Ucraina, Russia e Cina: Perché PUTIN è nel mirino di Washington?

Tradotto e Riadattato da Fractions of Reality
 
“Washington vuole indebolire Mosca economicamente tagliando le sue entrate sul gas e, quindi, erodendo la sua capacità di difendere i suoi interessi. Gli Stati Uniti non vogliono un’Europa economicamente integrata con l’Asia. L’alleanza UE-Russia è una minaccia diretta per l’egemonia globale degli Stati Uniti “.
 
La provocazione degli Stati Uniti in Ucraina non può essere compresa prescindendo dal “Pivot in Asia” di Washington, che è il piano strategico più ampio per spostare l’attenzione dal Medio Oriente all’Asia. Il cosiddetto “riequilibrio” è in realtà un progetto per il controllo della crescita della Cina in un modo che sia compatibile con le ambizioni egemoniche degli Stati Uniti. Ci sono diverse scuole di pensiero su come questo possa essere realizzato, ma in senso lato si dividono in due categorie, “cacciatori di draghi” e “abbracci di panda”.
 
cacciatori di draghi favoriscono una strategia di contenimento, mentre gli abbracci di panda sono a favore di un fidanzamento. Al momento, la sintesi finale della politica da adottare non è stata decisa, ma è chiaro dalle ostilità nel Mar Cinese Meridionale e le isole Senkaku, che il piano dipenderà pesantemente sulla forza militare.
 
Quindi cosa c’entra controllare la Cina con la situazione in Ucraina ?
 
Tutto. Washington considera la Russia come una minaccia crescente per i suoi piani di dominio regionali. Il problema è che Mosca si è solamente rafforzata e ha ampliato la propria rete di oleodotti e gasdotti in Asia centrale verso l’Europa.
Ecco perché Washington ha deciso di utilizzare l’Ucraina, è un banco di prova per un attacco alla Russia, perché una Russia forte ed economicamente integrata con l’Europa è una minaccia per l’egemonia degli Stati Uniti. Washington vuole una Russia debole che non sfiderà la presenza americana in Asia centrale o il suo piano per controllare le risorse energetiche vitali.
 
Attualmente, la Russia fornisce circa il 30 per cento del gas naturale dell’Europa Centrale e meridionale, il 60 per cento della quale transita su suolo Ucraino. Le persone e le imprese in Europa dipendono dal gas russo per riscaldare le case e gestire i loro macchinari. Il rapporto di scambio tra l’UE e la Russia è reciprocamente vantaggiosa rafforzando i compratori e i venditori.
Gli Stati Uniti guadagnano praticamente nulla dalla partnership UE-Russia, che è il motivo per cui Washington vorrebbe bloccare l’accesso di Mosca ai mercati critici. Questa forma di sabotaggio commerciale è un atto di guerra.
Un tempo, i rappresentanti delle Big Oil, pensavano di poter competere con Mosca attraverso la costruzione di sistemi alternativi (gasdotti) che avrebbe dovuto soddisfare la domanda prodigiosa di gas naturale per l’UE.
Ma il piano fallì, così Washington è passato al piano B: tagliare il flusso di gas dalla Russia verso l’UE. Interponendosi tra i due partner commerciali, gli Stati Uniti sperano di sovrintendere alla futura distribuzione di forniture energetiche e controllare la crescita economica su due continenti.
Il problema che Obama e Co. stanno per avere, è cercare di convincere i cittadini dell’UE che i loro interessi siano effettivamente tutelati nonostante dovranno pagare due volte tanto per riscaldare le loro case nel 2015 rispetto al 2014, ed è ciò che accadrà visto come  stanno andando e se il piano statunitense dovesse riuscire.
Al fine di realizzare tale impresa, gli Stati Uniti stanno compiendo ogni sforzo per attirare Putin in un confronto in modo che i media lo possono denunciare come un aggressore e una minaccia per la sicurezza europea.
Demonizzare Putin fornirà le necessarie giustificazioni per fermare il flusso di gas dalla Russia verso l’UE, che indebolirà l’economia russa, fornendo nuove opportunità per la NATO di stabilire basi operanti sul perimetro occidentale della Russia.
Non fa alcuna differenza per Obama se le persone sono ricattate sui prezzi del gas o semplicemente congelano a morte. Ciò che conta è il “pivot” per i mercati più promettenti e prosperi del mondo del prossimo secolo.
Ciò che conta è schiacciare Mosca tagliando i ricavi del gas erodendo così la sua capacità di difendersi o di difendere i suoi interessi.
Ciò che conta è l’egemonia globale e la dominazione del mondo.
Questo è ciò che conta davvero. Tutti lo sanno.
 
Seguire gli incidenti giornalieri in Ucraina come se potessero essere separati dal quadro generale è ridicolo. Sono tutti parte della stessa strategia malata. Ecco una clip  dell’ex consigliere per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti Zbigniew Brzezinski spiegare come, per quanto Washington sia interessata, non ha senso avere politiche distinte per l’Europa e l’Asia:
 
“Con l’Eurasia divenuta la scacchiera geopolitica decisiva, non è più sufficiente adattare una politica per l’Europa e una per l’Asia. Ciò che succede con la distribuzione del potere sul continente eurasiatico sarà di importanza decisiva per il primato globale dell’America e  della sua eredità storica. “(” Il pericolo di guerra in Asia “, World Socialist Web Site)
 
Gira tutto attorno al perno in Asia e al futuro dell’impero.
Questo è il motivo per cui la CIA e il Dipartimento di Stato degli Stati Uniti hanno attuato un colpo di stato per rovesciare il presidente ucraino Viktor Yonuchovych e rimpiazzarlo con i fantocci degli USA che avrebbe fatto l’offerta di Obama.
 
Questo è il motivo per cui il primo ministro impostore, Arseniy Yatsenyuk, ha ordinato due operazioni “anti-terrorismo”: ovvero la repressione degli attivisti disarmati a East Ucraina che si oppongono alla giunta in Kiev.
 
Questo è il motivo per cui l’amministrazione Obama ha evitato di impegnarsi con Putin in un dialogo costruttivo volto a trovare una soluzione pacifica alla crisi attuale.
Questo perché Obama vorrebbe portare il Cremlino in una lunga guerra civile per indebolire la Russia, screditare Putin, e spostare l’opinione pubblica verso il lato degli Stati Uniti e della NATO.
Perché Washington dovrebbe cambiare idea su una tattica che secondo loro realizzerà esattamente ciò che dovrebbe ? Infatti non lo faranno.
 
