Studenti e studentesse no tav verso il 10 maggio. Appello alla partecipazione.

 5 maggio 2014 at 00:42

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Torino ,10 maggio 2014 : STUDENTI NO TAV, COLPEVOLI DI RESISTERE…NOI CI SAREMO!

Anche noi il 10 maggio scenderemo in piazza per portare la nostra solidarietà a Claudio,Mattia, Chiara e Niccolò e a tutti quelli che, oggi più che mai, stanno subendo le assurde conseguenze dei tentativi di indebolimento del movimento da parte della magistratura torinese e delle istituzioni tutte.

Il movimento no tav è’ figlio di un’esperienza di lotta e di socialità ormai ventennale. Anche noi giovani studenti abbiamo deciso di metterci in gioco e portare il nostro contributo in questa esperienza,creando un collettivo, per provare a ridare voce a tutti quei ragazzi che nella società odierna non riescono ad averla.

Siamo il futuro di questo paese ma ci stanno togliendo ogni tipo di possibilità di progettualità di vita, la nostre scuole cadono a pezzi lasciando qua e la morti e feriti, l’istruzione piano piano sta diventando sempre una questione di una piccola élite, e nonostante tutto questo ci sbattono in faccia grandi progetti di treni e altre grandi opere assolutamente inutili oppure gradi tagli a tutti quelli che dovrebbero essere servizi alla portata di tutti.
Noi non ci stiamo più, abbiamo deciso di lottare per difendere il nostro territorio, le nostre scuole, le nostre vite.

Così come abbiamo fatto noi anche Chiara,Claudio,Mattia e Niccolò hanno deciso di opporsi e di lottare contro chi tutti i giorni ci impone decisioni e modelli di vita volti alla distruzione.

Il 9 dicembre 2013 Chiara, Claudio, Niccolò e Mattia sono stati arrestati con l’accusa di “attentato con finalità terroristiche” per aver partecipato a una passeggiata notturna al cantiere di Chiomonte, durante la quale è stato danneggiato un compressore. Nessun poliziotto o addetto ai lavori è stato ferito.
Questi quattro ragazzi poco più vecchi di noi, sono ormai da mesi in carcere in regime di alta sicurezza e in isolamento perché, secondo la procura di Torino hanno cercato di «danneggiare l’immagine dell’Italia».

Noi questo non lo possiamo accettare! L’unica “colpa” che abbiamo è quella di resistere, e continueremo a farlo come sempre a testa alta.

Diamo quindi la nostra piena solidarietà a questi ragazzi,e a tutti i notav indagati, a processo e con le loro libertà ridotte fino all’assurdo utilizzo del carcere duro, invitando tutti e tutte a partecipare al corteo per le strade di Torino il 10 maggio 2014 alle ore 14.30.

Studenti e Studentesse NO TAV

Primi firmatari: Komitato Giovani NoTav (Valsusa), Kollettivo Autonomo Antifascista Verona,Kollettivo Studenti in Lotta (Brescia), Collettivo Autonomo Studentesco Cosenza,Collettivo Studentesco Autorganizzato Ferrari (Susa), Collettivo Autonomo Studentesco Bologna, Studenti No Inceneritore (Giuliano, Napoli), Comitato Studentesco No Tav-Terzo Valico, Collettivo Autonomo De Andrè (Brescia), Studenti InMovimento (Alessandria), Collettivo Ri-Scossa (Lamezia Terme), Zente Nova Giovani (Siniscola, Nuoro), Collettivo Studentesco Autonomo Olbia, Collettivo A. Genovesi (Liceo Classico, Napoli), Collettivo Vittorio Emanuele II (Liceo Classico, Napoli), Collettivo Margherita di Savoia (Napoli), Collettivo Contro Corrente Cartesio (Giuliano, Napoli), Collettivo Studentesco Camuno (Valle Camonica – Alto Sebino),Kollettivo Studenti Autorganizzati Torino, Collettivo Klandestino Fano (Pesaro Urbino), Coordinamento Studenti Medi Palermo, Collettivo Autonomo Casteddu (Cagliari), Collettivo Autonomo Studentesco Modena, Comitato No Radar Olbia, Collettivo studentesco Antonio Gramsci (Oristano), Collettivo Universitario Autonomo Torino, CAS Ravenna, CUT Collettivo Universitario The Take (Milano).

