PER LA PRIMA VOLTA NELLA STORIA INGLESE MODERNA, SCONFITTI SIA I LABURISTI CHE I CONSERVATORI: FARAGE LI HA SCHIANTATI!

poveri mercati, povere banche, arrivano i “cattivi” euroscettici, ora il mondo pimberà di nuovo nel medio evo ed in guerre fraticide….ci coglierà la peste e si avvererà ogni cataclisma….l
unedì 26 maggio 2014
Toni non dissimili da quelli della stampa francese sulla vittoria di Marie Le Pen si ritrovano questa mattina sulla stampa britannica, dopo il successo eclatante dell’Ukip, il partito euroscettico guidato da Nigel Farage (29%).
 
 “L’Ukip giubila mentre l’Europa vira a destra”, titola il Times, mentre il Guardian prevede un “terremoto politico” dopo la vittoria elettorale europea dell’Ukip. Per il Telegraph la “tempesta Ukip” al voto europeo “terrorizza l’establishment politico”, mentre La Bbc più prosaicamente parla di “vittoria storica” di Farage e sottolinea la scomparsa dei liberaldemocratici britannici dallo scenario politico.
 
Il Daily Mail riassume bene la situazione con un’immagine dell’incontenibile gioia di Nigel Farage: “L’esercito del popolo è in marcia”, annuncia il leader euroscettico che “ha umiliato” Tories e Labour e distrutto i LibDem. Per l’Independent il partito di Nigel Farage ha costruito il suo successo sulle elezioni locali raddoppiando i suoi seggi al Parlamento europeo.
 
L’apparente paradosso infatti è che alle elezioni locali l’Ukip ha fatto progressi ma non ha sfondato, rimanendo la quarta forza e non aggiudicandosi il controllo di alcun municipio: evidentemente, ha però sfruttato il fatto di costituire l’unico sfogo per un voto anti-europeo che dopo lo scoppio della crisi finanziaria in tutta la sua virulenza si è esteso anche ad elettori che alle politiche o alle amministrative avrebbero votato altri partiti. Sia come sia, conservatori e laburisti hanno preso sul serio la minaccia rappresentata dal partito di Nigel Farage: tanto per cominciare, il ministro del lavoro Iain Duncan Smith ha annunciato domenica di voler dimezzare da sei a tre mesi il periodo di tempo in cui gli immigrati provenienti dai Paesi dell’Ue potranno godere dei benefit sociali.
 
E la vittoria dei partiti populisti e nazionalisti in Europa da’ “un duro colpo” al progetto europeo. Lo scrive il ‘Financial Times’ nella sua edizione online a commento delle elezioni europee. Un successo senza precedenti per i partiti anti Ue che “si riflettera’ ben oltre la politica di Bruxelles”, scrive ancora il Ft nella sua edizione cartacea, in cui definisce le elezioni europee “il maggior esercizio di democrazia al di fuori dell’India”. Per Nigel Farage, il leader dell’Ukip leader, il risultato – e’ la prima volta che nel Regno Unito un partito diverso dai laburisti e dai conservatori vince le elezioni dal 2010 – rappresenta “un terremoto”, come titola anche il Guardian.
 
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LA UE ”VOTA” IN UCRAIANA: ATTACCO AEREO DI KIEV ALL’AEROPORTO DI DONETSK (MORTI)

la cara amata Ue che si deve difendere a tutti i costi….ora c’è l’oligarca giusto al potere, ha già detto che farà le riforme lacrime e sangue (di quello ormai a fiumi ne fa scorrere la Ue delle banche)

26 maggio – Donetsk – Due elicotteri da combattimento ucraini hanno colpito il terminal principale dell’aeroporto di Donetsk, occupato dai separatisti filo-russi. Una nuvola di fumo nero e’ visibile nel cielo, hanno riferito i giornalisti sul posto. L’attacco è avvenuto senza alcun preavviso, è stato un atto di aggressione, si prevedono molte vittime. 

http://www.ilnord.it/b-2466_LA_UE_VOTA_IN_UCRAIANA_ATTACCO_AEREO_DI_KIEV_ALLAEROPORTO_DI_DONETSK_MORTI

Curzio Maltese, Lista Tsipras: “Dall’Italia nascono speranze per l’Europa”

“Risultato miracoloso, Berlusconi fuori dai giochi. Bene aver ridimensionato 5 stelle perché non offre alternative”. Il commento di Curzio Maltese a Repubblica Tv
http://video.repubblica.it/dossier/elezioni-europee-2014/curzio-maltese-lista-tsipras-dall-italia-nascono-speranze-per-l-europa/167084/165571

Che dire, Barbara Spinelli che partecipa al Bilderberg con Mario Monti.
Curzio Maltese che tessé le lodi per la tecnocrazia bancaria europea, UN GRAN CAMBIAMENTO contro l’austerità……

L’ITALIA LABORATORIO DELLA TECNOCRAZIA CHE GUIDERA’ L’EUROPA
http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=10168

Curiose queste frequentazioni, soprattutto quando di solito vi è grande attenzione a fare l’analisi biografica e storica di chiunque decida di affiancarci.
In questo caso, va bene così. Contro l’austerity ma insieme ai banchieri? Mah.

LA PACCOTTIGLIA (Note sul non-programma di Tsipras)

di Paolo Giussani
 
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24 maggio. «Nell’immondo bordello in cui l’Europa è precipitata si sentiva proprio il bisogno di altre anime belle, di qualcuno candido e ingenuo, che portasse sulla scena un po’ di calore umano e di spirito da educanda. Ed ecco venire in soccorso la lista Tsipras per le elezioni europee, nella quale i pii desideri si mescolano mirabilmente con l’ignoranza delle cose del mondo e con un dolce spirito da agnello sacrificale, differente da quello di una certa parte dei popoli di oggi, certo sempre volti al sacrificio ma più come recalcitranti pecore nevrotizzate.
 
Il programma di Tsipras, diffuso anche in milioni di volantini distribuiti nelle abitazioni, si compone di dieci punti, tutti di carattere economico. Una solenne novità, questa, perché sino all’altro ieri molti dei sinistri e dei loro intellettuali “di massa” minimizzavano le faccende economiche nascondendole dietro quelle politiche, sia perché di cose economiche normalmente non capiscono nulla sia perché la cosiddetta politica offre l’illusione di maggiore libertà di movimento e quindi di leaderismo.
 
Sviluppo e Austerity
 
Anche se la successione dei dieci punti non segue un ordine logico cerchiamo di seguirlo noi in modo da cercare di avere un quadro coerente. Il primo punto riguarda l’austerity:
 
“1. L’Austerità è una medicina nociva somministrata al momento sbagliato con devastanti conseguenze per la coesione della società, per la democrazia e per il futuro dell’Europa.”
 
