Sel, se ne va anche il tesoriere Boccadutri. Vendola: “Pd fa campagna acquisti”

“non riconosciamo la nostra cultura politica”. Perché ne hanno avuta una che non fosse “modificabile” a seconda del committente per un appalto o per qualche affare? E poi, detto da un partito che prima sale sugli scranni GRAZIE AL PD ora si lagna???? Ridicoli doppiogiochisti

L’amministratore del partito è il decimo deputato di Sinistra ecologia e libertà che lascia il gruppo di Montecitorio dopo Migliore, Fava e altri. Il leader di Sel presenta le dimissioni, la direzione le respinge

di Redazione Il Fatto Quotidiano | 25 giugno 2014

Se ne va anche il tesoriere. Sel perde quasi un pezzo al giorno e al momento siamo a quota 10, tra coloro che sono passati direttamente al Pd e altri – come Gennaro Migliore e Claudio Fava – che punteranno a comporre un gruppo autonomo. Della prima categoria farebbe parte proprio Sergio Boccadutri, ex tesoriere di Rifondazione Comunista e attualmente amministratore delle casse di Sinistra ecologia e libertà. Intanto è stato ufficializzato l’addio dei tre deputati che già nei giorni scorsi erano “indiziati” di voler seguire i “miglioristi” nel gruppo misto: Alessandro Zan (ex esponente di Arcigay, il primo aver inaugurato un registro delle coppie di fatto), Fabio Lavagno (in passato coordinatore in Piemonte) e Nazzareno Pilozzi (ex Fgci e Ds).

Ma Nichi Vendola la fotografa come una manovra tutta di palazzo: “Non c’è nessuna notizia di diaspora nel territorio – dice il leader del partito – Sel è viva e rilancia a partire da oggi la propria azione politica”. Sel, aggiunge, continuerà la sua battaglia, “non correrà sul carro del vincitore perché l’Italia ha bisogno di una sinistra autonoma e che sia un luogo di libertà e ricerca”. A margine della direzione del partito Vendola aggiunge: “Siamo molto addolorati per la diaspora di parlamentari, perché solo di questo si parla” anche se “è un po’ antipatico il copione dello stillicidio visto che si conoscevano dall’inizio quali erano i parlamentari che avevano ormai risolto il loro rapporto con questa comunità. Sel è una comunità ferita, ma viva e intende ricominciare”.

Intanto la dirigenza di Sel si è presentata alla direzione da dimissionaria, come già annunciato la scorsa settimana, dopo la spaccatura sul voto agli 80 euro del decreto Irpef del governo Renzie la fuoriuscita di pezzi da novanta del partito come Migliore e Fava. Ma la direzione ha respinto le dimissioni dopo una riunione durata circa 4 ore. ”Qualcuno dal Pd sta provando a fare una campagna acquisti ed è meglio che la smetta subito” dice Vendola.

Ma i malumori di chi ancora oggi lascia Sel apparentemente vanno oltre quell’episodio di Montecitorio e vanno oltre le prospettive del Pd: “Caro Nichi, ti comunichiamo, non senza tristezza, la decisione di lasciare Sel il suo gruppo alla Camera, per riappropriarci della libertà del dubbio, della valutazione critica” scrivono Zan, Lavagno e Pilozzi. Riappropriarsi della libertà del dubbio “fuori dalla confortante sicurezza dei no a prescindere in cui siamo caduti”. “La nostra scelta – scrivono i tre ex parlamentari Sel – avviene dentro a un quadro complessivo che trae le sue origini dalle molte inversioni di rotta, troppe, rispetto al progetto originario in cui abbiamo creduto. Abbiamo profuso tutti gli sforzi necessari perché Sel potesse trasformarsi in un partito di sinistra moderno, democratico, utile alle esigenze sociali più stringenti”.

“Negli ultimi mesi – si osserva nella lettera – Sel ha abbracciato posizioni in cui non riconosciamo più la nostra cultura politica, la stessa con cui anni fa abbiamo contribuito alla co-fondazione del partito e che poneva un obiettivo che a tutt’oggi consideriamo essenziale: quello di essere sinistra di governo. Crediamo che, abdicando a questo ruolo, si rischi, progressivamente, di approdare a un atteggiamento politico minoritario quando, invece, le esigenze del Paese sono altre”. Tra i “capi d’accusa” anche le “accelerazioni verso un progetto, come la Lista Tsipras, che ha cancellato cinque anni d’impegno per ricostruire una sinistra che scegliesse il partito socialista europeo come terreno di confronto”.

