Crisi, Italia più povera più violenta e più vecchia. L’indagine di Cna e Pmi

La ripresa è incerta, ma gli effetti della crisi si fanno sempre più gravi: in questi sei anni in Italia le persone a rischio povertà ed esclusione sociale hanno superato i 18 milioni, 2,8 milioni in più rispetto al 2007, con un’incidenza sulla popolazione totale che, negli stessi anni, è cresciuta di 3,9 punti percentuali portandosi al 29,9% contro il 23,3% europeo. E nel quadro dell’UE, il nostro Paese si pone all’apice del disagio sociale: il 14,8% degli europei a rischio di esclusione e/o povertà sono italiani.
 
A fornire questi dati è l’indagine: “L’Italia negli anni della crisi: più povera, più violenta, più vecchia. E inutilmente più istruita”, condotta dal Centro Studi della Confederazione Nazionale dell’Artigianato e della Piccola e Media Impresa, basata su dati Istat ed Eurostat, che restituisce l’immagine dell’Italia dopo sei anni di crisi economica, politica e sociale. Un quadro che include anche altri effetti funesti conseguenti alla crisi: aumento degli sfratti, invecchiamento della popolazione, incremento della delinquenza e del livello di istruzione, che però non si traduce in aumento dell’occupazione.
 
Esplodono l’esclusione sociale e la povertà
La concomitanza tra mancanza di posti di lavoro e la riduzione dell’occupazione ha innescato un aumento senza precedenti del rischio di povertà. E anche di esclusione sociale, ossia quella particolare condizione in cui si viene a trovare chi – secondo la definizione europea – è costretto a vivere con un reddito familiare inferiore al 60% del reddito medio dello stesso paese, in severe deprivazioni materiali (non riesce a sostenere spese impreviste, non può permettersi un pasto adeguato almeno ogni due giorni o di riscaldare adeguatamente l’abitazione) o che anche se lavora lo fa in maniera ridotta. Tra il 2007 e il 2012 in Italia la quota di cittadini in condizione di seria deprivazione materiale, già in atto prima della crisi, è aumentata dal 6,8% al 14,5%. In termini assoluti si tratta di un balzo da 4 a 8,8 milioni di individui sempre più in difficoltà a mantenere un tenore di vita soddisfacente.
Nel panorama europeo, tra il 2007 e il 2012 nell’Unione europea solo la Grecia e sei Paesi dell’area dell’Europa ex-socialista (Bulgaria, Romania, Lettonia, Lituania, Ungheria e Croazia) presentano un livello di deprivazione economica superiore a quello dell’Italia, in cui l’esclusione sociale è cresciuta del 29,9, mentre negli stessi anni in Germania il numero di tedeschi emarginati è diminuito.
 
Gli sfratti crescono del 55% in cinque anni.
Nell’89% dei casi perché gli inquilini non pagano. In Italia si registra anche il boom degli sfratti per morosità. Il dato, già molto elevato nel 2007 (77,4% del totale dei provvedimenti di sfratto), raggiunge quota 88,9% del totale sfratti nel 2012. In pratica, oltre 60 mila su 67.790.
L’emergenza sociale che ne deriva è ancora più evidente se si considera il rapporto tra numero di famiglie e numero di sfratti. L’indicatore, che può essere interpretato come una sorta di tasso di “sfrattabilità”, quasi raddoppia. Nel 2007 una famiglia su 545 rischiava di essere sfrattata, nel 2012 il rischio pende su una famiglia ogni 375. In termini percentuali, il rischio sfratto è cresciuto del 31%.
 
Una popolazione sempre più vecchia
L’incertezza economica e sociale si ripercuote anche sul dato demografico: non si fanno più figli. Negli anni della crisi in Italia il tasso di natalità (già basso) è calato ulteriormente dello 0,8% (da 9,7 a 8,9 nuovi nati ogni mille abitanti), mentre l’età media è salita a 44 anni (+1,1%) . E il peso della popolazione anziana è incrementato: gli ultra 65enni sono una volta e mezza i ragazzi sotto i 15 anni e il 32,7% della popolazione in età lavorativa, la cifra più alta in Europa (31,3% in Germania e 26,3% in Spagna). E l’invecchiamento della popolazione rappresenta un segnale inquietante. Questo indicatore demografico – dato infatti dal rapporto tra popolazione con almeno 65 anni e popolazione attiva – , infatti, misura la capacità potenziale del sistema di provvedere al pagamento delle pensioni. Una “bomba a orologeria”, sostiene il CNA.
 