Ecco un estratto da un articolo su antiwar.com :
“Report su Mosca dicono che il presidente Putin ha “chiuso” tutti i colloqui con il presidente Obama, e afferma di “non essere interessati” a parlare agli Stati Uniti di nuovo sotto l’attuale contesto di minacce e ostilità.
Putin e Obama avevano parlato regolarmente al telefono sull’Ucraina a marzo e ad inizio aprile, ma Putin non parla direttamente con lui dal 14 aprile e il Cremlino dice che essi non vedono la necessità di cui altro discutere.”( “Putin Ferma i Colloqui Con la Casa Bianca dopo la minaccia di sanzioni”, antiwar.com )
 
Non c’è niente da guadagnare a parlare con Obama. Putin sa già quello che vuole Obama. Lui vuole la guerra.
Ecco perché il Dipartimento di Stato e la CIA hanno roversciato il governo.
Ecco perché il direttore della CIA John Brennan è apparso a Kiev appena un giorno prima che il presidente golpe Yatsenyuk ordinasse il primo giro di vite sui manifestanti pro russi in Oriente.
Ecco perché il vicepresidente Joe Biden è apparso a Kiev, poche ore prima che Yatsenyuk lanciasse il suo secondo giro di vite sui manifestanti pro russi in Oriente.
Ecco perché Yatsenyuk ha circondato la città orientale di Slavyansk dove si sta preparando un attacco contro gli attivisti filo-russi.
 
E’ perché Washington ritiene che un violento incendio (guerra) serva i suoi maggiori interessi. E’ inutile parlare con gente come quella, che è il motivo per cui Putin ha smesso di cercarli.
 
Allo stato attuale, l’amministrazione Obama sta spingendo per un altro round di sanzioni contro la Russia, ma i membri dell’UE stanno trascinando i piedi.
 
Secondo RT:
 
“Al momento non c’è consenso tra i membri dell’UE sulle misure economiche contro la Russia da adottare e si discute persino se servano”, ha detto una fonte diplomatica europea ad Itar-Tass.
Il diplomatico, che ha parlato a condizione di anonimato, ha detto che solo un’invasione militare aperta in Ucraina o la prova inconfutabile della presenza militare clandestina russa in Ucraina potrebbero far pendere la posizione dell’UE nei confronti delle sanzioni economiche. Finora ogni elemento di prova che Kiev e Washington hanno reso pubblici del presunto coinvolgimento di agenti russi in Ucraina era o inconcludente o semplicemente falsa. “(” Gli Stati Uniti non riescono quindi a spingere le sanzioni economiche contro la Russia attraverso gli alleati europei “, RT)
 
Ancora una volta, sembra che Washington abbia bisogno di attirare le truppe russe nel conflitto per raggiungere i suoi obiettivi.
 
Domenica, RIA Novosti ha pubblicato le immagini satellitari che mostrano un grande accumulo di truppe fuori dalla città ucraina orientale di Slavyansk.
 
Secondo un rapporto in Russia Today:
 
“160 carri armati, 230 APC e BMD, e almeno 150 sistemi di artiglieria e di razzi, tra cui” Grad” e “Smerch” lanciarazzi multipli, sono stati dispiegati nella zona. Un totale di 15.000 soldati sono posizionati vicino a Slavyansk, ha detto ….
Il ministro della Difesa russo Sergey Shoigu ha detto che il grande accumulo di truppe Ucraina, così come i giochi di guerra e implementazioni aggiuntive delle forze armate ai membri della NATO nella regione hanno “costretto” la Russia a rispondere con esercitazioni militari proprie… Se Kiev ha scelto ad aumentare la repressione sui manifestanti usando armi pesanti contro di loro la Russia dice che si riserva il diritto di utilizzare il proprio esercito per fermare lo spargimento di sangue “(” Carri armati, APC, 15.000 truppe ‘:. immagini satellitari mostrano il build up militare di  vicino Slavyansk ” , RT)
 
Putin ha dichiarato ripetutamente che egli risponderà se dei russi vengono uccisi in Ucraina.
 
Questa è la linea rossa. Il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov ha ribadito lo stesso messaggio in un’intervista la settimana scorsa con RT a Sophie Shevardnadze. Il Lavrov solitamente pacato, ha condannato l’attacco di Yatsenyuk a danno dei civili ucraini e l’ha bollato come “criminale” e ha avvertito che “un attacco ai cittadini russi è un attacco alla Federazione russa”.
 
La dichiarazione è stata seguita da rapporti inquietanti di movimenti di truppe russe vicino al confine dell’Ucraina indicando che Mosca potrebbe essere in procinto di intervenire per arginare la violenza contro i civili.
 
Secondo il giornale Russo Itar Tass “ha detto il ministro della Difesa Sergei Shoigu, “Ad oggi esercizi di gruppi di battaglioni tattici sono iniziati nelle zone di confine con l’Ucraina.” Inoltre l’aviazione condurrà voli per simulare azioni vicino al confine di Stato.”
 
Quindi il gioco è fatto: Sembra che le provocazioni di Obama attireranno Putin nella mischia, dopo tutto. Ma le cose si svolgeranno e si riveleranno nel modo in cui Obama pensa che debbano accadere ?
 
Sarà Putin a seguire il copione di Washington lasciando le sue truppe nella parte orientale dove saranno estirpati i guerriglieri paramilitari finanziati dagli USA e i neonazisti oppure c’è qualcos’altro nella manica, come un rapido Blitz a Kiev per rimuovere il governo della giunta, chiamare le forze di pace internazionali per fermare la violenza, e scivolare indietro oltre il confine in totale sicurezza ?
 
Qualunque sia la strategia, non dovremo aspettare molto per vederla implementata. Se l’esercito di Yatsenyuk attacca Slavyansk, Putin manderà dentro i carri armati e allora sarà tutta un’altra storia.

“L’Altra Italia” con Padoan!

Pubblicato su 2 maggio 2014• da Lorenzo D’Onofrio 
 
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di Andrea Franceschelli (ARS Abruzzo)
 
Il ministro Pier CarloPadoan, in una video intervista pubblicata dal Financial Times il 30/04/2014, scopre le carte e sbugiarda clamorosamente il suo Premier.
 
In effetti, sollecitato dalle domande dirette e precise del giornalista di una delle testate più autorevoli al mondo, il ministro dell’economia del Governo Renzi si lascia andare ad un vero e proprio outingsulle reali intenzioni dell’esecutivo in merito agli indirizzi di politica economica.
 
In particolare, dall’intervista emerge il nettorifiuto del ministro ad operare un innalzamento del deficit, anzi, lo stesso Padoan si affretta a ribadire che: “il deficit si sta riducendo e continuerà a ridursi l’anno prossimo in completo accordo con quanto stabilito dai vincoli europei e in completo accordo con quanto stabilito dalla legge italiana” (ndr pareggio di bilancio art. 81 Costituzione Italiana, così come modificato da LEGGE COSTITUZIONALE 20 aprile 2012, n. 1).
 
Se da una parte il ministro chiarisce di non voler operare sulla leva del deficit, dall’altra promette di introdurre “tagli permanenti alla spesa pubblica dai quali si ricaveranno tagli alla tassazione”.
 
