La Francia contro il dollaro:«Peso eccessivo nelle transazioni»

mammamia che razzisti xenofobi…non gradiscono la sottomissione al dollaro….meno male che è un “socialista” a dirlo altrimenti….
Ma la nazione francese credeva di avere pari dignità con gli Usa???? Cmq da notare che il ministro trova il “coraggio” di scagliarsi contro il dollaro e si è prodigato per difendere una “banca” non certo per il popolo francese che non è rappresentato da Bnp Paribas

Il ministro delle Finanze francese, Michel Sapin chiede un riequilibrio a favore dell’euro.: «Persino noi europei paghiamo in biglietti verdi. È necessario?»

di Stefano Montefiori

PARIGI – Il ministro delle Finanze francese, Michel Sapin, critica il peso eccessivo del dollaro nelle transazioni internazionali. Dopo avere anticipato il suo punto di vista parlando al Financial Times in margine all’incontro Le Cercle des Economistes a Aix-en-Provence, oggi potrebbe far valere le ragioni dell’opposizione al dollaro nel corso del consiglio Ecofin a Bruxelles. Tutto nasce dalla multa record – 8,9 miliardi di dollari – comminata dalle autorità americane alla banca francese Bnp Paribas, colpevole di avere violato l’embargo e fatto affari con Iran, Cuba e Sudan: la legge americana si applica anche agli istituti di credito stranieri – compresa la filiale svizzera di Bnp Paribas – se questi usano il dollaro come valuta per la transazione. Ecco quindi l’appello di Sapin a diminuire il ricorso al dollaro e a preferire l’euro. «Persino noi europei effettuiamo delle transazioni in dollari, per esempio quando vendiamo e compriamo degli aerei. È necessario? Non credo. Penso che un re-equilibrio sia possibile e doveroso, non solo a favore dell’euro ma anche delle altre valute dei Paesi emergenti, che pesano sempre di più nel commercio internazionale».
Il dollaro è usato nell’87 per cento degli scambi internazionali. Oltre il 50% dei depositi e prestiti utilizza il dollaro. Un’abitudine che secondo Sapin è ormai anacronistica. La sua posizione sembra condivisa dal presidente di Total, Christophe de Margerie, che sempre parlando al Financial Times ha commentato che non c’è ragione per comprare petrolio usando i dollari, anche se la valuta americana rimarrà probabilmente come punto di riferimento. «Il prezzo di un barile di petrolio è espresso in dollari – ha detto de Margerie -, una raffineria potrebbe prendere quel prezzo e usare il tasso di cambio euro-dollaro per fare il pagamento in euro». Un altro manager di un’impresa quotata alla borsa di Parigi (il giornale britannico ne tace il nome) spiega meglio il nocciolo della questione: «Aziende come la nostra si trovano in un impasse perché vendiamo in dollari ma non vogliamo essere sempre costretti a seguire le norme e i regolamenti americani». Nel caso Bnp Paribas, la banca francese ha aggirato la legge americana che vieta di commerciare – in dollari – con il Sudan in quanto Stato coinvolto nel genocidio del Darfur. Ma Sapin e de Margerie, quanto alla questione etica, sorvolano completamente.

http://www.corriere.it/economia/14_luglio_07/francia-contro-dollaro-14233516-05c9-11e4-9ae2-2d514cff7f8f.shtml

La Russia considera di essere già in guerra con USA

Il recente sviluppo delle operazioni militari in Ucraina ha portato a varie reazioni, dalla disperazione per la crisi umanitaria alla convinzione della mancanza di reattività della Russia. Alcuni vedono l’atteggiamento di Mosca, una sorta di spaventosa passività delle reazioni europee, portando gli eventi ucraini in una sorta di confronto tra due lottatori dove l’Unione europea dovrebbe essere l’arbitro e noi spettatori contando punti. E, naturalmente, come in ogni gioco, è necessaria la personificazione delle azioni degli avversari, e Putin si presenta come un codardo, che avrebbe dovuto guadagnare o perdere questo o quello, perdendo di vista la vera dimensione di quello che succede.

Sergei Glazyev, consigliere economico di Vladimir Putin, dispiega in questo video una percezione più ampia dei problemi reali della crisi ucraina e delle azioni militari in corso. La Russia ha preso misura piena degli eventi, mettendoli nella loro situazione attuale non solo geopolitica, ma anche storica. La conclusione è chiara per Mosca: la Russia è in guerra contro gli Stati Uniti. Non è una questione di lasciarsi invischiare in una particolare trappola, o in manovre tattiche, o di reagire in modo frammentario ad una particolare azione del nemico, ma di perseguire una strategia coerente a lungo termine. Ciò esclude, ovviamente, le reazioni primarie che non hanno un reale impatto nella lotta globale.

In questo video Sergei Glazyev mostra anche che la Russia non è mai stata ingannato sulle vere finalità della guerra, ed sui tre precedenti conflitti, la prima e la seconda guerra mondiale e la guerra fredda, e ha sempre considerato che l’Europa non è mai stata che un ingenuo e manipolabile strumento di volontà.

Avic – Rete Internazionale

http://reseauinternational.net/russie-considere-quelle-deja-en-guerre-contre-les-etats-unis/

Vedi la tavola rotonda del 10 giugno 2014 a Mosca con Sergei Glazyev
(filmato in russo con sottotitoli in inglese).
http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=Forums&file=viewtopic&t=72665  

LA FINANZIARIZZAZIONE DEL CAPITALISMO ITALIANO

di Angelo Salento*
 
5 luglio. Uno studio empirico di straordinaria importanza quello do Angelo Salento (nella foto). Mette in risalto come il processo di finanziarizzazione abbia afferrato e trasformato a fondo il capitalismo industriale. Sepolta l’epoca dei “coraggiosi capitani d’industria” anche in Italia la classe dei capitalisti, accettato il modello anglosassone, è diventata una classe parassitaria di “staccatori di cedole”. Il primo comandamento è oramai la massimizzazione del valore per gli azionisti, a spese del lavoro e degli investimenti.
 
L’analisi dei processi di finanziarizzazione delle imprese, in Italia, è rimasta quasi del tutto assente dalla letteratura socio-economica. A limitare l’attenzione per questi fenomeni ha contribuito probabilmente la convinzione che la concentrazione degli assetti proprietari e la ridotta presenza di investitori istituzionali “breveperiodisti” abbiano mantenuto le imprese italiane al riparo dalla logica dell’accumulazione finanziaria, o almeno da quella sua declinazione più recente ed esasperata nota come orientamento alla “massimizzazione del valore per l’azionista” (shareholder value maximization).
 
