Torino, 10 maggio. Contro la vendetta di stato, per la giustizia. Con Chiara, Claudio, Mattia e Niccolò, per tutte e tutti noi.

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Anche noi saremo a Torino, il 10 maggio, per far sentire la nostra solidarietà a Chiara, Claudio, Mattia e Niccolò.

Chiara, Claudio, Mattia, Niccolò. E’ importante ripetere i nomi, è importante scandirli perché stiamo parlando di quattro vite, quattro esseri umani, quattro attivisti No Tav che dal 9 dicembre 2013 sono imprigionati, sparpagliati tra le carceri di Alessandria, Ferrara e Roma, sottoposti a un regime di alta sicurezza (AS2).

Per noi come per la popolazione della Val di Susa questi prigionieri sono fratelli e sorelle, parte della comunità che da più vent’anni resiste a una «grande opera» inutile e insensata, macchina mafiogena ed ecocida, meccanismo divorasoldi e divoramontagne imposto al territorio con prepotenza, ottusa arroganza e metodi prettamente autoritari.

Per noi prendere posizione è facile, è scontato. Ma anche chi non si è mai informato su questa lotta, e come molti è stato indotto a guardarla con sospetto, dovrebbe allarmarsi per quanto sta accadendo. E’ una vicenda che racconta una storia più grande, che rischia di ingrandirsi ulteriormente e coinvolgere sempre più persone. Tu che leggi, con quale certezza puoi dirti al sicuro? Come dice il motto latino: «de te fabula narratur». Forse questa storia parla già di te.

Chiara, Claudio, Mattia e Niccolò vengono spacciati per terroristi e, a poco più di vent’anni d’età, si trovano a rischiarne trenta di prigione. Il processo inizierà il 22 maggio. Di cosa sono accusati, esattamente?

Sono accusati di aver partecipato a una iniziativa durante la quale venne danneggiato un compressore. Cioè un oggetto inanimato. Una cosa, fatta di metallo e fili.

Quella notte, non un poliziotto né tanto meno un operaio del cantiere TAV furono sfiorati, nemmeno alla lontana.

L’accusa di terrorismo e il regime di alta sorveglianza trovano il loro appiglio nell’art. 270 sexies del codice penale, incartato nove anni fa dentro uno dei tanti «pacchetti sicurezza» propinati a un’opinione pubblica in cerca di facili rassicurazioni. Era il luglio 2005, c’erano stati da poco gli attentati alle metropolitane di Madrid e Londra.

Coincidenza: quello stesso anno il movimento No Tav conseguì la sua più importante vittoria sul campo, bloccando e scongiurando l’apertura del cantiere per il cunicolo geognostico previsto a Venaus. In apparenza non c’entra, e invece c’entra, perché nel 270 sexies si legge (corsivo nostro):

«Sono considerate con finalità di terrorismo le condotte che, per la loro natura o contesto, possono arrecare grave danno ad un Paese o ad un’organizzazione internazionale e sono compiute allo scopo di intimidire la popolazione o costringere i poteri pubblici o un’organizzazione internazionale a compiere o astenersi dal compiere un qualsiasi atto […]»

Dato che il movimento No Tav vuole impedire il colossale sperpero del TAV Torino-Lione, ogni iniziativa in tal senso può essere ricondotta a «finalità di terrorismo».

Ecco perché nessuno è al riparo da questa accusa.

Per due PM e un GIP della procura di Torino, Chiara, Claudio, Mattia e Niccolò hanno cercato di «danneggiare l’immagine dell’Italia».

Proprio così, ripetiamolo: «danneggiare l’immagine dell’Italia».

Quale Italia sarebbe stata danneggiata nella sua immagine dai No Tav che stanno per andare a processo?

L’Italia che i poteri costituiti vedono «diffamata» dai No Tav è forse quella della dignità, della solidarietà, della partecipazione democratica? O è piuttosto quella di un certo «sviluppo» che serve solo il malaffare, della simbiosi tra partiti e cosche criminali, degli appalti sospetti, del lavoro con molti ricatti e pochi diritti, dei veleni e del biocidio?

Quella che stiamo descrivendo è solo la punta più avanzata di una strategia che la Procura di Torino ha avviato da tempo. Attivisti accusati di stalking, ambientalisti accusati di procurato allarme, ragazzi accusati di sequestro di persona, sindaci condannati a pagare cifre astronomiche, mesi di galera per la rottura di un sigillo, processi tenuti in aule-bunker…

La pretesa di affrontare un problema politico e tecnico come quello della Torino-Lione attraverso la repressione giudiziaria e poliziesca sta avendo e avrà sempre più conseguenze devastanti. Devastanti non solo per il vivere civile, ma soprattutto per quattro ragazzi che rischiano di passare la loro gioventù in prigione, perché qualcuno ha deciso di schiacciare la resistenza valsusina sotto un tallone di ferro.

Se sottoporre i quattro ragazzi al regime di Alta Sicurezza 2 doveva spezzare loro e far vacillare il movimento no tav, possiamo dire con certezza che non è servito.

Non è servito l’isolamento imposto ben oltre il periodo delle indagini, contro quel che si legge nell’articolo 33 dell’ordinamento penitenziario e nell’art. 3 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

Non sono servite la drastica limitazione delle ore d’aria, la censura della posta la riduzione delle visite (permesse solo ai famigliari in senso stretto, quindi non a compagni/e di vita e conviventi).

Non è servita nemmeno la criminalizzazione mediatica.

Da dietro le sbarre, Chiara, Claudio, Mattia e Niccolò hanno spedito lettere mai rassegnate, spesso ironiche, provocatorie, briose. Hanno chiesto per sé più repressione, più isolamento e il divieto di mangiare, hanno chiamato a testimoniare per la difesa «mio cugino che mi vuole tanto bene»… Dulcis in fundo, hanno suggerito di aggiungere Dudù il cagnolino di Berlusconi, alla surreale lista di «parti offese» stilata dai PM.

Lista che oggi include, senza il minimo intento umoristico, la Commissione Europea, il Consiglio dei Ministri, il III Reggimento Alpini di Pinerolo, i carabinieri di Sestriere, la P.S. di Imperia, la Guardia di Finanza di Torino…

Il 10 maggio si va in piazza.

A sostegno delle vere «parti offese».

Per la libertà di Chiara, Claudio, Mattia e Niccolò, e per la libertà di tutti.

Per l’aria, l’acqua, il suolo e la salute pubblica della Val di Susa, dell’Italia e del pianeta.

Contro l’oscena accusa di terrorismo.

A Torino, alle 14, in Piazza Adriano.

Noi ci saremo.

Primi firmatari: Wu Ming (collettivo di scrittori) – Valerio Mastrandrea (attore e regista) Loredana Lipperini (giornalista, conduttrice di Fahrenheit) – Zerocalcare (fumettista) – Cecilia Strada (presidente Emercency) – Massimi Carlotto (scrittore) – Pino Cacucci (scrittore) – Erri De Luca (scrittore) –  Valerio Evangelisti (scrittore) – Sabina Guzzanti (Attrice e Regista), Paolo Cacciari  (Giornalista) – Guido Viale (Economista) – Maso Notarianni (Giornalista- Peace Reporter) –  Vauro Senesi (Editorialista e Vignettista) – Serge Quadruppani (scrittore) – Alberto Prunetti (scrittore) – Girolamo De Michele (scrittore)  Giulietto Chiesa (Giornalista).