Nel programma di Tsipras l’austerity non è esattamente definita. Ancor meno è spiegato perché la classe dominante europea è stata ed è unanimemente e compattamente favorevole all’austerity. Questa mancanza è un peccato perché, oltre ad aggirare un punto cruciale, con la frase “somministrata al momento sbagliato” potrebbe lasciar intendere che esiste anche un momento giusto per somministrare l’austerity, il che rende strettamente necessario sapere cosa esattamente l’austerity sia. Ma tant’è…Possiamo presumere che l’austerity consista nel mix di riduzione della spesa pubblica, privatizzazioni dei servizi sociali e precarizzazione dei rapporti di lavoro che da svariati decenni è la normale politica adottata da tutto il mondo in tutte le circostanze, tanto più durante la Great Recession del 2007-2008 e la crisi dell’euro. Bene, se è questa, quali sono le conseguenze per la coesione della società, per la democrazia e per il futuro dell’Europa di cui Tsipras teme?
 
Innanzitutto, cos’è mai la coesione della società e quando una società cessa di essere coesa? Quando c’è in corso una rivoluzione e la/le classe/i sociale/i dominata/e si rifiuta/no di essere tale/i oltre e cerca/no di far fuori la classe sino ad allora dominante instaurando un nuovo ordine sociale e politico. Non esiste altro modo per una società di non essere più coesa ossia andare in pezzi. È chiaro che una società non è un pezzo di stoviglia e non può frantumarsi in assoluto. Quindi Tsipras è preoccupato dalle conseguenze rivoluzionarie, a lungo termine si presume, dell’austerity? È così?
 
Democrazia? Cos’è la democrazia? Esattamente quel sistema politico che ha consentito e consente ai governanti di impiantare cose tipo l’austerity e altre ancor peggiori – tipo fascismi, nazismi, colpi di stato, guerre locali e mondiali, distruzioni delle vite delle persone etc. Non c’è nessun altro tipo di democrazia proposto nei programmi di Tsipras o altri. Il fatto stesso che Tsipras si presenti alle elezioni, in particolare a elezioni così ridicole come quelle per il ballo in maschera di Strasburgo, dimostra la sua totale adesione a questa democrazia, con quello che ne consegue.
 
Il futuro dell’Europa? Lo slogan contenuto nel simbolo elettorale di Tsipras è “L’altra Europa”, di conseguenza Tsipras dovrebbe essere contento di tutto ciò che mette in pericolo il futuro dell’Europa, di questa Europa, aprendo magari la via al sorgere di quella nuova di cui lui si presenta antesignano. Se l’agente dell’austerity è l’Europa, e l’austerity è ciò che mette in forse il futuro dell’Europa, una volta tolta di mezzo l’Europa si dovrebbe poter evitare l’austerity visto che il suo autore è sparito. Questo secondo la logica…
 
In qualche modo Tsipras riconosce che il problema grosso è la recessione in cui l’economia europea, soprattutto quella dell’Eurozona, è piombata. L’argomento è affrontato nei punti due, tre e quattro del programma:
 
“2. L’Europa potrebbe e dovrebbe prendere in prestito denaro a basso interesse per finanziare un programma di ricostruzione economica focalizzato sull’impiego, sulla tecnologia e sull’infrastruttura
 
 3. La banca centrale europea dovrebbe seguire l’esempio delle Banche Centrali degli altri paesi e fornire prestiti a basso interesse alle banche se queste accettano di fare credito a piccole e medie imprese”
 
4. L’Europa dovrebbe mobilitarsi e ridirigere i Fondi Strutturali per creare significative possibilità d’impiego per i cittadini. Laddove i limiti fiscali degli stati membri sono stretti, i contributi nazionali dovrebbero essere azzerati”
 
I punti due e quattro sono completamente incomprensibili, il punto tre è basato su di un meraviglioso scambio fra causa ed effetto, oggi molto frequente nei commentatori “di sinistra”, e nessuno dei tre mostra un millimetro di avanzamento nella comprensione delle cause tanto della crisi in corso quanto della tendenza alla sparizione di qualsiasi crescita economica ormai in atto da decenni.
 
“L’Europa dovrebbe prendere a prestito capitali a basso interesse”: ma chi è qui “l’Europa”? Gli stati europei, la commissione di Bruxelles, l’euroburocrazia? I capitalisti europei? Mah?! E, prendere in prestito presso chi? La Bce? Il mercato dei capitali? [Chiedo scusa per tutti questi punti di domanda ma è difficile trovarci qualcosa di univoco e non interpretabile] Prendere a prestito significa aumentare il deficit e il debito pubblico: prima però bisogna fare completamente a pezzi tutti i trattati che hanno posto tali limiti. Tuttavia il punto quattro menziona i “limiti fiscali” degli stati – una cosa che non esiste o meglio esiste solo negli stati europei perché imposta artificialmente dalla UE mediante i trattati e la volontà delle nazioni più forti– e i punti cinque e sette (che vedremo) lo ribadiscono mentre in tutto il programma i trattati non sono neppure menzionati: è evidente che Tsipras li accetta come accetta che si guida a destra. E per essere l’alfiere di un’altra Europa non c’è davvero male.
 
E cos’è la ricostruzione economica? Focalizzare gli investimenti sull’occupazione e non sui profitti? E chi accetterebbe e praticherebbe una cosa del genere? Ovviamente solo gli stati potrebbero. E gli altri, i non beneficiati dal programma, quelli che p.es. un impiego ce l’hanno, cosa ne penserebbero? Alla fin fine il programma, niente di più e niente di meno di un programma per mantenere in qualche modo i disoccupati, dovrebbe gravare sul bilancio pubblico. E se, invece, si pensa che questo gravame non ci sia e che si possa liberamente spendere (investire) denaro creato dalla banca centrale senza conseguenze perché si rimane così limitati e non si dichiara invece apertamente che è possibile un programma per generare occupazione permanente di livello medio per tutti?
 
Cosa vuol dire “focalizzato sulla tecnologia”? Quale tecnologia? Per fare cosa? Sono i capitalisti che hanno sempre svolto il ruolo di creare nuovi mezzi di produzione che incorporano le nuove tecnologie. Vogliamo forse sostituirci a loro? Nel caso fosse così sarebbe un punto interessante e dunque perché non dichiararlo apertamente visto che questa sarebbe l’essenza della proposta. Se invece non la si intendesse così, perché allora dirlo del tutto, visto che in sé e per sé non significa nulla. (Non illudiamoci: è solo una deduzione del tutto involontaria e imprevista da parte di Tsipras).
 
“Focalizzato sull’infrastruttura”: terreno minato. Anche la Tav, cui gli Tsipras italiani sono contrari, è un’infrastruttura: del tutto rovinosa, ma pur sempre un’infrastruttura. Se non si specifica con grande precisione quali infrastrutture si vogliono e quali no e perché, allora è necessario non scrivere proprio niente.
 