Ma sulla questione del governo Vendola insiste: “Io non posso stare al Governo se al Governo c’è Alfano, se c’è la destra e se tutto ruota attorno alle politiche di austerity. Non posso stare al Governo che attraverso Matteo Renzi dice ‘andremo a cambiare verso all’Europa’ e il giorno dopo non dice niente quando la Merkel dice che l’Europa avrà il verso” dell’austerity.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/06/25/sel-si-dimette-anche-il-tesoriere-boccadutri-passa-al-partito-democratico/103

L’Austria ignora le direttive di Bruxelles e sigla l’accordo con la Russia per il gasdotto South Sream

25 GIU 2014
  
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L’AUSTRIA SE NE FREGA DELLA UE (DI CUI FA PARTE) E SIGLA ACCORDO CON LA RUSSIA PER GASDOTTO DA 32 MILIARDI DI METRI CUBI
 
di Giuseppe De Santis – Londra
 
– I parassiti di Bruxelles da un po di tempo giocano a fare gli imperialisti tant’e’ che, dopo aver creato disordini in Ucraina, adesso stanno facendo di tutto per costringere Serbia e Bulgaria a fermare il progetto del South Stream che consentirebbe di trasportare gas dalla Russia all’Europa senza passare per l’Ucraina.
 
Tale politica ha lo scopo di isolare la Russia ma fino ad ora gli unici che rischiano di pagarne il prezzo sono i cittadini europei visto che esiste il rischio concreto di un taglio delle forniture che creerebbe enormi danni economici senza contare i tanti che questo inverno potrebbero morire assiderati e questo e’ chiaramente inaccettabile.
 
Per fortuna c’e’ chi ha detto di no e a tale proposito il governo austriaco proprio in questi giorni ha firmato un’accordo con la Russia che prevede la creazione di una societa’ che avra’ lo scopo di costruire un gasdotto in Austria che potra’ trasportare 32 miliardi di metri cubi di gas direttamente dalla Russia.
 
Tale societa’ sara’ posseduta per meta’ dalla Gazprom e per l’altra meta’ dalla societa’ austriaca OMV. I lavori per la costruzione di questo gasdotto inizieranno nel 2015 e iniziera’ ad essere operativo nel 2017.
 
Questa decisione ovviamente non andra’ a genio ai burocrati di Bruxelles e sicuramente faranno di tutto per punire l’Austria ma il governo austriaco ha deciso di andare avanti per la sua strada e fare gli interessi dei propri cittadini.
 
D’altra parte nessuno tra coloro che appoggia le sanzioni e’ riuscito a spiegare dove i paesi europei dovrebbero approvvigionarsi qualora decidessero di boicottare la Russia e chiunque abbia un poco di cervello capirebbe che costruire impianti per importare gas liquefatto o sfruttare giacimenti di gas di scisto non sarebbero una soluzione fattibile non solo perche’ ci vorrebbero anni ma anche perche’ i rischi ambientali sarebbero altissimi.
 
Per questo motivo sarebbe opportuno che gli altri paesi, a cominciare dall’Italia, prendessero esempio dall’Austria e iniziassero a ignorare i diktat dei parassiti bi Bruxelles.
 
Tratto da Il Nord

RICOMPARE SULLA SCENA DEL CRIMINE L’EX VICE PRESIDENTE USA DICK CHENEY

25 GIU 2014
  
Dick-Cheney
 
di Atilio Boron
 
Dick Cheney, ex vice  presidente degli Stati Uniti nell’Amministrazione di George W. Bush, si è rifatto vivo con una dichiarazione nella quale ha giustificato l’invasione attuata dagli americani (ed alleati) in Iraq nel 2003 e la ha qualificata come “una decisione giusta” mentre ha invece criticato la politica dell’Amministrazione Obama nella attuale crisi in Iraq.
 