Subito dopo il giornalista ricorda al ministro che in luglio il governo italiano assumerà la Presidenza semestrale del Consiglio dell’Unione europea (da non confondere con il Consiglio europeo, il vero governo dell’Unione, presieduto attualmente da Herman Achille Van Rompuy) e chiede quale sarà l’indirizzo di politica economica che il governo italiano adotterà in seno alla UE.
 
Il ministro Padoan risponde: “Io penso che sia il momento giusto per mettere seriamente sul tavolo la questione della crescita dei posti di lavoro, abbiamo speso parole per troppo tempo; allo stesso tempo completeremo il consolidamento delle finanze pubbliche, grave e importante proprio nella periferia; riparare il sistema finanziario; Unione Bancaria. Ora l’Europa deve prendere sul serio la disoccupazione che è insopportabilmente alta e disinnescare il circolo vizioso e lo dobbiamo fare usando tutta la potenza di fuoco.”
 
Il giornalista lo incalza chiedendo se per fare ciò occorrerà cambiare le regole, ad esempio intervenendo sul Fiscal Compact.
 
La risposta del ministro Padoan è categorica: “IL FISCAL COMPACT NON E’ IN DISCUSSIONE! Le risorse per la crescita nel medio termine arriveranno dalle RIFORME STRUTTURALI, dall’innovazione, più prestiti alle imprese piccole e medie. E noi abbiamo tutti gli strumenti per ottenere questo e allo stesso tempo per continuare il consolidamento delle finanze pubbliche.”
 
Sul rischio deflazione il giornalista chiede un parere al ministro Padoan che risponde: Penso che sarebbe opportuno tornare al tasso di inflazione di equilibrio e dell’Eurozona che tutti noi conosciamo: inferiore ma prossimo al 2%. Ora siamo lontani da quel tasso d’inflazione che deve essere monitorato molto da vicino, e questo è ciò che sta facendo la BCE che ha dichiarato di essere pronta ad usare nuovi strumenti non convenzionali, se necessario.”
 
L’intervista si conclude con una domanda sul sistema bancario italiano e sulle prospettive della fiducia degli investitori sui titoli di Stato italiani, alla quale il ministro risponde con un’enfasi ottimistica che non convince il giornalista, il quale non riesce a nascondere l’espressione tipica di chi deve mantenere l’aplomb a tutti i costi.
 
Rileviamo che neanche una parola è stata spesa dal giornalista del Financial Times e dal ministro Padoan in merito alle prossime elezioni europee.
 
Saranno anche loro d’accordo con la recente confessione del Presidente Van Rompuy sul ruolo inutile del Parlamento europeoal cittadino è molto chiara la differenza tra il Parlamento Europeo e coloro che veramente decidono.”
 
 
IN DEFINITIVA, ciò che emerge in maniera drammatica dall’intervista, o meglio, che il ministro Padoan confessa senza remore alla stampa straniera, è che in realtà TUTTO E’ STATO GIA’ DECISO!
 
Il TAVOLO sul quale TUTTE le forze politiche nazionali sostengono di voler SBATTERE I PUGNI (come suggerito anche dalla inqualificabile propaganda RAINON ESISTE e le bugie di Renzi, in italiano, sono clamorosamente smentite da suo ministro dell’economia, in inglese.
 

LIBIA SECONDA FASE: GLI INGLESI HANNO UN’IDEA. RESTAURARE LA MONARCHIA.

SPONSOR IL MINISTRO DEGLI ESTERI LIBICO MOHAMMED ABDULAZIZ
di Antonio de Martini
 
Dopo tre anni di unrest in Libia, finalmente una idea costruttiva e avveniristica: Richiamare il Senusso, non nella versione “playboy” che circola per Roma ( Idriss el Senussi), ma in quella “Business man” che vive a Londra ( Mohammed el Senussi).
 
Da ormai alcuni mesi, ad ogni notizia di scontri , rapimenti, scambi di ostaggi e attacchi a stazioni di polizia nella zona di Benghazi – dove si infiltrarono per primi i commandos inglesi ( vds corriere della collera del 20 marzo 2011) zona donde proviene la casa reale defenestrata il 1 settembre 1969 dal Tenente colonnelloMuammar Gheddafi ( comandante della nazionale sportiva militare… ) – ogni occasione è sembrata buona al ministro degli esteri Mohammed  Abdulaziz, nativo di Zentan, e reduce dalla segreteria della Lega Araba, per diffondere una soluzione “pratica e realistica” atta a far chetare la risse intertribali che caratterizzano la vita politica libica da quando la Guida ha lasciato il potere per rifugiarsi nel condotto fognario che lo ha visto morire durante un barbaro linciaggio.
 
La proposta filo monarchica e ” non osteggiata ” dagli inglesi, è stata presentata alla scorsa riunione della Lega Araba tenutasi in Koweit il 25 marzo scorso tra gli applausi  entusiasti dei “principi ereditari” del Consiglio del Golfo che stanno stanziando somme importanti per stabilizzare l’istituto monarchico nei paesi arabi e segnatamente il Marocco e la Giordania.
 
Tra le potenze NATO che parteciparono alla defenestrazione di Gheddafi, nessun commento, se non quello inglese che ha dichiarato di ” non essere contrario”. Contrarissimi gli islamisti radicali  data la caratteristica “paciosa” della confraternita dei Senussi e l’educazione britannica del pretendente al trono indicato dal ministroAbdelaziz che si è preso anche la libertà di reinterpretare a modo suo la linea di legittima successione che vederebbe invece il cugino “romano” in pole position.
 
La potenza unificante della proposta del capo della diplomazia libica ha per il momento ottenuto il risultato di creare quattro nuove fazioni: i partigiani di Idriss, quelli di Mohammed, i difensori della Costituzione del 1951 ( Indipendenza) e i fautori della nuova Costituzione del 1963 ( che aboliva il federalismo e indicava come meta l’Unità nazionale).
 
La campagna del ministro degli esteri libico sta spingendo a pubbliche sortite una serie di capi tribù in cerca di protezione  e di sovvenzioni. Segno evidente che la BP non si sente sufficientemente garantita – nel medio termine – dai contratti di diritto privato stipulati pochi mesi fa e vorrebbe promuovere uno sforzo di sintesi atto a pacificare il paese con un capo dello Stato “estraneo” alle faide degli ultimi tre anni e con le mani monde del sangue dei Gheddafi. Naturalmente, per compiacere l’opinione pubblica statunitense poco incline a scivolate monarchiche, il nuovo assetto verrebbe assortito con un primo ministro eletto a suffragio universale.
 