Il clou è sicuramente il punto 3: “La banca centrale europea dovrebbe seguire l’esempio delle Banche Centrali degli altri paesi e fornire prestiti a basso interesse alle banche se queste accettano di fare credito a piccole e medie imprese”. Uno che scrive frasi del genere palesemente non sa assolutamente nulla di quello di cui sta parlando. Sembra che le banche centrali degli “altri paesi” – tipo la Fed, la Bank of England, la Bank of Japan etc. il cui esempio la Bce dovrebbe seguire -siano impegnate da mane a sera a sottomettere il proprio credito alle banche alla condizione che codeste lo girino a loro volta alle piccole e medie imprese. Una favola più favola di questa è difficile ascoltarla, anche di questi tempi. Non solo le banche centrali non fanno né possono fare nulla del genere ma, soprattutto, non sono minimamente le banche a costituire un ostacolo al credito alle aziende produttive quanto la totale mancanza di interesse di queste ultime nel richiedere alcun tipo di credito. A desiderare capitale monetario in credito sono solo le aziende in via di fallimento, ed è ovvio che nella maggior parte dei casi non lo ricevano date le nulle prospettive di restituzione. La altre hanno tutte notevoli riserve liquide assieme a considerevoli scorte di invenduto e portafogli di ordini abbastanza magri: per quale motivo mai dovrebbero domandare credito? Per aumentare la propria capacità produttiva già ampiamente eccedente? In giro non c’è nessuna domanda di credito che ecceda l’offerta: al contrario, come si osserva dai tassi di interesse fissati saldamente ai loro minimi storici. Il pregiudizio popolare da secoli incolpa il credito e le banche ogniqualvolta le crisi economiche erompono, ma, nonostante le credenze tanto diffuse quanto infondate, nei confronti della sfera produttiva il credito ha una funzione più che altro passiva: ad es. nella Great Recession prima sono calati i profitti, poi gli investimenti, quindi i business loans e alla fine il credito interbancario. Ma praticamente tutti quanti credono sia vera la sequenza opposta, naturalmente senza avere mai controllato.
 
Il fatto è che a Tsipras e a gran parte dei sinistri di oggidì le tendenze immanenti del capitalismo contemporaneo restano del tutto misteriose. Il fenomeno più spettacolare e più determinante, ossia il declino del tasso di accumulazione (ossia della crescita del capitale produttivo) tanto in assoluto che in relazione ai profitti realizzati -anche e soprattutto nella magna Germania -, per i sinistri è sconosciuto e misterioso nelle sue cause. Perché il capitalismo contemporaneo sia vieppiù inabile a generare investimenti produttivi e come questo si connetta alla finanza speculativa e a tutto il resto è, per i Tsipras e tutti quanti, un enigma avvolto in un mistero. Cui naturalmente non possono dare nessuna risposta; e mancando una risposta si autoconsolano con delle frasi sulle banche tratte dal vieto senso comune.
 
 
Debito pubblico e Banca Centrale
 
La Great Recession ha mostrato al mondo come la cosiddetta “responsabilità fiscale” degli stati sia un’invenzione della propaganda mediatica e, anzi, non abbia alcuna possibilità di esistere. Il debito pubblico in rapporto al Pil del Regno Unito è raddoppiato in 24 mesi, quello degli Usa è aumentato del 60%, quello giapponese, già il più alto del mondo, di un altro terzo, e così via. Tuttavia Tsipras crede una tale cosa esista e debba esistere:
 
“5. L’Europa necessita di un sistema fiscale che assicuri la responsabilità fiscale sul medio termine e allo stesso tempo permetta agli stati membri di usare lo stimolo fiscale durante una recessione.”
 
Usare lo stimolo fiscale, sì ma quanto? E chi nell’Unione Europea attuale dovrebbe decidere sull’aumento della spesa in deficit? E una volta che lo stimolo fiscale sia stato usato e abbia innalzato il debito pubblico, poniamo come quello britannico nella Great Recession, chi decide quanto e come riportarlo verso lo stato iniziale? E come? Con dei tagli di spesa? E, nel caso, quali? Se vuoi avere l’euro non puoi avere ciò che chiede Tsipras giacché l’euro è una divisa congegnata in modo tale da rivalutarsi continuamente nei confronti delle altre e quindi deve essere separata dagli stati e dei governi. Per quello che chiede Tsipras occorre che l’euro venga tolto di mezzo. E, va aggiunto, è indispensabile che i debiti pubblici attuali vengano cancellati almeno in gran parte, altrimenti la fine dell’euro con il mantenimento dei debiti pubblici provocherebbe un disastro di proporzioni sovrabibliche oltre a ripresentare tutti i problemi attuali magari aggravati dalle svalutazioni violente che inevitabilmente subirebbero le nuove divise nazionali dei paesi più deboli. 
Tuttavia Tsipras si accontenterebbe di una banca centrale europea che fosse “come le altre”: ma fino ad ora le “altre”– e siamo a sette anni dallo scoppio della crisi -non hanno minimamente evitato l’austerity né, men che meno, sono riuscite a riportare il capitalismo su di un percorso di crescita definibile seria. Ma l’erba del vicino continua a essere sempre più verde.
 
“6. Una vera e propria banca europea che possa prestare denaro come ultima risorsa per gli stati-membri e non solo per le banche.
 
Il legame diretto fra Tesoro e Banca Centrale è stato da tempo reciso in tutti i paesi, in gran parte per predisporre un terreno più favorevole al funzionamento del capitale speculativo che teme la monetizzazione del debito pubblico, come spesso viene chiamata. Ciononostante il Tesoro può sempre essere finanziato dalla Banca Centrale per vie traverse ad es. facendo acquistare i titoli in emissione da determinate banche che si incaricano di girarli immediatamente alla Banca Centrale. La Bce questo lo ha certo fatto essendoci di mezzo la vita, ma lo può fare con molto maggiore difficoltà, perché non è il dipartimento bancario di un certo stato e perciò riceve direttamente le spinte e le pressioni della finanza speculativa, ed è soggetta all’esistenza della divisa comune che ha creato il meccanismo per cui trasferimenti di capitale monetario a favore di uno stato risultano come sottrazioni di capitale monetario agli altri stati e massimamente alla Germania, che nell’eurozona è diventata con la crisi l’importatore principe di capitale. Anche qui, siamo di nuovo al punto di partenza, se si vuole una vera e propria banca centrale che fornisca direttamente capitale monetario al proprio governo occorre prima avere un governo da cui la banca centrale possa emanare ossia non avere quello che c’è oggi. Ma, essendo questa prospettiva inaccettabilmente sovversiva, è meglio rifugiarsi nel volemose bene:
 
“8. Vogliamo una Conferenza del Debito Europeo per l’Europa. In questo contesto, si dovrebbero usare tutti gli strumenti politici disponibili, inclusi i prestiti dalla Banca Europea come ultima risorsa oltre alla istituzione di un debito sociale europeo, come gli Eurobond, per sostituire i debiti nazionali.”
 