L’obiettivo di questo contributo è quello di mostrare che, a dispetto di quanto si potrebbe supporre sulla base della sola analisi degli assetti proprietari, le grandi imprese italiane sono pienamente partecipi del processo di finanziarizzazione e sono interessate anche dalla diffusione di quella concezione del controllo d’impresa solitamente indicata come shareholder value maximization.
 
Già nell’immediato dopoguerra la complessità dei documenti contabili delle imprese costringeva a constatare che «per leggere in fondo a ogni bilancio occorre una consumata esperienza e una conoscenza esatta dell’azienda cui si riferisce» (Radar 1948, p. 8). Oggi, sebbene sia in linea di principio la modalità più corretta per misurare la finanziarizzazione delle imprese, l’analisi dettagliata di un numero significativo di bilanci è operazione sostanzialmente impraticabile.
 
Una sintetica rassegna di alcuni indicatori, tratti da precedenti ricerche e da basi di dati aggregati Mediobanca, permette di osservare che:
 
a) le coalizioni proprietarie delle grandi imprese italiane praticano l’accumulazione finanziaria, sistematicamente e in misura crescente, sin dall’inizio degli anni Settanta del secolo scorso;
b) dalla seconda metà degli anni Novanta, il fenomeno diventa ancora più acuto e anche in Italia si diffonde il canone della shareholder value maximization.
 
Le due “ondate” di finanziarizzazione sono accomunate da una forte tendenza alla riduzione dei volumi occupazionali e dei costi del lavoro. Rispetto alla prima fase, tuttavia, la seconda non soltanto è quantitativamente più rilevante, ma appare anche “qualitativamente” diversa, essendo sostenuta dal processo di privatizzazione di grandi imprese pubbliche, da un compiuto riaggiustamento del sistema bancario e finanziario, da una crescente deregolamentazione del mercato del lavoro, da una più decisa apertura della cultura aziendalista e manageriale rispetto ai canoni di gestione e contabilità di matrice anglosassone.
 
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Figura 1. 
 
I dati aggregati dell’Ufficio Studi di Mediobanca permettono di osservare chiaramente l’andamento dell’accumulazione finanziaria: fra il 1974 e il 1985, i proventi finanziari (dividendi, cedole e interessi attivi) complessivi delle 980 società censite nella serie storica 1968-2002, passano, a prezzi costanti con anno base il 2000, da 2,6 a circa 8 miliardi di euro (fig. 1) (Mediobanca, Statistiche storiche). Se alla metà degli anni Ottanta quest’aggiustamento delle strategie di accumulazione era salutato come un’opportuna «ristrutturazione finanziaria» delle imprese italiane, esso si rivela presto una tendenza di lungo termine: un processo di finanziarizzazione, appunto, che vede spostarsi il baricentro delle strategie di accumulazione.
 
La corsa all’accumulazione finanziaria veniva sostenuta anche attraverso i cicli di ristrutturazioni susseguitisi dagli anni Settanta in poi. Nello stesso campione di 980 società, il rapporto fra costo del lavoro e fatturato lordo scende, fra il 1971 e il 1985, dal 26,5 al 15,1% (fig. 2) (fonte: Mediobanca, Statistiche storiche, nostra elaborazione).
 
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Figura 2. 
 
La deriva finanziaria di coalizioni proprietarie estremamente ristrette e accentrate come quelle italiane, dunque, già preludeva a quella che Gallino (2003) avrebbe poi chiamato «la scomparsa dell’Italia industriale».
 
Dopo un breve rallentamento a fine anni Ottanta, l’accumulazione finanziaria riprende a pieno ritmo negli anni Novanta, con una particolare accelerazione nella seconda metà del decennio. Nello stesso campione di società poc’anzi citato, fra il 1990 e il 2002 i proventi finanziari passano da circa 5,5 miliardi a oltre 11 miliardi di euro (fig. 1) (fonte: Mediobanca, Statistiche storiche). Parallelamente, continuano a declinare le risorse destinate al fattore lavoro: nello stesso periodo (e nello stesso campione), il rapporto fra costo del lavoro e fatturato lordo si riduce ulteriormente, fino all’11% (fig. 2).
 
Dati più recenti, riferiti all’intero “campione Mediobanca” (2.032 imprese), permettono ulteriori riscontri sull’andamento della finanziarizzazione nell’ultimo ventennio: il rapporto fra investimenti finanziari e investimenti tecnici (fig. 3), pari a circa il 30% nel 1992, raggiunge il 60 % a fine anni Novanta per schizzare al 180% nel 2000, declinando poi ancora a circa il 60% fino al 2006, impennarsi nel 2007 al 138% (in coincidenza con una stagione di massicce acquisizioni) e declinare durante la crisi, ma risalendo nel 2011 a circa il 70%[1].
 
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Figura 3. 
 
I picchi di investimenti finanziari coincidono con i periodi di forte tendenza speculativa nei mercati finanziari; ma nel complesso l’andamento calcolato sulle medie quinquennali manifesta una crescita relativa degli investimenti finanziari nel ventennio considerato.
A partire dalla metà degli anni Novanta, altrettanto evidente è il coinvolgimento delle grandi imprese italiane nella diffusione di una concezione del controllo, di marca anglosassone, orientata alla massimizzazione del valore per l’azionista. Sebbene un’indagine empirica di ampio spettro in Italia sia ancora di là da venire, disponiamo di alcuni chiari indicatori della crescente attenzione delle imprese non finanziarie italiane verso la valutazione del mercato dei titoli.
Innanzitutto, le trasformazioni osservabili nella politica dei dividendi indicano un’attenzione crescente per l’interesse degli azionisti. Fra il 1993 e il 2001, nel campione di 980 società della serie storica Mediobanca, i dividendi deliberati passano dal 10,4% al 37,1% del margine operativo lordo, in costanza di una riduzione di lungo termine delle dimensioni occupazionali (nello stesso campione il numero di dipendenti si riduce di circa il 20% e il costo del lavoro passa dal 16 al 10% del fatturato lordo). Il trend continua nel nuovo secolo: nell’intero campione Mediobanca di 2.032 società, fra il 2002 e il 2010 lo stesso rapporto passa dal 28,8% al 34,1%, con un picco del 41,5% nel 2007 (fig. 4).
 
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Figura 4. 
 
E continua anche la riduzione della forza-lavoro dipendente, che diminuisce di circa il 6%[2].
 
Molte trasformazioni organizzative delle grandi imprese italiane si possono spiegare, più che come un processo di razionalizzazione propriamente industriale, come implicazioni dell’adozione di una concezione finanziaria del controllo d’impresa.
 