Il grado di preparazione democratica dei libici risulta evidente dal fatto che alcuni uomini armati hanno fatto irruzione, armi alla mano, nella sala del Congresso Nazionale Libico mentre erano in corso le votazioni per l’elezione del nuovo primo ministro facendo numerosi feriti tra i parlamenteri votanti. Non  è ancora chiaro se si sia trattato di democratici di rito repubblicano che non amano la monarchia oppure di partigiani di un candidato che aspira alla elezione a primo
 
ministro evitando lungaggini procedurali. Il Presidente del CNT Mustafa Abdeljalil, aveva a suo tempo rilasciato una intervista sul tema istituzionale dicendo che tutte le opzioni erano aperte. Avrebbe fatto meglio a tenere la bocca e le porte chiuse.
 
Lo sapremo fin troppo presto.
 
Nel frattempo prosegue l’attività di rapimenti negoziati: si rapisce un diplomatico in Libia per chiedere la liberazione di un islamista detenuto in altri paesi. La deriva sicuritaria in Libia prosegue col solo risultato di rendere ancora più importante strategicamente – per noi e per l’Europa-  il gas e il petrolio algerino che viene fornito in un clima di sicurezza nazionale grazie alla accanita resistenza del presidente  Abdelaziz Bouteflika ( rieletto trionfalmente la scorsa settimana) garante delle istituzioni salvate con una durissima guerra interna, condotta in completo isolamento,  fomentata dalla Monarchia Saudita e costata  oltre centomila morti.
 
Boutlefika ha anche saputo capire immediatamente  il senso della guerra di Libia, chiudendosi a riccio nei confronti della NATO e ospitando la famiglia Gheddafi nonostante fosse problematica.
 
Nota: questo post è stato “sciabolato” da ignoti e l’ho riscritto di fretta appena mi sono accorto del blitz.  Lo stile lascia a desiderare. Se la cosa avesse a ripersi, ci saranno contromisure.
http://corrieredellacollera.com/2014/05/02/libia-seconda-fase-unidea-molto-inglese-restaurare-la-monarchia-sponsor-il-ministro-degli-esteri-libico-mohammed-abdulaziz-di-antonio-de-martini/?utm_medium=referral&utm_source=pulsenews

UNICREDIT CONDANNATA! CON I DERIVATI HA TRUFFATO LE IMPRESE. LE MOTIVAZIONI DI UNA STORICA SENTENZA

Derivati, firme false e dichiarazioni “estorte”, la sentenza Eurobox che condanna Unicredit
Il verdetto di primo grado del Tribunale civile di Salerno non è bastato a salvare l’azienda di imballaggi dal fallimento, ma ha fatto un po’ di luce sul rapporto tra banche, imprese e finanza tossica. Anche se i quasi 2 milioni di euro oltre agli interessi e alle spese legali che l’istituto milanese è stato condannato a restituire, difficilmente ridaranno un lavoro alla quarantina di ex dipendenti della famiglia Mignano
 
Troppo tardi. La sentenza di primo grado del Tribunale Civile di Salerno che il 19 febbraio 2014 ha dato ragione alla Eurobox contro Unicredit, se mai avesse potuto farlo, non è riuscita salvare dal fallimento la società di imballaggi metallici arrivato il 13 marzo scorso. Ma almeno ha fatto un po’ di luce sul rapporto tra banche, imprese e derivati che, in questo caso, è passato anche attraverso firme false e autorizzazioni “estorte”. Anche se i quasi 2 milioni di euro oltre agli interessi e alle spese legali che la banca è stata condannata a restituire a Eurobox, difficilmente ridaranno un lavoro alla quarantina di ex dipendenti della famiglia Mignano che all’inizio della storia, nel 1999, lavoravano per una piccola, ma promettente realtà imprenditoriale (31mila euro di utili su 5,8 milioni di euro di fatturato, con un debito bancario di 1,2 milioni) e che ora sono in mezzo ad una strada. Per di più in una regione, la Campania, dove il lavoro è una merce rara.
 
La storia è scritta nero su bianco nella sentenza che ilfattoquotidiano.it ha potuto consultare e secondo la quale i contratti con cui Unicredit ha venduto 28 derivati alla Eurobox tra il 2000 e il 2004, non sono validi. Si tratta di prodotti finanziari altamente sofisticati e rischiosi che, lamenta l’azienda, “a dire della banca avrebbero eliminato ogni rischio e assicurato la ‘copertura’ relativa agli affidamenti concessi (quasi 3 milioni di euro, ndr)”. Ma che hanno invece “avuto esiti ampiamente negativi, causando alla società perdite incalcolabili, pari a circa 4 milioni di euro per il solo danno emergente, comprensivo della sorta capitale persa e degli interessi addebitati”, come si legge nel documento nella parte dedicata alle rivendicazioni di Eurobox.
 
LA FIRMA APOCRIFA SUI CONTRATTI – Alla base delle operazioni, i contratti quadro siglati dalle parti e dai quali dipende la validità delle successive operazioni, ma anche la relativadichiarazione di operatore qualificato sottoscritta dalla società. Ed è proprio qui che mettono il dito i giudici avallando la posizione di Eurobox. Perché dei due contratti quadro prodotti dalle parti uno è risultato “a firma apocrifa”, quindi falso, in seguito a un accertamento di autenticità medianteconsulenza grafica d’ufficio “che ha concluso per la natura apocrifa della firma disconosciuta” dal rappresentante legale della società. E, dunque è “da ritenersi inesistente”. Invece per quanto riguarda il secondo, non disconosciuto, i giudici notano che le operazioni poi realizzate non sono affatto quelle indicate nell’accordo, ma al contrario “presentano caratteristiche strutturali molto più complesse”. In sostanza “la funzione del contratto quadro, consistente nel regolamentare operazioni elementari che la banca avrebbe posto in essere sulle oscillazioni dei tassi di cambio, non ha alcuna attinenza con i prodotti finanziari posti in essere altamente sofisticati e difficilmente comprensibili, basati su di una ‘complessa combinazione di opzioni, parte in acquisto e parte in vendita’ che divenivano sempre più ‘criptici’ e scarsamente trasparenti (…) tanto da vanificare la funzione di copertura”, come scrivono i magistrati sintetizzando la ricostruzione del consulente tecnico d’ufficio. Dall’inquietante ricostruzione, la conclusione circa “la nullità delle operazioni finanziarie, che risulta supportata dall’inesistenza di un contratto quadro sia per i derivati appartenenti alla categoria swap, data la falsità della firma sul contratto quadro disconosciuto, sia per i derivati riconducibili alle opzioni strutturate, data la discrasia tra la previsione relativa all’oggetto dei contratti specifici contenuta nel programma del contratto quadro non disconosciuto e le operazioni in titoli, di tutt’altra natura, concretamente poste in essere”.
 