Le adesioni in aggiornamento:

Ascanio Celestini (attore) – Alberto Airola (portavoce al Senato del M5S) – Alberto Giovanni Biuso (docente universitario) – Gian Paolo Serino (critico letterario) – Raphael Zanotti (giornalista) – Marco Scibona (senatore M5S) – Liliana Gualandi (giudice onorario al tribunale dei minori di Milano) – Andrea Fumagalli (economista) – Claudio Calia (fumettista) – Ugo Mattei (giurista) – Peter Freeman (giornalista e regista) – Andrea Doi (giornalista) – Cristina Morini (saggista e scrittrice) – Domenico Finiguerra (campagna Stop al consumo del territorio) – Walter Ferrari (docente universitario di Storia, scrittore) – Vito Crimi (senatore M5S) – Marco Philopat (scrittore) – Nicola Morra (senatore M5S) – Maksim Cristan (scrittore) – Daria Spada (cantante lirica) – Mariano Tomatis (illusionista e scrittore) – Paolo Sollier (allenatore e scrittore) – Alessandro (Bibi) Bozzato (regista e documentarista) – Agenzia X (casa editrice) – Slavina (scrittrice e performer) – Société Ethnobotaniqua Alpine, Moncenisio – Tania Preste (storica) – Enrico Rennella (Ricercatore CNRS) – Maurizio Pagliasotti (giornalista) – Lionello Gioberto (sindaco) – Ugo Lucignano (Direttivo provinciale CGIL) – Elena Emilia Cicorella (scenografa) – Margherita Fina (musicista) – Sandro Moiso (scrittore) – Milvia Comastri – Roberto Gastaldo – Alfredo Simone (giornalista) – Ettore Luzi (Ricercatore UNIFI) – Fiammetta Benati – Paolo dalla Zonca (produttore radiofonico) – Simone Garino (musicista) – Florian Mucci – Silvia Grinzato (sindacalista CGIL) – Lisa Rigotti – Roberto Dosio (medico) – Michele Di Filippo – Daniele Contardo (musicista) – Tullio Florio (impiegato) – Daniele Verdolini – Ada Rota (docente università di Torino) – Niccolò Busatta – Associazione FabioNews – Liliana Piattone – Mimmo Stolfi (giornalista) – Davide Garetto – Alessandro Saulini – Giacomo Ortona – Piero Leodi (redattore) – Silvano Raise – Francesco Molinari (avvocato) – Ilaria Cesarino – Camilla Zenobi (operatrice telefonica) – Francesca Pellegrino – Franco Cometa – Giorgio Bianco – Paola Arioli – Fabio Luca – Gianfranca Fois – Ferruccio Rizzi (amministratore pubblico, pensionato) – Gisella Arioli – Giulio Nassini – Manuel Messina (avvocato) – Massimiliano Martelli (PRC di Latina) – Maria Luisa Loche – Claudio Durandetto – Nathalie Molin – Roberta Cicorella (impiegata) – Enrica Noseda – Antonio Granieri (architetto) – Chiara Tasselli – Azienda Agricola “Lou Rampar”, Torre Pellice – Comunità Forestale della Costa, Torre Pellice – Jacopo Rothenaisler – Giuseppe Titone (pensionato) – Patrizia Ravera – Luigi Chiarella (attore, drammaturgo) – Graziella Teti – Paolo Miletto – Donella Clarotti – Spaliviero Gian Paolo (scrittore e disoccupato) – Luigi Antonozzi – Alessio Calvitti – Nicola Romana – Giovanni Iaderosa (medico) – Sara Staffieri – Paolo Cirelli – Paola Lucarelli – Linda Confalonieri (performer) – Laura Colonna (performer) – Luigi Petronella – Mira Mondo – Nicoletta Maldini (libraia) – Silvio Panatta – Francesca Frigeri – Giulia Gadaleta (bibliotecaria) – Valentina Pasquale – Simone Scaffidi Lallaro – Roberto Visentin – Bruno Carpani – Roberto Solari (ANPI Mirano) – Tiziana Quirico – Nadia Crepaldi – Viviana Colla – Mario Guanziroli – Nicola Bertasi – Melina Caudo – Francesco Russo (funzionario pubblico precario) – Cristiana Rita – Consuelo Possenti – Salvatore Giaconia (artista) – Davide Morra – Anna Balderi – Fausto Gianelli (avvocato) – Stefano Bonino – Luca Leoni – Livia Grossi – Elisa Tenconi – Rosanna Zanella (traduttrice) – Simona Sorrentino – Stefania Di Campli – Rosa Mordenti – Maurizio Colognola – Agnese Baini – Massimo Galeazzo – Stefano Assogna – Gabriele Mainetti – Alba Bus (impiegata) – Alfredo Moretti (formatore) – Dora Esposito – Marco Fiorencis

Per aderire all’appello scrivere indicando nome e cognome a appello10maggio@gmail.com

Polveri in Valle? l’unica soluzione è fermare la Torino Lione

TG Valle Susa

Polveri in Clarea. Conferenza di sabato 12 aprile a Bussoleno.

di Gabriella Tittonel

“Sono estremamente preoccupato per i dati resi noti di Chiomonte sulla presenza delle polveri… Questo perché nel centro paese, dove è ubicata la scuola, è vero che tutti i parametri delle polveri sottili, le più minuscole e più invasive,  sono compresi nei limiti di legge, ma la loro presenza è aumentata di dieci punti, il che significa un aumento della mortalità del 4%. Con questa è certo che vi sarà un aumento di alcune malattie nella popolazione più fragile e predisposta, quella dei bambini e degli anziani….. Un dato, questo,  ben noto e già annunciato da tempo dall’LTF e dai promotori del progetto della linea ad alta velocità…. Se un mio figlio frequentasse la scuola a Chiomonte sarei molto preoccupato, mi chiederei che fare…” – questo quanto sottolineato dal Dottor Marco Tomalino del Coordinamento Sanitario Vallesusa all’incontro tenuto alcuni giorni fa a Bussoleno sull’azione di più agenti inquinanti in un territorio, a cui ha partecipato il Professor Giancarlo Ugazio, già Docente di Patologia Generale all’Università di Torino.

Relatore, il Professor Ugazio,  che ha concluso l’attentissima relazione con un’affermazione che non ammette replica: “Non esistono soluzioni altre, bisogna chiudere il buco del tunnel geognostico… non ci sono altri sistemi di protezione se non fermare la non opera”

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Numerosi gli intervenuti che hanno seguito con partecipazione la relazione che ha illustrato quanto accade quando più agenti interferiscono sull’ambiente: “ Tre sono i principali agenti nocivi per il nostro organismo – ha ricordato Ugazio –  il primo è quello legato alla perdita di tolleranza ai composti ambientali esogeni, SCM, (sensibilità chimica multipla),  una sindrome devastante multifattoriale e multisistemica, irreversibile, che colpisce circa il 10% della popolazione: Che vede tra le più diffuse sorgenti detersivi, profumi, cosmetici, pigmenti e tinture per capelli, acroleina da fritture, pesticidi, concimi chimici, mercurio, fumo di tabacco, olio di tessitura, solventi in articoli di cancelleria, campi elettromagnetici, radiazioni ionizzanti, anestetici, farmaci, vaccini, impianti, v.o.c. dall’edilizia, toner da stampanti e fotocopiatrici, fumi di catrame, fumi di scarico, diserbanti, fumo di greggio incendiato.