Abbiamo mostrato in altra sede[3], con un’indagine empirica condotta attraverso interviste a manager di grandi imprese in settori diversi, che i mutamenti organizzativi degli ultimi trent’anni – un periodo nel quale il vertice delle direzioni aziendali è stato affidato a executives di formazione finanziaria – hanno risposto alla pressione del mercato finanziario: sul piano della configurazione d’impresa, innescando un processo di accentramento del coordinamento e del controllo funzionale a una gestione di breve termine; sul piano dei rapporti fra imprese, incentivando le operazioni di esternalizzazione in vista di una riduzione dei costi fissi e della realizzazione di liquidità da destinare a investimenti finanziari; sul piano delle situazioni di lavoro, promuovendo un “dimagrimento” di lungo termine e un assetto di continua aggiustabilità delle risorse umane alle esigenze di breve periodo.
 
Per finanziarizzazione, dunque, non va intesa né soltanto una modalità di azione economica, né (più ampiamente) una modalità di accumulazione. Si può proporre, invece, di indicare con questo termine un vasto fascio di mutamenti della regolazione dell’azione economica. Nella prospettiva che abbiamo proposto, in definitiva, finanziarizzazione è un termine che individua alcuni connotati basilari di quel generalizzato ritorno al mercato – a un mercato deregolamentato e deistituzionalizzato.
 
* Università del Salento
 
Note
 
[1] Le proporzioni sono decisamente maggiori se si considerano le sole società quotate. Il dato disaggregato, tuttavia, è disponibile soltanto dal 2009 e mostra una netta predominanza degli investimenti finanziari rispetto agli investimenti tecnici. I valori nel testo sono nostre elaborazioni di dati riportati nelle relazioni dell’Ufficio Studi di Mediobanca, poi Studi & Ricerche, del 1999 (per gli anni 1992-98), del 2004 (per gli anni 1999-2002) e del 2012 (per gli anni 2003-11).
 
[2] I valori risultano da nostre elaborazioni su dati delle statistiche storiche (sul campione di 980 società) e della relazione 2012 di Mediobanca (campione di 2.032 società).
 
[3] Salento A., Masino M. (2012), L’impresa della crisi. Finanziarizzazione e trasformazioni organizzative, Rassegna Italiana di Sociologia, 1, pp. 43-65.- See more at: http://www.economiaepolitica.it/index.php/moneta-banca-finanza/la-finanziarizzazione-delle-imprese-italiane/#.U7erk5R_u98

FMI: E’ CHRISTINE LAGARDE LA DONNA PIU’ PERICOLOSA DEL MONDO?

noo, una donna non farebbe mai cose cattive come fanno gli uomini…..narra la leggenda. Espropriare la propretà privata gode dell’ammirazione di molta società soprattutto quella civile. Se poi il maltolto finisce ai banchieri ( e non certo ai lavoratori pensionati disoccupati COME INVECE FANNO CREDERE, basti pensare alle TASSE etc) il plauso è doppio.
 
Postato il Venerdì, 04 luglio
 
DI TYLER DURDEN
 
 
Per ridurre l’enorme debito nazionale, l’FMI spiega ai governi che hanno il diritto di requisire direttamente i risparmi dei cittadini. Non importa che si tratti di pensioni, di risparmi, di assicurazioni o di immobili, basterà buttare i default statali sulle spalle dei cittadini.  Non c’è nessuno che si stia preoccupando di dare uno sguardo alla struttura in sé – per quello che è realmente –  e che, per questo motivo, non potrà mai funzionare.
 
Il loro socialismo non serve per aiutare i poveri contro i ricchi, ma per aiutare il governo contro il popolo. Hanno cambiato il significato alle parole.
 
Sono andato a guardarmi i verbali e mi sembra che di questi tempi l’organizzazione più pericolosa in circolazione sia il FMI, al cui timone è la francese Christine Lagarde, che ha presentato un’agenda di tagli del debito – per gli Stati ultra-indebitati – che, se implementati, potrebbero compromettere effettivamente il futuro delle persone, provocando sbilanciamenti sui conti per le pensioni basati sulle assicurazioni vita, sui fondi comuni e su altri tipi di regimi pensionistici e comunque, propone di estendere arbitrariamente la scadenza del debito in modo da non poterlo riscattare.  Sì, avete letto bene, l’ultimo documento del FMI descrive in dettaglio esattamente come d’ora in poi si può autorizzare l’espropriazione dei beni del settore privato e di chi ha investito in titoli di Stato, per pagare i debiti nazionali di governi socialisti.
 
Ho sentito svolazzare anche un’idea, che dovrebbe essere ancora scritta a matita, sul debito nazionale degli Stati Uniti che si potrebbe facilmente compensare requisendo tutti i fondi pensione del paese. Qui c’è un progetto straordinario che butta a mare qualsiasi congettura fatta finora sull’acquisto di titoli di stato. Il documento di lavoro del FMI datato dicembre 2013 afferma coraggiosamente:
 
“Fare un distinguo tra debito estero e debito interno può essere molto importante. Il Debito interno, emesso in valuta nazionale, può offrire molte più possibilità in un default parziale di quelle che offre il debito in moneta estera – denominato appunto debito estero. Si è già parlato di Repressione finanziaria: i governi possono spalmare il debito su fondi delle pensioni locali fondi e su  compagnie di assicurazione, costringendoli per legge ad accettare tassi di rendimento molto più bassi di quelli che potrebbe ricavare facendo altri tipi di investimenti. “
( pag. 8   : IMF-Sovereign-Debt-Crisis)
 
Già nel mese di ottobre del 2013, il Fondo Monetario Internazionale (FMI), ha consigliato di gestire la crisi dell’euro aumentando le tasse. Il FMI ha fatto pressioni per imporre una tassa sulla proprietà in Europa, da de esigere dai paesi in cui non esiste ancora questo tipo di tassazione. Il FMI ha spinto per una “tassa sul debito”generalizzata per un importo del 10% per ogni famiglia della zona euro, anche su quelle famiglie che dispongono solo di modesti risparmi.
 
La gente è cieca: crede che in questo modo si sia data l’autorizzazione ad andare a colpire i ricchi, e non capisce che invece si sta correndo dietro chiunque, perché alla fine i “ricchi” sono solo pochi giocatori in questo gioco.
 
Ma la gente non ne vuol sentir parlare, può credere che quello che pagherebbero i ricchi potrebbe bastare per pagare il conto di tutti gli altri. Cosa che non è praticabile, tanto che persino Giulio Cesare alla sua epoca dovette riconoscere che benché i ricchi siano solo un piccolo gruppo, sono il motore dell’economia che crea posti di lavoro. Per Giulio Cesare sarebbe stato meglio spazzarli via tutti – gli erano ostili – ma alla fine, dovette risolvere la crisi del debito, semplicemente attribuendo retroattività agli interessi pagati sul capitale per far concludere quella crisi del debito che aveva portato alla prima guerra civile.
 
