L’IMPERO IN COSTRUZIONE: IL DIRITTO USA SI IMPONE SUL TERRITORIO EUROPEO

Postato il Sabato, 14 giugno
  
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DI JEAN-CLAUDE PAYE
 
Mondialisation.ca
 
Il Belgio e gli Stati Uniti hanno appena stipulato un accordo con l’intento di applicare in Belgio una legge americana contro la frode fiscale, il Foreign Account Tax Compliance Act (FACTA).
 
La firma dell’accordo ha avuto luogo questo 23 aprile. Numerosi paesi, quali il Regno Unito, la Francia, la Germania e il Giappone hanno già firmato con gli USA un accordo che applica questa legge sul loro territorio. A partire dal primo gennaio 2015, le istituzioni finanziarie dovranno dichiarare alle autorità americane i movimenti dei conti posseduti da cittadini americani. Dal momento in cui il montante supera i 50.000 dollari o si sono verificati un certo numero di movimenti con il territorio americano, la banca deve fornire un resoconto preciso delle entrate e delle uscite di fondi.
 
Se una banca non si sottopone a questa procedura, tutte le sue attività con gli USA saranno sopratassate fino al 30%. La sanzione può andare fino al ritiro della licenza bancaria negli Stati Uniti.
 
Questi accordi firmati dai paesi membri dell’UE con l’amministrazione americana violano le leggi nazionali di protezione dei dati personali, nonché la Direttiva 95/46/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 ottobre 1995, «relativa alla protezione delle persone fisiche riguardo al trattamento dei dati a carattere personale e alla libera circolazione di questi dati»,direttiva integrata nel diritto di tutti gli Stati membri. L’applicazione del FACTA sul suolo dell’antico continente viola il diritto nazionale dei paesi europei, così come il diritto dell’ UE. Queste legislazioni non sono soppresse, ma sospese. Conviene non tenerne conto nei rapporti con gli USA.
 
Precedenti accordi che legalizzano la raccolta dei dati dei cittadini europei da parte delle autorità USA procedevano ugualmente. Dopo l’attentato dell’11 settembre 2001, Swift, società americana di diritto belga aveva trasmesso clandestinamente, al Dipartimento del Tesoro Americano, decine di milioni di dati confidenziali riguardanti le operazioni finanziarie dei suoi clienti. Malgrado la flagrante violazione dei diritti, europeo e belga, questa confisca non è mai stata rimessa in discussione. Al contrario, l’Ue e gli USA hanno firmato parecchi accordi destinati a legittimarlo [1].
 
Swift era soggetto al diritto belga e a quello della Comunità europea, dal momento che la localizzazione della sua sede sociale è a La Hulpe. Questa società era assoggettata ugualmente al diritto americano dal momento che la localizzazione del suo secondo server (computer, ndt) è sul territorio degli USA, permettendo così all’amministrazione americana di impadronirsi direttamente dei dati. Quindi, la società ha così scelto di violare il diritto europeo, per sottomettersi alle ingiunzioni dell’esecutivo americano. Però, dalla fine del 2009, i dati Swift inter-europei non sono più trasferiti negli Stati Uniti, ma su un secondo server europeo. Ma, se gli americani non hanno più accesso diretto ai dati, questi vengono trasmessi loro, su loro richiesta, in  « pacchetti » e solo essi controllano il processo di elaborazione delle informazioni. Inoltre, appena, firmati gli accordi, gli americani hanno messo delle nuove pretese. L’amministrazione americana aveva già dichiarato nel 2009 « che le transazioni tra le banche europee e americane avrebbero dovuto essere carpite, senza che ci fosse una necessità dimostrata.»
 
Similmente, l’UE non si è mai opposta alla consegna dei dati PNR (Passenger Name Record – codice prenotazione passeggero, ndt) delle compagnie aeree situate sul suo suolo. Le informazioni comunicate comprendono nome, cognome, indirizzo, numero di telefono, data di nascita, nazionalità, numero del passaporto, sesso, ma anche gli indirizzi durante il soggiorno negli USA, l’itinerario degli spostamenti, i contatti a terra, nonché i dati medici. Vi sono riassunte delle informazioni bancarie, quali i metodi di pagamento, il numero della carta di credito ed anche il comportamento alimentare che permette di rilevare le pratiche religiose. L’iniziativa unilaterale americana, di impadronirsi di questi dati, è stata automaticamente accettata dalla parte europea, che ha dovuto sospendere le sue legislazioni per rispondere alle esigenze d’oltre-oceano.[2]
 
Nei due casi, passeggeri aerei e affare Swift, la tecnica è identica. Infatti, non si tratta di accordi giuridici tra due parti, tra due potenze formalmente sovrane. Non esiste che una sola parte, l’amministrazione USA la quale, nei fatti, si rivolge direttamente ai cittadini europei. Nei due testi, il potere esecutivo americano riafferma il suo diritto di disporre dei loro dati personali e esercita direttamente anche la sua sovranità sui cittadini dell’UE.
 
La supremazia del diritto statunitense sul territorio europeo è anche una delle scommesse nelle trattative per la creazione di un grande mercato transatlantico, il Trattato transatlantico sul commercio e gli investimenti (Transatlantic Trade and Investment Partnership – TTIP, ndt).
 
Grazie al TTIP, le imprese americane potranno, in nome della libera concorrenza, querelare uno Stato che gli rifiuta dei permessi per lo sfruttamento del gas di scisto o che impone delle norme alimentari e degli standard sociali. Questo sistema di regolamentazione delle controversie potrebbe permettere agli americani di far cadere dei pezzi interi della normativa europea, creando dei precedenti giuridici di fronte alla giustizia privata americana. Il principio di introdurre un tale meccanismo è stato in effetti accettato dagli Europei nel mandato di negoziato, consegnato a giugno 2013 dai ministri del commercio europei alla Commissione. L’istanza privilegiata per tali arbitraggi è il Centro Internazionale per il regolamento delle controversie relative agli investimenti (ICSID, International Centre for Settlement of Investment Disputes in inglese), organo dipendente dalla Banca Mondiale fondata a Washington, i cui giudici, avvocati d’affari o professori di diritto sono nominati caso per caso: un arbitro designato dall’impresa querelante, uno dallo Stato di Washington, e il terzo dal segretario generale dell’ICSID.[3]
 
Se questa procedura, parzialmente accettata, entrerà in gioco nel quadro del futuro grande mercato transatlantico, il diritto europeo si eclisserà ancora una volta, di fronte ad una giustizia privata situata sul suolo americano, nella quale la parte statunitense giocherà un ruolo determinante.
 