Taiwan: cannoni ad acqua e forza usata contro la protesta anti-nucleare

Domenica 28 aprile oltre, 50.000 persone manifestano contro la costruzione della quarta centrale nucleare nella zona di Taipei

da Revolution news.

Il governo del Partito Kuomintang  ha concordato in serata di sospendere temporaneamente i lavori in due reattori nucleari, ma hanno finora rifiutato di fermare il progetto del tutto.

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Per Taiwan, il Vice-sindaco di Taipei Hau, Hsu Ta Yang, ha dato la sua parola e ha invitato la polizia ad usare cannoni ad acqua, gas lacrimogeni, e la forza bruta per sgombrare il campo da pacifici manifestanti anti-Nuke.

Nonostante i manifestanti parlano per voce del 77% della nazione, e dimostrando il dissenso pacificamente, la polizia ha usato la forza in modo incredibilmente aggressivo per sgomberare la strada di fronte alla stazione ferroviaria centrale di Taipei. I manifestanti,giovani e vecchi, in stato di shock per il livello di violenza usato dalla polizia, stavano esprimendo solidarietà con Lin I-hsiung, in un tentativo di pace, per sensibilizzare ilgoverno nell’ascoltare la volontà del popolo.

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L’evacuazione è iniziata ieri sera intorno alle 03:00 con l’uso di idranti e manganellando alcuni dei manifestanti nella parte anteriore della linea. Molti manifestanti hanno lasciato,mentre altri hanno tenuto la posizione. Quelli costretti a lasciare, si sono fermati nei vicoliadiacenti, man mano che i contestatori venivano portati via, loro riempivano lo spaziolasciato. Nell’ora successiva la polizia ha avanzato per la strada, fino a giunere all’accampamento di tende dei manifestanti,alcuni dei quali ospitava i bambini a dormire.Le persone che formano uno scudo di fronte alle tende, implorarono la polizia di fermarsiallarmandole della presenza di bambiniall’interno delle tende. Loro non vogliono fermarsi. Rapidamente viene presa la decisione di smontare le tende svegliando i bambinie dare modo alla polizia di prendere posizione. Nel frattempo, alcuni antinuclearisti vengono disposti attorno a un manifestante ferito, la polizia non ha permesso così di registrare le lesioni della persona, nel rispetto della sua privacy.

I restanti manifestanti raggruppati alla fine della strada, bloccano l’ingresso attraverso le uscite della metropolitana. La polizia antisommossa si gonfia nei numeri inizia a sparare gas lacrimogeni sulla folla. Sono le 5:00, la polizia elimina il ponte di sky, spinge via i giornalisti e ai loro equipaggi. Al grido di “Libertà di parola” circa 1.500 protestano. Allo stesso tempo, gli altoparlanti informano la folla su come comportarsi se arrestati e come proteggere i loro diritti. Vengono anche istruiti su come posizionarsi contro i cannoni ad acqua (ora 50 metri davanti a loro) per evitare infortuni.

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Nel corso delle prossime due ore, la polizia ha continuato manganellando i manifestanti e utilizzando i cannoni per sgomberare lastrada, ferendo molti al punto di aver bisogno di ambulanze. All’arrivo di autobus di rinforzi della polizia, i manifestanti sono stati completamente sopraffatti.