Quelli del FMI non hanno messo in discussione nessuna riforma del sistema. Stanno semplicemente progettando un fallimento da ripianare buttandolo sulle spalle dei risparmiatori espropriandoli dei loro risparmi, e continuando a far chiedere altri soldi in prestito ….  per sempre. Non c’è nessuno che si sta preoccupando di dare uno sguardo alla struttura in sé – per quello che è realmente –  che non può funzionare.
 
Il denaro risparmiato dalle persone secondo il FMI dovrebbe essere utilizzato obbligatoriamente al servizio del debito e sostengono anche che, per ridurre l’enorme debito nazionale, i governi hanno il diritto di requisire direttamente i risparmi dei cittadini. Non importa che si tratti di risparmi, di assicurazioni o di immobili, almeno il 10% potrebbe essere espropriato. Questo è il punto di vista del FMI.
 
Dato che il debito pubblico dei paesi della zona euro è aumentato di più del 90% del PIL, tutta la popolazione dovrebbe sacrificare i propri risparmi per il bene dello Stato. Il socialismo non serve più per aiutare i poveri contro i ricchi, ma per aiutare il governo contro il popolo. È cambiato il significato delle parole.
 
A gennaio 2014, la Bundesbank ha aderito al progetto del FMI concentrandosi su una “tassa sulla ricchezza”,come scrisse nel rapporto mensile: “Nella situazione eccezionale di un imminente fallimento dello stato, un prelievo di capitale una tantum, potrebbe rivelarsi un taglio più conveniente rispetto a qualsiasi altra opzione necessaria” nel caso in cui aumenti delle tasse o altre drastiche limitazioni della spesa pubblica non fossero sufficienti a soddisfare i bisogni o non sia possibile predisporre.
 
Lo scorso giugno 2014 il FMI, ha preparato ancora un altro progettino che servirebbe per estendere la data di scadenza. Esempio : hai comprato un’obbligazione con scadenza tra due anni? Bene, la soluzione che ha studiato il FMI sarebbe quella di estendere semplicemente la maturazione delle cedole. L’obbligazione di due anni diverrà una obbligazione con scadenza tra 20 anni. Non ci sarà nessun default, semplicemente tu non puoi riscattare la tua obbligazione .
 
Possibile rimedio. Le linee guida di questo documento potrebbero introdurre una maggiore flessibilità nelle precedenti tabelle del 2002, concedendo al Fondo una più ampia gamma di potenziali risposte politiche per alleggerire il disagio provocato dal debito sovrano, tenendo conto delle preoccupazioni che motivarono l’elaborazione delle tabelle nel 2002. In particolare, nel caso in cui un membro non possa più accedere al mercato e il suo debito sia considerato sostenibile – ma non assolutamente sostenibile – il Fondo sarebbe in grado di fornire un accesso eccezionale sulla base di una operazione di debito che concederà un allungamento delle scadenze (normalmente senza nessuna riduzione di capitali o di interessi). Questa operazione di“riprofilatura”, insieme con l’attuazione di un programma di aggiustamento credibile, dovrebbe essere progettata per migliorare la prospettiva e garantire la sostenibilità per riconquistare l’accesso al mercato, senza dover rientrare nei criteri previsti per ripristinare la sostenibilità del debito (con elevata probabilità).
 
 
Ora il documento di giugno ha presentato una nuova proposta di vasta portata e questo dimostra quanto gli avvocati pensino attentamente all’uso delle parole tecniche. Se si estende la scadenza del debito, non si incorre in nessun default. Può capitare solo che qualcuno compri una obbligazione a 30 giorni, nel bel mezzo di una crisi e poi si renda conto che improvvisamente il FMI gliel’ ha convertita in una obbligazione a 30 anni, con lo stesso tasso di interessi.
 
Debiti nazionali troppo alti potrebbero essere ripagati, secondo il FMI, semplicemente espropriando tutti i fondi pensione privati​​. Il governo sa bene che c’è un sacco di gente che guarda la televisione, che segue lo sport, o che sta facendo qualcosa di più importante e la stampa, comunque, non spiegherà mai i rischi reali di certe notizie,  sono troppo noiose. Quindi, nei paesi in cui ci sono delle pensioni da lavoro, ci si potrebbe svegliare improvvisamente e venire a sapere che con quello che serve al proprio futuro si sta pagando un contributo al governo – che ringrazia per il patriottismo. Questa gente ha fatto una operazione di convincimento che i “ricchi” siano il diavolo, così mentre ci si guarda dai ricchi …. i politici possono mettere le mani in tutti i portafogli.
 
Quale investitore può riuscire a capire veramente cosa sia nascosto tra i titoli dei suoi fondi, se i governi  non autorizzano dei processi democratici e se controllano la stampa?
 
Una cosa è certa: Per anni, tutti i fondi pensione hanno comprato titoli di stato perché erano titoli “tranquilli” e “senza rischi”. Tempo fa misi in guardia che la vera minaccia sarebbe arrivata dalla crisi del debito sovrano. L’idea che un fondo pensioni possa seriamente investire su titoli di Stato estremamente sicuri, ormai è diventata un presupposto obsoleto. E allora, vogliamo supporre che anche i mercati azionari siano super-quotati e che potrebbero andare in crash? In questo caso dove andrà a finire il denaro? Tornerà di nuovo nei titoli di Stato.
 
Il FMI è una dittatura non eletta da nessuno, che però può gestire la vita della gente ed ora presenta il suo“Nuovo profilo” della strategia, perché tutti i debiti pubblici devono trovare una copertura. Quest’ultimo documento non è altro che un ordine di liquidazione del debito pubblico – a spese degli obbligazionisti che possono tranquillamente essere anche dei pensionati, a loro insaputa -. Il focus è sui paesi che o non hanno accesso al mercato finanziario, o “il cui debito è considerato sostenibile, ma non con alta probabilità di riuscita”.
 
L’Eurozona sta cercando di federalizzarsi perché i governanti hanno capito quello che sta arrivando. Il FMI sta spiegando qual è il percorso da seguire e quali saranno le successive opzioni che proporranno, ma tutti sono già orientati a sostenere il potere, piuttosto che quello che sarebbe bene per la gente. Gli Euro-leader hanno ormai buttato la spugna e hanno deciso di fare più debito, anche se, sorridendo, giurano di lavorare per rimettere a posto i conti. Così, è probabile che l’Eurozona presto possa essere colpita direttamente dai piani del FMI, potrebbe avvenire quando cambierà il vento sui mercati, ma allora sarà troppo tardi.
 
Perché, vedete, i fondi pensione non possono vendere i titoli tutti insieme, come se si svota una scatola. Nessuno sarà il primo a vendere tutti i suoi titoli di Stato. Che cosa succederebbe se si sbagliassero e se non succedesse nulla? I manager potrebbero perdere il loro posto di lavoro. E allora i fondi si troveranno presi in trappola dai governi sia se si allungheranno le scadenze dei titoli, sia se si esproprieranno tutti i loro beni, non avranno scelta, come succede sempre a chiunque perde tutto all’improvviso, anche se non ha fatto niente di sbagliato.
 