Jean-Claude Paye, sociologo, autore de L’emprise de l’image. De Guantanamo à Tarnac (L’influenza dell’immagine. Da Guantanamo a Tarnac, edizioni Yves Michel novembre 2011, ndt)
 
 
 
28.05.2014
 
Traduzione per www.comedonchisciotte.org a cura di ANNA GRASSO

L’ETICA DEI MEDIA

Postato il Sabato, 14 giugno
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DI NICOLAI LILIN
 
facebook.com
 
Non ho visto nessuno dei media occidentali pubblicare questa foto, questa terribile immagine della bambina uccisa a Slovyansk 8/6/2014, colpita a morte nel corso del bombardamento che l’ “eroico” esercito ucraino ha scatenato contro la popolazione civile. Alcuni mi rispondono “questa foto non può essere pubblicata per la questione etica, l’immagine è troppo cruda”. Però non erano crude le immagini di Gheddafi massacrato o di Saddam impiccato? Oppure quelle immagini andavano bene sulle prime pagine dei quotidiani occidentali perché rappresentano la vittoria assoluta del “bene” sul “male”?
Perché quei uomini erano i cattivi di turno e tutto il mondo doveva vedere che fine hanno fatto? Quindi per i nostri media l’etica è un’opzione facoltativa? Io penso che sulla questione di genocidio ucraino non si può più tacere, non possiamo acconsentire con il nostro obbediente silenzio i crimini ad opera degli oligarchi corrotti di Kiev.
Dobbiamo diffondere l’informazione, dobbiamo dimostrare la vera faccia della politica espansionistica della finanza globale, delle multinazionali che distruggono la legalità, che agiscono contro i valori costituzionali, che calpestano i diritti umani aumentando il profitto.
Nicolai Lilil
13.06.2014

Divieto di critica sui social, la norma fa discutere il Pd

è il Partito democratico, l’incarnazione dell’etica e della giustizia, si autodefinisce democratico non sarà mica quindi dispotico?

facebook

Il “nocumento acostruttivo” (ammesso che si comprenda il significato di una tale espressione) fa discutere il Partito Democratico di Piacenza. E’ l’espressione utilizzata all’articolo 29 del nuovo regolamento provinciale del partito che stigmatizza “i commenti negativi” sui social network da parte degli iscritti. Secondo tale norma, approvata dalla direzione provinciale di lunedì scorso 9 giugno, gli iscritti “responsabili di tali atteggiamenti” sono da deferite alla commissione di garanzia provinciale (che non è stata ancora designata).

L’altra sera la direzione Pd si è protratta fino a tardi e l’ultimo punto trattato è stato proprio la votazione del regolamento. Nell’analisi del testo la minoranza ha richiesto una serie di modifiche che, in parte, sono state accettate. Tuttavia, la richiesta di modifica dell’articolo 29 è stata rifiutata da parte del gruppo dirigente attuale, che ha voluto espressamente che l’articolo contestato rimanesse tale.
Alla fine gli esponenti della minoranza rimasti fino alla fine della direzione si sono opposti o astenuti rispetto alla votazione complessiva. Tra le voci di dissenso anche chi sottolinea che il Pd ha già un codice etico e che il diritto di critica, anche sui social, vada comunque preservato senza inutili forme di intimidazione.

Di seguito il testo dell’articolo contestato

ART. 29 – NORME SPECIALI PER L’ATTIVITÀ DEL PARTITO

Gli iscritti al Partito Democratico della Federazione Provinciale di Piacenza debbono astenersi da commenti negativi e acostruttivi rivolti al Partito Democratico stesso nella persona dei singoli Segretari di Circolo, di Unione di Vallata, di Unioni d’Area o del Segretario/a Provinciale tramite social network o altri mezzi di informazione telematica e/o mediatica in generale se non hanno prima richiesto idonea convocazione del Circolo di riferimento e affrontato, in tale sede, e discusso le tematiche e gli argomenti che lo pongono in conflitto com il Partito stesso.

Nel caso che gli iscritti non procedano nella predetta discussione, ma procedano direttamente alla pubblicazione sui social network dei commenti negativi e volti a portare nocumento acostruttivo al Partito Democratico gli iscritti e le iscritte resisi palesemente responsabili di tali atteggiamenti verranno deferiti al Presidente della Commissione di Garanzia dell’Unione Provinciale /Territoriale di Piacenza che procederà in forza di quanto previsto dal Codice Etico del Partito Democratico.

http://www.piacenzasera.it/politica-provinciale/divieto-critica-sui-social-norma-fa-discutere-pd.jspurl?id_prodotto=48946&IdC=1093&IdS=1093&tipo_padre=0&tipo_cliccato=0&com=c

GLI AIUTI USA IN ARMI LETALI AI “RIBELLI SIRIANI” NON ERANO DESTINATI ALLA SIRIA, MA AL GRUPPO ISLAMISTA NON RICONOSCIUTO DA AL KAIDA. DESTINAZIONE IRAK. PER SMEMBRARLO.

Sembra paradossale, ma la situazione si fa finalmente più chiara ed era nell’aria da qualche tempo, al punto che mi sono azzardato a prevedere azioni durante il Ramadan ( vedi post precedente). A quanti sembrava incomprensibile che gli USA stessero trattando con Iran e Russia ( su tavoli separati) per trovare un nuovo equilibrio nel Levante e dall’altro rifornissero la ribellione con nuove moderne armi negate in precedenza, adesso comincia a capire. Un gruppo armato equivalente a una divisione si è materializzato lanciandosi verso la città di Mossul ( la biblica Ninive) ed occupandola quasi senza incontrare resistenza.

Alcuni enigmi si rivelano non più tali:

a) la armi letali di cui ai comunicati ufficiali destinate ai ” ribelli siriani” erano in realtà destinate a questi “ribelli siriani”.

b) L’area occupata è la vecchia area sunnita fedele a Saddam Hussein ( Tikrit inclusa) ed è presumibile che vecchi partigiani pro Saddam abbiano aiutato – o almeno non ostacolato – l’attacco a Mossul ( mezzo milione di abitanti), nel cuore del distretto petrolifero arabo ( l’altra parte del nord Irak è curda).

In mancanza di Aleppo, Mossul potrebbe essere la capitale di un nuovo stato.

c) la zona, ripeto, è sunnita – come la zona curda a nord che però non è stata investita benché per gli attaccanti sarebbe stato logisticamente militarmente più sicuro operare a ridosso della frontiera turca – segno evidente di una tacita intesa coi curdi e quindi di una non intesa coi turchi a meno di un intervento diretto americano in materia. Il vantaggio per i curdi sarebbe la nascita di uno stato cuscinetto che aumenterebbe la separazione dal governo centrale e renderebbe impossibile un intervento militare del governo centrale contro eventuali secessionisti.

D’ altra parte, nessuno sarebbe così matto, nemmeno un islamista furente a Ramadan ( che inizia martedì), da penetrare in territorio nemico facendosi accerchiare da solo: i “ribelli” si sono insinuati tra due fasce di territorio iracheno, lungo il corso dell’Eufrate e lo hanno fatto solo se certi che uno dei lati non li avrebbe attaccati. Quello curdo.

d) I” ribelli” sono certamente dotati di armi antiaeree sofisticate e portatili, altrimenti il governo iracheno avrebbe usato la sua superiorità aerea per schiacciarli o almeno ritardarne l’avanzata. Per quanto indebolito, il governo Al Maliki dispone di forze superiori ai 10.000 volontari dell’EIIL che si dice siano sul campo e con interventi aerei mirati – di cui non si ha notizia – avrebbe potuto facilmente averne ragione, come è accaduto in Siria.

e) Il Washington Post di oggi attribuisce l’ottimo armamento dei ribelli alla presa di Mossul dove gli islamisti, secondo il giornalista, avrebbero saccheggiato l’arsenale. Evita di spiegare come e con quali armi avrebbero conquistato la città.