E L’ESTORSIONE DELLA DICHIARAZIONE DI COMPETENZA FINANZIARIA – Ma non finisce qui. C’è anche la questione della dichiarazione di “operatore qualificato”. Unicredit, infatti, si era appellata all’artico 31 del Regolamento Consob in base al quale, tra il resto, la nullità dei servizi prestati da un intermediario senza un contratto non si applica nei rapporti tra intermediari autorizzati e operatori qualificati. Definizione, quest’ultima, che oltre agli operatori finanziari include “ogni società o persona giuridica in possesso di una specifica competenza ed esperienza in materia di operazioni in strumenti finanziari espressamente dichiarata per iscritto dal legale rappresentate”. Permettendo così alla banca di effettuare transazioni su derivati senza preventive autorizzazioni da parte del cliente. E qui ricasca l’asino. Tra i documenti agli atti c’è infatti una prima dichiarazione di operatore qualificato che “è uno dei tre documenti disconosciuti e risultati a firma apocrifa. Come tale da ritenersi inesistente”, si legge ancora nel documento. Ce n’è poi una seconda, datata 26 aprile 2001, che però, sempre secondo i giudici “è stata indotta dalla banca, la quale era perfettamente a conoscenza della sua contrarietà al vero”. La prova l’ha fornita la testimonianza di un quadro direttivo dell’allora Unicredit Banca d’Impresa che all’epoca era gestore dei rapporti tra la banca e le imprese clienti. “Il teste ha confermato di aver chiesto alla società di dichiararsi operatore qualificato contestualmente alla stipula dei contratti swap nell’anno 2000; ha aggiunto che la società Eurobox srl aveva comunicato alla banca, sin dall’inizio del rapporto, la non conoscenza degli strumenti finanziari ed in particolare dei contratti swap e di aver illustrato di quali prodotti si trattasse, la loro struttura ed i rischi”. E se l’organo amministrativo della società non era in grado di capire il funzionamento degli strumenti più semplici, è la deduzione dei giudici, “a maggior ragione non poteva avere alcuna capacità di comprensione della complessa struttura delle altre e più sofisticate operazioni”.
 
LA CONDANNA E IL RISARCIMENTO – Da qui la condanna a Unicredit alla restituzione di1.985.670 euro alla società “ a titolo di indebito oggettivo conseguente alla nullità delle operazioni in derivati”, oltre agli interessi, alle spese processuali nonché a quelle della consulenza tecnica d’ufficio. Niente da fare, invece, per quanto riguarda la richiesta di risarcimento dei danni subiti (quantificati in 2 milioni) in conseguenza primo delle operazioni nulle, secondo del ritiro degli affidamenti e, terzo, delle segnalazioni che Unicredit aveva fatto alla Centrale Rischi della Banca d’Italia. Questo a causa di questioni meramente tecniche. Per quanto riguarda il primo punto, il rifiuto è motivato proprio della nullità del contratto che esclude la responsabilità precontrattuale. Sulle conseguenze del ritiro degli affidamenti, il no dei giudici al risarcimento è invece motivato dal fatto che Eurobox, appellandosi al recesso immotivato da parte della banca, non ha assolto all’onere di “enunciare le ragioni della sua tesi e fornire la prova del canone di buona fede e del danno risarcibile”. L’azienda avrebbe infine dovuto documentare adeguatamente anche la segnalazione alla Centrale Rischi in quanto il tabulato fornito è inutilizzabile “trattandosi di documento prodotto da una parte già decaduta dalla facoltà processuale e stante l’opposizione della controparte alla sua introduzione nel processo”. E così il risarcimento è stato rigettato.
 
IL “PADRE” DEL COMMERCIO ITALIANO DEI DERIVATI, PIETRO MODIANO – Se ne riparlerà, probabilmente, in sede penale, dove l’ex imprenditore Rino Mignano ha presentato denuncia contro i vertici di Unicredit per usura su derivati e conti correnti. La prima udienza è in calendario per il prossimo 6 maggio. E scriverà un altro capitolo di una storia che ha dell’incredibile con una banca che presenta in Tribunale documenti con firme false e un’azienda che cade sui derivati fabbricati dalla divisione di Unicredit all’epoca dei fatti guidata da Pietro Modiano, oggi alla guida della Sea, la società che gestisce gli aeroporti di Milano, e della Carlo Tassara, l’indebitata holding del finanziere Romain Zaleski che non fa dormire sonni tranquilli ai banchieri, a partire dalla Intesa SanPaolo di Giovanni Bazoli. Del resto lo stesso Modiano – che ha guidato Unicredit Banca Mobiliare dal 1999 al 2004 e Unicredit Banca d’Impresa dal 2003 al 2004 – aveva ampiamentericonosciuto gli errori della commercializzazione dei prodotti finanziari strutturati ammettendo tra il resto che “ci sono situazioni in cui si sono fatti errori e quindi si deve riparare”.
 
Il caso della Eurobox ricorda molto da vicino quello della Divania, l’azienda pugliese per il cui fallimento del giugno 2011 la Procura di Bari ha recentemente chiamato in causa i derivati di Unicredit accusando di bancarotta i vertici e gli ex vertici della banca milanese, a partire dall’ex adAlessandro Profumo oggi al Montepaschi e dall’attuale numero uno, Federico Ghizzoni. La perizia di parte redatta dal consulente Roberto Marcelli racconta che Eurobox nel 1999 era una piccola azienda “in forte espansione, operante nel settore dello scatolame pressoché esclusivamente sul territorio nazionale”. Poi sono arrivati i derivati per coprire esposizioni sul dollaro che in realtà l’impresa aveva solo in minima parte rispetto al proprio fatturato. E, sempre secondo il perito di parte per il quale in Italia i “derivati creativi” siano stati venduti a 35mila aziende, “la banca ha condizionato il mantenimento e l’estensione delle linee di credito della società, alla sottoscrizione dei contratti derivati: in più circostanze si è riscontrata la concomitanza delle due operazioni”. La conclusione, scrive il perito, è arrivata “quando si è raggiunto il limite della capacità di credito del cliente” e l’istituto di credito ha proposto alla società un ultimo prodotto per il progressivo rientro. Ma l’imprenditore si è rifiutato di pagare per la chiusura dell’ultimo derivato. Così Unicredit ha segnalato Eurobox alla Centrale di rischi facendo scattare in automatico le richieste di rimborso di tutti i finanziamenti concessi all’impresa. A quel punto, l’azienda, che ha continuato industrialmente a funzionare (nel 2012 ancora produce utili per 1.500 euro su 90mila euro di fatturato, ma ha accumulato debiti per quasi 11 milioni e ha un patrimonio netto negativo con 8 milioni di perdite riportate a nuovo), è entrata in crisi di liquidità.
 

Tasse, altra stangata su capannoni e negozi. E i condomini? 1 su 4 è moroso

di MARIETTO CERNEAZ
 
Con la puntualità di una cambiale, ecco che arriva l’ultimo studio della Cgia di Mestre,che per l’occasione lancia un appello ai sindaci: ”Attenzione a non mettere fuori mercato molte aziende con l’acqua alla gola per mancanza di liquidità”.
 