“Io sono stato fermo sostenitore dell’intervento in Iraq”, ha dichiarato Cheney nel corso di una intervista alla PBS, nel corso della quale ha insistito a sostenere che fu una decisione giusta allora e che continua a ritenerlo anche adesso.
 
Questo perchè, secondo Cheney, l’Iraq si trovava in buone condizioni quando terminò il mandato dei repubblicani a Washington, mentre la situazione di crisi attuale si deve alla mancanza di decisione di Obama che avrebbe dovuto mantenere l truppe USA nel paese fin dal 2011 invce di ritirarle.
 
Dick Cheney è uno dei peggiori criminali di guerra il quale, assieme al suo principale, George W. Bush, realizzò l’invasione dell’Iraq, portando la distruzione in una delle più antiche civiltà del pianeta, provocando la morte di più di un milione di persone.
 
“I miei pensieri e le mie preghiere sono per i pozzi di petrolio iracheni” Questo è quanto ha appena dichiarato Dick Cheney, ex vice presidente degli Stati Uniti sotto Georg W. Bush. Testualmente ha detto: “My thoughts and prayers are with the Iraqi oil wells”.
 
Dick Cheney è uno dei peggiori criminali di guerra il quale, assieme al suo principale, George W. Bush, realizzò l’invasione dell’Iraq, portando la distruzione in una delle più antiche civiltà del pianeta, provocando la morte di più di un milione di persone e lo spostamento di vari milioni di profughi, alterando definitivamente in peggio il delicatissimo equilibrio politico che aveva reso possibile la convivenza di differenti diramazioni confessionali dell’Islam in un solo paese.
Questo personaggio fu per diversi anni membro direttivo della Halliburton, ancora quando svolgeva l’incarico di vicepresidente. Varie denunce indicano che, tra il 2003 ed il 2006 questa impresa fu beneficiata attraverso contratti di “ricostruzione” in Iraq per un valore di 16.000 milioni di dollari, nella loro maggior parte offerti con appalti in forma diretta senza alcuna licitazione.
 
Dopo il compito di “civilizzatori” assunto dalla truppe americane, l’ Irak si è affossato in una lotta fratricida di una violenza poche volte vista in passato. Adesso Cheney confessa che lo sapevamo dapprima che era sottostante la predica menzognera nordamericana di essere gli USA quelli che andavano in Iraq per portare la libertà, la giustizia, la democrazia ed i diritti umani.
 
La stessa cosa stanno cercando di fare in Siria, in Ucraina, in Venezuela e bisogna vigilare costantemente per frustrare questi tenebrosi disegni. Quelllo Cheney rivela si può descrivere poeticamente parafrasando un teme dei Beatles: “All you need is OIL, OIL is all you need!”.
Non c’è amore senza il petrolio. Non prega per le vittime, per i mutilati, per le centinaia di migliaia di orfani. No; questo statista esemplare della “esemplare” democrazia statunitense prega per il petrolio e per i milioni che potrebbe perdere la Halliburton ed i petrolieri nordaericani. Del resto non gli interessa. Questi è una canaglia ma, ammettiamolo, al meno è sincero.
 

Gas, Mosca: fallimento trattative con Kiev per colpa di Usa

Mosca – A far fallire l’ultimo tentativo di accordo tra Russia e Ucraina sulla fornitura di gas, sono stati gli Stati Uniti.
Lo ha affermato Sergei Naryshkin, presidente della Duma (la camera bassa del parlamento russo), parlando al giornale Rossiyskaya Gazeta (Russia Gazette). Giochi nascosti degli Usa hanno causato il fallimento dei negoziati tra Russia e Ucraina. “Sembra che alcuni, proprio all’interno del governo americano, non riescono a rinunciare loro desideri colonialist”, ha aggiunto.

http://italian.irib.ir/notizie/politica5/item/162573-gas,-mosca-fallimento-trattative-con-kiev-per-colpa-di-usa

La lunga serie di interventi militari francesi in Africa…

 
 TRADOTTO DA E. INTRA E S. GLIEDMAN
 
L’attuale intervento francese in Mali, ora noto come Operazione Serval, ha avuto inizio l’11 gennaio in risposta al tentativo dei gruppi islamisti del nord di conquistare la capitale. Accolta con sollievo da gran parte della popolazione locale e da molti osservatori esterni, la decisione è in netto contrasto con la politica di non intervento relativa al continente africano scelta finora dal neo Presidente  Hollande.
 