Gli Eurobond? Va be’ che i tedeschi sono pur sempre tedeschi, ma perché dovrebbero accettare gli eurobond? Ricevono capitali da tutta Europa e dovrebbero accollarsi il peso dei debiti degli altri stati? Se avessero voluto aiutare gli altri paesi europei non avrebbero mai accettato né la Ue né, ancor meno, l’euro. A parte il fatto che è arduo capire cosa la locuzione “debito sociale europeo” possa voler dire (perché “sociale”?), ancor più avversi di politicanti e capitalisti a un debito comune, a trasferimenti ad altri paesi e anche alla politica monetaria della Bce che osa acquistare titoli dei Piigs sono proprio i lavoratori semplici, e più di ogni altri i lavoratori più pauperizzati, che nella magnificente Germania sono ben un quarto della manodopera. Costoro sono addirittura inferociti, non certo contro i propri padroni e/o governanti, ma contro i lazzaroni terroni che popolano i Piggs, sui quali sono disposti ad accettare qualsiasi menzogna se non direttamente a fabbricarsele da sé. All’interno dell’eurozona i conflitti non sono fra i governanti ma fra i popoli lavoratori delle varie nazioni, conflitto che viene molto accentuato dall’esistenza della divisa comune. Fra le altre cose, è anche il meraviglioso risultato di secoli di sinistra, di sessant’anni di Ue, di quindici anni di euro e Bce, e di quasi sette anni di crisi. Con l’aggiunta di una spruzzatina di vergognoso e volgare habitus degli intellettuali di sinistra i quali, totalmente incapaci di parlare e di avere un rapporto umano con la gente normale, da essi intimamente disprezzata, concepiscono i lavoratori salariati come una indistinta massa di esseri allo stesso livello di intelletto e personalità degli animaletti domestici, bisognosi di un padrone o di un istruttore, che non sono in grado di pensare ed agire se non nelle forme meccanicamente ricevute dal padrone o istruttore. La logica reazione istintiva dei lavoratori a questo trattamento è che tutte le cose “di sinistra” siano solo giaculatorie false e pretestuose che servono solo a coprire svariate forme di parassitismo.
 
E perché i prestiti della Banca Centrale intesi come “ultima risorsa”? Se si tratta dell’ultima risorsa vuol dire che nel funzionamento normale sono i mercati dei capitali a finanziare il debito pubblico degli stati europei, e la Bce interviene solo in extrema ratio: esattamente quello che è successo con la crisi. E nulla di molto diverso da ciò che Trichet e Draghi hanno praticato (e teorizzato). Tsipras non ha neppure il coraggio di chiedere un audit generale sul debito pubblico, come è stato chiesto da svariati altri in Europa, per stabilire quali eventuali parti del debito vadano rigettate e non più rimborsate. Accetta il debito così com’è, lo vuole solo convertire in eurodebito, per ragioni misteriose lo chiama “sociale”, e ciò facendo spera di apparire alfiere di un’Europa “diversa”.
 
Commercio intraEuro.
L’appello all’amore universale prosegue:
 
“7. I paesi in surplus dovrebbero lavorare quanto i paesi in deficit per correggere il bilanciamento macroeconomico all’interno dell’Europa. L’Europa dovrebbe richiedere azioni dai Paesi in surplus sotto forma di stimolo, per alleviare la pressione unilaterale sui Paesi in deficit.”
 
Tsipras viene da un paese deficitario, con la bilancia corrente in disavanzo, è ovvio che dica questo. I paesi che hanno la bilancia in surplus pensano, ovviamente l’esatto opposto. Si badi bene, non sono i governanti a pensare questo o quello, ma sono soprattutto i popoli, e in questi massimamente i lavoratori, e fra i lavoratori, prima di tutti i più poveri e derelitti, che in Germania sono all’incirca un quarto della manodopera, e che, dal loro punto di vista, non hanno intenzione di cedere un centesimo ai maledetti Piigs (notoriamente popolati di sfaticati che secondo le statistiche dell’Ilo lavorano assai più dei tosti nordici). Tuttavia non si riesce a capire cosa precisamente viene chiesto ai paesi in surplus per favorire il bilanciamento macroeconomico (espressione non del tutto chiara ma che probabilmente intende l’equilibrio commerciale). Si richiede loro “uno stimolo”? Quale stimolo? Lo stimolo fiscale è difficile capire cosa c’entri con il bilanciamento a meno che non si creda che l’aumento della spesa pubblica in deficit dovrebbe innalzare il tasso di inflazione interno tedesco e per questo tramite ridurre le esportazioni e il surplus commerciale. Forse intende uno stimolo salariale che dovrebbe ottenere lo stesso effetto aumentando il costo unitario del lavoro. E perché i capitalisti tedeschi dovrebbero accettare questi consigli Tsiprasiani? Diminuire le proprie vendite all’estero e/o aumentare i salari diminuisce i profitti: perché dovrebbero i businessman tedeschi ridursi volontariamente i profitti? Per amore dell’eurostabilità? Prima di tutto a codesti figuri dell’eurostabilità non frega nulla, e comunque assai meno dei propri profitti; e in secondo luogo, per loro euro e Ue vogliono esattamente dire aumento dei profitti mediante la diminuzione dei salari, come è precisamente stato negli ultimi venticinque anni.
 
Secondo certuni manuali di storia sarebbe piuttosto compito dei lavoratori imporre un aumento dei propri salari, ma proprio il fatto che uno dei loro presunti rappresentanti, Tsipras appunto, chieda sommessamente ai loro padroni di aumentarli un pochino, siate gentili bitte, se no magari ci succedono cose brutte, beh! proprio questa scena patetica ci dice un po’ tutto.
 
La faccenda della bilancia commerciale è poi di scarsissima importanza. Molto inchiostro è stato e ancora viene sparso sull’argomento come se fosse stato l’accumulo di squilibri commerciali interni all’eurozona a mandare in crisi l’euro. 
 
Non è minimamente così. Le bilance correnti fra i paesi dell’area dell’euro non sono mai state in equilibrio, ma dal 1999 al 2008 questo ha perfettamente coesistito con un livello medio degli spread pari a zero. Gli spread fra i saggi di interesse sui titoli di stato della Germania e dei Piigs sono esplosi di colpo dal nulla quando il debito pubblico greco è stato dichiarato non garantito e questo ha provocato una gigantesca e fulminea fuga dei capitali da tutti i Piigs verso la Germania (e gli Stati Uniti, in parte). Il bilanciamento macroeconomico di cui parla Tsipras è semplicemente impossibile, non esiste nemmeno fra regioni di stati piccoli come la Svizzera figuriamoci nella Uema che sia impossibile non ha nessuna importanza perché non è da quello che derivano i maggiori problemi di stabilità dell’euro ma dalla sua natura, diciamo, di oro sintetico, che nessuno fra quelli che sostengono il mantenimento dell’eurozona è finora riuscito a mettere in discussione.
 
Finanza: il ruggito del topo
 
I due ultimi punti di Tsipras sono sulla finanza e, francamente, recano un’impronta surreale. Il punto nove riesuma il famoso Glass-Stegall Act (il vero nome è Banking Act) americano del 1933, un effetto della Grande Depressione che istituiva l’assicurazione sui depositi bancari e separava l’attività bancaria strettamente intesa dalle altre attività finanziarie. Il Glass-Steagall Act è stato abolito nel 1999 e sostituito da un’altra legge che ha permesso nuovamente alle banche di svolgere un po’ tutte le funzioni in modo da metterle maggiormente in grado di sfruttare il più grosso boom speculativo della storia allora pienamente in svolgimento.
 
“9. Un Atto Glass-Steagall Europeo. L’obbiettivo è separare le attività commerciali e gli investimenti bancari per prevenire la loro unificazione in un’entità incontrollabile.”
 