Rispetto al 2013, fa sapere l’Ufficio studi dell’associazione, il prelievo fiscale sugli immobili strumentali potrebbe subire quest’anno un ulteriore aggravio: sui capannoni di quasi 400 euro (+11,4%), mentre sui negozi di circa 140 euro (+17,1%). In termini assoluti il carico fiscale aggiuntivo sugli immobili ad uso commerciale e produttivo previsto per quest’anno potrebbe aggirarsi attorno a 1,6 miliardi di euro. Se, invece, il confronto viene eseguito rispetto al 2011, anno in cui si e’ pagata per l’ultima volta l’Ici, l’incremento del carico fiscale rischia di essere addirittura esponenziale: per i capannoni potrebbe sfiorare l’ 89%, per i negozi l’aumento dovrebbe aggirarsi attorno al 133%. Un vero e proprio boom.
 
Boom di tasse e spese che colpiscono anche i condomini qualsiasi, al punto che è in deciso aumento la quota dicondomini morosiuno su 4 non paga le rate del condominio. Nel 2009, evidenzia un monitoraggio dell’Anammi, i condomini inadempienti erano in Italia il 20%, oggi tale percentuale sale al 25%. Un fenomeno presente soprattutto nelle grandi città. In particolare, dice l’associazione degli amministratori condominiali, sono Roma, Milano, Napoli, Torino, Palermo e Genova le citta’ piu’ “morose”. E non solo nei quartieri popolari, ma ormai anche in quelli ‘vip’.

Crisi, Italia più povera più violenta e più vecchia. L’indagine di Cna e Pmi

La ripresa è incerta, ma gli effetti della crisi si fanno sempre più gravi: in questi sei anni in Italia le persone a rischio povertà ed esclusione sociale hanno superato i 18 milioni, 2,8 milioni in più rispetto al 2007, con un’incidenza sulla popolazione totale che, negli stessi anni, è cresciuta di 3,9 punti percentuali portandosi al 29,9% contro il 23,3% europeo. E nel quadro dell’UE, il nostro Paese si pone all’apice del disagio sociale: il 14,8% degli europei a rischio di esclusione e/o povertà sono italiani.
 
A fornire questi dati è l’indagine: “L’Italia negli anni della crisi: più povera, più violenta, più vecchia. E inutilmente più istruita”, condotta dal Centro Studi della Confederazione Nazionale dell’Artigianato e della Piccola e Media Impresa, basata su dati Istat ed Eurostat, che restituisce l’immagine dell’Italia dopo sei anni di crisi economica, politica e sociale. Un quadro che include anche altri effetti funesti conseguenti alla crisi: aumento degli sfratti, invecchiamento della popolazione, incremento della delinquenza e del livello di istruzione, che però non si traduce in aumento dell’occupazione.
 
Esplodono l’esclusione sociale e la povertà
La concomitanza tra mancanza di posti di lavoro e la riduzione dell’occupazione ha innescato un aumento senza precedenti del rischio di povertà. E anche di esclusione sociale, ossia quella particolare condizione in cui si viene a trovare chi – secondo la definizione europea – è costretto a vivere con un reddito familiare inferiore al 60% del reddito medio dello stesso paese, in severe deprivazioni materiali (non riesce a sostenere spese impreviste, non può permettersi un pasto adeguato almeno ogni due giorni o di riscaldare adeguatamente l’abitazione) o che anche se lavora lo fa in maniera ridotta. Tra il 2007 e il 2012 in Italia la quota di cittadini in condizione di seria deprivazione materiale, già in atto prima della crisi, è aumentata dal 6,8% al 14,5%. In termini assoluti si tratta di un balzo da 4 a 8,8 milioni di individui sempre più in difficoltà a mantenere un tenore di vita soddisfacente.
Nel panorama europeo, tra il 2007 e il 2012 nell’Unione europea solo la Grecia e sei Paesi dell’area dell’Europa ex-socialista (Bulgaria, Romania, Lettonia, Lituania, Ungheria e Croazia) presentano un livello di deprivazione economica superiore a quello dell’Italia, in cui l’esclusione sociale è cresciuta del 29,9, mentre negli stessi anni in Germania il numero di tedeschi emarginati è diminuito.
 
Gli sfratti crescono del 55% in cinque anni.
Nell’89% dei casi perché gli inquilini non pagano. In Italia si registra anche il boom degli sfratti per morosità. Il dato, già molto elevato nel 2007 (77,4% del totale dei provvedimenti di sfratto), raggiunge quota 88,9% del totale sfratti nel 2012. In pratica, oltre 60 mila su 67.790.
L’emergenza sociale che ne deriva è ancora più evidente se si considera il rapporto tra numero di famiglie e numero di sfratti. L’indicatore, che può essere interpretato come una sorta di tasso di “sfrattabilità”, quasi raddoppia. Nel 2007 una famiglia su 545 rischiava di essere sfrattata, nel 2012 il rischio pende su una famiglia ogni 375. In termini percentuali, il rischio sfratto è cresciuto del 31%.
 
Una popolazione sempre più vecchia
L’incertezza economica e sociale si ripercuote anche sul dato demografico: non si fanno più figli. Negli anni della crisi in Italia il tasso di natalità (già basso) è calato ulteriormente dello 0,8% (da 9,7 a 8,9 nuovi nati ogni mille abitanti), mentre l’età media è salita a 44 anni (+1,1%) . E il peso della popolazione anziana è incrementato: gli ultra 65enni sono una volta e mezza i ragazzi sotto i 15 anni e il 32,7% della popolazione in età lavorativa, la cifra più alta in Europa (31,3% in Germania e 26,3% in Spagna). E l’invecchiamento della popolazione rappresenta un segnale inquietante. Questo indicatore demografico – dato infatti dal rapporto tra popolazione con almeno 65 anni e popolazione attiva – , infatti, misura la capacità potenziale del sistema di provvedere al pagamento delle pensioni. Una “bomba a orologeria”, sostiene il CNA.
 
Boom dei reati contro il patrimonio
Un Paese paralizzato dalla crisi non può che sentirsi insicuro. Per questo dal 2007 al 2012 gli episodi di criminalità sono aumentati dell’8,7%. Oltre alla caduta della ricchezza prodotta e dell’occupazione, la crisi ha abbassato la qualità delle relazioni interpersonali e ha causato un impoverimento della qualità dei rapporti tra i cittadini. Il disagio socio-economico si è tradotto in situazioni di crescente aggressività e di esasperazione sfociate tante volte in episodi criminosi. In forte aumento soprattutto i reati contro il patrimonio, dovuti per lo più alla caduta dell’attività economica e che rappresentano circa il 18% del totale degli episodi criminosi: furti (+32,5%), truffe e frodi informatiche (+21,8%). In crescita anche, e in maniera marcata, gli episodi di violenza personale: percosse, lesioni, minacce e ingiurie.
Inoltre, la crisi spinge le famiglie a guardare sempre meno alla qualità e la criminalità, anche internazionale, ne approfitta. Non stupisce dunque che tra i diversi tipi di delitti denunciati spicca la crescita esponenziale dei reati di contraffazione di marchi e prodotti industriali: dai 1.604 del 2007 ai 8.292 del 2012, con una crescita del 417,6%.
 
