soprattutto giovanili; inoltre le banche stanno riducendo il credito alle imprese e alle famiglie e tengono altissimi i tassi: sanno che gli aspiranti mutuatari, data la mancanza di continuità del loro reddito, non avranno i mezzi per ripagare i prestiti, quindi logicamente non erogano prestiti, se non raramente e con spread altissimi, al decuplo dell’Euribor, per compensare il rischio – dicono. Quindi oggettivamente non ci sono le condizioni per un’uscita dalla depressione economica. Anzi, è in corso un avvitamento recessivo, che determinerebbe rendimenti altissimi sul debito pubblico, senonché qualcuno -la BCE e/o la Fed-, comprando sul mercato secondario, e distorcendo il mercato, li tiene artificialmente bassi – come fa ancora più vistosamente con le nuove emissioni del debito pubblico greco.
D’altronde le banche italiane (ma non solo italiane) sono piene di sofferenze sommerse, ossia non dichiarate, e magari fanno aumenti di capitale di miliardi, uno dopo l’altro, per un multiplo della valorizzazione di borsa, ogni volta bruciando la liquidità acquista, in base a bilanci falsi, che nascondono questa realtà. Se essa affiorasse, avremmo il global meltdown del sistema bancario. A quale cliente una banca presterebbe il triplo di quello che vale in borsa? Qui siamo davvero “au bord du gouffre”! Eppure il sistema globale non pare aver esaurito la sua capacità di rilanciare e differire. I numeri sono infiniti, quindi, essendo la moneta fatta di numeri, infinita è anche la possibilità di rinviare la soluzione degli squilibri finanziari…
Negli ultimi 20 anni o poco più un altro fattore è all’opera, a danno dell’economia reale e dell’occupazione: il settore speculativo, remunerando i capitali in esso investiti in tempi assai più brevi del settore produttivo dell’economia (consideriamo che un’operazione speculativa può durare mesi o giorni, mentre il ritorno negli investimenti industriali si può avere solo dopo anni), quindi dando rendimenti maggiori di quest’ultimo, sottrae al medesimo molti capitali, tendendo a lasciarlo a secco. Addirittura vediamo che molte banche, dopo aver ricevuto fondi pubblici o della banca centrale, non li prestano, ma li usano in parte per comperare titoli pubblici al fine di migliorare la loro capitalizzazione e di lucrare le cedole, e in parte per speculare, fare trading, in proprio.
Conseguenza di questa competizione sui rendimenti, è che il settore produttivo, per cercare di trattenere i capitali offrendo loro una remunerazione competitiva col settore speculativo, si forza di dare, anno per anno, i massimi utili-dividendi possibili, e a tal fine fa alcune cose aventi un impatto negativo sull’occupazione, sulla produzione e sulla competitività, soprattutto nel lungo periodo:
a)riduce la produzione dal livello che dà il massimo ricavo totale al livello che dà il massimo ritorno sul capitale investito (quindi fa tagli agli impianti e alle maestranze);
b)riduce quanto possibile le spese correnti (compresi salari e manutenzione) nonché per investimenti (compresa l’innovazione) necessari a mantenere le posizioni sul mercato, cioè sacrifica gli obiettivi di medio e lungo termine a quelli di budget – da qui il termine budgetismo, che indica questa distorsione della politica aziendale.
L’ottimizzazione del bilancio è anche richiesta dal bisogno di avere un buon rating dell’affidabilità bancaria, onde mantenere le linee di credito e contenere i tassi di interesse.