Secondo agente nocivo è quello dell’amianto (absesto) le cui fibrille possono raggiungere tutti gli organi del corpo umano se respirate, ingerite  o veicolate dall’acqua, compresa quella della doccia. Le affezioni toraciche sono l’asbestosi e il cancro polmonare, le placche pleuriche, il mesotelioma pleurico e il mesotelioma pericardio. Le affezioni extratoraciche: mesotelioma di peritoneo, vaginale, testicolare; il cancro di laringe, stomaco, colon, rene, vescica, ovaio; il glioblastoma e astrocitoma cerebrale, la sclerosi laterale amiotrofica, il morbo di Alzheimer, l’autismo, l’incontinenza urinaria, le miocardiopatie, la cataratta, la fibromialgia, il prurito incoercibile.

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Terzo agente  nocivo è quello derivante dai campi elettromagnetici, dalla radiazioni visibili e radiazioni ionizzanti. I campi elettromagnetici, oltre  che essere cancerogeni per se stessi, alterando la molecola del DNA, possono contrastare l’efficacia finale dei meccanismi di difesa dell’organismo contro il cancro, quindi contribuire all’azione patogena dei diversi cancerogeni che ci circondano, tra cui l’asbesto.

Un altro fattore condiviso dai tre consiste nel fatto che tutti sono legati al “progresso” e a quel profitto imprenditoriale che si attua attraverso lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, accuratamente occultato con la congiura del silenzio. L’uomo della strada potrebbe solo sperare che tutte queste conoscenze fossero in grado di agevolare la sua salute per mezzo della prevenzione primaria dei rischi”. Così ha concluso il relatore.

Una congiura, quella di cui ha parlato, quella del silenzio, che a oggi pare essere condivisa dai tanti cittadini e amministratori che affermano di essere a favore della grande opera ferroviaria: renderanno domani conto dei danni avvenuti sulla popolazione e sul territorio? Questo sarebbe però troppo tardi e troppo poco…..

G.T.  15 aprile 2014

UN “JOBS ACT”, MA A FAVORE DELLE BANCHE

Di comidad del 17/04/2014
La campagna elettorale per il parlamento europeo è stata l’occasione per inflazionare nuovamente il termine “populismo”, come accusa di facile presa, a causa dell’incertezza ed ambiguità della parola. Per il Fondo Monetario Internazionale sono “populisti” tutti coloro che rifiutano le sue politiche economiche tendenti a creare disoccupazione, a comprimere i consumi ed a privatizzare i servizi pubblici. In questo senso, una espressione che fa da sinonimo di populismo, e che risulta frequente nel lessico di fede fondomonetarista, è quello di “resistenza corporativa”. 
Ma con il termine “populismo” viene spesso etichettata anche una politica tendente a screditare e delegittimare l’ordine costituzionale vigente in nome di un presunto rapporto diretto con la volontà popolare. Giocando sui due significati della parola “populismo”, si può praticare un vero e proprio opportunismo acrobatico, facendo contemporaneamente il tifo per il Fondo Monetario Internazionale e per la “nostra bellissima Costituzione”.
Per questo secondo significato del termine “populismo” già esisterebbe in effetti una definizione molto meno equivoca e più precisa: golpismo strisciante. Tale definizione pare però adattarsi perfettamente all’attuale esperienza di governo. Si era detto che Bersani non poteva governare poiché non aveva ricevuto abbastanza voti; in compenso oggi governa Renzi, che di voti non ne ha avuto nessuno. Renzi vorrebbe abolire l’attuale senato, sempre in nome di una volontà popolare di cui lui sarebbe il depositario, in base a quelle mirabilie di attendibilità che sono i sondaggi ed i post su twitter. Il golpista ovviamente non è Renzi in persona, ma la lobby che lo controlla, e non c’è molto da indagare per scoprire quale sia. 
Il “Jobs Act” del governo Renzi costituisce un buon esempio di come l’assistenzialismo a favore dei ricchi riesca a camuffarsi di intenti sociali. L’espressione “Jobs Act” è stata rubata alla propaganda di Obama, che nel 2011 spacciò come legge a favore dell’occupazione la solita fumosa serie di provvedimenti un po’ patetici, che servono a nascondere il vero nocciolo della questione. 
In questi “Jobs Act” l’unico aspetto apparentemente concreto, riguarda le indennità di disoccupazione che dovrebbero fare da filo conduttore tra un lavoro precario e l’altro. Si tratta della vecchia idea lanciata dalla Organizzazione Internazionale del Lavoro – una agenzia ONU – già da una decina d’anni, cioè la “flexsecurity”. In Italia la “flexsecurity” è stata spacciata come ponzata di questo o quel giuslavorista, mentre in realtà si tratta di veline delle solite organizzazioni internazionali, a loro volta controllate dalle note lobby. 
Anche Renzi ha lanciato questo sussidio di disoccupazione, con l’acronimo di NASPI, che dovrebbe sostituire la vecchia cassa integrazione in deroga, e che si spaccia come salvagente del lavoratore nel suo percorso da un’occupazione all’altra. 
Le banche statunitensi sono state le prime a capire quale gigantesco business finanziario potessero costituire queste indennità di disoccupazione. Infatti vari Stati americani hanno da tempo sostituito il tradizionale assegno con delle carte di credito prepagate (carta di debito), dietro la giustificazione ufficiale che sarebbero più pratiche. 
In realtà dopo un po’ cominciano ad uscire i problemi, cioè le esose commissioni riscosse dalle banche su tutti i movimenti della carta di credito; ovviamente vi sono commissioni particolarmente alte sugli scoperti, ma anche il lasciare la carta inutilizzata per un po’ di tempo comporta dei costi gravosi per l’utente. Il disoccupato finisce così per versare la gran parte del proprio sussidio alle banche. Così sono i ricchi a riscuotere l’elemosina dai poveri. 
Quando si parla di finanziarizzazione si pensa automaticamente alle Borse ed alle grandi speculazioni sui titoli azionari e del debito pubblico. Ma in effetti la finanziarizzazione va a coprire ogni aspetto della vita sociale, dalla sanità, alla previdenza, ai consumi, sino allo stesso rapporto di lavoro, nel quale la continuità non è assicurata più dalla stabilità dell’occupazione, ma dalla carta di credito che segue – e munge – il lavoratore in ogni suo movimento. Ormai è evidente da più di dieci anni che la cosiddetta “flessibilità”, cioè la precarizzazione, non aumenta la produttività, ma, al contrario, tende drasticamente a diminuirla. In compenso, la precarizzazione costituisce il principale veicolo della finanziarizzazione del rapporto di lavoro. L’impoverimento crescente del lavoratore aumenta infatti la sua dipendenza dagli strumenti finanziari. La povertà non è un malaugurato effetto collaterale, ma costituisce essa stessa un business.

“INTANTO, IL CAMBIO DELLE MONETE LO DECIDONO I MERCATI E NON I POPOLI, VORREI RICORDARE A SPETTATRICI, SPETTATORI E ANCHE ALLA SIGNORA LE PEN”

Postato il Giovedì, 17 aprile

FONTE: LAMEDUCK (BLOG)

Marine Le Pen – “L’euro sta schiacciando i popoli e le aziende, sta uccidendoci e sta asfissiando le nostre esportazioni. Abbiamo vissuto millenni con la nostra moneta nazionale e oggi ci vengono a dire che dopo dodici anni non possiamo tornare alla nostra moneta? Non si rende conto che stanno prendendoci in giro?”