Si studia di più ma non si lavora
Paradossalmente, la crisi ha comportato un aumento del grado di istruzione della popolazione italiana. Infatti, tra il 2007 e il 2013 più di 1,2 milioni di persone (+23,9%) sono entrate in possesso di un titolo di laurea o post laurea, e 1,9 milioni di persone (+11,9%) di un diploma. Per effetto di questi andamenti il 47,4% degli italiani possiede un diploma o una laurea. Questo si spiega con il fatto che molti hanno deciso di prolungare gli studi oltre un certo livello (ad esempio la laurea anziché il diploma superiore) come contropartita al mancato inserimento nel mercato del lavoro, sempre più difficile da ottenere. I più penalizzati in questo quadro risultano essere i diplomati: infatti, se prima della crisi il diploma assicurava un inserimento sul mercato del lavoro simile a quello della laurea, oggi la probabilità di disoccupazione di un diplomato è prossima a quanti posseggono solo la licenza media, di fatto portando all’equiparazione tra istruzione di base e il diploma.
L’indagine sottolinea che con questi dati si è registrato anche un notevole aumento del numero dei “Neet” (Not in Education, Employment or Training), ossia dei giovani tra i 15 e i 34 anni non più inseriti in un percorso scolastico o formativo ma nemmeno impegnati in una attività lavorativa, salito dal 2007 al 2013 di oltre 750mila unità, arrivando a quasi 3,6 milioni. Il 27,3% dei “Neet” sono diplomati (erano il 17% nel 2007), il 21,7% laureati (contro il 15,9 % all’inizio della crisi).
Nel 2013 la condizione “Neet” riguardava circa il 30% di coloro che hanno un’età compresa tra i 25 e i 34 anni (e che potenzialmente potrebbero avere un titolo post laurea e avere maturato già qualche esperienza lavorativa), e “solo” il 22,2% dei giovani con meno di 25 anni. E l’incidenza dei “Neet” cresce più rapidamente nelle classi di età più anziane.
http://www.controlacrisi.org/notizia/Economia/2014/5/3/40533-crisi-italia-piu-povera-piu-violenta-e-piu-vecchia/

La maschera è caduta

Pubblichiamo una interessante analisi di Marco Mari
Il 25 maggio prossimo abbiamo la possibilità di far capire a questa Europa che è ora di cambiare registro.
Se la maggiorana dei cittadini fosse a conoscenza del motto della massoneria “solve et coaugula” forse non ci troveremmo in questo stato da economia di guerra: perché i dati italiani sono quelli.
 
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“Solve et coaugula” ha un significato terribile e inequivocabile: sciogli e ricomponi, ovvero sostituisci al vecchio un nuovo sistema per non cambiare nulla. Dunque c’è poco da stare allegri: la democrazia ormai superata si trasforma in post-democrazia pia illusione di libertà. Avremo sì la tivù tripiatta, i telefonini di ultimissima generazione, l’hi-tech, i social network, i suv, lustrini e pajettes, ma saremo schiavi come duecento o duemila anni fa.
Non ci credete? La Grecia è lì a testimoniarlo.
 
Perché chi detiene il potere non se lo fa sfuggire e la democrazia vera, reale, implica il coinvolgimento dei popoli nell’esercizio delle scelte. La Svizzera ne è un esempio lampante: gli elvetici partecipano attivamente al governo del loro paese attraverso i referendum, coi quali possono interagire e persino ribaltare le decisioni del governo centrale. E questo per i potenti Ue e Usa è una scocciatura inaccettabile. Ecco perché vogliono a tutti i costi tornare al passato. Nei secoli scorsi i regnanti si appoggiavano a nobili, banchieri e grandi commercianti (e più di recente anche industriali) per governare indisturbati su moltitudini di salariati, braccianti e contadini pressoché alla fame e ne portavano via le giovani generazioni riempiendo schiere di eserciti spesso impegnati in campagne militari.  Poi con la rivoluzione francese è sembrato aprirsi un periodo nuovo che però a parte i grandi principi, mai concretizzati appieno di libertà, uguaglianza, fraternità non ha portato risultati sperati. I potenti sono rimasti potenti, i poveri diavoli sono rimasti poveri diavoli.
 
Solo dopo la seconda guerra mondiale abbiamo assistito ad un sensibile miglioramento della condizione dei cittadini. Suffragio universale, diritto alla salute, diritti dei lavoratori e di impresa, diritto alla scolarizzazione, libertà di informazione e espressione sono diventati pilastri della nostra epoca, ma tutte queste concessioni hanno iniziato a barcollare in quanto scomode per chi tiene in pugno il sistema: creano cittadini troppo liberi ed intraprendenti che, una volta trovata la consapevolezza della propria forza e capacità, possono diventare dei concorrenti. Bisogna perciò riportarli al nulla dal quale sono venuti.
In passato bastava scatenare una bella guerra, oggi si usano metodi più subdoli: i trattati e lo spread. Si toglie sovranità agli stati conglobandoli dentro la gabbia di un’area monetaria il cui strumento di oppressione è l’euro controllato da un ristretto numero di burocrati autonominati che con la scusa delle riforme e della globalizzazione costringe 400 milioni di abitanti a togliersi i vari diritti conquistati nel secolo scorso. E per i refrattari ai diktat di Bruxelles c’è la falce dello spread.
Globalizzazione ed euro sono figli delle stesse menti e hanno il compito di portarci via il futuro e la dignità a favore di pochi “paperoni” che giocano con le nostre esistenze. La commissione europea non a caso ha pianificato ogni cosa a misura di multinazionali e contro artigiani e piccole e medie imprese. I vari Delors, Padoa Schioppa e compagnia cantante sapevano benissimo cosa stavano facendo: sono partiti dalla moneta unica per imporre agli europei ciò che altrimenti non sarebbe mai passato.
 
Le crisi servivano per togliere sovranità agli stati e trasferirla a Bruxelles. Dopo aver consegnato l’Europa alle banche ed alla finanza e sostituito l’economia reale (l’industria ed agricoltura) ora sta per arrivarci sulla testa il Trattato di Libero Scambio Euroatlantico del quale in gran segreto se ne sta occupando il presidente Barroso che, mirando a divenire segretario dell’Onu, farà di tutto per accontentare gli Usa. L’Europa verrà fagocitata dalle multinazionali americane che avranno mano libera su tutto e gli stati Ue non potranno più opporsi pena l’apertura di cause davanti al Tribunale Internazionale per questioni economiche, completamente in mano ai legali delle multinazionali stesse. Ne sa qualcosa il Canada che negli ultimi anni ha perso oltre 200 cause contro le lobbies. Il potere si riprende tutto.
 