Consideriamo anche che i managers degli investitori istituzionali come i fondi di risparmio e quelli pensionistici sono pagati in ragione al volume degli investimenti che attirano, e che questo dipende dai rendimenti che raggiungono, e che questi rendimenti a loro volta dipendono dai rendimenti delle azioni, ad esempio, che hanno in portafoglio. I rendimenti delle azioni dipendono ampiamente dai dividendi che si prevede che staccheranno, quindi di nuovo dalla prestazione anno per anno. Anno per anno, perché i managers restano usualmente in carica pochi anni, sicché non si interessano a come andrà una determinata corporation nel medio o lungo termine. La strategia delle imprese dell’economia reale avrebbe bisogno di pianificazioni e respiro di molti anni, specialmente in campi ad alta tecnologia; ma tutto cospira a distorcerla in funzione dei criteri dell’economia improduttiva. “Tutto questo è il mercato, quindi va bene, interferire sarebbe sbagliato” obietteranno alcuni. In effetti, è il mercato finanziario che interferisce con quello produttivo, cioè con quel mercato che, secondo la teoria, se libero e trasparente, dovrebbe, in base alle leggi sue proprie, portare alla piena occupazione e alla stabilità. E le interferenze del mercato finanziario nuocciono palesemente a quello produttivo. Molte società valide, quando si quotano in borsa, incominciano in effetti a subire queste interferenze disturbanti, che le fanno degenerare gestionalmente. Ciò succede regolarmente con le banche italiane che vanno in borsa. L’idea che la borsa serva a finanziare e a premiare la buona gestione delle imprese è smentita e capovolta dai fatti.
Alla luce di quanto sopra detto, possiamo tranquillamente concludere che, quando un leader comunitario, soprattutto un leader italiano, promette crescita o impegno per la crescita, promette la sospirata flessibilità, promette che l’UE porta allo sviluppo – quando promette queste cose, e insieme dice che “le regole europee”, “il risanamento”, “il rigore di bilancio” saranno rispettati, mente sapendo di mentire, mente per imbonire la gente: il modello che viene implementato attraverso l’UE e l’Italia in particolare non vuole crescita, lavoro, sicurezza, rilancio produttivo, ma stagnazione. Come non vuole partecipazione popolare né diritti sociali. Al massimo sono ammessi interventi di riduzione del disagio sociale per prevenire che evolva in sommossa, o sussidii a categorie sociali realizzati a spese di altre categorie sociali (come gli 80 euro di Renzi), in una logica di divide et impera. Logica peraltro applicata anche tra gli Stati membri: consentire ad alcuni (Germania e soci) un relativo (e provvisorio) sviluppo a spese degli altri, onde avere il loro appoggio per completare l’opera di inversione costituzionale. Che si appalesa, oramai, come un’opera eversiva. E quando ci dicono “fare le riforme istituzionali è condizione per ottenere flessibilità di bilancio dall’Europa”, il significato è: “se non ci lasciate riformare la costituzione per realizzare l’autocrazia che vuole la grande finanza, la grande finanza vi lascia senza soldi”.
Diversamente da altri, io non biasimo moralmente i progettisti e gli autori di quanto sopra. Non dico che sono criminali perché sacrificano il 99% della popolazione agli interessi dell’ 1%. Infatti, il loro modello socioeconomico deflativo-parassitario-autocratico è più adeguato a ciò che i popoli sono, al loro effettivo livello mentale e di consapevolezza, che non è molto diverso da quello del bestiame, come dimostra la bovina docilità con cui si lasciano “riformare”. Il modello democratico, e anche il modello (post)keynesiano, presuppongono che l’uomo mediano e il popolo siano qualcosa che in realtà non sono affatto, quindi semplicemente non possono funzionare. Il modello socioeconomico deflativo ha, inoltre, il vantaggio di riuscire a imporre coercitivamente e dall’alto, di fronte al raggiungimento dei limiti fisici dello sviluppo e alla necessità di ripiegare, la necessaria decrescita ecologica dei consumi e della stessa popolazione, che in regime di democrazie nazionali non si potrebbe ottenere.
24.07.14 Marco Della Luna
http://www.signoraggio.it/dove-portano-queste-riforme/