Analizzando il quadro generale, Francis d’Alençon si chiede come mai gli interventi militari francesi non vengano mai contestati dall’opinione pubblica internazionale:
 
«Strano… L’intervento francese in Mali non interessa nessuno, mentre azioni simili da parte degli Stati Uniti avrebbero scatenato un putiferio di proteste… Non essere la nazione più potente del mondo ha i suoi vantaggi».
 
Al proposito cita poi un articolo apparso su una testata ceca, Lidové Noviny:
 
«Dal 1960 si sono avuti oltre 50 interventi francesi in Africa. Hanno combattuto in Ciad e nella guerra in Libia, hanno protetto dai ribelli il regime a Gibuti e quello della Repubblica Centrafricana; hanno sventato un golpe nelle Comore e si sono battuti nella Costa d’Avorio. Che fosse per conservare degli interessi economici o per proteggere i cittadini francesi, gli inquilini dell’Eliseo hanno spesso mostrato propensione verso le azioni unilaterali. Ma … nessuno ha mai protestato. Se invece fossero … gli Stati Uniti a muoversi in tale direzione, in Europa ci sarebbero centinaia di proteste. Le ambasciate americane verrebbero prese d’assedio da diplomatici infuriati, a cominciare proprio da quelli francesi».
 
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Ecco di seguito la cronologia delle missioni militari francesi in Africa (non proprio 50, ma certamente numerosissime), la maggior parte dei quali sui territori delle sue ex colonie  — basata su due articoli online,  uno di   Nestor N’Gampoula per Oeil d’Afrique e l’altro di Jean-Patrick Grumberg per Dreuz Info.
 
Nel 1964, truppe di paracadutisti francesi sventano un golpe a Libreville, in Gabon.
 
Dal 1968 al 1972 l’esercito francese combatte contro i ribelli nella regione di Tibesti, nel nord del Ciad.
 
Nel 1978 nello Zaire (ora Repubblica Democratica del Congo), 600 legionari francesi vengono inviati a Kolwezi per fronteggiare i ribelli.
 
Nel 1979 nella Repubblica Centrafricana, l’imperatore Jean-Bedel Bokassa viene destituito dai paracadutisti francesi con l’ Operazione Barracuda.
 
Nel 1983-84, parte l’ Operazione Manta, dove 3.000 militari affrontano i ribelli armati sostenuti dalla Libia. Due anni più tardi, dopo un attacco anti-governativo, c’è un’ulteriore intervento francese basato soprattutto su attacchi aerei, l’ Operazione Epervier.
 
Nel 1989 nelle Isole Comore, dopo l’assassinio del Presidente Ahmed Abdallah e la presa del potere da parte del mercenario francese Bob Denard, arrivano circa 200 soldati francesi per costringere quest’ultimo e i suoi uomini ad andarsene.
 
Nel 1990, Parigi invia truppe in Gabon, a Libreville e Port-Gentil, per dare man forte al contingente francese locale dopo che erano scoppiati violenti disordini. L’operazione permette l’evacuazione di circa 1.800 stranieri.
 
Nel 1991 ancora nell’allora Zaire, le truppe belghe e francesi riescono a evacuare gli stranieri presenti nel Paese dopo lo scoppio di violenti disordini e saccheggi.
 
Lo stesso anno, le truppe francesi con sede nella Repubblica di Gibuti aiutano i ribelli Afar a disarmare le truppe etiopi che avevano attraversato il confine, in seguito al rovesciamento del Presidente etiope Mengistu Haile Mariam.
 
Nel 1994, mentre gli Hutu del Ruanda massacravano centinaia di migliaia di Tutsi in quello che è stato definito uno dei genocidi peggiori della storia, i soldati francesi e belgi riescono a far rimpatriare gli europei. Sempre quell’anno, circa 2.500 soldati francesi, sostenuti da truppe africane, lanciano l’Operazione Turquoise, un impegno umanitario nello Zaire e nella parte orientale del Ruanda.
 