Dietlinde Gruber – “Intanto, il cambio delle monete lo decidono i mercati e non i popoli, vorrei ricordare a spettatrici, spettatori e anche alla signora Le Pen.”

Questo scambio di battute è l’abstract ideale dell’intervista andata in onda nella puntata di martedì sera di #canottoemezzo, a colei che potrebbe diventare la prima presidente donna francese, condotta dalla feldmarescialla Gruber in missione per conto di Elysium. E’ anche un perfetto specchio dei tempi e dell’inversione dei poli ideali e politici perché, lo sottolineo, quella che ci ricorda che i popoli non contano un cazzo sarebbe una di sinistra.

L’intervista, pomposamente preannunciata nei giorni scorsi dalla conduttrice a statuto speciale con l’insito messaggio: “vedrete come me la magno martedì ‘sta fascistona”, si è rivelata invece un perfetto esempio di backfire. Infatti non è stata altro che un insieme di domande del cazzo, s’il vous pardonnez-moi le français, di stampo piddino, in perfetta malafede e di una faziosità quasi commovente, per altro rintuzzate e respinte alla mittente con un filo di gas e con risposte che sono state una serie di ace che nemmeno il Dio Federer dei bei tempi.

Quella che doveva annare e menare è diventata la piccola Clarice di fronte ad Hannibal Lecter. Uno straordinario animale politico si è mangiato in un boccone e con il rutto finale una campionessa della partigianeria, strappandole di dosso tutta la superbia firmata e mandandola via con il tacco dodici spezzato. E lo ha fatto semplicemente denunciando come pura falsità la sfilza di luogocomunismi pro euro della Gruber, che credeva bastasse arrotare la R di Marrrrine e invece finì arrotata.

Una spettinata così credo che la Cougar non se la fosse presa da un bel pezzo, abituata com’è alle addomesticate chierichette del renzismo a fuffa frenata.

La poraccia era partita definendo madame Le Pen “di estrema destra e colei che vuole uscire dall’euro e chiudere le frontiere”, che, per piddini e affini di rito boldriniano, equivale ad una specie di incanto Morsmordre, chiosando per giunta: “Perché lei quindi dovrebbe essere simpatica agli italiani?”

Palla fuori, riproviamo con l’antisemitismo fresco fresco di giornata. “Beppe Grillo ha paragonato l’Italia di oggi al campo di concentramento di Auschwitz, che ne pensa?” (se non ci credete che abbia detto proprio così, qui c’è la prova televisiva, mica cotiche).

Risposta di Marine: “Grillo, si sa, è un provocatore ma soprattutto ciò che mi preoccupa è che non ha un progetto coerente”. Una punizione di Pirlo da trenta metri, gol nelLa7 a portiere immobile.

Maledetta! Sull’emigrazione, l’Islam e la chiusura ai clandestini la frego io, avrà pensato Belfagor (di profilo è identica). La serie successiva di domande d.c. è stata tanto stupefacente quanto imbarazzante. Cito riassumendo a memoria:

“Se chiudiamo le frontiere ritiene che gli europei sarebbero contenti di fare di nuovo la fila alle frontiere?” “Cosa ne pensa della nazionale di calcio francese dove i francesi sono la minoranza?” “Ribery si è fatto musulmano. E’ un francese che sbaglia?”

Con calma olimpica Marine ha ricordato alla grande giornalista che: “Le persone che possono permettersi di viaggiare sono sempre di meno; io non guardo il colore della pelle, signora, e in Francia c’è la libertà anche di cambiare religione”.

Ci ha provato allora nominando Berlusconi e Renzi, sperando che la volpona mettesse almeno un piede in fallo nel campo minato, che invece ha percorso e superato in God Mode.

“Renzi? Mi ricorda Sarkozy. Le sue sono promesse di austerità a svantaggio dei popoli e a vantaggio delle multinazionali.”

Qual puro dannunziano godimento, che estasi da smerdata interstellare!

Il clou però è stata la parte sull’euro, introdotta dal solito servizio del Pagliaro, il coniglione gigante che solo Lilli può vedere, il suo amico immaginario, che ha definito la critica alla moneta unica “La battaglia contro l’Europa”. Non male, eh?
Per nulla intimorita dall’evocazione di orde di francesi ridotti sul lastrico dopo aver perso tutti i risparmi a causa dell’abbandono dell’euro, Marine Le Pen ha dimostrato di aver studiato, annullando con una disarmante serie di  “Ma è una falsità!” le balle spaziali d’ordinanza della Lilli ma anche argomentando con competenza  l’inconsistenza logica e teorica del terrorismo ordoliberista e invocando, tra l’altro, il ripristino della separazione tra banche d’investimento e commerciali. Roba da ridurre ad un mucchietto di cenere sul pavimento il Gelindo Boldrin che paragona l’euro alla buona salute “che rimpiangi solo quando la perdi”.

E’ a questo punto che il canottoemezzo si è gonfiato e ha rischiato di esplodere, facendosi fuggire dal seno la frase che ho citato all’inizio, quella clamorosa quanto rivelatrice autodenuncia di collaborazionismo:

“Intanto, il cambio delle monete lo decidono i mercati e non i popoli, vorrei ricordare a spettatrici, spettatori e anche alla signora Le Pen.”

Che volete,  Lilli Gruber preferisco ricordarmela come colei che, una sera di luglio del 2001, con il pretesto dello scoop e del millantato giornalismo di denuncia, mostrò agli italiani dal TG1 cosa sarebbe loro successo se avessero continuato ad opporsi al Nuovo Ordine del Capitalismo assoluto.
Devo comunque, per onestà intellettuale, riconoscerle di avere azzeccato almeno una domanda tra quelle poste alla leader del FN. Quella sul perché Marine dovrebbe essere simpatica agli italiani. Credo che tutti conosciamo la risposta.

L’intervista completa sul sito de La7.

Fonte: http://ilblogdilameduck.blogspot.it

Link: http://ilblogdilameduck.blogspot.it/2014/04/le-pen-allasfaltata.html

16.04.2014

Titolo originale: “Le Pen all’asfaltata”
http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=13242

La lettera di Padoan, e la risposta della Commissione

Ecco il testo tradotto dello scambio di lettere tra il Ministro Padoan e il Vice-Presidente della Commissione Europea Sim Kallas. Qui gli originali. 
Con questo documento il Governo ufficializza di voler derogare agli obiettivi di bilancio stabiliti dagli accordi europei. Valuti il lettore se ciò rappresenta o meno una conferma di quanto previsto da questo blog.