Come vedete la maschera è caduta. Democrazia, libertà, giustizia ed equità sociale rimangono un miraggio. E in tutto questo un ruolo determinante ce l’ha l’informazione pilotata dagli spin-doctors, e politici allevati nei pensatoi e nelle fondazioni create da banchieri e finanzieri che ci raccontano che questo taglio ai nostri diritti è giusto. Se non ci piace tutto questo il 25 maggio prossimo abbiamo la possibilità di far capire a questa Europa che è ora di cambiare registro. Mai come ora è importante dare un segnale dato che da qui in poi se vincono ancora le forze dell’ortodossia all’euro ci aspettano decenni di miseria, sfruttamento e ingiustizia sociale.
 
Marco Mari
 
Fonte: Rinascita.eu

Afghanistan: frana nel Nord-est, forse 2.500 morti

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La frana in Afghanistan “potrebbe aver provocato 2.500 morti”. Lo ha detto il governatore della provincia del Badakhshan, Shah Waliullah Adeeb. “Secondo le prime informazioni raccolte a partire dalle testimonianze degli abitanti, 2.500 persone, tra cui donne e bambini, potrebbero essere morte”, ha detto all’agenzia di stampa Pajhwok.
Una frana avvenuta nella provincia nord-orientale afghana di Badakhshan avrebbe causato centinaia di vittime e almeno 2.000 dispersi. Lo sostiene l’agenzia di stampa Pajwok. Secondo tweet afghani che citano il governatore provinciale il totale di morti e dispersi sarebbe di 2.700. Un mare di terra, fango e pietre ha sepolto circa 200 case nel distretto di Argu., Circa 250 famiglie sono state coinvolte nel disastro. La frana che ha colpito il nord-est dell’Afghanistan, a seguito dal maltempo, ha provocato almeno 350 morti. Lo rende noto la missione Onu nel Paese.
 

Monti confessa: dietro alla Troika c’era Soros.

ssh non fatelo sapere ai pennivendoli nostrani…è roba complottista….

Pubblicato 1 maggio 2014 – 14.36  Da Claudio Messora

 Mario Monti ieri al Wall Street Journal: «A partire da novembre (il 9 lo spread dell’Italia vola a 573 punti, il 16 Monti diventa presidente del Consiglio, ndr.), la Germania, il Fondo Monetario Internazionale e investitori privati come George Soros invitavano con forza l’Italia a chiedere qualche sorta di salvataggio. Ma io ho detto: assolutamente no. Perché avevamo bisogno dì mobilitare il Paese affinché accettasse dure riforme strutturali e di austerità». (in realtà,  per distruggere la domanda interna)
 
E qui Monti dà clamorosamente ragione ai dietrologi, mettendo le pressioni di Soros sullo stesso piano di quelle discutibili ma comunque legittime della Germania e del Fmi. [Fonte: Bussi, Milano Finanza]

Giovane egiziano parla dell’Italia: «Nel vostro Paese non c’è legge e non si paga nulla»

sabato, 3, maggio, 2014
Dopo il fermo del 26 aprile scorso di una famiglia di cinque scafisti egiziani, ecco la deposizione di uno degli immigrati, resa agli uomini della Questura di Ragusa (Squadra Mobile, II sezione), Guardia di Finanza (Sezione Operativa Navale Pozzallo), Legione Carabinieri Sicilia (Compagnia di Modica).
… il cittadino extracomunitario Mina Jamal, nato a Asut (Egitto) il 01.02.1994 (n.190/F dell’elenco generale del primo sbarco del 26.04.2014), residente in Abnoub (Egitto), ha dichiarato: «Premetto che sono nato nella città di Asut (Egitto), ma di aver vissuto in quella di Abnoub (Egitto), centro questo distante da Alessandria almeno 8 ore di strada in macchina. Da sempre, così come molti miei connazionali ho avuto il desiderio di emigrare in Italia per trovare condizioni di vita più accettabili. Tale desiderio è diventato ancor più forte a seguito degli eventi accaduti nel mio Paese e meglio conosciuti come Primavera araba».
6.000 DOLLARI PER IMBARCARMI
«Ho concordato, così come anche mio padre, con Abou Fatna ogni condizione del mio viaggio ed in particolare l’importo che avrei dovuto pagare una volta raggiunto il territorio italiano che era di 6.000 dollari Usa. Il 21 aprile scorso ha avuto inizio il viaggio per Alessandria d’Egitto, cosa che avveniva a bordo di taxi insieme con i predetti miei connazionali. Dopo circa otto ore di strada giungevo ad Alessandria d’Egitto. I furgoni erano più di dieci e in ciascuno di essi era stato caricato un numero di soggetti pari a venti e forse anche più, destinati ad affrontare il viaggio per l’Italia non vi erano solo egiziani ma anche siriani…».
PICCHIATI SULLA TESTA
Durante tali fasi ho anche avuto modo di constatare i comportamenti piuttosto violenti da parte degli egiziani che avevano organizzato il viaggio e a tal proposito faccio presente che in una circostanza uno dei passeggeri riceveva un violento colpo alla testa sferrato con il calcio di una pistola da un egiziano dell’organizzazione. Ad essere armato non era solo tale soggetto ma la maggior parte degli egiziani dell’organizzazione il cui numero complessivo era di circa 20. A poca distanza dalla battigia della spiaggia si trovava già posizionato in mare un gommone sul quale, a gruppi, venivamo fatti salire per raggiungere un grosso peschereccio in legno sul quale venivamo fatti salire».
«HO FATTO UN REATO DIETRO L’ALTRO»
… si dà atto che, durante le deposizioni, il soggetto identificato per Hameda Oma, egiziano di 21 anni, assume atteggiamento di provocazione nei confronti dei verbalizzanti. Egli alla lettura del presente verbale e alla relativa traduzione esterna più volte risate e profferisce di non aver paura di nulla e rivolgendosi agli altri fermati esclama in lingua araba, che prontamente viene tradotta dall’interprete: «Non vi preoccupate per quello che abbiamo fatto, tanto in Italia non c’è legge e non si paga nulla. Io in Italia ho commesso di tutto e solo una volta sono andato a finire in carcere, rimanendovi per pochi giorni e poi mi hanno mandato in Egitto».
Redazione online il tempo

http://www.imolaoggi.it/2014/05/03/giovane-egiziano-parla-dellitalia-nel-vostro-paese-non-ce-legge-e-non-si-paga-nulla/

risorse……