Quello che il punto nove dimentica è che il Glass-Seagall Act non ha minimamente impedito il crollo finanziario degli anni ’30, anzi ne è stato un semplice effetto posteriore, non ha impedito l’accensione del boom speculativo all’inizio degli anni ’80, e quando avrebbe potuto essere di qualche utilità è stato ovviamente tolto di mezzo. E lo è stato perché le banche e le altre aziende finanziarie avevano già trovato parecchi modi per aggirarlo rendendolo un guscio vuoto, come sono tutte le leggi in materia finanziaria.
Cosa siano le “attività commerciali” e gli “investimenti bancari” riferiti alle banche commerciali, non è per nulla chiaro, al pari di tanti altri punti del programma, ma immaginiamo che ci si riferisca al normale credito bancario contrapposto alle attività speculative o qualcosa del genere. Sia come sia, quello che rende pericoloso lo sviluppo della finanza speculativa non sono le leggi, più o meno favorevoli, bensì la crescente quantità di capitale monetario che vi si riversa dentro e che deve generare una massa di debito che aumenta assai più del reddito nazionale, di fronte alle quali le leggi esistenti fanno una figura alquanto patetica. E questa massa crescente di denaro che entra nel circuito speculativo dipende dal funzionamento del resto dell’economia, e…la canzone continua ed è abbastanza lunga.
 
“10. Una legislazione Europea effettiva per tassare l’economia e le attività imprenditoriali offshore.”
 
Per finire, in linea col cretinismo legalitario oggi onnipresente non poteva mancare la petizione di principio da anime belle sulle attività offshore.
In definitiva, non si riesce a capire perché la lista Tsipras sia nata. Qual è il suo posto? Che ruolo pensa di potere avere? Dal programma è ovvio che non possa aspirare a nessun posto e a nessun ruolo. Il programma è vacuo e inconsistente limitandosi a fare qualche pulce alla linea dominante. In sostanza, se Romero avesse creato degli eurozombie e questi si ponessero il problema di un proprio partito da mandare a Strasburgo la lista Tsipras farebbe proprio al caso loro. Magari sembra viva, ma se ci si avvicina un po’ e si guarda meglio ci si accorge che l’impressione è falsa».
 
 

NORMA RANGERI, SINISTRATI E… SPINELLI di Emmezeta

scritto il 24 maggio 

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A proposito di “voto utile”: quando la “sinistra” fa il controcanto a Lorsignori
 
Ecco un bel tema per il giorno delle elezioni: il “voto utile”. La direttrice del Manifesto, Norma Rangeri, è di certo un’autorità in materia.
 
Da sempre, infatti, il suo giornale è uno dei massimi cultori del genere. Sarà per questo che non ha resistito neppure questa volta alla magica formuletta. In campagna elettorale, si sa, il voto alla propria lista è giusto, bello, intelligente, raffinato e perfino sexy. Per quelli del Manifesto, invece, dire “voto utile” è più appropriato. Un modo per essere subalterni, ma senza mai smettere di fare gli snob.
 
Questa volta, però, il problema è diverso. Ed è solo per questo che ce ne occupiamo. La signora Rangeri sostiene la Lista Tsipras, e dunque non è accusabile, almeno in apparenza, di voler portare acqua al mulino di sempre. Ma il lupo perde il pelo ma non il vizio, e la direttrice ha voluto lasciare, anche in questa occasione, tracce abbondanti dell’adesione dell’attuale “sinistra” al pensiero dominante.
 
Leggere per credere questo articolo, uscito ieri sul Manifesto, e significativamente ripreso dal sito del Prc, che evidentemente ne condivide la sostanza.
 
Il titolo ci ha subito incuriositi: «Niente scherzi. Il voto utile è per Tsipras!». Ora, siccome il cosiddetto “voto utile” è rivolto generalmente contro qualcuno, ci siamo chiesti chi fosse costui. In passato la risposta sarebbe stata scontata: bisognava votare Pds, Ds, Pd, Ulivo, Unione, eccetera, contro il farabutto d’Arcore e la sua accozzaglia di puttane e faccendieri. Ma ora il truffatore è fuori dai giochi. E così pure, almeno temporaneamente, la sua oscena congrega.
 
Ingenui come siamo, abbiamo sinceramente pensato per un attimo che il “voto utile” della Rangeri fosse rivolto questa volta contro Renzi. Non solo perché in genere si vota “utile” contro chi ha le leve del comando, ma anche per la natura sua e del suo famelico gruppo di potere, portatore di un progetto autoritario ed ultra-liberista.
 
E invece… invece è stato sufficiente leggere l’incipit dell’articolo per rendersi conto che non si pensa mai abbastanza male di certa gente.
 
Ecco qua:
 
«Funziona, purtroppo. Anche per le elezioni del 25 maggio, nell’elettore di sinistra, ancora incerto se e chi votare, suona la sirena del “voto utile”. L’allarme populismo, il pericolo della coppia Grillo-Casaleggio pigliatutto è scattato, alimentato dalla (intelligente) propaganda del Pd: per frenare l’ondata grillina, la diga è Renzi, solo lui ci salverà».
 
Chi scrive sapeva già di appartenere ad un mondo diverso da quello di una Rangeri, ma dopo questo articolo viene da pensare di abitare perfino galassie diverse. La qualcosa, sia chiaro, di certo non ci dispiace.
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Avete capito a quale mondo appartiene la direttrice? A quello che ha come nemico il “populismo”, mica le oligarchie finanziarie, l’eurocrazia di Bruxelles, il boy scout della P2. No, no, quella è tutta brava gente, bersaglio semmai dell’orrendo “populismo”. Da Grillo bisogna salvarsi, mica dall’amico di Marchionne! E allora… “voto utile”, anche se per Tsipras e non per il Pd. Il che è comprensibile, data la funzione di ruota di scorta che la lista altreurista si è auto-assegnata fin dall’inizio.
 
Di fronte a questo controcanto del coro di lorsignori non c’è bisogno di spendere troppe parole. Con questo editoriale il Manifesto si allinea con il governo e con le oligarchie europee, ripete i concetti sguaiati di Renzi,  Berlusconi e Napolitano. Il grave è che una simile visione sia stata fatta propria anche dal sito del Prc. Ora, è vero che al peggio non c’è limite, ma osiamo sperare che almeno di fronte a questo molti compagni di Rifondazione provino se non altro un po’ di sano disgusto.
 
Sarebbe già qualcosa, perché in quanto al risultato elettorale degli tsipriti c’è ben poco da dire. Domani sera, statene certi, basterà far ricorso a due proverbi: «chi è causa del suo mal pianga se stesso» o, se preferite: «mal voluto non fu mai troppo».
 
Ci dispiace per i sinceri militanti comunisti, non certo per il gruppo dirigente. Poteva scegliere diversamente e non lo fatto. E siamo così passati dall’opposizione alle politiche europee alla lotta senza quartiere contro il M5S. Una strada quasi obbligata, dopo essersi accodati al clan di Repubblica ed all’amico dei Riva. L’editoriale di Rangeri non è dunque un incidente, è invece la Norma di chi non sa uscire dal labirinto della subalternità in cui si è da tempo (felicemente?) rinchiuso.