Dear Sim,
Sono lieto di poterti inviare, allegato a questa lettera, il Documento di Economia e Finanza italiano per il 2014, al cui interno vi sono i Programmi di Stabilità e Riforma Nazionale.
Questo documento costituisce la risposta del Governo italiano agli effetti della dura recessione che ha colpito il paese tra il 2012 e il 2013, contemplando misure concrete per aumentare il potenziale di crescita nel medio termine e implementare importanti riforme strutturali.
Il Governo italiano, al fine di reagire agli effetti della recessione, e in armonia con la clausola delle “circostanze eccezionali” di cui alla Legge sull’Equilibrio di Bilancio (L. 243/2012, art. 6), ha deciso di accellerare il pagamento degli arretrati dei debiti della Pubblica Amministrazione con le imprese nella misura di ulteriori 13 miliardi di euro nel 2014, il che provocherà un aumento del rapporto debito/PIL riferito allo stesso anno.
La clausola richiamata stabilisce che il Governo può, informata la Commissione e riferito al Parlamento, deviare temporaneamente dagli obiettivi di bilancio, qualora ciò sia ritenuto necessario per affrontare”circostanze eccezionali”.
Al capitolo 3 del Programma di Stabilità è descritto in dettaglio il piano di riallineamento dei conti pubblici. Esso prevede un rallentamento della convergenza al MTO* nel 2014 (con una riduzione del deficit dello 0,2% del PIL), una forte convergenza nel 2015 (con una riduzione dello o,5), e una piena convergenza nel 2016, con il raggiungimento del pareggio strutturale di bilancio. Tale manovra fiscale sarà inoltre accompagnata da un esteso piano di privatizzazioni, per un valore pari allo 0,7% del PIL all’anno, finalizzato al ridimensionamento della dinamica del debito pubblico. Questo piano assicurerà un pieno rispetto delle regole di bilancio europee.
Nella parte rimanente del 2014, il Governo utilizzerà i risparmi derivanti dal processo di revisione della spesa per finanziare ambiziosi programmi di alleggerimento fiscale e di rafforzamento del potenziale di crescita italiano nel medio e breve periodo.
Yours Sincerely,
P.C.P.

Dear Mr. Padoan,
è mio piacere ringraziarti, anche a nome del Vice-Presidente Kallas, della lettera inviataci in data 16 aprile. La Commissione prende atto dell’annunciata deviazione temporanea dagli obiettivi di bilancio e del rinvio al 2016 del raggiungimento del pareggio strutturale. La Commissione, nell’ambito del Semestre Europeo, giudicherà il percorso di aggiustamento finalizzato al MTO nel contesto della valutazione dei Programmi di Stabilità e Riforme, la quale verrà pubblicata in data 2 giugno.
Yours Sincerely,
Marco Buti

*Medium Term Objective, obiettivo di medio termine. Si riferisce alla soglia del 3% del rapporto deficit/PIL.

Fonte: http://il-main-stream.blogspot.it/
Link: http://il-main-stream.blogspot.it/2014/04/la-lettera-di-padoan-e-la-risposta.html

Untori e risanati – da Roma a Kiev e Damasco

www.fulviogrimaldicontroblog.info:

Non dubitare mai che un piccolo gruppo di cittadini pensanti e impegnati possa cambiare il mondo. In effetti, è sempre successo. (Margaret Mead, antropologa)

Un tempo a nessuno era consentito di pensare liberamente. Ora è permesso, ma nessuno ne è più capace. Ora la gente vuole pensare solo ciò che si vuole debba pensare- E questo lo considerano libertà. (Oswald Spengler, “Il tramonto dell’Occidente,1926)

Sai che il tuo paese sta morendo quando si deve distinguere tra ciò che è morale ed etico, e ciò che è legale”. (John De Armond)

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Ci sono notizie esaltanti come le ininterrotte vittorie dell’esercito e del’incredibile popolo di Siria sui ratti, a dispetto delle loro ormai patetiche provocazioni (la nuova bufala dei gas), ormai disintegrate da tante prove e, alla fine, dalla straordinaria inchiesta del Pulitzer Seymour Hersh, sui gas tossici di Houtha a Damasco e relative responsabilità del delinquente turco, Erdogan. O come l‘insurrezione rivoluzionaria dei russi di Ucraina, che sta mandando in vacca il golpe USA-UE-nazisti a Kiev, che ci ricorda la Comune di Parigi, che fa temere un epilogo analogo e che meriterebbe ogni solidarietà internazionale (no, ragazzi, la Russia non può intervenire se non a rischio certo di conflagrazione nucleare). E ci sono notizie-chiavica da quella fogna che è la banda P2 al potere nel nostro paese, come le nuove nomine a capo delle industrie di Stato, quali megere e grassatori, quali segnati da mostruosi conflitti d’interesse (leggi: corruzione onnipervasiva), con in testa il rottamatore dei trasporti nazionali, che in cambio riceveva 800mila euro all’anno, imputato per la strage di Viareggio, Mauro Moretti. Un rapinatore dei diritti alla mobilità dei cittadini comuni, messo in Finmeccanica a fianco del neo-Bava Beccaris della Genova-G8. Con a seguire la Marcegaglia, professionista di chiusure e delocalizzazioni, coerentemente messa a guidare lo “sviluppo”. Senza parlare dello squadrone di indagati, imputati, processati, che, nei sottosegretariati del regime, incarnano i “requisiti di onorabilità” voluti dal ministro della devastazione e del saccheggio, detto “dell’Economia”.

Non c’è cosa che faccia o dica, il gaglioffo estratto dal magazzino delle scartine da periferia di Wall Street, che non confermi ai non obnubilati dagli incensi dei turibolanti di corte la sua natura di rottamatore del paese e di restauratore in molto peggio delle più nefaste vicende nazionali. Una legge che riduce le pene, rendendole praticamente ineseguibili, a chi si vende alla mafia per voti e quindi ne agevola la presa sullo Stato e sulla società (cosa concordata, come tante altre, tra Napolitano e Berlusconi e poi dettata dal primo al suo Partito Unico). E c’è l’immancabile Di Lello del “manifesto” che festeggia la cancellazione dal decreto sul voto di scambio “la disponibilità di soddisfare gli interessi e le esigenze dell’associazione mafiosa”, come se lo scambio avvenisse solo con soldi e non con appalti e altri benefici. La mafia ringrazia. Poi un accordo con la Francia che garantisce come, applicando sulle opere in Valsusa il diritto francese, che non prevede certificati antimafia, sovranità nazionale, predazione dei denari pubblici e devastazione dell’ambiente siano in capo agli amici degli amici. Il biscazziere baro che promette 80 euro al suo ceto medio, sottratti al canone RAI e pagati con gli aumenti di tariffe e bollette e con le detrazioni a 5 milioni di coniugi di disoccupati., mentre taglieggia  pensionati già alla fame.

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 Il Regno del PUM, Partito Unico Monopolare

Unici ad opporsi a queste efferatezze del governo di “consigliati” dal Pericle sul Colle, i Cinque Stelle che, superando ogni limite del putrido politically correct, cioè saltando la panna al cianuro dell’ipocrisia di regime, sono arrivati a sbertucciare la nomina a capoliste europee di cinque bertucce tirate fuori dal caravanserraglio renziano per recuperare, a voto ottenuto e rinuncia pronunciata, altrettanti babbioni della putrefatta Prima e Seconda Repubblica, trombati alle elezioni, o andati oltre la data di scadenza della propria commestibilità. Si chiama vuoi rottamazione, vuoi cambiamento, vuoi innovazione. Renzi se l’è fatta dettare il 1. Giugno 2012 e confermare a Londra il 1.aprile 2014 a cena dal noto socialista Tony Blair (vindice della Thatcher e criminale numero 2 dell’Iraq) e dai capi della JpMorgan, seconda banca d’affari del mondo, prima responsabile della crisi dei subprime.Questi i punti imprescindibili dettati al vernacolare toscano da questa cupola della criminalità organizzata: riforma delle provincie, del Senato, del lavoro, del consiglio dei ministri, della premiership, della legge elettorale, del cittadino, della libertà. Una copia dell’operazione Kissinger in Cile. Ma soft, come assicura Rodotà, ancora dopo lo scatenamento dei cavernicoli col pugnale tra i denti contro i senzacasa di Roma.