Ovviamente, queste idee del FMI fanno riferimento solo ai casi in cui il debito non sia più gestibile, allora il potere conferito al governo darebbe loro il diritto di confiscare tutto pur di mantenere in piedi il potere-base. Questo piano del FMI credo che potrebbe produrre anche dei disordini civili, ma solo dopo che il fatto sarà avvenuto. Il semplice fatto che queste proposte mirino proprio agli investitori in titoli di Stato per risanare il debito o i tassi di interesse siamo negativi dimostrano che questa è tutta una faccenda comminata per sostenere il potere dei governi. Recentemente, il FMI ha sostenuto che la BCE deve acquistare titoli di stato dei paesi euro per sostenere l’Eurozona. Sono come i capi dei terroristi che fanno il lavaggio del cervello ai bambini per farsi esplodere per il bene della causa, ma nessuno di loro farebbe mai la stessa cosa.
 
È interessante notare che il FMI immagina che questo “taglio corto” fatto ai creditori privati sia ​​come una sorta di condizione preliminare che gli Stati in bancarotta devono rispettare prima di ottenere ulteriori prestiti da creditori ufficiali. Fate come diciamo NOI e basta. Questo è quanto il FMI sta facendo in Ucraina, niente meno di quello che hanno fatto a Cipro.
 
Comunque, a differenza del debito delle imprese private, dove i saldi sono reali e beni materiali sono garantiti da prodotti reali e dalle stesse imprese, la proposta del FMI equivale a una nazionalizzazione globale delle finanze pubbliche, che sono debito non garantito. Questa distinzione è importante. Non si può ricavare niente da un default del debito pubblico, se non una parte di quello che rimane del debito privato. Dato che gli stati, quelli che vengono inghiottiti da questa spirale infinita del debito perpetuo, non hanno nessuna possibilità di restituire nulla, ci troviamo tutti catturati dentro un mondo di finanziamenti che ormai è completamente distruttivo.
 
Il carico di debito dei governi su base globale è tanto opprimente che ci stiamo rapidamente avvicinando non solo al crollo della democrazia, ma al crollo o all’eliminazione di tutti i meccanismi di mercato nella finanza pubblica. Se non si riuscirà a garantire il debito, ci sarà il default e si COSTRINGERANNO tanti pensionati ignari a cedere il loro futuro per permettere ai politici di continuare a vivere comodamente. Questi signori non vedono nessun problema nel fatto che le persone che hanno investito i loro risparmi un titoli di debito pubblico debbano essere punite, con perdite enormi, e non si sentono minimamente in colpa per l’estorsione fatta ai governi, tanto che chiedono anche il pagamento degli interessi.
 
La proposta del FMI arriva durante la Coppa del Mondo sicuri che la stampa non la seguirà molto attentamente perché la gente comune si preoccupa più di chi vincerà la coppa che di un attentato furtivo sulle loro vite.
 
Questo piano di vasta portata per l’espropriazione dei risparmiatori, degli investitori e dei pensionati mostra chiaramente cosa intendono, LORO, in realtà per socialismo.
 
 
 
3.07.2014

MAFIA E AFFARI IN VALSUSA / 2: LA CAVA DEI VELENI A SANT’AMBROGIO. LAVORATORI SVENUTI PER I RIFIUTI TOSSICI: “QUELLA ROBA CI AMMAZZA!”

LUNEDÌ, 7 LUGLIO 2014
 
BY  – PUBLISHED: 07/05/2014 – SECTION: CRONACA
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L’INCHIESTA di FABIO TANZILLI

Rischiare la vita per lavorare e smaltire rifiuti clandestini alla cava, bere il latte per sopravvivere ai veleni della ‘ndrangheta. Non siamo a Gomorra, ma in Val Susa, a Sant’Ambrogio.

“Quella cosa che esce dalla cisterna… a noi ci … ci ammazza!”. Non è un romanzo, ma il testo di un’intercettazione tratta dall’ordinanza di arresto del gip nell’ambito dell’operazione “San Michele”. Lo sfogo dell’operaio si legge nelle pagine dell’ordinanza di custodia cautelare dell’inchiesta che ha portato all’arresto di 20 persone legate all’ndrangheta, tra cui l’imprenditore Giovanni Toro, gestore della cava. E svela un retroscena drammatico fatto di sfruttamento, di condizioni di lavoro difficili, dove oltre al disprezzo delle regole e della legalità, vigeva il disprezzo della dignità e della salute dei lavoratori.

Andrea (nome di fantasia per tutelare la persona) è un operaio emigrato dalla Puglia in Piemonte per lavorare nell’ormai famigerata cava di Sant’Ambrogio, al centro dell’operazione “San Michele”. Insieme ad altri due operai, il 5 febbraio 2013 aveva ricevuto l’ordine di aprire alcuni dei fusti depositati alla cava, contenenti i rifiuti, e fonderne il contenuto. Fusti lasciati là da varie imprese clandestinamente, senza autorizzazioni, proprio per garantire a Toro introiti economici e favori. Una mansione pericolosa, soprattutto perché nessuno sa ancora cosa ci fosse dentro quei contenitori, e se quelle sostanze fossero tossiche o nocive.

Infatti Andrea apre i fusti, ma l’inalazione di quelle sostanze lo va svenire e batte la testa contro le lamiere. “Per non richiamare l’attenzione queste operazioni venivano eseguite di notte – spiega il Gip nell’ordinanza – dal cumulo i rifiuti esalavano cattivi odori, senza essere a conoscenza di cosa vi fosse sotterrato nella parte inferiore”. L’episodio viene svelato in una telefonata intercettata tra l’operaio e Toro: “Mi sono sentito male per quella cosa che esce da sotto…”. E cosa risponde Toro? Ci si aspetterebbe un briciolo di umanità e comprensione. Invece le parole sono dure come pietre: “Ti stai comportando male, non sei più quello di prima – gli dice – non andiamo più d’accordo, non ti piace più stare con me, parlerò con tua madre”.

Il ricatto psicologico è legato alla famiglia del giovane. La mamma di Andrea sta al sud, il figlio è venuto in Val Susa con la speranza di avere un lavoro e un futuro. Non sa scrivere, a malapena leggere. E Toro lo avverte: “Se a te ti va bene rimani e ti comporti in un certo modo, sennò puoi anche andare in Puglia”. E aggiunge: “Non hai rispetto per una persona che ti ha dato da mangiare fino adesso – gli rinfaccia  – una persona che ti ha dato casa e bollette, ti ho pagato tutto… per me …. e se non hai rispetto per me, telefona a tua madre ed è finito tutto”. Eppure non si trattava di un caso isolato:  dalle carte dell’inchiesta emerge che Andrea non era l’unico dipendente ad aver accusato malori nel corso della procedura di fusione del materiale contenuto all’interno dei fusti.