Segno evidente che hanno qualche traccia di imbarazzo a spiegare che le armi sono state usate per fini diversi da quelli autorizzati dal Congresso ( dove il senatore Mc Cain sarà lieto di chiudere un occhio).

f) Il numero di diecimila volontari fa pensare ai 10.000 volontari reclutati nei campi profughi in Giordania e addestrati dalla CIA come comunicato ufficialmente, ma mai giunti al fronte siriano in appoggio a chi combatteva contro Assad. ( vedere mio post del 6 giugno 2013 con un capoverso sui diecimila guerriglieri) .

Coincide il numero, l’addestramento, l’armamento e l’interesse della casa reale Giordana, imparentata con i reali iracheni trucidati ( Faisal e la moglie assieme al primo ministro Nuri el Said) nel 1958 dal generale Kassem che inaugurò la grande stagione dei golpe militari in Irak. Inoltre, appena occupato l’Irak, nacque una ipotesi monarchica di piazzare lo Zio del Re di Giordania sul trono. L’ipotesi tramontò per via di una violenta manifestazione antimonarchica di cui anche la RAI diede conto.

L’operazione Mossul è , come direbbero gli americani, ” double folded” ossia ha due obiettivi antitetici quanto basta per essere certi di raggiungerne almeno uno.

Da una parte fa pentire amaramente Il premier iracheno Nuri Al Maliki , sciita, d’essersi liberato dalle truppe USA che avrebbero assicurato la protezione dell’Irak e del suo regime. L’intesa naufragò per il rifiuto di Al Maliki di riconoscere lo status di non giudicabilità ai militari americani da parte dei tribunali iracheni. ( ….)

Il premier iracheno potrebbe adesso chiedere aiuto e consentire agli USA di tornare a presidiare in forze quel territorio per il quale hanno fatto ben due guerre, ma solo a prezzo di una umiliazione cocente in un paese in cui l’onore vale più della vita. Ma sempre meglio che soccombere, dico io.

L’altro obiettivo è più ambizioso: mutilare l’Irak ed unire il territorio così ottenuto alla fascia di Siria che comprenderebbe il territorio a est di Deir El Zohr e fino ai bordi di Aleppo e metterlo sotto una qualche forma di protettorato della monarchia Giordana ( o dei turchi) che verrebbe così compensata dai territori palestinesi persi nel ’48( con Israele) e da perdere ora ( con Abbas).

Questa sistemazione potrebbe far comodo anche ad Assad dato che gli lascerebbroe intatti i territori alauiti la cui popolazione percentualmente aumenterebbe rispetto ai sunniti residui che rimarrebbero nelle zone sottoposte al Baath.

La perdita dei campi petroliferi, sarebbe ampiamente compensata dai giacimenti in mare di gas di Leviathan e di Tamar ( vedasi la cartina del post precedente).

Ne nascerebbe uno stato nuovo sviluppato lungo il corso del fiume Eufrate, a conduzione sunnita, capace di interrompere la continuità territoriale sciita costituita da : Iran, Siriani, Hezbollah che toglie il sonno ai saudo-americani.

I territori siriani e Iracheni della Mezzaluna fertile sarebbero così suddivisi ciascuno in tre parti, dando vita a cinque nuovi staterelli,( più i preesistenti Libano, Giordania; Yemen, A. Saudita e i 6 emirati) tutti abbastanza ricchi di petrolio e gas, ma nessuno abbastanza forte da impensierire militarmente Israele o commercialmente gli USA.

Il loro stesso numero ne garantirebbe la litigiosità permanente e quindi la necessità di un arbitro. Un mercato enorme per esportare di tutto e per sfruttare le estrazioni petrolifere senza più subire i ricatti mercantili o nazionalisti subiti finora.

Segnali distonici: tensione alla frontiera turca: tra i cinque nuovi arrivati, c’è lo stato curdo ( con l’ Irak impedito a intervenire direttamente data l’esistenza del nuovo stato cuscinetto). Includerà o non includerà il Kurdistan turco? Come reagirà l’Iran? Assad accetterà , obtorto collo, l’accordo o chiederà compensazioni in Libano dove l’elezione del nuovo presidente aspetta di avere via libera.

Tensione in Arabia Saudita dove una eventuale crescita politica o territoriale della dinastia Hashemita giordana ( scacciata nel 1928 dalla Mecca dal fondatore della dinastia Abd el Aziz)non verrebbe vista di buon occhio, se non previo accordo con Israele, il convitato di pietra, dove la colomba Peres ha appena lasciato il posto all’ex ministro degli esteri Reuven Rivlin un falco con un compito immane: recuperare la credibilità incrinata dalla presidenza Katsav e dalla premiership Netanyahu.

Antonio De Martini
Fonte: www.corrieredellacollera.com
12.06.2014

PRONTI PER LA PROSSIMA CRISI – DICE LA BANCA MONDIALE

sarà colpa dei tedeschi….

Postato il Sabato, 14 giugno
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 “E’ il momento di prepararsi per la prossima crisi”, dice la Banca Mondiale e come avverte il FMI il mercato immobiliare è bloccato.
L’ORO oggi ha chiuso a USD 1,261.75 – EUR 932,90  – UKL 749,66  per oncia.
 
L’ORO ieri  ha chiuso a  USD 1,262.50 – EUR 932,63  – UKL 751,76  per oncia.
 
L’ Argento è sceso a USD 19.21/oz.
 
I mercati sono nervosi, gli asiatici sono al ribasso e le Borse europee oscillano per l’andamento dell’economia e per il prezzo globale del petrolio, di nuovo in aumento, questa volta, laescalation di violenza in Iraq.
 
IL VALORE DEL PALLADIO IN DOLLARI NEGLI ULTIMI 20 ANNI (Thomson Reuters)
 
Il prezzo del palladio sta tornando ai valori più alti degli ultimi 13 anni, giovedì, per problemi di consegna dovute alle agitazioni sindacali in Sud Africa e per il rischio di contrazione dell’offerta dalla Russia, si è dovuto acquistare da industria e investitori. Il metallo prezioso ha superato ogni resistenza e ha travolto la quotazione di USD 862,50 l’oncia e ieri è arrivato al livello più alto dal febbraio 2001.
 
Il record nominale di gennaio 2001 era 1.095 dollari per oncia, e questo sembra il prezzo intorno a cui si attesterà nelle prossime settimane data la precaria equazione esistente tra offerta e domanda. Tuttavia, il prezzo del palladio è cresciuto di quasi il 20% quest’anno e i recenti guadagni sono il segnale di una correzione che potrebbe essere imminente.
 