Nel 1995, un migliaio di uomini coinvolti nell’ Operazione Azalea sventano un altro tentativo di colpo di Stato contro il presidente delle Isole Comore, Said Mohamed Djohar, sempre da parte di Bob Denard.
 
Nel 1996 nella Repubblica Centrafricana, l’ Operazione Almandin garantisce la sicurezza degli stranieri e l’evacuazione di 1600 persone dopo che l’esercito si era ammutinato contro il Presidente Ange-Félix Patassé. L’anno seguente, dopo l’uccisione di due suoi soldati, la Francia autorizza un’intervento contro i ribelli nella capitale Bangui.
 
Sempre nel 1967, circa 1.200 soldati salvano la vita a diversi espatriati francesi e africani trovatisi nel mezzo degli scontri tra l’esercito congolese e i sostenitori del leader militare Denis Sassou Nguesso, attuale Presidente della Repubblica del Congo.
 
Nel 2002, le forze francesi intraprendono l’ Operazione Licorne per aiutare gli occidentali intrappolati in una rivolta militare che ha poi effettivamente diviso la Costa d’Avorio in due regioni.
 
Nel 2003, l’ Operazione Artemis, nella regione Ituri dello Zaire, pone fine ai massacri in corso. In seguito sono state inviate 2.000 truppe per il mantenimento della pace, l’80% dei quali francesi.
 
Nel 2004 la Francia distrugge la piccola aviazione ivoriana dopo che le forze governative avevano bombardato una base francese.
 
Nel 2008 un nuovo intervento rafforza il regime del presidente del Ciad, Idriss Deby, e organizza l’evacuazione degli stranieri, mentre i ribelli del vicino Sudan attaccano.
 
A marzo 2011 le forze aeree francesi sono le prime a bombardare i miliziani di Gheddafi dopo l’autorizzazione da parte delle Nazioni Unite per l’intervento a tutela dei civili coinvolti nella ribellione contro il dittatore libico.
 
Nel 2011, durante le guerra in civile in Costa d’Avorio, le forze francesi e le Nazioni Unite si schierano a favore di Ouattara. La guerra è scoppiata dopo il rifiuto da parte di Laurent Gbagbo di dimettersi e accettare il verdetto delle elezioni, da cui Alassane Ouattara risultava Presidente.
 
La Francia decide poi di porre fine al suo ruolo di “Polizia dell’Africa”, rifiutandosi di intervenire nuovamente nella Repubblica Centrafricana, dove François Bozizé (ex capo dell’esercito salito al potere rovesciando il presidente eletto Ange-Félix Patassé il 15 marzo 2003) era alle prese con la rivolta dei ribelli. Gli ultimi sviluppi in Mali hanno però rilanciato gli interventi militari francesi — come conclude  un altro articolo su Dreuz Info:
 
«A inizio 2013 in Mali, i francesi bombardano i ribelli islamici dopo che questi ultimi hanno cercato di espandere la loro base di potere verso la capitale Bamako. La Francia aveva precedentemente messo in guardia sul fatto che il controllo del nord del Mali da parte dei ribelli poteva rappresentare una minaccia per la sicurezza dell’Europa.
 
Contemporaneamente viene organizza un’operazione di commando per salvare un ostaggio francese trattenuto dai militanti di al Shabaab, in Somalia, alleati tra l’altro di al-Qaeda. L’ostaggio è stato poi uccisodai sequestratori».
 
 

ITALIA: 20 MILIONI DI PERSONE MALATE DI CANCRO E BONIFICHE DI STATO TRUFFA

«50 anni fa si ammalava di tumore un italiano su 30, oggi si ammala un italiano su tre. 
E in futuro se ne ammalerà uno su due» aveva dichiarato due mesi fa a Milano, l’oncologo Umberto Veronesi.Infatti, i dati ufficiali parlano chiaro. Il Rapporto 2014 sui siti inquinati evidenzia un eccesso di mortalità e tumori, nonché estesi territori – compresi i centri urbani – inquinati oltre ogni limite di legge.
Si continua a registrare un eccesso di mortalità, ricoveri e casi di tumore nei siti di interesse nazionale per le bonifiche (Sin), a rischio per l’inquinamento ambientale, mentre nei luoghi dove vi è stata lavorazione dell’amianto aumentano i casi tumorali di mesotelioma pleurico polmonare. Da Casale Monferrato a Taranto, da Gela a Broni, si conferma dunque alto il rischio per la salute dei cittadini. Il dato emerge dall’aggiornamento del Rapporto Sentieri sugli insediamenti a rischio da inquinamento, finanziato dal ministero della Salute e coordinato dall’Istituto superiore di sanità (ISS).
Tuttavia, i dati sono addirittura sottostimati, poiché non hanno preso in esame le vaste aree compromesse dagli occultamenti ecomafiosi, le attività belliche della Nato e delle forze armate United States of America sul territorio italiano.
 