Nella conferenza stampa della mattina, il premier Jiang Yi-Huah ha annunciato che non vi è alcun cambiamento di rilievo nella politica nazionale. Il governo segue l’accordo raggiunto nel Yuan legislativo durante il negoziato tra i partiti di opposizione e il partito al potere lo scorso febbraio. A quel tempo, i legislatori avevano deciso di fermare la costruzione e di togliere dal bilancio supplementare Nuke 4, oltre al lavoro di controllo di sicurezza già in outsourcing. Essi hanno inoltre concordato che i risultati del referendumerano chiari e non ci sarebbe alcuna operazione o l’installazione di barre di combustibile.

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Questa mattina Jiang ha anche detto che la sospensione tecnica non equivale ad arrestarela costruzione, e non significa che Taiwan si sbarazzerà di Nuke 4. Egli ha affermato che, poiché non vi è accordo tra il pubblico, il governo vuole riservare un’opportunità per la prossima generazione di scegliere se vogliono la centrale nucleare. Egli ha inoltre dichiaratoche se Taiwan sceglie di fermare la costruzione di Nuke 4, ci sarebbe il rischio di elettricità insufficiente molti anni dopo, nonostante in precedenza aveva riferito chel’impianto avrebbe fornito solo il 6% del fabbisogno di elettricità per Taiwan. Egli ha anche avvertito che i prezzi dell’elettricitàaumenteranno senza l’impianto, anche seTaipower ha già dichiarato che i prezzi dovrebbero salire con o senza Nuke 4. Jiang vienechiamato alla calma dalla gente. Gli viene chiesto di pensare seriamente se questo è uncosto che può permettersi di pagare, Taiwan.

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Sempre questa mattina, Apple Daily ha rilasciato una dichiarazione in cui condanna la polizia per il loro uso della violenza contro igiornalisti. Nonostante abbiano mostrato le loro credenziali, due giornalisti sono stati picchiati con bastoni e trascinati via. Apple ha anche ammonito la polizia per aver violatochiaramente la libertà di parola.
 
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Il ragazzo della montagna liberata

Presentato al Circolo dei Lettori di Torino il libro di Luciano Ducato. Una vita tra le montagne e la Resistenza in Val di Susa.

di Massimo Bonato

A 84 anni, Luciano Ducato compra un computer, si mette a scrivere e ridiventa il giovane Cianin degli anni Trenta e Quaranta.

Cianin nasce a Bussoleno nell’agosto del 1928. Nasce tra i monti e la montagna sarà la passione di tutta la sua vita. Sono le escursioni, che con il padre e la sorella, lo portano sin da bambino nei valloni e sulle alture circostanti; nomi che ricorreranno frequenti come pian Cervetto, la Balmetta, Pian del Roc, val Gravio, l’Orsiera, la Figera, la Comba, Balmafol, il Truc. Il trasferimento a Torino, la scuola e quella “agghiacciante” dichiarazione di guerra del duce contro Francia e Inghilterra; i discorsi del padre contro la guerra; la tradizione socialista che non ha mai lasciato la famiglia.

Ma la montagna resta lì, a disposizione di lunghe gite, di prime fortunose arrampicate per superare canaloni e roccette, sui nevai; e lo Chaberton, dove Cianin sente nascere quella passione per le vette che trasformerà spesso le escursioni in arrampicate; montagna viva, che porta con sé l’amichevole rapporto con i pastori, i margari, oltreché sempre maggiori difficoltà e avventure sulle pareti e sulle cime.

Intanto, attorno, sullo sfondo, la guerra imperversa: Eritrea, Libia, Cirenaica, Tobruk, portando i suoi lutti sin nelle famiglie di Bussoleno. Fino all’8 settembre del ’43. Nell’esultanza generale, alla notizia dell’armistizio, soltanto il nonno, “scuro in viso”, sembra aver chiaro che cosa significhi aver “L’Italia praticamente invasa dai tedeschi”. E infatti, bastano poche ore perché nelle strade si riversino soldati allo sbando, uomini senza ordini e senza meta che cercano indumenti civili per poter fuggire.