Militanti sunniti hanno invaso la città irachena di Tikrit ed hanno chiuso la più grande raffineria di petrolio iraquena, facendo altri guadagni con la loro rapida avanzata militare contro il governo a guida sciita di Baghdad.
 
L’escalation improvvisa e rapida del conflitto in Iraq mostra quanto sia volatile ed instabile l’intero Medio Oriente ed il rischio geopolitico che provene dall’Iraq, dal Medio Oriente, dall’Europa orientale e dalle principali potenze economiche mondiali che dovrebbero sostenere il prezzo dell’oro.
 
Il FMI mette in allerta sul Crollo Immobiliare – La banca Mondiale dice ” Ora è il momento di prepararci per la Prossima Crisi”
 
Ieri, il FMI e la banca Mondiale hanno mandato degli avvisi sull’economia globale.
 
Il Fondo Monetario Internazionale (FMI) ha avvertito che il mondo deve prendere azioni per contenere il rischio di un’altra devastante crisi del mercato immobiliare. La Banca Mondiale ha avvertito che le anticipazioni su un rialzo dei tassi di interessi farà riprendere le crescita globale quest’anno – e probabilmente anche i prezzi delle case.
 
“Non siamo ancora usciti del tutto dalla foresta” ha allertato Kaushik Basu, Senior Vice President della Banca Mondiale e chief economist “adesso è l’ora di prepararci per la prossima crisi.”
 
L’avvertimento dal FMI è arrivato con la pubblicazione dei nuovi dati che indicano che i prezzi delle case sono ben al di sopra della media storica in molti paesi, come riporta ilFinancial Timesdi oggi. Il dato mostra come una accelerazione dei prezzi delle case in molti paesi – da livelli precedentemente già alti – sta emergendo come uno dei maggiori rischi per la stabilità dell’economia globale.
 
 
Financial Times
 
I prezzi delle case “rimangono ben al di sopra delle medie storiche nella maggioranza dei paesi” in relazione a redditi e affitti,  ha detto la scorsa settimana Mr. Zhu in un discorso alla Bundesbank, che è stato reso noto solo mercoledì per il suo scontro con un annuncio della Banca Centrale Europea: “Questo è vero per esempio in Australia, Belgio, Canada, Norvegia e Svezia.”
 
 
 
Financial Times
 
Sulla scia della recessione globale i banchieri centrali hanno portato i tassi d’interesse ai minimi storici, spingendo i prezzi delle case ad un livello che il FMI considera un rischio significativo per molte economie. Non si è fatta nessuna menzione delle bolle immobiliari in nessun centro finanziario come New York o come laLondra della bolla immobiliare.
 
I chiari avvertimenti inviati dalle due istituzioni non sono state riportate da gran parte dei media finanziari non di settore e la maggioranza del pubblico non ne sa niente – come non sanno niente nemmeno gli acquirenti di case a rischio in molti paesi.
 
Il Capo degli economisti della Banca Mondiale sta lanciando un avviso importante per gli investori e per i risparmiatori, quando dice “ora è tempo di prepararsi per la prossima crisi.”Un modo importante per farlo sarebbe tenere ben al sicuro le riserve in Oro :  Le 7 precauzioni da prendere perle riserve dell’ORO.
 
 
 
12.06.2014
 
Il testo di questo articolo è liberamente utilizzabile a scopi non commerciali, citando la fonte comedonchisciotte.org e l’autore della traduzione Bosque Primario.

FERMARE FARAGE AD OGNI COSTO

Postato il Domenica, 15 giugno

E ora tocca a Nigel Farage. Prima era considerato piu’ che altro un personaggio folcloristico, in fondo utile perchè serviva a dimostrare che il pluralismo esiste. Ma dopo il successo alle europee, l’establishment non può più permettersi di trattarlo con sufficienza. Inizia a temerlo, dunque va ostacolato. Come? Applicando lo stesso metodo usato contro altri leader fuori sistema.

Alle urne? Macché, quando si andrà a votare Farage dovrà già essere stato neutralizzato. Occorre agire prima e siccome l’eliminazione fisica fortunatamente è sconsigliabile (anche se qualche anno fa, Farage è già stato vittima di un misterioso incidente aereo), si ricorre alla delegittimazione.
Negli ultimi giorni è iniziato lo stillicidio di insinuazioni: lo hanno accusato di avere un’amante, sperando di provocare una crisi coniugale, ora ci provano con i finanziamenti elettorali, scoprendo un peccatuccio assai veniale, ma che è stato annunciato dai media con grande clamore, ventilando addirittura una condanna penale con conseguente condanna a un anno di prigione, mentre in realtà la vicenda si concluderà al massimo con una multa.
Il merito delle accuse è irrilevante, conta il clamore mediatico, dunque l’enfasi con cui lo “scandalo” viene presentato al pubblico al fine di spezzare l’aura vincente di Farage, far sorgere il dubbio che non sia il politico nuovo e fuori dagli schemi ma, sotto sotto, un politico come gli altri.

Non è detto che ci riescano. Farage è riuscito a trionfare nonostante sia stato accusato in modo del tutto improprio di razzismo ed è possibile che riesca a superare queste e altre probabili insinuazioni. Ma il metodo è lo stesso usato in Italia contro Silvio Berlusconi, Umberto Bossi, Beppe Grillo, in genere contro tutti i pericolosi “populisti”.

Grillo finora l’ha sfangata, pur avendo subito pesanti insinuazioni. Berlusconi è stato vittima di più di un complotto come ha dimostrato addirittura l’ex ministro del Tesoro Geithner. Bossi è crollato quando, anche a causa della malattia, ha consegnato il partito a moglie, figlio e accoliti i quali si sono fatti cogliere con le mani nel sacco su episodi marginali ma moralmente indegni. In un Paese dove c’è chi ruba centinaia di milioni di euro nell’indifferenza generale, l’opinione pubblica si indigna per la Porsche del Trota o i diamanti, dal valore di poche decine di migliaia di euro, passati da una cassa all’altra. Scandali mediaticamente fenomenali. Non esigono spiegazioni, parlano da sè.

Ora tocca a Farage; l’impressione è che – come con Grillo – i suoi nemici non abbiano solidi argomenti contro di lui. Ma Farage “vale” molto più di Bossi, Berlusconi o Grillo. Perché sta diventando il simbolo europeo della lotta all’establishment. Affascina anche fuori dai confini. E per questo va fermato e la sua immagine distrutta. Non finisce qui, temo.

Marcello Foa
 
Fonte: http://blog.ilgiornale.it/
 
Link: http://blog.ilgiornale.it/foa/2014/06/14/fermare-farage-ad-ogni-costo/
 
14.06.2014

‘Kiev usa il fosforo bianco’

e che ci faceva quello di Scotland Yard in Ucraina?

Drammatici video fanno ritenere che i militari ucraini abbiano sganciato bombe incendiarie su Slavyansk. La guerra dell’Est verso un’ulteriore escalation? Allarme russo.

da RT.com.