I siti Sin analizzati, spiega il direttore del Dipartimento Ambiente-Prevenzione dell’Iss Loredana Musmeci, «sono stati 18 sul totale di 44, poiché si sono potuti prendere in considerazioni solo i siti per i quali sono disponibili i Registri tumori, ad oggi ancora non uniformemente presenti su tutto il territorio nazionale». Sono stati analizzati anche altri parametri come le schede di dimissioni ospedaliere e l’incidenza generale dei casi di tumore’. Emerge, avverte l’esperta, «un eccesso di morti, ricoveri e tumori in tutti i 18 Sin considerati, con un aumento dei tumori da amianto». Dati che evidenziano l’urgenza di azioni mirate poichè, afferma Musmeci, «c’è un rischio per la salute della popolazione». Per questo, rileva,«bisogna procedere quanto prima alle bonifiche ambientali in tutti i siti, anche se va precisato che l’eccesso nei casi di tumori può essere dovuto a più fattori e non solo a quello dell’inquinamento ambientale».
Il precedente Rapporto 2010 aveva documentato un eccesso di incidenza per cancro in tali aree pari al 9% negli uomini e al 7% nelle donne. Alcuni esempi: nel nuovo rapporto, per il tumore della tiroide in alcuni SIN sono stati rilevati incrementi per quanto riguarda sia l’incidenza (Brescia-Caffaro: + 70% per gli uomini, +56% per le donne; Laghi di Mantova: +74%, +55%; Milazzo: +24%, +40%; Sassuolo-Scandiano: +46%, +30%; Taranto: +58%, +20%) sia i ricoveri ospedalieri. Sempre grazie alle analisi dell’incidenza oncologica e dei ricoverati, inoltre, a Brescia-Caffaro sono stati osservati eccessi per quei tumori che la valutazione della Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro dell’OMS (IARC) del 2013 associa certamente (melanoma) o probabilmente (tumore della mammella e per i linfomi non-Hodgkin) con i PCB (policlorobifenili), principali contaminanti nel sito. L’incidenza di melanoma, infatti, rivela un eccesso del 27% e del 19% rispettivamente tra gli uomini e le donne, mentre i ricoveri ospedalieri per la medesima malattia fanno registrare un eccesso del 52% nel sesso maschile e del 39% in quello femminile.
Ancora: eccessi per mesotelioma e tumore maligno della pleura si registrano invece nei SIN siciliani di Biancavilla (CT) e Priolo (SR), ma anche nei SIN con aree portuali (Trieste, Taranto, Venezia) e con attività industriali a prevalente vocazione chimica (Laguna di Grado e Marano, Priolo, Venezia) e siderurgica (Taranto, Terni, Trieste). Nel SIN di Porto Torres (SS), inoltre, si registrano eccessi di mortalità, incidenza oncologica e ricoveri per malattie respiratorie e tumore del polmone.
La presenza dei siti contaminati è rilevante e documentata in Europa e in Italia. Negli Stati membri della European Environment Agency(EEA) i siti da bonificare sono circa 250.000 e migliaia di questi siti sono localizzati in Italia e 57 di essi sono definiti di “interesse nazionale per le bonifiche” (SIN) sulla base dell’entità della contaminazione ambientale, del rischio sanitario e dell’allarme sociale (DM 471/1999). I 57 siti del “Programma nazionale di bonifica” comprendono aree industriali dismesse, aree industriali in corso di riconversione, aree industriali in attività, aree che sono state oggetto in passato di incidenti con rilascio di inquinanti chimici e aree oggetto di smaltimento incontrollato di rifiuti anche pericolosi. In tali siti l’esposizione alle sostanze contaminanti può venire da esposizione professionale, emissioni industriali e solo in ultimo da suoli e falde contaminate.
In Italia l’impatto sulla salute dei siti inquinati è stato oggetto di indagini epidemiologiche di tipo geografico nelle aree a rischio del territorio nazionale e di singole Regioni, quale la Sardegna. In Italia, oltre a studi epidemiologici, è stata svolta una riflessione metodologica sul tema dello stato di salute delle popolazioni residenti nei siti inquinati (Rapporto Istisan 07/50).
In ogni caso, dopo oltre 20 anni i governi tricolore non hanno ancora proceduto a bonifiche, consentendo alle ecomafie istituzionali di proliferare e speculare. L’Italia così ha perso i mondiali ma ha conquistato il titolo europeo di inquinamento “legalizzato” e genberalizzato.
FONTE TRATTA DAL SITO .