Ma nel cortile di Cianin arriva anche Carlo Carli, ufficiale di fanteria che gli chiede di fare del suo primo piccolo furto in una caserma abbandonata un’azione di approvigionamento: portar via dalle caserme quante più armi e munizioni possibile per armare le prime bande partigiane che vanno costituendosi in Val di Susa. Cominciano le scorrerie nella caserma di via Traforo a Bussoleno, ma ben presto Cianin, a 15 anni si sente dire “Non farti mai fotografare e non recapitare lettere scritte. Non chiedere informazioni sulle operazioni che intendiamo svolgere. Muoviti sempre con il documento di identità… Meno sai e meglio è per te”. È la Resistenza vera e propria.

Cominciano gli incarichi, prima ad Avigliana, poi in Alta Valle, i contatti con i Machì francesi. Spostamenti in treno tra i mitragliamenti, le rappresaglie della camicie nere e le reazioni partigiane, come l’attentato che fece crollare il ponte dell’Arnodera. Un periodo violento, fatto di rischi e circospezione, di paura e di fughe, lunghe attese e nascondimenti, timore di essere catturati ma anche di essere scambiati dai compagni partigiani per fascisti; un periodo però in cui l’imprevedibilità di ogni giorno porta con sé anche i primi baci, scambiati con una staffetta che Cianin vede due volte, o la prima volta in cui assiste alla nascita di un bambino, pieno di vergogna, in un cascinale. Lontano Stalingrado resiste; da Boves, da Marzabotto arrivano impressionanti notizie. Carlo Carli viene trucidato ad Avigliana, così di lì a poco Carlo Trattenero alla Banda, sopra Villarfocchiardo; e poi la vittoria di Balmafol risponde all’eccidio del Col del Lys. Colpo su colpo. Le stelle alpine che ora Cianin si trova in mano non sono quelle raccolte con il padre nelle serene escursioni famigliari, ma quelle che gli servono per apparire un ragazzo qualsiasi, in giro per i monti se venisse fermato durante la staffetta.

Cianin ripercorre le montagne, tra la Val di Susa e la val Chisone, la val Sangone, e di là dal piano, la val di Viù nelle Valli di Lanzo o su, oltre frontiera fino a Briançon. Sono le montagne che conosce profondamente ma la cui dimestichezza mette ora a servizio della Resistenza attraverso il violento 1944, e la speranza, la vittoria finale del 1945. È quindi una Val di Susa che Cianin percorre in lungo e in largo da Torino alla Francia con tutti i mezzi consentiti, in un impegno costante e rischioso.

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Luciano Ducato ha sempre amato la montagna e il rischio, ha sempre amato leggere e scrivere, e questo lo ha condotto sin dalla gioventù a tenere appunti delle sue escursioni e salite, delle arrampicate e delle punte raggiunte; ma compie un vero e proprio lavoro interiore di recupero, riandando agli anni della guerra, della Resistenza. Riannodare i ricordi alle date dei fatti storici, degli avvenimenti vicini e lontani, dei personaggi conosciuti o di cui ha soltanto memoria porta la Val di Susa a essere protagonista, ma con attorno un mondo sempre presente. Sullo sfondo o incombente è un mondo che fa della storia della Valle una storia non locale e parziale, ma calata nel grande scorrere delle vicende e delle tragedie umane di quel tempo. Non è un facile lavoro che Ducato compie, e tanto meno facile è rivivere attimo per attimo quei lunghi anni che descrive con dovizia di particolari e con trasporto, lasciando che la prosa fluisca piana, ma avvolgente, distaccata o partecipata a seconda, sempre curata nel ritmo che gli stessi accadimenti impongono.

Il libro è stato presentato al Circolo dei Lettori di Torino. Presentazione a cui hanno partecipato lo storico Gianni Oliva, lo scrittore Enrico Camanni, con l’improvvisata apparizione del sindaco Piero Fassino, e naturalmente l’editore Pietro Pintore.