Sempre dalle intercettazioni, si scopre che uno dei collaboratori di Toro, aveva avvertito l’imprenditore di questi rischi per la salute degli operai: “Quando riempono con la con la caldaia attaccata… escono tutti i fumi.. tutti i vapori… e quando vai a versare bitume dentro, e lì che ti da il colpo” dice il collaboratore di Toro “Carlo (un altro degli operai ndr) mi ha detto che sono stati male, sono dovuti andare a bere del latte … e Andrea mi ha detto che è svenuto…”.

Toro si sfoga con il fratello su questo atteggiamento “poco collaborativo” degli operai: “Mica ci sono sempre lavori belli da fare, puo’ capitare anche … che ci sono lavori brutti… e cosa facciamo … non li facciamo?  C’è da fare anche quello…se non lo fanno loro chi lo deve fare? A chi dobbiamo mettere?”. Nei giorni successivi però è lui stesso  a sfogarsi con una delle imprese che era andata a scaricare quei rifiuti, defindoli “la merda della merda”.

“Non ne voglio … minchia … cosa mi hanno portato?”. La stessa cosa la confessa al fratello: “Guarda che qua dietro hanno buttato tanta di quella merda che non si capisce…fusti con della roba dentro … c’è di tutto eh”. “Cerca di seppellirli un attimo – risponde il fratello – se esce sta roba ci inchiodano tutto”. Veleni seppelliti nel terreno: in altre intercettazioni raccolte a febbraio, emerge la preoccupazione per la pericolosità di quelle sostanze.

Sempre l’operaio Andrea fa notare a Toro di essere stato costretto, insieme ad un altro dipendente a far ricorso a cure mediche “Ma non siamo andati in ospedale” rassicura, per evitare sospetti e provvedimenti. “E’ roba brutta, roba tossica – dice Antonio Toro al fratello – c’è un odore strano, ho trovato anche dell’eternit”. La conferma della pericolosità viene resa proprio dall’operaio svenuto, ad aprile, nel verbale d’interrogatorio coi carabinieri: “Una volta aperta la cisterna, mentre stavamo rompendo il bitume solido  con il martello per trasferirlo nella cisterna, io e Alì (un altro operaio) abbiamo perso i sensi. lo svenendo ho sbattuto contro la parte superiore della cisterna che avevamo tagliato. Solo per un caso tale incidente non ha avuto conseguenze gravi. Alì non ha perso i sensi ma accusava mal di stomaco e mal di testa. Appena ci siamo resi conto di quanto stava accadendo siamo andati in un negozio di Sant’Ambrogio ad acquistare del latte per disintossicarci”.

Fabio Tanzilli

Accordo Stato-Sicilia, M5S: “Crocetta ha svenduto i siciliani e lo Statuto per un piatto di lenticchie. Venga a riferire in Parlamento e poi si dimetta”

PUBBLICATO IL 4 LUGLIO 2014 · IN COMUNICATI STAMPAIN EVIDENZA

I parlamentari Cinquestelle: “Trattative all’insaputa dei siciliani. E’ il prezzo pagato a Renzi per non farci commissariare”

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Crocetta ha svenduto la Sicilia e lo Statuto per un piatto di lenticchie all’insaputa dei siciliani e del Parlamento. Mercoledì, se ne ha il coraggio, venga a spiegare in aula quali sono i vantaggi di quarta grande operazione”.

Il gruppo parlamentare del Movimento 5 Stelle boccia senza mezzi termini la partita “carbonara” giocata dal governatore sui tavoli romani, con cui la Sicilia “rinuncia definitivamente alle prerogative dello Statuto speciale, archiviando 68 anni di storia e di battaglie e contenziosi contro lo Stato”.

Per poco più di 500 milioni di euro, frutto della rinegoziazione del patto di stabilità – affermano i parlamentari Cinquestelle all’Ars – Crocetta, senza chiedere il permesso al popolo siciliano, senza riferire in aula in merito alle trattative e quindi al loro esito, ha accettato le condizioni unilaterali di Renzi, umiliando i siciliani e la Sicilia. Ecco il prezzo del mancato commissariamento della Regione: abbonare allo Stato – come sostenuto da autorevoli fonti – qualcosa come 5 miliardi di euro. Mercoledì prossimo il governatore venga in aula a spiegare ai siciliani quali sono i vantaggi di questa rinuncia, sempre che ce ne sia qualcuno”.

Al governatore i parlamentari M5S chiedono di tornare immediatamente sui propri passi. “Se davvero – affermano – da questo accordo si può recedere, allora lo si faccia immediatamente. Poi Crocetta tolga il disturbo e si faccia da parte, una volta per tutte”.

Dall’11 al 13 luglio a Venaus per un’opposizione sociale alla crisi

post — 6 luglio 2014 at 12:52

Dall’11 al 13 luglio a Venaus tre giorni di discussione, confronto iniziative fra realtà europee per un’opposizione sociale alla crisi.

La decisione di Renzi di rimandare sine die il vertice sulla disoccupazione giovanile previsto per l’11 luglio a Torino è significativo della fase che stiamo vivendo. Chi sta al governo (in Italia come in Europa) non ha la capacità di trovare delle soluzioni alla crisi, l’unica prospettiva che hanno è di continuare a scaricarne i costi verso chi sta più in basso nella piramide sociale. Per chi ci governa sfuggire alle situazioni di conflitto, quindi alla possibilità che trovi spazio di rappresentazione un modo di essere differente, serve per mantenere (anche a livello di immagine) una forza che rispecchia la debolezza delle forze sociali che vi si contrappongono.

Nell’ultimo anno abbiamo visto diversi esempi di lotte contro i processi di impoverimento, precarizzazione e proletarizzazione che ci hanno imposto che sono state in grado di dar voce ad una contrapposizione alle politiche del governo e dei vertici europei: il percorso aperto con il 19 Ottobre e la questione della casa, la resistenza NoTav e le tante lotte diffuse sul territorio nazionale contro la precarietà (a 360 gradi) delle condizioni di vita. Siamo convinti che il nostro obbiettivo non sia, e non possa essere, la semplice sommatoria di collettivi e gruppi militanti, ma la nostra ambizione è quella di attivare dei movimenti di massa che sappiano costruire rapporti di forza favorevoli. Allo stesso modo guardare all’Europa non significa accettare o rifiutare uno spazio comunque definito dai suoi confini istituzionali, bensì rivolgerci a quei comportamenti di rifiuto che lo attraversano e plasmano: essere all’altezza della sfida vuol dire scommettere su quelli organizzabili e massificabili, non inseguire la federazione formale tra soggettività militanti provenienti da paesi diversi.