Milano: Violenza sessuale su un 12enne, arrestato pediatra

vittima un bambino. Perché indignarsi? Nessuna fiaccolata in solidarietà? Nessura richiesta di provvedimenti legislativi ad hoc?
VIttime di rango inferiore. Abuso su minori non è grave quanto uno stupro? O magari perché in questo caso l’abusatore è un illustre membro della società civile?

lunedì, 26, maggio, 2014

Un medico pediatra di 54 anni è stato arrestato dalla polizia, a Milano, per violenza sessuale su un paziente di 12 anni, oltre che per detenzione e produzione di materiale pedopornografico e atti persecutori per aver tempestato di sms la sua vittima.
L’uomo, secondo quanto riferito stamani, è un medico che lavora in una clinica del centro di Milano che è risultata estranea ai fatti. Si sospetta che abbia abusato anche di altri pazienti. Gli agenti lo hanno sottoposto a fermo dopo la denuncia dei genitori del bambino, a fine marzo. Il bambino era in cura dal professionista in qualità di psicoterapeuta, nonostante non avesse tale specializzazione.
http://www.imolaoggi.it/2014/05/26/milano-violenza-sessuale-su-un-12enne-arrestato-pediatra/

Europee, Merkel: “deplorevole la crescita dei populisti”

comincerà l’amore tra Tsipras e Merkel…La Merkel non sarà più il mostro, ora ci sono i populisti ed il pericolo estremismi…..se lo dice la Merkel che  rappresenta mica i poteri forti delle banche dove sta il pericolo….

lunedì, 26, maggio, 2014

 Il cancelliere tedesco, Angela Merkel, ha affermato che la vittoria alle Europee dei partiti populisti e di estrema destra e’ “deplorevole”, ma ha elogiato il “solido risultato” delle forze legate al Ppe e ha invitato al dialogo per la scelta del prossimo presidente della Commissione europea. Nel corso di una conferenza stampa a Berlino, Merkel ha sottolineato che l’Europa ha bisogno di “competitivita’, lavoro e crescita”.
http://www.imolaoggi.it/2014/05/26/europee-merkel-deplorevole-la-crescita-dei-populisti/

La pensione non arriva, disperato tenta di darsi fuoco in ufficio Inps

Renzi che da 80 euri convince tutti. Ma non è voto di scambio, quello era il Mr B con le pensioni minime


lunedì, 26, maggio, 2014

 Catania, 26 mag. – Un uomo di 56 anni, Bruno S., e’ stato bloccato dal tempestivo intervento di un funzionario di polizia mentre minacciava di darsi fuoco con la benzina , negli uffici dell’Inps di via Sacro Cuore a Catania. Protestava per la pensione, richiesta da tre anni dopo essere stato colpito da una grave malattia che ha causato metastasi ossee e non ancora concessagli.
L’uomo si era portato appresso una tanica con cinque litri di benzina. Sul posto sono intervenuti anche i vigili del fuoco del comando provinciale di Catania, che hanno ripulito i locali.
http://www.imolaoggi.it/2014/05/26/la-pensione-non-arriva-disperato-tenta-di-darsi-fuoco-in-ufficio-inps/INTANTO IN GERMANIA

La Germania cala l’età della pensione a 63 anni
Costerà circa 11 miliardi l’anno, in totale 160 fino al 2030 La ministra Nahles: «Segnale di solidarietà tra le generazioni»
Nonostante le critiche e le preoccupazioni per la spesa nei prossimi anni e a due mesi dal via libera al disegno di legge sul salario minimo a 8,5 euro l’ora, la riforma che abbassa l’età pensionabile a 63 anni per chi ha accumulato 45 anni di contributi è arrivata. Ieri in Germania, il Bundestag ha approvato (460 sì , 64 no, 60 astenuti) la più costosa riforma dalla grande coalizione guidata da Angela Merkel. Ogni anno peserà sui bilanci pubblici per una cifra tra 9 e 11 miliardi di euro, 160 fino al 2030.
Circa 10 milioni di tedeschi dal primo luglio potranno, in futuro, accorciare gli anni di lavoro che una precedente riforma sta portando, per tutti gli altri, progressivamente da 65 a 67. In realtà la norma dei 63 anni senza riduzioni della pensione vale solo per i nati nel 1951 e 1952. Per i nati dal 1953 si potrà andare in pensione a 63 anni e due mesi, con due mesi in più per ogni anno. Dalla classe 1964 l’età pensionabile, senza riduzioni, è 65 anni con 45 di contributi.
La riforma non abbassa solo l’età pensionabile, come voluto dalla Spd: l’Unione di Cdu/Csu ha infilato alcune costose rivendicazioni. Migliora, il trattamento pensionistico per le madri che hanno sospeso il lavoro per maternità prima del 1992 (27 euro al mese). Più soldi anche per prestazioni riabilitative e le pensioni per inabili al lavoro. Le pensioni alle madri sono la parte più costosa del pacchetto, e peseranno ogni anno 6,5 miliardi.
Secondo Andrea Nahles, ministra del Lavoro, socialdemocratica, la riforma è un segnale «della viva solidarietà» tra generazioni e tra ricchi e poveri. Alcuni no sono arrivati dalle file dell’Unione di Cdu/Csu, che in passato aveva già espresso perplessità sul costo. Per le opposizioni, il partito dei Verdi e la sinistra radicale della Linke, si tratta di una legge sbilanciata e ingiusta.
«Qualcosa migliora, ma molto resta sbagliato com’è», ha attaccato l’esperto di pensioni della Linke, Matthias W. Birkwald. A sinistra non piace l’esclusione, dal computo dei 45 anni, dei periodi di disoccupazione prolungata. Né le limitazioni che la grande coalizione ha studiato per evitare che i datori di lavoro approfittino della riforma per mandare, i dipendenti in pensione a 63 anni appoggiandosi ai sussidi di disoccupazione.
La legge è una vittoria della Spd, nonostante l’Unione porti a casa più soldi per le madri. Ma il risultato potrebbe ritorcersi contro i socialdemocratici, viste le critiche di parte della Cdu/Csu e del mondo dell’economia e dei datori di lavoro, secondo cui il sistema «è un errore caro, che graverà soprattutto sulle nuove generazioni con un’ipoteca miliardaria».
Anche l’Ocse, in un recente rapporto, aveva criticato la legge, che nel medio periodo dovrà essere finanziata con un’aumento dei contributi pensionistici a danno del mercato del lavoro. Sarebbe stato più sensato, avevano scritto gli esperti, finanziarla con la fiscalità generale.

http://www.larena.it/stories/Economia/737262_la_germania_cala_let_della_pensione_a_63_anni/

L’altra elezione “europea”