I residenti di Slavyansk e dei suoi sobborghi sono stati svegliati giovedì notte da quelle che riferiscono essere bombe incendiarie sganciate dalle forze armate di Kiev. Testimoni e reportage dei media locali hanno suggerito che si potrebbe trattare di bombe al fosforo bianco.
Gran parte del villaggio di Semyonovka, fra i sobborghi di Slavyansk, è stato dato alle fiamme. Le persone del luogo hanno riferito a RT che il suolo non smetteva di bruciare per diverso tempo.
«Lo abbiamo visto tutti, quel che è successo qui, ieri. Hanno usato lanciarazzi e bombe incendiarie contro di noi. Il suolo era in fiamme. Come può la terra bruciare da sola? È bruciata per circa quaranta minuti», ha dichiarato a RT un residente, Roman Litvinov.

«A partire dalle due del mattino, tutti quelli che ho incontrato accusavano mal di gola e tosse per tutto il tempo. Penso che sia dovuto alla combustione. Temo che proveremo le vere conseguenze più avanti. Ci sono ancora un sacco di persone qui, tra cui molti bambini che ancora non siamo riusciti a mandare da qualche altra parte», dichiara Tayana, una signora del luogo.

L’uso di bombe incendiarie – finalizzato a causare incendi attraverso l’utilizzo di materiali come il napalm, il fosforo bianco o altri agenti chimici pericolosi – è rigorosamente vietato dall’ONU. Le autorità di Kiev hanno smentito i servizi giornalistici sul fatto che tali armi siano state impiegate contro i civili. Anche la Guardia nazionale ha smentito che siano state usate munizioni al fosforo.

Durante l’ultima conferenza stampa, la portavoce del Dipartimento di Stato- Jen Psaki – ha fatto di tutto per scansare la domanda di un giornalista della AP circa l’impiego di bombe al fosforo bianco da parte dell’esercito di Kiev. Ma una volta con le spalle al muro, si è lasciata sfuggire che non aveva abbastanza elementi in merito alla situazione sul terreno, affermando perfino che pensava si stesse parlando di russi che usavano quelle bombe.
Una volta che le è stato chiesto conto per la seconda volta di queste notizie, Psaki ha replicato: «Da chi? Da parte dei russi?». Il giornalista ha ribattuto: «No, da parte degli ucraini», precisando che esistono prove in video e in foto dell’attacco.
La Psaki ha risposto: «No, non ho mai visto tali servizi».

Slavyansk, una città industriale nel sud-est dell’Ucraina con una popolazione di oltre 100mila abitanti, ha rappresentato sin qui un punto focale della repressione del governo centrale contro la regione. La zona residenziale della città è stata regolarmente sottoposta al fuoco dell’artiglieria ucraina per settimane.

«All’apparenza qualcosa di almeno simile, se non proprio lo stesso fosforo bianco, è stata utilizzata nel corso della nottata di giovedì. Ho visto il video e l’ho osservato da vicino… ci sono tutti i segni e gli indizi sull’uso di fosforo bianco. Ad esempio, i fortissimi bagliori legati agli incendi che calavano dal cielo. È stata certo usata un’arma airburst, lanciata da un mortaio o da un aero con equipaggio». Così dichiara a RT Charles Shoebridge, ex ufficiale dell’esercito, detective di Scotland Yard, nonché funzionario dell’intelligence per l’antiterrorismo, da poco tornato dall’Ucraina.
«Il fosforo bianco non può essere spento con l’acqua» e «brucerà un corpo fino all’osso», ha aggiunto Shoebridge. «Nel caso che se ne usino grandi quantità può essere anche un veleno. Grandi quantità sono in grado di contaminare anche l’approvvigionamento idrico».
In base al video «è molto probabile che sia stato usato fosforo bianco, ha proseguito Shoebridge. «È assai difficile riuscire ad alterare il video che abbiamo visto, se lo combiniamo con le prove sul campo».
Mosca ha chiesto un’indagine immediata sulle notizie riguardanti l’uso di bombe incendiarie, ha riferito il Ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov.
«Siamo molto preoccupati dalle notizie che sentiamo, secondo cui le forze armate ucraine utilizzano bombe incendiarie e alcune altre armi indiscriminate», ha affermato Lavrov. «Queste notizie debbono essere immediatamente vagliate».
Giovedì la Russia ha presentato una bozza di risoluzione al Consiglio di sicurezza dell’ONU che condanna gli attacchi indiscriminati contro i quartieri residenziali e le strutture civili nell’Ucraina sudorientale, ha rivelato Vitaly Churkin, ambasciatore russo all’ONU. Ha altresì espresso apprensione sui reportage che riferiscono l’utilizzo di munizioni vietate, comprese le bombe incendiarie, nel corso della repressione militare.
La bozza di risoluzione si appella all’immediata interruzione di ogni violenza e a un cessate il fuoco duraturo.
‘Kiev usa il fosforo bianco’. L’allarme all’ONU
«Il progetto di risoluzione punterà a fermare la violenza e a sostenere gli sforzi politici che l’OSCE ha finora intrapreso invano. Chiediamo al Segretario generale dell’ONU che le sostenga», ha dichiarato Churkin, aggiungendo che solo l’approvazione di questa risoluzione dimostrerebbe il sostegno del Consiglio di sicurezza dell’ONU agli sforzi intesi a regolare la crisi.

Fonte: http://rt.com/news/165628-ukraine-incendiary-bombs-phosphorus/

Traduzione per Megachip a cura di Matzu Yagi.

Fonte: http://megachip.globalist.it/
Link: http://megachip.globalist.it/Detail_News_Display?ID=105217&typeb=0&-Kiev-usa-il-fosforo-bianco–L-allarme-all-ONU
13.06.2014

Il neocolonialismo francese e la defenestrazione del presidente della Costa d’ Avorio Gbagbo