È una montagna liberata ciò a cui anela l’autore, rispondendo alla sollecitazione di Enrico Camanni. Un montagna liberata non solo da tedeschi e fascisti, ma liberata dal conflitto, dai combattimenti e restituita a se stessa e all’uomo. Una montagna che è emblema di libertà sia in pace sia, a maggior ragione, in guerra. Libertà goduta e libertà bramata, per la quale si mette in gioco la vita e per la quale la montagna si trasforma in luogo di difesa, di organizzazione, di sopravvivenza, pur continuando a mantenere quella intimità di vecchia conoscenza, di amore per i luoghi che sono patrimonio interiore, tracciati di una geografia costruita e ricostruita nell’animo passo dopo passo.

Nell’uno come nell’altro caso la montagna rimane però “scuola di carattere”.

Le storie narrate in questo libro si immergono in quel tessuto storiografico proprio di ciascuno, fatto delle narrazioni dei padri e dei nonni dai quali ciascuno in Piemonte e in Val di Susa ha potuto attingere vivide testimonianze. Libri come questo sono una testimonianza preziosa, tanto più importante, sottolineano a più riprese sia Gianni Oliva sia il sindaco Fassino, quanto più la freschezza della memoria si fa opaca, i testimoni dalla cui voce trarre esperienze vengono meno, e il ricordo si fa fievole sino a dover temere l’oblio, la perdita della memoria di quanto accaduto e dei valori che la Resistenza ha portato con sé.

Fascismo e nazismo, ricorda Oliva, non si sono imposti con la forza, il fascismo si è fatto strada attraverso la manipolazione di quell’opinione pubblica che era andata formandosi durante la Prima guerra mondiale; il nazismo ha raggiunto il potere attraverso il voto, con una nazione che per convinzione o disperazione, per paura o per viltà, per ignoranza o indifferenza ha condiviso il dramma della Germania fino in fondo. Fascismo e nazismo non sono soltanto stati regimi violenti, sono stati totalitari nel senso della pervasività con cui hanno saputo controllare il popolo.

Controllo dell’educazione e manipolazione dell’informazione hanno sempre prodotto le più grandi catastrofi.

Per questo, per impedire che la memoria venga meno, per arginare il pericolo che quanto accaduto possa accadere ancora, libri come quello di Luciano Ducato sono e restano pietre miliari.

Luciano Ducato, Il ragazzo della montagna liberata, Pietro Pintore editore, Torino 2014, pp. 171, 15 €.

Cile. Acqua bene comune. La lotta per la deprivatizzazione

Criminalizzate dalla stampa, assediate giuridicamente e sempre sotto la minaccia della repressione non si fermano le decine di comunità e organizzazioni in lotta per sottrarre al profitto privato un diritto fondamentale dell’uomo, l’acqua.

di Massimo Bonato

Sabato 26 aprile a Santiago del Cile decine di organizzazioni e comunità si sono ritrovate a chiedere la deprivatizzazione dell’acqua imposta sotto il regime di Pinochet. Le migliaia di manifestanti chiedono che venga abrogato il Código de Aguas del 1981 che privatizzò le sorgenti e la gestione delle risorse idriche, ed è ancora in vigore. Ma pure si oppongono alla costruzione del progetto idroelettrico Alto Maipo. Una risorsa, l’acqua, che deve tornare allo Stato e ai cittadini.

Chi scrive la Dichiarazione ufficiale di mobilitazione per il recupero e la difesa dell’acqua denuncia l’indifferenza delle autorità, i mezzi di comunicazione ossequiosi al lucro rappresentato dal Código de Aguas, la Costituzione e gli Accordi internazionali come il Trattato binazionale minerario, “però fondamentalmente l’imposizione di una cultura che considera normale che l’acqua caduta dal cielo abbia dei padroni”.

Il Código de Aguas viene garantito dall’articolo 19 comma 24 della Costituzione, che salvaguarda il diritto alla proprietà privata al punto di concedere a compagnie private la libertà di acquisto, vendita e locazione delle risorse idriche, senza considerazione alcuna per le priorità d’uso delle acque stesse. Con una differenza, la creazione di due categorie di diritto di approvigionamento: consultivo e non consultivo. Del primo tipo si avvalgono fondamentalmente le imprese minerarie e agroalimentari da esportazione; ma l’80% dei diritti non consultivi di approvigionamento sono in mano alla transnazionale Endesa.