Tutto questo aggiunge incontrollabile insofferenza a insonnia e incubi che il M5S, primo fenomeno dagli anni ‘50 di autentica opposizione e di credibile alternativa, provoca nell’intero establishment impegnato nella riduzione del paese al Paraguay di Stroessner, alla Corleone di Riina, o alla Grecia dei Colonelli. Si riprende il modello Genova G8 e, così, nelle piazze di Roma è arrivato il cambiamento renziano sotto forma di cortei autorizzati e bloccati e di squadristi in divisa che garantiscono sicurezza prendendo a calci in faccia chi protesta, o pretende casa. Un’ icona simbolica, quella della “mela marcia” che monta con gli anfibi sulla pancia di una donna a terra, di quanto il progetto del Nuovo Ordine Mondiale ha commissionato ai suoi camerieri domestici nei confronti di un paese ridotto a mensa dei poveri. Altro che “mele marce”. Qui è tutto l’armata dei pretoriani dell’élite la cui umanità è marcita nelle scuole della gestione della piazza: una copia autoctona della “Scuole delle Americhe” servita a tenere a bada i richiedenti democrazia  dell’America Latina.

Grillo alla Colonna Infame

Sul piano della comunicazione politica e mediatica che suona la marcia dell’avanzata renziana, ha colto l’occasione meravigliosa dell’ “antisemitismo”, valida per coprire ogni sorta di nefandezze, il coro monopolare bifronte dell’Accademia Renzusconiana. Un ciclone di indignazione, scandalo, anatemi, vituperi, contro Beppe Grillo, da far impallidire Himmler quando si dedicava agli ebrei. E proprio quella volta che, non avendola fatta fuori dal vaso, gli si sarebbe dovuto commossa e vibrante partecipazione alla contrapposizione da lui fatta tra criminalità piduista, perfezionamento di quella rozza hitleriana, e i tragici versi di Primo Levi.

Considerate se questo è un uomo / che lavora nel fango / che non conosce pace / che lotta per mezzo pane / che muore per un sì o per un no”. Che ha fatto di ignobile, antisemita, osceno, vergognoso (sono i toni più moderati, dal “manifesto” a “Libero”), l’iconoclasta di Genova? Ha messo al posto di “un uomo” “un paese”, perpetuando e allargando il grido di Levi ai milioni di italiani a cui quei versi danno voce: disoccupati e precari che lavorano nel fango dell’alienazione, dell’ansia e dello sfruttamento. Tutta una generazione a cui Renzi ha assicurato una vita balzellon balzelloni di tre mesi in tre mesi, con una caduta a picco in mezzo. Una nazione intera che non conosce pace perché paga con la distruzione della salute e della conoscenza i costi delle guerre umanitarie: 3 milioni di morti di fame, 15 milioni che lottano per mezzo pane, 34 milioni che il pane intero se lo vedono sbriciolare tra le dita. E chi muore  per un sì detto a chi lo manda a domare indigeni, o per un no detto a un poliziotto, o a Obama. Di parafrasi, alla faccia dei censori con guiderdone renzusconiano, se ne sono fatte legittimamente di ogni, che fossero a fine di attualizzazione, o di stravolgimento ironico. Tra i più parafrasati Dante, Foscolo, Manzoni, Oskar Wilde, Voltaire e non si finirebbe mai. Avete sentito volare una mosca per l’oltraggio a questi augusti autori commesso da chi, magari, ha parafrasato Manzoni con “Ei fu, siccome un mobile”? E’ che quella di Grillo è probabilmente la migliore parafrasi che si potesse lanciare in faccia all’intero cocuzzaro dell’”Italia che cambia verso”.

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Poi c’è l’agghiacciante sostituzione, nella scritta all’ingresso dei campi, della parola “P2” – “P2 macht frei” – alla parola “Arbeit”. Il trucido sarcasmo con cui venivano accolti i rastrellati per lavori forzati è sostituito dall’insegna che si fa intendere troneggia all’ingresso del Lager Renzusconi in corso di rapido allestimento. Nulla di più azzeccato per segnalare il compimento della resistibile ascesa della creatura commissionata a Licio Gelli dalla Cia, a sostituzione di una Gladio superata dal progresso dal cambio del nemico da alloctono bolscevico a autoctono proletario e proletarizzato. Atterriti il colto e l’inclita, inferocita la comunità ebraica, come punti dalla tarantola le destrissime sinistre. Scatenata la lobby nel “manifesto”. Fosse anche il più arzigogolato e risibile dei pretesti, chi sfiora la Shoah commette blasfemia e diventa utilissimo per iniettare all’universo mondo, a beneficio di Israele e della sua lobby, un’altra dose di “antisemitismo dilagante”.

I filo-israeliani di “Giustizia e Libertà”, sostenitori di Tsipras, martiri della difesa della libertà d’espressione, urlano: “Nessuno può permettersi di rivisitare Primo Levi, nessuno può permettersi di rivisitare Auschwitz e la Shoah, se non sprofondando nell’antisemitismo e commettendo oscena dissacrazione”. E per blindare il genocidio perpetrato da Israele, ecco che va ribadita la pubblicità ingannevole dell’ “’unicità dell’olocausto”, alla faccia degli olocausti che il colonialismo euro atlantico ha seminato e, oggi con USraele, va seminando per il mondo. La tecnica lessicale è sempre quella, da quando i terroristi delle Torri Gemelle (preceduti da quelli di Piazza Fontana), dando del “terrorista” a chi non c’entrava niente, ma ne avrebbe pagato il fio, hanno insegnato che alle vittime è d’uopo attribuire la propria identità, specie se iniqua. E’ così che il Terrorista Doc a stelle e strisce fa spuntare tanti terroristi dalle praterie su cui intende estendere le proprie coltivazioni. E ci può dare giù con la falciatrice. Vedi Ucraina Est, vedi Siria, vedi l’Afghanistan, vedi i laboratori TAV e MUOS.

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Dunque, da chi possono essere arrivati a Grillo le urla “fascista”, “nazista”, “antisemita”, se non da chi deve sottrarsi, con classico transfert freudiano, al dato di fatto di essere, lui, il portatore di tali insegne.? Chi si è rallegrato, tacendo discretamente alcuni particolari, della restituzione dell’Ucraina ai fasti nazisti a suo tempo travolti dalle “orde comuniste”, al costo di venti milioni di loro morti? Chi in Palestina ha ridato funzione, lustro e nuovo logo alle vecchie  SS e Gestapo, impiegate a vasto raggio, dagli eccidi in Medioriente alla gestione con i suoi agenti della repressione di qualsiasi dittatura, purchè neoliberista, e alla destabilizzazione di qualsiasi governo non abbastanza neoliberista? E chi, per dirne una di recente cronaca, rade a suolo donne e famiglie e, poi, quando non si decidono di suicidarsi, manda gli sgherri dei servizi sociali a sbatterne i figli nell’agonia delle comunità? Chi, ancora, ai naufraghi sulla zattera senza casa, senza lavoro, senza patria, impedisce l’arrivo a una qualche terra scagliandogli addosso gli sbirri di regime? Chi, infine, sta mettendo in atto il Manuale Napolitano su come si possa, con un po’ di tecnologia e un po’ di travestimento, rifare il nazismo meglio del nazismo, cioè con la piena e convinta adesione degli “antifascisti” d’antan? Combinazione rafforzata dalla consustanzialità con la nouvelle vague dei giganti del buon governo scaturita, a suo tempo, dalla triade Bontade-Dell’Utri-Berlusconi e rilanciata dalla trattativa Stato-mafia, così intensamente seguita dal Capo dello Stato. Zitti, parrucconi conservatori, sono i nuovi Padri Costituenti.