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I cittadini dell’UE che il 25 maggio sceglieranno il nuovo Parlamento europeo non saranno i soli a recarsi alle urne
di Mara Carro
In uno scenario di secessionismo delle regioni orientali dal governo centrale di Kiev, insediatosi all’indomani delle proteste di Euromaiden e della deposizione di Victor Yanukovic, di scontri tutt’ora in corso nelle regioni orientali del Paese, di timori circa l’ascesa di gruppi ultranazionalisti, di tensioni tra Mosca e Kiev, legate sia alle dispute energetiche che alle operazioni militari di Kiev nelle regioni orientali ucraine russofone, e di tensione a livello internazionale tra Mosca e il blocco occidentale NATO/USA/UE, il 25 maggio in Ucraina si svolgeranno le elezioni presidenziali.
Il voto non può ritenersi una soluzione alla crisi. Innanzitutto perché la votazione non avrà sicuramente luogo nelle regioni orientali del Paese che hanno già optato per l’indipendenza nei referendum dell’11 maggio e che non riconoscono la legittimità del governo di Kiev.
In secondo luogo perché le elezioni non incideranno sulla composizione del Parlamento ucraino, la Rada, dove le profonde divisioni tra i partiti di governo e all’opposizione stanno paralizzando la sua attività.
Gli attuali membri della Rada sono in carica dall’ottobre 2012, ben prima che l’ex presidente Viktor Yanukovich fosse deposto, e le prossime elezioni parlamentari non sono in programma fino al 2017. Il futuro presidente eletto sarà investito dell’autorità di sciogliere parlamento e indire nuove elezione che però rischiano di avere luogo in uno scenario maggiormente polarizzato.
Inoltre, la ragione più evidente per cui le prossime elezioni presidenziali potrebbero non modificare di molto l’attuale scenario ucraino è che tutti i candidati in corsa per le presidenziali, in particolare il probabile vincitore, hanno profondi legami con la corruzione endemica che ha definito l’amministrazione Yanukovich e disfatto le istituzioni statali ucraine. Dei 23 originari candidati iscritti, passati a 18 dopo cinque ritiri, il più accreditato per l’elezione è Petro Poroshenko, uno degli oligarchi più ricchi del Paese, candidato come indipendente sebbene sia stato il co-fondatore del “Partito delle Regioni” di Yanukovic, abbandonato nel 2002 per il partito “Nostra Ucraina” di Viktor Yushchenko. Sotto la presidenza Yushchenko ha servito come capo del Consiglio di Sicurezza e Difesa Nazionale, e poi come ministro degli Esteri nel governo Tymoshenko 2009-2010.
Nonostante le sue forti critiche a Yanukovych, Poroshenko ha accettato la sua offerta di ricoprire la carica di Ministro del commercio e dello sviluppo economico nel 2012.
Poroshenko non è attualmente affiliato con nessun movimento politico, Vitaly Klitschko, il campionato dei pesi massimi, ha ritirato la sua candidatura a favore dell’oligarca e Yulia Tymoshenko, ex eroina della Rivoluzione Arancione ed ex primo ministro, rilasciata dal carcere dove scontava una condanna per abuso di potere, è al momento la sua principale avversaria, sebbene molto indietro nei sondaggi.
Uno degli elementi centrali della campagna di Poroshenko è stata la promessa di portare l’Ucraina lungo il sentiero della modernizzazione, attuare riforme dolorose ma necessarie, guidare l’Ucraina verso la stabilità economica e, infine, combattere il grave problema della corruzione.  Nonostante si presenti come europeista e sostenga la necessità di firmare l’Accordo di associazione con l’UE, Poroshenko ha esitato a prendere pienamente le distanze dal Cremlino, dichiarando apertamente che “senza dialogo con la Russia, sarà impossibile creare sicurezza”. La sua posizione è in parte dettata dai forti e personali interessi commerciali dal momento che il 40 per cento delle attività del “re del cioccolato”, come è stato ribattezzato Poroshenko, si svolgono in Russia.
 
Per un approfondimento sulla crisi in Ucraina vi invitiamo a consultare la nostra sezione “L’Analisi”

Squallore del centrosinistra europeo “Così ha svenduto i popoli all’élite”

Renzi dice che ha vinto la speranza. A quanto pare gli italiani han “creduto” e si sono attaccati alla speranza degli 80 euro

lunedì, 26, maggio, 2014

 26 magg – «Per un terribile rovescio del destino, la politica della sinistra europea sostiene la politica economica più reazionaria: i grandi partiti socialisti europei del dopoguerra sono rimasti intrappolati nella dinamica corrosiva dell’unione monetaria, apologeti della disoccupazione di massa e di un regime deflazionistico stile anni ‘30 che, sottilmente, favorisce gli interessi delle élite».

 
In poche righe, Ambrose Evans-Pritchard fotografa la tragedia europea: i partiti che “inventarono” il sistema di welfare migliore del mondo sono oggi i più inflessibili interpreti del rigore escogitato per demolire proprio quel welfare, il traguardo più avanzato che la sinistra europea sia stata capace di centrare dopo la Seconda Guerra Mondiale. Fino a cancellare la stessa idea di Europa come patria comune, traguardo civile di convivenza. E’ stato il centrosinistra europeo a far ingoiare l’amara medicina dell’oligarchia finanziaria, abusando della fiducia storicamente ottenuta dalle fasce popolari e dall’elettorato progressista.
 
«Uno dopo l’altro, la stanno pagando tutti», scrive Pritchard sul “Telegraph”, in un’analisi ripresa da “Come Don Chisciotte”.
 
Primo esempio, i Paesi Bassi: François Hollande«Il partito laburista olandese che diede vita al “Polder Model” e amministrò l’Olanda per mezzo secolo ha perso i suoi bastioni a Amsterdam, Rotterdam e Utrecht, i suoi sostenitori sono scesi al 10% per aver timidamente approvato le politiche di austerità che hanno portato alla deflazione e ad un abbattimento del valore immobiliare tanto da arrivare a ipoteche sul 25% di patrimoni netti negativi». Le politiche recessive «sono velenose per i paesi che già hanno problemi». L’indebitamento delle famiglie olandesi è passato dal 230% al 250% del reddito disponibile dal 2008 a oggi, mentre il debito dei britannici (che si sono tenuti la sterlina) è sceso da 151% al 133% nello stesso periodo. E’ tutta colpa del rigore imposto da Bruxelles, ma il partito laburista olandese «non può fare nessuna critica coerente, perché il suo orientamento pro-Ue lo costringe quasi al silenzio».
 
«Il Partito Socialista non ha mai creduto nell’euro e non ci crediamo nemmeno adesso: dobbiamo quindi smettere di chiedere sempre più sacrifici per mantenerlo», ha detto Dennis de Jong, il leader del partito a Strasburgo che si appella a un “Piano B” per smantellare l’unione monetaria in modo ordinato». In Grecia, il socialista Pasok che ha guidato il paese verso la democrazia dopo la dittatura dei “colonnelli”, è sceso al 5,5%: un guscio svuotato da Syriza, che ora con il 25% di voti promette di strappare Atene dalle grinfie della Troika Ue. «Il Pasok si è meritato il suo annientamento», scrive il notista del “Telepgraph”: «Ha cospirato nel colpo di stato fatto nel retrobottega a novembre 2011, ancora una volta accettando le richieste dell’Ue per rovesciare il proprio primo ministro e per annullare il referendum della Grecia sul bail-out. Rinunciò, allora, ad una prova di forza catartica e necessaria con Bruxelles, per la troppa paura di rischiare l’espulsione dall’euro. Questo referendum si farà adesso: Tsipras ha trasformato le elezioni europee di questa settimana in un verdetto sulla servitù del debito».
 