Marocco » Il Marocco erige 40 chilometri di recinzione elettronica ai confini con l’Algeria

anche se non si può leggere tutta ce ne è abbastanza per riflettere

banja luka etleboro | 24-07-2014
   
Rabat – Le autorità marocchine hanno realizzato oltre 40 chilometri di recinzione elettronica al confine con l’Algeria a tempo di record, alla luce delle azioni annunciate per contrastare le minacce terroristiche, soprattutto dopo che alcune organizzazioni situate sul confine meridionale dell’Algeria hanno dichiarato fedeltà a ‘Daash’ che ha minacciato di colpire gli interessi del Marocco. 40 chilometri di recinzione, che saranno estesi a 70 chilometri, a partire dalla città Saidia fino a Beni Hamdoune. L’agenzia Anatolia ha citato che la recinzione coprirà le aree di importanza strategica e comprenderà il confine orientale con l’Algeria per tagliare la strada ai contrabbandieri che utilizzano accessi clandestini sulla linea di confine tra i due paesi. Il completamento di 40 chilometri di recinzione alta tre metri è stato fatto dopo che i servizi di intelligence hanno confermato l’esistenza di minacce terroristiche in Marocco, ha comunicato il Ministro marocchino degli Interni, Mohammed Hassad, il quale ha aggiunto che è stato adottato un pacchetto di misure precauzionali, e che il recinto sarà dotato di telecamere per la videosorveglianza le quali saranno in grado di rilevare qualsiasi minaccia terroristica contro il territorio marocchino, sottolineando che la recinzione è capace di monitorare qualsiasi movimento sospetto. …
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http://www.stampalibera.com/?a=27473

La Russia ha tradito il “nuovo ordine mondiale”

il NWO di cui parla Napolitano (come fece Bush?)

di: Paul Joseph Watson Christopher R. Hill, diplomatico americano, ha affermato che la risposta della Russia alla crisi ucraina significa che Mosca ha tradito il “nuovo ordine mondiale” , di cui la stessa Russia ha fatto parte per gli ultimi 25 anni. In un pezzo per l’influente Project Syndicate, Hill, ex ambasciatore degli Stati Uniti in Iraq e Corea, scrive che l’annessione della Crimea da parte della Russia e la campagna di “intimidazioni”
contro Kiev, ha messo fine ad un periodo storico di 25 anni, accusando inoltre Mosca di ”regressione, recidività e revanscismo“. La definizione di Hill di “nuovo ordine mondiale” è il coinvolgimento della Russia post-Glasnost nelle “istituzioni occidentali, nell’economia di mercato e in una democrazia parlamentare multipartitica”. “Questo nuovo ordine mondiale è resistito per quasi 25 anni. Fatta eccezione per la breve guerra della Russia con la Georgia nell’agosto 2008 (un conflitto generalmente visto come istigato dalla spericolata leadership georgiana), l’acquiescenza e l’impegno della Russia per un “nuovo ordine mondiale”, tuttavia problematico, è stato uno dei grandi successi dell’ epoca post-guerra fredda“, scrive ancora Hill. Hill, che è un consulente per la Stonebridge Group Albright, una “società di strategia globale” con i tentacoli all’interno della Casa Bianca e nel Dipartimento di Stato, continua ad accusare Mosca di far rivivere i giorni dell’impero sovietico, aggiungendo che “la Russia … . non sembra più interessata a ciò che l’Occidente gli ha offerto negli ultimi 25 anni: status speciale con la NATO, un rapporto privilegiato con l’Unione Europea e la partnership in sforzi diplomatici internazionali. “ Sostenendo che le sanzioni occidentali non avranno alcun impatto, Hill afferma che la NATO dovrebbe prepararsi per un percorso lungo, avvertendo che la Russia “cercherà di creare problemi simili tra gli ex alleati sovietici“, invocando poi l’invasione tedesca della Polonia nel 1939 per suggerire che Mosca potrebbe aggredire altre nazioni dell’Est europeo. L’affermazione di Hill che la Russia ha voltato le spalle al “nuovo ordine mondiale” illustra come Mosca sta cercando di guidare una fazione alternativa di BRICS allineati, che rappresentano una grave minaccia per il futuro unipolare previsto dagli Stati Uniti e la NATO. In altre parole, che la Russia lo voglia o no, l’élite occidentale sta scavando per una nuova guerra fredda e il mondo sia entrando nel periodo più pericoloso della storia dopo la crisi dei missili cubani. Titolo Originale: Top U.S. Diplomat: Russia Has Betrayed the “New World Order” LINK: Top U.S. Diplomat: Russia Has Betrayed the “New World Order”
Fonte Informazione Scorretta