Scoperto e lanciato dai talent scout delle Cayman, scelto e consacrato dal novello Hindenburg, peraltro meno rincoglionito del modello, l’astuto farloccone postpiduista ci sta scrivendo sulla viva pelle l’edizione eBay del suo “Mein Kampf”. Una simulazione intitolata “cambiamento”, onde evitare che il risultato non venga compromesso da incursioni di realtà come quella del post di Grillo. Per come il virgulto sta pilotando la nave Italia, il comandante Schettino al confronto meriterebbe la massima onorificenza della Repubblica. Siccome non sa produrre che suoni in falsetto, per dare un minimo di concretezza al suo farneticare deve risuscitare e incontrare periodicamente chi di operatività criminale è capitano di lungo corso, tanto da essere prezioso interlocutore, tra una comparsata e l’altra in un centro anziani, del Grand’Ammiraglio sul Quirinale. C’è forse da stupirsi se a una tale colonna della democrazia, fulgido esempio di delinquenza abituale, tale da superare quella secolare dei reggitori delle nostre sorti magnifiche e progressive, una magistratura, ormai conquistata allo Zeitgeist renzusconiano, trasforma i 7 anni di carcere in 4 ore alla settimana di merende con  coetanei e in tre giorni romani per puntellare gli esiti della famosa trattativa.

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  Anche la ministra delle riforme ci mette la faccia

Se avete visto l’esibizione oratoria di Renzi all’inaugurazione della campagna elettorale per il banchiere pro-Tav Chiamparino, vi sarete chiesti se il pusher del premier golpista non fosse lo stesso di quello che sosteneva lo spiritato urlatore coi baffetti quando arringava le folle oceaniche davanti al Reichstag. C’era da restare atterriti. La stessa valanga di retorica isterica blaterata per ore  lungo un filo totalmente onirico di palloncini dai colori sgargianti e dal contenuto di quell’elio che, fosse liberato, provocherebbe solo crampi di riso. Siamo passati dall’incantatore di serpenti all’incantatore di lombrichi. Dalle occasionali cadute del discorso nella realtà effettuale, si evince che il linguacciuto ciarlatano ha rubato ogni argomento – dall’Europa da castigare alle famiglie e piccole imprese da salvaguardare, ai ricchi da spremere – al detestato M5S. Solo che, se quelli ci credono e ci lavorano, costui se ne impippa. E’ il Joker di Batman che finge di perorare la causa della legge e dei giusti, mentre trasforma Gotham City nella capitale del crimine. Era già tutto leggibile fin dai tempi in cui questo eroe dei beni comuni  sottraeva Ponte Vecchio ai cittadini per prestarlo al gozzoviglio degli amici, o privatizzava gli Uffizi per cerimonie nuziali che spandevano effluvii gastronomici sui Botticelli e i Fra Angelico. Ai sedicenti benpensanti già questo avrebbe dovuto dire tutto dello status di statista. L’impeccabile padre della patria Rodotà, corifeo di Tsipras, ha definito quello di Renzi “populismo soffice”, contro il “populismo hard” di Grillo. Insomma col soft ci si potrebbe anche convivere.  Che felice intuizione averlo candidato a Capo dello Stato!

La Comune di Donetsk

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Obama schiamazza contro le “interferenze russe” in Est Ucraina e, completato con i suoi nazisti e i suoi cecchini il colpo di Stato, ora ha installato a Kiev il capo della Cia, Brennan, perché, attivando le milizie naziste di “Settore Destro” e di “Svoboda”, le Forze Speciali e i contractors Usa, sistemi i rivoltosi di un terzo dell’Ucraina. Ma a Donetsk, Karkhiv, Slovyansk, Artemivsk, Lugansk e in una decina dei maggiori centri dell’Oriente il popolo insorto libera le città e proclama Repubbliche Popolari. Con l’aggiunta, proprio oggi, della Repubblica Popolare di Odessa, “dove il potere appartiene alla popolazione che vive nel suo territorio”, dunque, la sottrazione alla Nato e ai suoi sgherri ucraini di un’altra preziosissima posizione strategica sul Mar Nero. I cicisbei della stampa occidentale vi vedono “orde russe in uniforme”, ma senza contrassegni, in procinto di lacerare l’Ucraina per metterne una parte ai piedi di Zar Putin. Sono reali quanto i 100mila soldati russi che si vaneggiava essere ammassati alla frontiera, pronti a mangiarsi i bambini ucraini. Quelli che insorgono “contro i nazisti di Kiev, gli Usa e l’UE” sono cittadini russi che, fortunatamente, hanno saputo organizzarsi e armarsi, sono poliziotti e militari ammutinati per stare dalla parte della propria gente. Interi reparti corazzati che rifiutano l’obbedienza ai farabutti di Kiev e passano dalla parte dei rivoluzionari. Un esercito di popolo.

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Ora, dal lato russo del confine di soldati ne sarebbero però arrivati 30mila veri, si dice, e forse è vero. Guai se non ci fossero pressioni militari russe al confine, per impedire il bagno di sangue progettato da Brennan e dai suoi fantocci di Maydan e vaticinato dalla “principessa del gas” Timoshenko, intercettata a promettere l’annientamento atomico a 11 milioni di russi e una raffica in fronte a Putin. Pressioni che si accompagnano ai ripetuti sforzi diplomatici per trascinare UE e Usa a una soluzione che non contempli la soluzione finale Timoshenko. E sarebbe l’autonomia garantita in Costituzione alle regioni in cui i russi rappresentano intorno all’80%. L’alternativa, anche se questa estrema difesa di quelle popolazioni dovesse essere al momento repressa nel sangue, è la guerra civile. Lo sanno e lo dicono tutti ed è così. Per Washington sarà il Piano B, se non dovesse riuscire quello A, che prevedeva un’Ucraina Nato unita e compatta. Il noto “caos creativo” che consenta la consueta depredazione e, quanto meno, toglie alle nazioni ogni ruolo geopolitico, strategico, economico,  che rischi di orientarsi contro “la comunità internazionale”.

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In azzurro l’Ucraina dei russi

Intanto, però, l’idea di piazzare batterie di missili nucleari sulla soglia della Russia resta sospesa. E la bandiera tricolore della Russia che sventola sui palazzi delle istituzioni conquistati, non sarà rossa (per quanto non siano pochi i vessilli con la falce e il martello agitati in quelle piazze), ma a me richiama le bandiere rosse issate dai comunardi nella Parigi assediata dai versagliesi. Fossimo a quei tempi, o a quelli della Spagna repubblicana, molti si sarebbero precipitati a dar man forte alla Repubblica Popolare di Donetsk. Ma, nel frattempo era successo che Rossana Rossanda e le sue “sinistre” avevano chiamato le “brigate internazionali”, memori della Spagna, ad affiancarsi ai “giovani rivoluzionari” contro Gheddafi. Ne è seguita un po’ di confusione. Collateralismo prezioso del “manifesto” (cui però va dato atto di un equlibrato Pieranni sull’Ucraina), tuttora dispiegato sul mondo con i  sodali della “società civile” afghana anti-Taliban, Giordana e Battiston, con il Fratello Musulmano (di Morsi, di Erdogan, di Al Thani del Qatar) Acconcia, con l’erede dell’implacabile antirussismo di Astrid Dakli,Tacconi. Che artista, il “manifesto”, nel rigenerare le convergenze parallele di Moro..