http://www.sibialiria.org/wordpress/?p=2565

  La defenestrazione e l’arresto del Presidente della Costa d’Avorio Laurent Gbagbo nell’aprile del 2011 ad opera dell’esercito francese si configura – secondo il giudizio di tutte le fonti indipendenti riportate più sotto in appendice – come un vero colpo di stato – ammantato di false motivazioni “umanitarie” – attuato per difendere gli interessi neo-coloniali della Francia.
Questa vicenda si iscrive in un quadro di innumerevoli interventi simili (anch’essi riportati sinteticamente in appendice) con cui la Francia, massima potenza coloniale dell’Africa settentrionale ed occidentale, dopo essere stata costretta a concedere l’indipendenza ad una serie di sue ex-colonie, ha cercato di mantenerne l’effettivo controllo economico e politico. Anche l’attacco ad un paese indipendente come la Libia attuata dal Presidente Sarkozy, che pure non era stata una colonia francese, si iscrive in questo quadro.
Sarà utile quindi ricordare per sommi capi la storia della Costa d’Avorio (il vero gioiello dell’ex-impero coloniale francese in quanto paese più ricco dell’Africa occidentale) a partire dal conseguimento dell’indipendenza ottenuta nel 1960.
Dopo questa data, per oltre 30 anni, dal 1960 al 1993, il paese è stato controllato dal Presidente-padrone Felix Houphouet-Boigny, stretto alleato e garante degli interessi dell’ex potenza coloniale, la Francia, che tuttora continua a controllare tutta l’economia della Costa d’Avorio, ed in particolare la produzione e l’esportazione del cacao, di cui il paese è il massimo produttore mondiale. Le compagnie monopolistiche francesi ne ricavano circa 2,5 miliardi di Euro l’anno.
La gestione autoritaria ed asservita alla Francia di Houphouet-Boigny fece sorgere movimenti anticolonialisti e di opposizione. Uno di questi è il Fronte Popolare Ivoriano (FPI), di tendenze socialiste, fondato nel 1982 da un professore di storia dell’università di Abidjan, Laurent Gbagbo, divenuto poi Presidente con le elezioni del 2000 come vedremo più avanti.
Gbagbo, più volte arrestato in C. d’Avorio, fu poi costretto all’esilio in Francia dal 1982 al 1988, dove godeva di una certa protezione da parte del Presidente socialista Mitterand (ultimo Presidente francese a mantenere almeno una patina di “sinistra”) e dove strinse amicizia con vari esponenti socialisti come Labertit ed Emanuelli. Il Fronte Popolare Ivoriano aderì infatti all’Internazionale Socialista, da cui verrà espulso solo molti anni dopo quando i poteri forti francesi ed internazionali avranno già deciso la defenestrazione di Gbagbo.
Nel 1990, in seguito ad una grave crisi economica dovuta alla caduta del prezzo del cacao, Houphouet –Boigny nomina come Primo Ministro l’economista Alassan Quattarà, vice-direttore del Fondo Monetario Internazionale, e già vice-direttore della Banca Centrale degli Stati Africani dell’Ovest (BCEAO). Quattarà (che diverrà in seguito l’implacabile nemico di Laurent Gbagbo), convinto monetarista e liberista (ha studiato all’Università di Pennsylvania negli USA) e uomo di fiducia della grande finanza internazionale , attua una durissima politica di austerità e promuove numerose privatizzazioni che favoriscono le grandi compagnie francesi.
Tra i beneficiari della politica di Quattarà ricordiamo France-Telecom che guadagna il monopolio delle telecomunicazioni, la soc. Bouygues che guadagna il monopolio dell’acqua e dell’energia idroelettrica di cui la C. d’Avorio è ricca, e la soc. monopolista del cacao e del cioccolato, la Barry-Collebaut.
Quattarà ha fondato il partito Repubblicani della C. d’Avorio (RDR) forte tra le tribù musulmane del Nord al confine con il Burkina-Faso (dove il noto Presidente progressista ed anti-colonialista Thomas Sankara è stato assassinato già nel 1987) e tra i numerosi immigrati dallo stesso Burkina-Faso. Il Sud del paese, dove si trova la città più importante di Abidjan, è invece cristiano.
Alla morte di H.-Boigny, Quattarà viene escluso dal potere – a causa di una lotta intestina – dal delfino del vecchio presidente, Bediè, che assume la presidenza all’insegna della cosiddetta “Ivorità” che esclude dal voto i cittadini di origine straniera (circa il 25% della popolazione), ma nel 1999 Debiè è cacciato da un colpo di stato militare diretto dal generale Guei.
Nel 2000 Guei e Laurent Gbagbo si confrontano in elezioni contestate e caratterizzate da disordini. Alla fine prevale Gbagbo che diviene Presidente grazie soprattutto all’appoggio delle etnie del Sud e della popolazione di Abidjan. Il programma socialisteggiante di Gbagbo prevede la promozione di un sistema di istruzione pubblico gratuito e di un servizio sanitario nazionale. Gbagbo inoltre rivendica una maggiore autonomia ed indipendenza economica del paese ed offende il Presidente francese Chirac rifiutandosi di recarsi a rendergli omaggio a Parigi.
I Francesi assumono Quattarà come loro uomo di fiducia. Nella notte tra il 18 ed il 19 settembre 2002 mercenari di vari paesi (Liberia, Burkina Faso, Sierra Leone) addestrati ed armati dai Francesi invadono alcune regioni del Nord della C. d’Avorio in nome di Quattarà, dove trovano appoggio tra le tribù locali, dando origine ad una guerra civile che – tra alti e bassi – durerà fino all’11 aprile del 2011, data della caduta di Gbagbo.
Già nel corso del 2002 i ribelli stanno per essere sopraffatti dall’esercito ivoriano, ma i Francesi (le cui truppe non hanno mai lasciato la C.d’Avorio sin dal giorno dell’indipendenza), con la scusa di interporsi, li aiutano a superare la crisi bloccando le truppe fedeli a Gbagbo e facendo affluire su autocarri dell’esercito francese armi e rinforzi per i ribelli dai paesi limitrofi. L’operazione delle truppe francesi è definita “Operazione Licorne”.
Nel gennaio del 2003, su pressioni della Francia, si raggiunge un accordo tra le parti (accordi di Linas-Marcoussis) e viene nominato un governo di riconciliazione nazionale guidato dal Primo Ministro Seydou Diarra, ma gli accordi falliscono essenzialmente per il rifiuto dei ribelli di disarmarsi e la guerra riprende. Intanto è creata il 13 maggio 2003 una missione “di pace” dell’ONU (MINUCI) costituita essenzialmente da soldati francesi, già autorizzati ad intervenire a partire dal 4 febbraio, e con la partecipazione di truppe africane francofone (CEDEAO).
Nel 2004, in seguito ad uno strano “incidente” da molti considerata una provocazione deliberata, aerei governativi bombardano per “errore” un accampamento francese uccidendo 9 soldati. La rappresaglia francese distrugge completamente l’aviazione governativa indebolendo il governo.
Nel 2005 e 2006 Gbagbo riceve dall’ONU e dall’Unione Africana l’autorizzazione a continuare a governare, anche dopo la fine del mandato, in attesa di stabilizzare la situazione.
Nel 2007 viene tentato un nuovo accordo. Il portavoce dei ribelli Guillaume Soro, uomo di fiducia di Quattarà e dei Francesi, è nominato Primo Ministro e nel governo entrano vari esponenti dei fronti armati ribelli ( MPCI, MPIGO, MJP). Si affronta il problema di assicurare piena cittadinanza agli immigrati presenti specie al Nord, come richiesto dall’opposizione. Ma i ribelli non disarmano e successivamente la guerra riprende.
Nel 2008 è scoperto nel golfo di Abidjan un enorme giacimento petrolifero che si aggiunge alle ricchezze di cui il paese abbonda (gas, ferro, cobalto, oro, diamanti, manganese, bauxite, rame, cacao, caffè, frutta tropicale, mais, zucchero, cotone, gomma, energia idroelettrica, ecc.). Gbagbo fa capire che la francese Total non ha il diritto di gestire il giacimento, ma che deve mettersi in concorrenza con compagnie russe, cinesi ed indiane, che offrono condizioni migliori. Gbagbo dichiara anche che i grandi lavori pubblici non sono appannaggio automatico di aziende francesi, ma che saranno oggetto di gare d’appalto cui possono partecipare anche Cinesi o Giapponesi, o altri. Vengono inoltre alzati i dazi sull’esportazione del cacao, fatto che danneggia le compagnie francesi esportatrici
Nel 2010 si raggiunge un nuovo accordo e vengono indette nuove elezioni in cui il 31 ottobre Gbagbo risulta in testa al primo turno con il 38% contro il 32% di Quattarà. Nel ballottaggio del 28 novembre la “Commissione Elettorale Indipendente” (dove i sostenitori di Quattarà sono in maggioranza) dichiara vincitore Quattarà con il 54,1% contro il 46,9% di Gbagbo. La Corte Costituzionale, fedele a Gbagbo, però annulla i risultati in molti collegi del Nord controllati militarmente dai ribelli dove sarebbero avvenuti gravissimi brogli e dove i voti plebiscitari per Quattarà sono in numero superiore agli stessi votanti iscritti negli elenchi. E’ segnalato il caso di un collegio elettorale in cui si sono avuti 160.000 voti (tutti per Quattarà) contro un numero di aventi diritto di appena 5000. La Corte dichiara vincitore Gbagbo, mentre il Presidente francese Sarkozy, la UE, la Sig.ra Ashton, Ban Ki-Moon, Barak Obama, ecc. dichiarano di riconoscere la vittoria di Quattarà . I’ex-Presidente del Sud-Africa Thabo Mbeki prende invece posizione a favore di Gbagbo.
La guerra riprende con intervento diretto della Francia che ha avuto un mandato dal Consiglio di Sicurezza dell’ONU per l’eliminazione delle “armi pesanti” (Risoluzione 1975). L’esercito francese (come farà anche nel caso della Risoluzione per una “No Fly Zone” in Libia) interpreta questo mandato a modo suo bombardando solo le truppe fedeli a Gbagbo, colpendo lo stesso palazzo presidenziale ad Abidjan ed infine dando l’assalto al bunker dove si trova Gbagbo. Il Presidente viene catturato dai Francesi e poi consegnato agli uomini di Quattarà insieme alla moglie Simone. Molti suoi sostenitori sono uccisi o torturati. Durante l’avanzata dei ribelli, favorita dalle truppe francesi, le popolazioni delle etnie fedeli a Gbagbo (Betè e Guerè) subiscono massacri come quello di Duekouè, dove 800 civili sono uccisi, molte volte bruciati vivi, le donne violentate e i loro bambini sgozzati.
Ma sono Gbagbo e la moglie a finire davanti alla Corte Internazionale dell’Aja, quella Corte nota per perseguitare senza remissione tutti i nemici della NATO (come Serbi e simili), ma nota anche per dichiarasi “incompetente” se ad essere denunciati sono militari della NATO (come quelli che uccisero deliberatamente 15 giornalisti della TV Jugoslava).
Senza voler considerare Gbagbo un santo, quanto sopra scritto mostra chiaramente per quali motivi e da chi l’ex-Presidente ivoriano è stato defenestrato. Tutta la vicenda getta un’ombra livida su tutto l’operato del Neo-Colonialismo francese, già attivo in Libia, Siria, Mali e molti altri paesi, come riportato più sotto in appendice.