http://www.sapereeundovere.it/la-fine-del-nuovo-ordine-mondiale/

LA MARCIA NELLA MARCIA IN CLAREA

e notturna 26 7 2014 079
E’ sabato e siamo nuovamente qui, in marcia, attraverso i sentieri della Clarea, immersi nel respiro del bosco a cui si mescolano le sottilissime fibre del respiro del cantiere dell’alta velocità. Nuovamente in tanti, gli uni intenti ad inerpicarsi sul sentiero alto per passare al di sopra delle recinzioni e gli altri fermi ai jersey che  oggi hanno fatto la loro prepotente comparsa alla fine del sentiero che giunge alle centraline e poi scende nella conca.
Al di qua delle spesse reti i partecipanti alla marcia, al di là le forze dell’ordine, con tutto l’apparato di caschi, scudi, apparecchiature varie per rilevamento immagini, forti della decisione che oggi in Clarea di qui non si scende, vietato mostrare ai più la grande opera in costruzione che, si badi bene, si vuole comunque realizzare con i denari di tutti, volenti o nolenti.
Alle reti c’è la famiglia che ha casa  in Clarea, con la sua richiesta di poterci andare, giusto per controllare, e sconcertata dal fatto che di notifiche per questo ennesimo divieto, non ne ha proprio ricevute.. ci vorrà più di un’ora  prima che sia data loro la possibilità di recarsi (accompagnati) alla casa di famiglia nel bosco…
E intanto, seguendo quanto fatto da Turi, oltre le recinzioni entrano persone di tutte le età, si siedono davanti al cordone di polizia, si sdraiano, prendono possesso di una terra loro, oggi diventata possesso autoritario di altri…
C’è aria serena intorno, di allegria, con scambio di dolci, di canzoni, intanto che il tempo scorre e alcuni s’allontano, mentre un gruppo di irriducibili rimane…. pian piano il cordone di sorveglianza, accompagnato passo passo dai dimostranti, indietreggia lungo il sentiero e si ferma, come ormai d’abitudine, sul ponte del Clarea.
La decisione per chi qui è giunto è quella di ribadire il proprio dissenso sull’opera, facendolo in modo pacifico ma fermo,  trascorrendo qui la notte, ed anche  il mattino..…..
Turi è al seguito, con una nuova sorpresa, perché, dopo essersi arrampicato su un albero, si conquista l’area in prossimità del cantiere, viene attorniato dalle forze dell’ordine, che, dopo qualche tempo, decidono di caricarlo (a peso) su un furgone e portarlo alla Caserma di Bardonecchia…. Tra le proteste degli amici…. Verrà rilasciato dopo qualche ora…
Ma intanto al presidio, da alcuni nominato degli over 50 ma che in realtà vede persone di tutte le età, si parla, si aprono gli zaini, si fa cena , anche con quello che poi, nel corso della notte, giunge da altri amici.. S’accende il falò, che non risparmia l’immancabile fumo negli occhi, distribuito per par condicio su dimostranti ed “assistenti”…. Mentre giungono le notizie da Chiomonte, della battitura, dei lacrimogeni giunti fino al campeggio, dell’idrante in azione.. Verrebbe da dire: tutto nella norma.. ma cosa  c’è di normale in tutto questo?.. domande…. Che accompagnano nel corso della notte chi veglia e chi tenta rapidi sonnellini, anche sull’amaca, con la tanta luce del cantiere e dei fari supplementari… impossibile da qui vedere le stelle…..
Con l’aria frizzante giunge poi il mattino, sul fuoco la caffettiera borbottando regala il caffè, arrivano amici, ciascuno con qualcosa di buono che prima di soddisfare lo stomaco scalda il cuore, mentre il sole s’alza fino ad illuminare il ponte…
La richiesta di poter entrare nei nostri terreni anche in questa occasione viene fatta: ci vorranno due buone ore prima di poter superare lo sbarramento umano, poi in quattro si va, con la bandiera no tav, quella palestinese, si va lungo il sentiero che costeggia un cantiere addormentato… anche oggi siamo qui, in quella che sempre più pare più un’area di guerra piuttosto che un cantiere…
Molti amici ora se  ne vanno, quasi a malincuore, perché, nonostante la fatica, è stata una notte bellissima trascorsa insieme, coi tanti cambi di uniformi e di volti, con quello scoprirsi tutti umani, con stessi desideri e paure, con la stessa stanchezza negli occhi,  con tanti indirizzi diversi ma con problemi ambientali e di salute  simili..
Poco prima di mezzodì gli ultimi dimostranti se ne vanno, mentre sul ponte l’aria si è fatta cocente….
E’ un arrivederci, lo stanno dicendo in molti…. Un passo dopo l’altro si ritorna verso Giaglione, mentre  in mente s’affaccia un episodio accaduto secoli e secoli fa…. A Gerico…. Allora per sette giorni tutto il popolo, in un profondo silenzio, stazionò intorno al muro…Poi, il settimo giorno, con un grande grido corale, il muro cadde….. Ciò che è passato nel tempo ritorna……
 