Se si può capire la paura della sinistra nei paesi periferici, aggiunge Evans-Pritchard, «il mistero è il motivo per cui un presidente socialista francese, con una maggioranza parlamentare, debba subire passivamente le politiche che stanno fiaccando la linfa vitale dell’economia francese e che stanno distruggendo la sua presidenza».
 
François Hollande ha vinto due anni fa puntando sulla crescita e promettendo di bocciare il Fiscal Compact. Da quando è in carica, però, la disoccupazione francese è salita dal 10,1 al 10,4%, la crescita del Pil è scesa a zero e anche nell’ultimo trimestre la Francia ha perso 23.600 posti di lavoro, dopo i 57.000 perduti nel 2013. Sicché, secondo l’ultimo sondaggio Ifop, l’indice di gradimento di Hollande è crollato sotto il 18%: il peggiore da sempre per un leader francese. «La sua retorica del New Deal non ha portato a niente». Hollande «è capitolato sul Fiscal Compact, accettando una camicia di forza che obbliga la Francia a tagliare il debito pubblico ogni anno per un importo fisso per due decenni, fino a quando non sarà scesi al 60% del Pil, a prescindere dalla demografia o dal gap che esista nel settore privato o dalle esigenze di investimento dell’economia».
 
La sua presidenza? «E’ stata tutto uno spettacolo dell’orrore di pacchetti di austerità, uno dopo l’altro, un circolo vizioso di maggiori imposte che fanno abortire qualsiasi recupero e lo debilitano con un effetto moltiplicatore che peggiora la situazione». Inasprimento fiscale nonostante il disavanzo: è la ricetta per il suicidio, se la Bce non interviene per compensare con iniezioni di denaro. «La risposta di Hollande è stata un raddoppio del rigore per infiocchettare il pacchetto: ha ceduto alle richieste di Bruxelles per altri 50 miliardi di euro di austerità nei prossimi tre anni». Questa volta, «la scure cadrà sulla spesa pubblica, arrivata al 57% del Pil». Inoltre, «ci saranno radicali riforme del lavoro, una variante della terapia-shock Hartz IV che servì per fottere i salari tedeschi dieci anni fa». In altre parole: se il socialista Hollande ha fatto pace con le grandi imprese, «sarà l’austerità a farlo a fette».
 
Hollande si era prodigato per una “alleanza latina” per contrastare i deflattori quando presero il potere e per costringere la Germania a mettere il veto sulle azioni della Bce. Quella momentanea dimostrazione di grinta aveva spinto Draghi verso un piano di retromarcia sul debito italiano e spagnolo nel mese di agosto 2012, aiutato molto da Washington, ma poi non è andato avanti «e la Spagna ha continuato per la sua strada, come se fosse una Prussia del Sud o una nuova Tigre latina».
 
La Bce? «Ancora una volta ha continuato a rigirarsi i pollici, incurante della deflazione». Francoforte «ha lasciato che i vincoli negativi bloccassero il bilancio francese facendolo ridurre di 800 miliardi, mentre l’euro si è rivalutato dell’ 8% contro lo yuan e del 15% contro lo yen, in un anno». Mentre gran parte del mondo sta cercando di tener basso il Ambrose Evans-Pritchardcambio delle valute e la deflazione delle esportazioni, l’Europa «è rimasta l’unica e tenersi tutto il pacco sulle spalle».
 
I francesi non possono accettare di morire per asfissia economica: «La Francia è il cuore pulsante dell’Europa, l’unico paese con una statura di civiltà capace di condurre una rivolta e di prendersi carico della macchina politica dell’Unione Monetaria. Ma per scoprire il bluff della Germania, con una minima credibilità, Hollande dovrebbe essere pronto a rovesciare tutto il progetto dalle sue fondamenta e persino a rischiare una rottura sull’euro». Ed è quello che non farà mai. «Tutta la sua vita politica, da Mitterrand a Maastricht, è stata intessuta negli affari europei». Hollande «è prigioniero dell’ideologia di questo progetto, convinto come è che un condominio franco-tedesco rimanga la leva del potere francese e che sia l’euro a tenere legati i due paesi». Lo statista francese Jean-Pierre Chevenement confronta l’acquiescenza di Hollande con il corso rovinoso dei decreti deflazionistici di Pierre Laval nel 1935 durate il Gold Standard, cioè «l’ultima volta che un leader francese pensò di dover cavare sangue dal suo paese per difendere il vezzo di un cambio fisso».
 
E’ la verità brutale, aggiunge Evans-Pritchard: «I socialisti francesi pensavano di non avere nulla da temere dall’ascesa del Fronte Nazionale, un partito che si prepara a sfruttare la furia prorompente dalla “France Profonde”, con l’impegno di ripristinare il controllo sovrano francese su tutto ciò che conta nella nazione, e che ha messo l’euro al primo posto tra i suoi compiti». I socialisti pensavano che il Fn avrebbe tolto voti ai gollisti, dividendo la destra? Errore: Marine Le Pen «sta dilaniando, con lo stesso vigore, anche le loro proprie roccaforti della classe operaia». Hanno sottovalutato la Le Pen, ora quotata al 24%, e sono scivolati al terzo posto, travolti dal “lepenismo di sinistra”, nuovo guardiano del welfare francese. I socialisti «non hanno nessuna risposta» da opporre agli attacchi del Fn sulla “austerità insensata” e “le politiche monetarie folli della Bce”, che continuano a intaccare il nucleo industriale della Francia. La Le Pen ripete che il prgetto dell’euro coincide con la disoccupazione di massa? «E’ tutto vero», dice Jean-Pierre ChevenementEvans-Pritchard, ed è per questo che Hollande non sa cosa rispondere a Marine Le Pen.
 
Tutto cominciò con il “referendum rubato”, la fatidica decisione di approvare il Trattato di Lisbona senza farlo votare, dopo che il popolo francese aveva già respinto un testo quasi identico chiamato “Costituzione europea”. «Nella scelta di ignorare la scelta del popolo del maggio 2005 – scrive Evans-Pritchard – i leader francesi hanno anticipato tutto quello che stiamo vedendo ora in Europa», ovvero «le scosse di assestamento di quel terremoto anti-democratico in Europa», per dirla con Coralie Delaume e il suo “Gli Stati Disuniti d’Europa”. «I socialisti dicono che è un oltraggio rifiutare un referendum su Lisbona, ma quando venne il momento di votarlo in parlamento, 142 deputati e senatori si astennero, e 30 votarono a favore del Trattato e diedero al presidente Nicolas Sarkozy la maggioranza dei tre quinti», ricorda Evans-Pritchard. «Le élite pensavano di essersela cavata con le loro prestidigitazioni su Lisbona? Non se l’erano cavata affatto», ma è ormai storia lo squallore del centrosinistra europeo, senza il quale l’oligarchia neoliberista non arebbe mai potuto imporre la crisi, attraverso il progetto neo-feudale chiamato euro.  libreidee