Quindi dobbiamo porci il problema di ricomporre i comportamenti di contrapposizione intorno a dei bisogni sociali concreti, di costruire comunità in lotta, radicamento nei territori e un modo diverso di viverli, in alternativa/contrapposizione ai modelli imposti dalla governance istituzionale. Per questa ragione la nostra chiave di lettura vuole essere quella di una (potenziale) conflittualità di massa, piuttosto che farci guidare da inefficaci schemi ideologici.

La questione dei giovani rimane aperta, appare chiaro che l’intenzione di politici ed istituzioni (a corto di idee) è di scaricare i costi della crisi su di loro, tagliando redditi e servizi, precludendo possibilità. La battaglia sulle grandi opere, inoltre, ha messo in evidenza che l’impiego delle risorse pubbliche è strutturato come redistribuzione di ricchezza (che non manca) da ceti medi e bassi verso la finanza e i ceti alti e altissimi. In questo quadro il tema della fiscalità è emerso con centralità in diverse situazioni di protesta: a fronte di un prelievo sui redditi sempre più alto non corrispondono né maggiori servizi né maggiore benessere o forme di redistribuzione.

Non potendo accontentarci di quanto finora costruito rimane fondamentale discutere sull’autunno a venire, i limiti con cui ci siamo scontrati, su quali scommesse ed ipotesi mettere in campo.

 tregiorni_venaus

Piemonte, borgo in vendita su eBay

Borgo Calsazio si trova sul Gran Paradiso, è composto da 14 immobili dove abitano 20 persone: sul sito di aste online è in vendita a partire da 245mila euro 
  
L’asta parte da 245mila euro e si chiuderà fra una settimana. Ma l’oggetto dell’offerta, comparso sul sito di aste online eBay, è un intero borgo alpino ai piedi del Gran Paradiso. Il borgo si chiama Calsazio e si trova nel comune di Sparone, in provincia di Torino. L’offerta comparsa su eBay prevede la cessione di 14 immobili, per un totale di circa 50 vani. A decidere la vendita del borgo sono gli stessi proprietari della case, dove al momento vivono una ventina di persone. A vedere le foto pubblicate insieme all’annuncio su eBay si vedono case in pietra, ancora in buone condizioni ma da rimettere a nuovo. Ed è proprio questo lo scopo dell’annuncio: come specificato nella descrizioni il borgo, che si trova a soli 50 km da Torino, è in una «posizione strategica per vivere, aprire un’attività turistica o un ristorante». Inoltre Calsazio «si presa a un recupero funzionale, mirato alla ristrutturazione degli edifici rispettando i criteri storico-architettonici canavesani». 
 

È partita trivella selvaggia

Sotto le acque dell’Adriatico si nasconderebbero giacimenti di gas e oro nero. Così, si dice, anche in tante altre regioni, dalla Puglia alla Sicilia. Allora via alle perforazioni. Ma benefici e danni non sono chiari.
Un’esca che galleggia lenta nell’Alto Adriatico rischia di provocare una marea nera lungo tutte le coste italiane, dal Veneto alla Sicilia. A lanciarla è stato l’ex premier Romano Prodi che, in una lettera al Messaggero, ha chiesto al governo di darsi una mossa per cogliere un’occasione d’oro. In questo caso l’oro è nero, come petrolio.

   Proprio lungo la linea di confine delle acque territoriali della Croazia, sotto 12mila km quadrati di mare, si nasconderebbero enormi giacimenti di gas e oro nero. Basterebbe prenderli – assicura il professore – per migliorare la bilancia dei pagamenti, aumentare le entrate fiscali, ridurre la bolletta energetica e la dipendenza da Russia, Libia, Algeria. Problema: rientra tra i tesori che l’Italia non sfrutta, scrive Prodi, per il principio di precauzione che tutto blocca. Nel caso del Golfo di Venezia, le attività di esplorazione e coltivazione di idrocarburi sono bloccate dal 1991 per il rischio di subsidenza delle coste e lo rimarranno finché Regione Veneto e Consiglio dei Ministri – supportati dagli enti di tutela ambientale – avranno accertato l’assenza di rischi in via definitiva. Ma in Italia, si sa, nulla è più definitivo del provvisorio.

   La gara con la Croazia

   Ecco servita, allora, l’altra ragione per trivellare in quell’area: se non lo facciamo noi, comunque lo fa la Croazia. Il nostro dirimpettaio, quel tesoro, non intende farselo sfuggire. E corre tanto che a gennaio ha concluso la fase di prospezione dei fondali, entro fine anno assegnerà le concessioni di sfruttamento delle 19 piattaforme che dal 2019 inizieranno a pompare, secondo le stime, fino a 3 miliardi di barili.

   La mossa, ragiona Prodi, mette due volte in difficoltà l’Italia: se non fa nulla rischia di condividere tutti i rischi dell’impresa croata (già evidenziati dal ritrovamento di carcasse di delfini e tartarughe lungo le coste italiane) e di lasciare tutti i vantaggi al governo di Zagabria; se si muove in ritardo rischia poi l’effetto “granita”, per cui chi succhia per primo dallo stesso giacimento mette in pancia la parte più nobile e ricca di idrocarburi. L’idea di uscire dall’angolo deferendo il vicino a un arbitrato internazionale non sfiora il governo. E non solo per le scarse possibilità di successo.

   Il fatto è che la contesa a largo di Chioggia, con le sue contraddizioni, potrebbe segnare il match point di una partita ultraventennale che vede contrapporsi, anno dopo anno, gli evocatori della nuova Dallas italiana e le associazioni di ambientalisti, pescatori e cittadini non arresi all’imperio del petrolio. Una tempesta perfetta in un bicchier d’acqua, vista l’estensione dell’area marina, che consentirebbe però ai primi di schiacciare le resistenze dei secondi sotto il peso di mirabolanti vantaggi economici. Prodi ricorda, ad esempio, che se l’Italia accelerasse su progetti e giacimenti già individuati “potrebbe produrre 22 milioni di tonnellate entro il 2020, con investimenti per 15 miliardi di euro e dare lavoro a decine di imprese”. Messaggio diretto anche a Palazzo Chigi: “Come i governi precedenti non sa dove trovare i soldi per fare fronte ai suoi molteplici impegni…”.