Gabriella Tittonel
27 luglio 2014
 
tgvallesusa

Report di chiusura del campeggio itinerante

 Un campeggio di lotta

over50

Ci siamo rimessi in marcia. Non solo nel senso che abbiamo attraversato la Valle da Avigliana a Chiomonte, ma anche nel senso che siamo tornati, valligiani e non, a incontrarci e a riattivare insieme le varie dimensioni della lotta: le cene e i momenti di convivialità, le assemblee e le iniziative.

Abbiamo bloccato il TGV in solidarietà con i tre lavoratori delle ferrovie morti a Gela. Abbiamo bloccato i cancelli delle ditte collaborazioniste (nello specifico, Toro, Lazzaro e Martina), abbiamo dato la sveglia alle truppe di occupazione alloggiate all’hotel Napoleon di Susa, abbiamo bloccato l’autostrada nello stesso momento in cui si svolgeva l’udienza del riesame per Graziano, Lucio e Francesco, i tre no tav arrestati per la medesima azione contro il cantiere di Chiomonte di cui sono accusati Chiara, Mattia, Niccolò e Claudio.

Abbiamo ascoltato le parole da Gaza bombardata, unendoci in un abbraccio ideale con il popolo palestinese. Abbiamo parlato, all’assemblea popolare di Bussoleno, in piazza o negli incontri al campeggio, di lotte territoriali, di appuntamenti internazionali, di trasporti nucleari, di resistenza alla guerra, di carcere e di solidarietà, di storia della repressione e del sabotaggio. Assieme a noi hanno parlato, attraverso i loro contributi scritti, i compagni detenuti.

Abbiamo percorso di nuovo, di notte e di giorno, i sentieri della Clarea, perché sono nostri e di chi li ama e li difende. Siamo riusciti a disturbare ancora una volta l’Apparato del TAV che si pretende invincibile. Ognuno con il suo contributo, senza accettare divieti e zone rosse, siamo partiti e siamo tornati tutti.

Di paese in paese, ci siamo sentiti coccolati dai comitati che hanno preparato cibo e accoglienza. Ci siamo emozionati all’inaugurazione della nuova casetta del presidio no tav di Susa, intitolata a Sole e Baleno.

Tutti e tutte sono venuti in Valsusa per lottare, pronti a svegliarsi all’alba e a camminare sotto la pioggia.

Qualche aspetto andrà senz’altro affinato in futuro, sia come comunicazione (siamo ormai un movimento che parla molte lingue), sia a livello organizzativo. Vediamo questi dieci giorni come un banco di prova per migliorare le prossime iniziative di lotta.

Uniti e diversi, dai ragazzi ai “diversamente giovani”, ci siamo messi ancora una volta in marcia, perché la rassegnazione qui non è di casa. Qualcuno davanti a un fuoco costringe le truppe di occupazione a presidiare un ponte per tutta la notte. Una controprova? Le dichiarazioni ridicole e allarmate dei signori del TAV, che parlano di un modo di stare insieme che non riusciranno mai a capire, lontano com’è dalle tristi stanze del potere.

Qualcuno pratica sentieri più impervi, qualcun altro resta un po’ più in piano o ti sorride al ritorno dai boschi. Uniti e diversi. Questa è la nostra forza.

Con Pasquale, Raul e Guccio nel cuore.

Grazie a tutte e a tutti.

campeggio itinerante, estate 2014