Boom dei reati contro il patrimonio
Un Paese paralizzato dalla crisi non può che sentirsi insicuro. Per questo dal 2007 al 2012 gli episodi di criminalità sono aumentati dell’8,7%. Oltre alla caduta della ricchezza prodotta e dell’occupazione, la crisi ha abbassato la qualità delle relazioni interpersonali e ha causato un impoverimento della qualità dei rapporti tra i cittadini. Il disagio socio-economico si è tradotto in situazioni di crescente aggressività e di esasperazione sfociate tante volte in episodi criminosi. In forte aumento soprattutto i reati contro il patrimonio, dovuti per lo più alla caduta dell’attività economica e che rappresentano circa il 18% del totale degli episodi criminosi: furti (+32,5%), truffe e frodi informatiche (+21,8%). In crescita anche, e in maniera marcata, gli episodi di violenza personale: percosse, lesioni, minacce e ingiurie.
Inoltre, la crisi spinge le famiglie a guardare sempre meno alla qualità e la criminalità, anche internazionale, ne approfitta. Non stupisce dunque che tra i diversi tipi di delitti denunciati spicca la crescita esponenziale dei reati di contraffazione di marchi e prodotti industriali: dai 1.604 del 2007 ai 8.292 del 2012, con una crescita del 417,6%.
 
Si studia di più ma non si lavora
Paradossalmente, la crisi ha comportato un aumento del grado di istruzione della popolazione italiana. Infatti, tra il 2007 e il 2013 più di 1,2 milioni di persone (+23,9%) sono entrate in possesso di un titolo di laurea o post laurea, e 1,9 milioni di persone (+11,9%) di un diploma. Per effetto di questi andamenti il 47,4% degli italiani possiede un diploma o una laurea. Questo si spiega con il fatto che molti hanno deciso di prolungare gli studi oltre un certo livello (ad esempio la laurea anziché il diploma superiore) come contropartita al mancato inserimento nel mercato del lavoro, sempre più difficile da ottenere. I più penalizzati in questo quadro risultano essere i diplomati: infatti, se prima della crisi il diploma assicurava un inserimento sul mercato del lavoro simile a quello della laurea, oggi la probabilità di disoccupazione di un diplomato è prossima a quanti posseggono solo la licenza media, di fatto portando all’equiparazione tra istruzione di base e il diploma.
L’indagine sottolinea che con questi dati si è registrato anche un notevole aumento del numero dei “Neet” (Not in Education, Employment or Training), ossia dei giovani tra i 15 e i 34 anni non più inseriti in un percorso scolastico o formativo ma nemmeno impegnati in una attività lavorativa, salito dal 2007 al 2013 di oltre 750mila unità, arrivando a quasi 3,6 milioni. Il 27,3% dei “Neet” sono diplomati (erano il 17% nel 2007), il 21,7% laureati (contro il 15,9 % all’inizio della crisi).
Nel 2013 la condizione “Neet” riguardava circa il 30% di coloro che hanno un’età compresa tra i 25 e i 34 anni (e che potenzialmente potrebbero avere un titolo post laurea e avere maturato già qualche esperienza lavorativa), e “solo” il 22,2% dei giovani con meno di 25 anni. E l’incidenza dei “Neet” cresce più rapidamente nelle classi di età più anziane.
http://www.controlacrisi.org/notizia/Economia/2014/5/3/40533-crisi-italia-piu-povera-piu-violenta-e-piu-vecchia/
Crisi, Italia più povera più violenta e più vecchia. L’indagine di Cna e Pmiultima modifica: 2014-05-04T13:31:25+02:00da davi-luciano
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