Enzo Brandi (Redazione di Sibialiria)

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APPENDICE 1: LE FONTI:

Le fonti da cui è tratto questo articolo sono, oltre alle normali fonti giornalistiche cartacee e on-line, Wikipedia, ecc., alcuni testi specifici, tra cui:

-Charles Onana, noto scrittore e saggista indipendente franco-camerunense -“Cote d’Ivoire, le Coup d’Etat”, libro scritto nel 2011, con la significativa prefazione dell’ex-Presidente del Sud-Africa indipendente Thabo Mbeki.
-Tony Akmel – “La Francia in Costa d’Avorio. Guerra e Neocolonialismo”.
-M. Koulibaly , già Presidente dell’Assemblea Nazionale Ivoriana – “La Guerre de la France contre la Cote d’Ivoire” , 2003.
-Gary K. Busch, noto commentatore statunitense che opera sul sito Octonus.net in cui sono stati commentati anche i fatti della C. d’Avorio.
-Silvestro Montanaro – “La Francia in Nero”, servizio TV3 del 2013 facente parte del programma “C’era una volta”.

E’ utile che ricordare, che dopo la trasmissione del servizio di Montanaro, l’ambasciatore ivoriano a Roma ha contattato la RAI minacciando ritorsioni economiche verso ditte italiane. Forse sarà una caso, ma subito dopo (Settembre 2013) il programma scomodo di Montanaro, autore di inchieste scottanti, è stato cancellato dalla RAI.

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APPENDICE 2: I PRECEDENTI:

In questa appendice sarà utile ricordare sinteticamente gli ultimi interventi del Neo-Colonialismo francese in Africa e altrove, solo relativamente agli anni più recenti:

-Gabon/1964, Ciad/1972, Congo/1978, Rep. Centroafricana/1979, Niger/1983-1984, Isole Comore/1989, Gabon/1990, Congo/1991, Gibuti/1991, Ruanda e Congo/1994, Isole Comore/1995, Rep. Centroafricana/1996, Costa d’Avorio/2002, Congo/2003, Costa d’Avorio/2004, Ciad/2008,ecc.

Ed inoltre, più in dettaglio:

– Libia 2011
La Francia il 19 marzo 2011 inizia unilateralmente l’ intervento militare contro la Libia di Gheddafi; solo dopo interviene tutta la Nato.
In occasione dell’ assassinio di Gheddafi, ottobre 2011, escono “voci”, riprese anche dal Corriere della sera, che l’ uccisione di Gheddafi dopo che era stato catturato è stata eseguita da un agente francese

-Costa d’Avorio 2011
Nel 2011, durante le guerra in civile in Costa d’Avorio, le forze militari francesi intervengono a favore di Ouattara. La guerra civile è scoppiata dopo il rifiuto da parte del presidente Laurent Gbagbo (inviso a Parigi) di dimettersi e accettare il verdetto delle elezioni, da cui Alassane Ouattara (sostenuto dalla Francia) sarebbe risultato Presidente (a meno di evidenti brogli).

– Mali 2013
La Francia l’ 11 gennaio 2013 informa di avere iniziato operazioni militari in Mali. Una presenza tuttora attiva.
Il 10 gennaio 2011 il Consiglio di Sicurezza ONU aveva deliberato che in Mali doveva intervenire una forza multinazionale a guida africana; i militari dell’ UE avrebbero dovuto fornire solo aiuti logistici.
Solo dopo “il fatto compiuto” francese, ONU e UE approvano l’ intervento militare del paese occidentale. Questa eventualità, prima l’ intervento poi l’ approvazione ONU, non rientra in quello che è previsto dal Cap. VII della Carta ONU.