   E che fa il Governo? Al richiamo della sirena risponde subito Federica Guidi, ministro del Petrolio in pectore. “Non solo in Adriatico ma in diverse zone del Paese, spesso localizzate nelle regioni più svantaggiate del Mezzogiorno, abbiamo importanti giacimenti. Non capisco perché dovremmo precluderci la possibilità di utilizzarli, pur mettendo al primo posto la tutela dell’ambiente e della salute”, ha detto all’ultimo G7. Il governo ha dunque intenzione di dar seguito agli strampalati obiettivi della “Strategia energetica nazionale” che un dimissionario governo Monti ha lasciato in eredità, con l’indicazione di raddoppiare la produzione di idrocarburi nazionali entro il 2020, tornando ai livelli degli anni Novanta, e di portare il loro contributo al fabbisogno energetico dal 7 al 14 per cento.

   La leva individuata nella Sen per “liberare” questo potenziale imprigionato nella roccia è la stessa chiesta a gran voce dai petrolieri: accelerare e semplificare le procedure di rilascio dei titoli minerari. La risposta è un “nuovo modello di conferimento dei permessi che preveda un titolo abilitativo unico per esplorazione e produzione, con anche un termine ultimo per gli enti interessati dalle procedure di valutazione”, fanno sapere dal Mise. Una volta passato il termine, la decisione spetta solo al Consiglio dei Ministri (come previsto dal DL 83/2012). In pratica si ridimensiona, fino a estrometterli del tutto dai processi di valutazione, proprio quegli enti, territori e associazioni che negli ultimi 20 anni hanno dato battaglia contro la devastazione ambientale e accresciuto la sensibilità pubblica in tutto il Paese.

   Lo sblocco delle piattaforme

   “L’effetto sarebbe devastante”, spiega Giorgio Zampetti di Legambiente. In una manciata d’anni, dalla dorsale adriatica alle coste dell’Abruzzo, fino al tratto di mare tra Sicilia e Malta, si assisterebbe a un’epopea delle trivelle in mare che non ha precedenti. Alle 105 piattaforme e ai 366 pozzi attivi oggi nell’offshore italiano si aggiungerebbero quelli derivanti dallo sblocco di 44 istanze per permesso di ricerca e 9 istanze di coltivazione depositate dalle compagnie. Per non dire dell’effetto-calamita che una regolazione del settore ancor più favorevole ai produttori avrebbe sulla presentazione di ulteriori richieste.

   Senza scomodare gli scenari dei rischi e dei costi ambientali che tutto questo comporta tocca chiedersi: a che pro? Alessandro Giannì, direttore della campagne di Greenpeace, non ha dubbi. “Questa campagna per le perforazioni si basa su presupposti falsi. I nostri fondali marini non sono poi così ricchi di giacimenti, come si vuol far credere. Le riserve certe ammontano a soli 10,3 milioni di tonnellate di petrolio che, ai consumi attuali, sarebbero sufficienti a coprire il fabbisogno nazionale per qualche mese. Alla luce di questo vorrei che qualcuno ci spiegasse che senso ha questa corsa al raddoppio delle produzioni che espone le nostre coste, soprattutto quando i consumi nazionali di idrocarburi sono in costante calo”.

   Obiezione cui ministero (e petrolieri) rispondono all’unisono: “Lo Stato avrà sempre valori delle riserve sottostimati se agli operatori non viene concessa la possibilità di condurre operazioni di accertamento e quantificazione delle potenzialità del sottosuolo”, replica Franco Terlizzese, capo della direzione per le risorse minerarie ed energetiche del Mise.

   “Anziché ragionare su come aumentare la produzione d’idrocarburi – insiste Zampetti – potremmo mettere in campo adeguate politiche di riduzione di combustibili fossili, a partire da settori arretrati come l’autotrasporto cui in 10 anni abbiamo regalato qualcosa come 4 miliardi tra buoni carburante, sgravi fiscali e bonus pedaggi autostradali. Basterebbe usare diversamente quei soldi per incentivare il trasporto merci su rotaia e ridurre senza sforzi la nostra bolletta petrolifera”. Ma su questi temi la “svolta buona” sembra lontana. Far consumare carburante in Italia – attraverso tasse, accise e Iva – resta il modo più comodo per ripagare buona parte della spesa corrente dello Stato. Il petrolio, a suo modo, è welfare. Rendere altrettanto profittevole l’oro blu richiederebbe ai decisori pubblici ben altro impegno.

Thomas Mackinson
Fonte: www.ilfattoquotidiano.it
7.07.2014

LUC MICHEL SUR AFRIQUE MEDIA TV CE LUNDI 7 JUILLET 2014 …

Rediffusion de ce dimanche 6 juillet 2014

Vers 11h et jusque 18h30 dans le ‘Débat panafricain’

avec BACHIR MOHAMED LADAN.

sur www.afriquemedia.tv

PCN-TV - LM sur Afrique Media Tv 16 (2014 07 07) FR

ou sur streaming sur http://lb.streamakaci.com/afm

 * Luc MICHEL, de retour de Guinée Equatoriale, donne ses impressions sur le XXIIIe Sommet de l’Union Africaine à Malabo.

* Il débat de l’avenir de Sarkozy après sa mise en accusation et répond aux questions sur celui-ci :

Voilà Sarkozy rattrapé par « la vengeance de Kadhafi » ? C’est la fin de ses projets de retour en politique ?

Tripoligate, Karachigate, Qatarigate : on est au coeur de la corruption française ?

La mise en examen de Sarkozy ne serait qu’un des aspects d’« une crise de régime » en France ?

* Il évoque aussi le dossier de la future Monnaie panafricaine.

Fond monétaire africain, Banque africaine d’investissement … à quand la réalisation de ces projets?

 # REDIFFUSION DES SUJETS DU ‘DEBAT PANAFRICAIN’

DU DIMANCHE 6 JUILLET 2014

 SUJETS D’ACCEUIL

1- USA : BARACK OBAMA jugé comme le pire président des Etats unis. Quelles raions ? (Paul Nken, ROBERT SIMO, Patrick SAPACK)

2- CAMEROUN : Augmentation des prix des carburants, Le gouvernement et son opération épervier. (Dr BASSILEKIN, JEAN DE DIEU AYISSI, François BEYO)

3- SENEGAL/ELECTIONS LOCALES: MACKY SALL perd dans les villes stratégiques. (NOUHA SADIO, Hubert ETOUNDI)

4- AFRIQUE : création de la Cour Africaine de Justice et des Droits de l’Homme. Une volonté des chefs d’état ? (François BIKORO, parfait Ndom, Mme NDENHA)

 SUJETS A DEBATTRE

1- France : Quel avenir pour Sarkozy après sa mise en examen ?

2- FONDS MONETAIRE AFRICAIN, BANQUE CENTRALE AFRICAINE, BANQUE DES INVESTISSEMENTS AFRICAINE : à quand la concrétisation de ces projets ?

3- ICÔNE de la semaine: Joseph Antenor Firmin (Haiti)

 KH / PCN-TV

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# TV panafricaine AFRIQUE MEDIA …

Website : http://afriquemedia.tv/

 https://vimeo.com/pcntv

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