Google vuole entrarci in casa e sarà un ospite ingombrante

25.giu 2014
Con l’acquisizione di Dropcam Google metterà le mani sui sistemi di videosorveglianza per la casa, oltre che sugli impianti antifumo e sui termostati. Pensa anche di assicurarci l’abitazione?
Google voyeur?
Che il colosso dei motori di ricerca voglia rendersi indispensabile è un dato di fatto, ma che addirittura tenti di entrare in ogni casa con i suoi occhi digitali fa venire qualche brivido. Eppure Google è sempre più interessata alla domotica.
Nest, l’azienda di proprietà di Google che produce termostati intelligenti, acquisirà Dropcam per 555 milioni di dollari. La notizia è stata confermata tramite i blog ufficiali delle due interessate, e Google non ha rilasciato commenti, ma questa mossa è un evidente interesse dell’azienda di Mountain View nell’ambito della domotica.
Dropcam infatti produce videocamere wireless e sensori Bluetooth da collegare a porte e finestre per i sistemi di sorveglianza delle Smart Home. In molti si stanno chiedendo il perché di tutto questo interesse di Google, e le possibili risposte sono molteplici. Quella più scontata è che siamo proiettati verso l’Internet delle Cose, una realtà ormai prossima in cui tutto, dagli elettrodomestici alle auto agli impianti di domotica, sarà collegato a Internet.
Google non si ferma ai termostati
Al momento il controllo di Google sulla Rete è capillare, ma per mantenere il suo status con l’avvento dell’Internet delle Cose l’azienda deve allargare le sue competenze ben oltre computer, tablet e smartphone. Avere voce in capitolo su quello che avviene fra le mura domestiche è un passaggio quasi obbligato, perché i servizi Internet stanno per intrecciarsi profondamente con le applicazioni di gestione degli elettrodomestici e non solo.
Qualcuno, a ragione, teme per la propria privacy, perché il Grande Fratello di questo passo rischia di diventare l’Onnipresente Fratello a cui non potremo più nascondere nulla: un prezzo altissimo da pagare in cambio delle commodity.
Google non si fermerà sulla porta di casa
Ma se i piani di Google non si limitassero solo a questo? Lo ipotizza TechCrunch, che ha pubblicato un’interessante riflessione sull’eventualità che Google voglia sviluppare una nuova costola nel settore assicurativo. A pensarci bene, con quello che ha al momento il colosso di Mountain View può collezionare dati provenienti da sensori di fumo, termostati e sistemi di allarme, oltre che sulla collocazione dell’abitazione tramite Maps e Google Earth. Tutti dati che interessano alle assicurazioni per concorrere al calcolo dell’ammontare delle polizze. E probabilmente non è un caso che il settore assicurativo sia fra i maggiori investitori in AdWords.
Non solo: in una relazione pubblicata di recente in collaborazione con BCG India, Google spiega che l’assicurazione è tra le prime cinque categorie di prodotti in cui il web è il canale dominante di acquisto, e che il 75 percento di tutti gli acquisti di assicurazioni avverrà on-line entro il 2020. Insomma abbiamo già affidato a Google molti dei nostri dati, presto ci ritroveremo anche ad affidargli la casa. Altro che Grande Fratello.

http://www.timmylove.altervista.org/web/web.html