-Siria 2012-2013
Sarkozy nel febbraio 2012 fonda il gruppo “Amici della Siria” che coordina gli interventi dei paesi occidentali e del Golfo in aiuto all’ opposizione siriana armata da loro sostenuta finanziariamente e militarmente.
30 agosto 2012, in Consiglio di Sicurezza la Francia cerca di fare passare la proposta di zone cuscinetto e “corridoi umanitari” presidiati militarmente, ma la cosa non viene approvata per l’opposizione di Russia e Cina.
31 agosto 2013, Hollande aveva già ordinato ai suoi cacciabombardieri di colpire in Siria, ma viene fermato all’ultimo momento dall’accordo USA-Russia.

– Nucleare, Iran ed Israele 2013
La Francia nel novembre 2013 blocca l’ accordo tra Iran e i paesi (5 + 1) che trattano sul nucleare iraniano.
La settimana successiva Hollande in Israele dichiara che terranno ferma la loro posizione contro l’ accordo, aprendo inquietanti scenari di tensione internazionale e di guerra.

-Attualmente altre truppe francesi stanno operando anche nella Repubblica Centrafricana dove sono in corso scontri tra gruppi cristiani e musulmani.

Al via la missione in Oriente di Matteo Renzi: visita la Piaggio delocalizzata in Vietnam

Renzi Piaggio Hanoi, 12 giu –

Non ha scelto la via della seta Matteo Renzi per il suo viaggio istituzionale in Asia. Non ha scelto nemmeno la rotta seguita da Marco Polo, diretto verso il magnifico Catai, probabilmente perché in questi giorni di bufere giudiziarie è saggio evitare rimandi veneziani. Ha seguito, quindi, la scia dei mercati moderni, industriali, tecnologici e quotati in borsa; quei mercati che garantiscono investimenti e delocalizzazioni, acquisizioni di aziende e, soprattutto, l’acquisto di percentuali considerevoli di debito pubblico da parte di Paesi esteri. Si va in Asia a parlar d’affari, quindi nessuna sosta in India nell’agenda di viaggio; ai marò ancora in attesa, da due anni, di conoscere la propria sorte ci sarà spazio giusto per un saluto dal finestrino dell’aereo.

Renzi è andato in oriente a consegnare in mani laboriose e cervelli fini parte del destino economico del nostro Stato; portandosi appresso imprenditori di fiducia e una corte di giornalisti, pronti a raccontare sui media nazionali la brillante missione strategica del leader, il “Magnifico non eletto”, infallibile tanto in politica interna quanto in quella estera. Ma non si dica che il premier honoris causa viaggi verso oriente al solo scopo di vendere debiti e incassare promesse di investimenti, non sia mai.

Al contrario, al principio della missione ha inteso ricordare al mondo di rappresentare, per volontà divina, una nazione operosa, produttiva, ricca di ingegno, e ha dunque deciso di rendere onore a un marchio storico del made in Italy: la Piaggio. Lo ha fatto visitando lo stabilimento nella provincia nord di Vinh Puch, posando con gli oltre 850 operai vietnamiti e la rappresentanza tricolore, affidata a Colaninno senior, volato in Vietnam per l’occasione . Il tutto con buona pace di cassintegrati, esodati e licenziati del gruppo Piaggio. Per loro niente lavoro e 80 euro in busta paga, dovranno accontentarsi di fare statistica e contribuite ad aumentare quel debito pubblico da rivendere. Nel frattempo, in Vietnam, Charlie fa vespe.

Francesco Pezzuto
http://www.ilprimatonazionale.it/2014/06/13/al-via-la-missione-in-oriente-di-matteo-renzi-visita-la-piaggio-delocalizzata-in-vietnam/

Ius Soli: Renzi ha scelto Prato come banco di prova

diritti per tutti, dice il neosindaco Biffoni. Infatti a Prato i disoccupati italiani NON HANNO DIRITTO A NIENTE, in perfetta filosofia piddina e non solo.
Disoccupati, sfrattati, esodati, pensionati che frugano nei cassonetti NON ESISTONO. Eguaglianza moderna.
Assessorato alla concorrenza SLEALE che, per il profitto, mette in pericolo la vita dei cinesi in quanto non saranno contrastate e controllate le fabbriche cinesi (è razzismo) per cui è giusto che, se i cinesi sono abituati a essere reclusi in stanzoni dove dormono, mangiano ed allevano figli continuino così. Se poi succedono incidenti pazienza. Non si può controllare i capannoni. Le fabbriche italiane o chiudono o delocalizzano, lasciando dietro di se disoccupati e i più fortunati, cassintegrati. Curioso come a nessuno questo “buonismo”, proprio da parte di un partito come il Pd, devoto solo a lobbisti ed affaristi, sia così “generoso” e disinteressato sul tema immigrazione. Mentre al contempo tratta con sommo sprezzo gli italiani che non sono capaci a far spesa e se disoccupati è perché non hanno saputo combinare nulla di buono nella vita.



Prato, 13 giu – Prato diventerà la città sulla quale sperimentare lo Ius Soli. Il chiaro segnale è arrivato nella giornata odierna dal nuovo Sindaco Matteo Biffoni, che ha modificato il nome dell’Assessorato all’Immigrazione in Assessorato alle Politiche per la cittadinanza.

Matteo Biffoni, renziano della prima ora, proverà a trasformare il Comune toscano nel banco di prova per le future politiche dell’attuale Presidente del Consiglio che, già ai tempi in cui era Sindaco di Firenze, fece partire la richiesta di una legge sullo Ius soli. Non ci sono quindi più dubbi sulle motivazioni che spinsero Renzi in piena campagna elettorale a definire quella di Prato l’emblema della sfida alle amministrative per il Partito Democratico.

Non si prospetta niente di buono, quindi, per la città della lana, già definita capitale italiana dell’immigrazione a causa degli oltre 30.000 stranieri regolari residenti (tralasciando, quindi, l’immigrazione clandestina), pari al 17% della popolazione cittadina. La scelta filoimmigrazionista del nuovo Sindaco, d’altronde, era già percepibile dalla scomparsa dell’Assessorato alla sicurezza, ovverosia di quell’assessorato che meglio aveva operato nel contrasto alla criminalità e all’illegalità cinese. La linea politica scelta da Biffoni sembra quindi non tener conto delle forti problematiche riscontrate di recente – tutti ricorderanno per esempio la tragedia del dicembre scorso, nella quale persero la vita sette cinesi.

Sfogliando le linee programmatiche del mandato del sindaco renziano possiamo leggere: “la Prato di domani non potrà essere che inclusiva, la città è e sarà di chi la vive indipendentemente dal luogo di nascita o dal paese di provenienza dei genitori”. Cristallino.

Nota Bene: stavo leggendo il documento programmatico di Biffoni quando ho trovato questa dicitura: La Prato dei diritti di tutt*. Dopo LA Presidente della Camera, il Sindaco che inserisce gli asterischi per evitare presunte differenze di genere. E io che fino a qualche tempo fa pensavo che queste storture della lingua italiana appartenessero solo agli “antagonisti” dei centri sociali…

http://www.ilprimatonazionale.it/2014/06/13/ius-soli-renzi-ha-scelto-prato-come-banco-di-prova/