Dal canto suo, il Trattato binazionale minerario (sottoscritto nel 1997 e ratificato nel 2001), aprendo ai capitali delle imprese minerarie, ha messo a repentaglio l’esistenza stessa dell’ecosistema glaciale del Paese. A questo è seguita la vendita delle aziende farmaceutiche, per le quali lo sfruttamento delle acque è basilare: basti pensare che nel solo 2011 l’azienda Aguas Andinas ricavò da questo mercato 11,1 miliardi di pesos (circa 2 miliardi di dollari).

La privatizzazione dell’acqua porta con sé molti significati: dall’indifferenza del bene comune all’indifferenza per le necessità della popolazione, perché l’unico valore che resta è la legge del profitto che volge lo sguardo là dove compra il migliore offerente. E il migliore offerente non è il campesino, ma neanche il pescatore, l’operaio o lo studente, la famiglia o una comunità; i migliori offerenti sono le imprese sorte per il disboscamento delle foreste de cui traggono legname, le imprese minerarie, le aziende farmaceutiche privatizzate anch’esse sino alle grandi imprese di pesca che saccheggiano i mari senza sosta. Un profitto che crea danni ambientali ed ecologici irreparabili, oltreché impoverire ulteriormente la popolazione.

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Il 26 aprile, la manifestazione che si è tenuta a Santiago ha portato parole d’ordine precise:

– la fine del profitto, perché l’acqua è un bene comune e un diritto umano fondamentale;

– la richiesta di proprietà collettiva, perché lo Stato garantisca una distribuzione equa e democratica, territoriale, facendosi carico del mantenimento degli ecosistemi;

– una gestione comunitaria, perché il popolo detiene il diritto di determinare il proprio modo di vivere, e allo stesso modo deve seguire una moratoria del modello di sviluppo minerario, forestale, energetico e agroalimentare in modo da valutare costi e benefici che ne han tratto i territori, il Paese e il pianeta,

– l’abrogazione degli strumenti giuridici di privatizzazione, come il Código de Aguas e il Trattato binazionale minerario, perché l’acqua è un bene comune e non privatizzabile,

– leggi a favore della vita, per salvaguardare gli ambienti più fragili, come l’ecosistema glaciale e periglaciale;

– la ristrutturazione istituzionale, perché alla Direzione generale delle acque non siano permesse condotte criminali, perché non sia uno strumento di saccheggio ma servizio per le comunità;

– fine della criminalizzazione della protesta sociale, perché le comunità e le organizzazioni che si mobilitano per frenare la crisi idrica vengono criminalizzate dalla stampa, assediate giuridicamente e incarcerate senza colpa per aver denunciato la “impresentabile precarietà” in cui il Cile vive.

Peter Brabeck

L’idea della privatizzazione dell’acqua prende purtroppo piede ovunque. Nel 2005 l’amministratore delegato della Nestlé, Peter Brabeck, affermò che non ci sia nulla di cui preoccuparsi riguardo ai cibi OGM, che i profitti importino più di ogni altra cosa, che la gente dovrebbe lavorare di più e che gli esseri umani non abbiano diritto all’acqua. Ovvero che “L’acqua è, certamente, la più importante delle materie prime che abbiamo oggi nel mondo. La questione è se dovremmo privatizzare la fornitura dell’acqua comune per la popolazione. E ci sono due opinioni diverse in merito. Un’opinione, che ritengo sia estremistica, è rappresentata dalle Ong, che fanno rumore allo scopo di dichiarare l’acqua un diritto pubblico”.

Chi lotta per salvaguardare i diritti fondamentali e il bene pubblico è ormai un estremista, un terrorista agli occhi delle multinazionali che guidano le politiche statali. Nero su bianco.

M.B. 29.04.14