 A volte basta un Hersh per azzoppare l’Impero.

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 Giorni fa a Damasco: il popolo con Assad

La “bomba” di Seymour Hersh sarà pure il frutto di competizione tra fazioni all’interno dell’establishment e dell’intelligence Usa, sarà il coraggio e l’indipendenza di qualche editore oscuro (come quelli della “London Review of Books” o del “Newyorker”), sarà il coraggio e la sagacia di un giornalista Pulitzer che, dalle stragi Usa nel Vietnam, al Cile del golpe e ai torturatori di Abu Ghraib, rivela al mondo le nefandezze di Washington. Giornalista investigativo di altissimo rango, ha consultato documenti, gole profonde dei servizi, o ex dei servizi, da sempre suoi fonti inconfutabili, testimoni, documenti, per raccontare al mondo le trame e le azioni del pilastro Nato turco, Erdogan, in Siria. Grazie a Hersh, e a conferma di altri prima di lui, la false flag dei gas contro Est Ghuta, il 21 agosto 2013, viene fuori orchestrata da Erdogan, con le consegne delle armi chimiche ai jihadisti Fratelli Musulmani di Al Nusra e il loro addestramento, in Turchia, a gassare popolazioni. Un colpo sugli stinchi a Obama, Pentagono e Cia che si aggiunge all’altra prova, esibita da Hersh, del traffico di armi e mercenari islamisti dalla Libia alla Siria, organizzato da quel Chris Stevens, ambasciatore Usa, che venne fatto fuori a Bengasi insieme a tre spioni Cia nel settembre 2013, pare per non aver voluto far passare ai “ribelli” anche missili terra-aria. Roba da mettere in ginocchio tutto l’apparato propagandistico occidentale a copertura dell’aggressione

Nelle ore successive all’attacco di Houtha e ai suoi oltre 1000 morti, tantissimi bambini, lo Stato Maggiore Usa era pronto all’intervento. Ma Obama rallentava, un po’ per merito della forza esibita da Mosca, un po’ per la contrarietà della sua stessa popolazione e un po’ perché già i suoi servizi gli avevano bisbigliato qualcosa sul ruolo dei turchi in quell’eccidio. Poi ci si ricordò di un paio di precedenti episodi, non risultati imputabili ai governativi, dell’arresto di jihadisti diretti in Siria carichi di armi chimiche, da parte di ingenui poliziotti turchi, inconsapevoli del complotto di Ankara, del video con il test di gas nervino su conigli, fatto circolare da terroristi scemi, accompagnato da truculente minacce di fine analoga a tutti i sacrilegi oppositori della jihad.

Il disorientamento degli Usa veniva poi accentuato dallo sconcerto diffuso nell’opinione pubblica dal crescendo di rivelazioni sulle atrocità delle bande terroristiche, dalle carneficine tra i tagliagole di Al Nusra, filo-turchi e quelli dell’ISIL (Stato Islamico in Iraq e nel Levante) filo saudita. Il disorientamento è venuto a rasentare il panico alla vista dell’inarrestabile avanzata di un esercito nazionale che, nel quarto anno di aggressione da mezzo mondo, resta saldo, legato al suo popolo e ai suoi leader, vittorioso. L’Ovest verso il Libano è ora completamente liberato dalle bande di terroristi. Il Nordovest, al confine della Turchia, è stato quasi tutto sgomberato. Restano strisce di terra  a ridosso di Turchia e l’Iraq, dove conservano basi Al Nusra e i mercenari sauditi dell’ISIL che, oltre a sventrarsi tra loro,  stanno massacrando di attentati anche l’Iraq (una media di 60 ammazzati al giorno, altra tacca da incidere sul fucile di Bush e Obama).

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Debole la risposta di Erdogan, vittorioso in elezioni che più fasulle non si può (dove regna la destra le elezioni non si vincono più), ma vacillante per la scoperta delle ruberie di tutto il suo entourage, le misure fasciste, come l’annientamento di magistrati e investigatori indipendenti, la soppressione di twitter (anche per impedire la circolazione dell’intercettazione in cui i suoi capobastone preparano una colossale provocazione in Siria per forzare la mano a Obama) e di Youtube (anche per evitare la diffusione di un chiacchierato video di sue pratiche sessuali). Polverizzati dall’inchiesta di Hersh, i generali turchi hanno sfidato il ridicolo allestendo a Kfar Zeita, nel centro del paese, un altro “attacco chimico di Assad” (due morti, cento feriti). E’ stato cancellato dall’imbarazzo. Poi Erdogan gli ha fatto abbattere un caccia siriano disarmato, auspicando, chissà, il risveglio di Obama dal torpore. Come se tutto dipendesse dal burattino nella Casa Bianca. Obama ha aperto mezzo occhio e ha detto di spedire ai bravi jihadisti qualche missile anticarro “Tow”. A costo di oceani di sangue, la giornata sta volgendo al meglio per la Siria. Ora, però, entra in campo la superpotenza canadese, con il suo premier

Quello che resta in piedi e dispiega un’ombra nera sui continenti è la determinazione della Cupola, che si rappresenta nei vessilli e nelle armi Usa, a farla finita con tutti quelli che non devono entrare nel Parnaso del day after, fosse anche perché impediti da un olocausto nucleare. E, dunque, a farla finita con la Russia, se non con l’intero blocco asiatico. E senza rimetterci. Cioè con un first strike nucleare. Quello dello scudo missilistico a corona intorno alla Russia. Quello per cui, tra obiettivi secondari, si è sbranata l’Ucraina. E’ che gli sono rimasti troppi cerini tra le mani a Obama. In America Latina, Est Europa, Medioriente, Iran. E neanche la poderosa Merkel è troppo contenta. E’ anche che, al di là delle fandonie dei sicofanti mediatici dell’euroatlantismo, che fanno apparire dall’oceano il miraggio di un’America in piena ripresa, lì siamo all’orlo del default, con il debito più alto del mondo, la disoccupazione effettiva al 20%, la decostruzione di sanità e istruzione, 50 milioni di esclusi dalle cure e da un’alimentazione adeguata,1 bambino su 5 denutrito. E siamo anche a due trilioni di dollari per le guerre fatti spendere ai propri cittadini e ai subordinati. Molta gente è stufa. Che accenda cerini.

 Se questo è un Paese

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Voi che vi disinteressate della cosa pubblica
come se vi fosse estranea e alla vita delle persone
meno fortunate che vi circondano
nelle vostre tiepide case,
voi che trovate tornando a sera
il telegiornale di regime caldo e visi di mafiosi e piduisti sullo schermo
mentre mangiate insieme ai vostri figli
che educate ad essere indifferenti e servi
Considerate se questo è un Paese
che vive nel fango
che non conosce pace, ma mafia
in cui c’è chi lotta per mezzo pane e chi può evadere centinaia di milioni
di gente che muore per un taglio ai suoi diritti civili, alla sanità, al lavoro, alla casa
nell’indifferenza dell’informazione
Considerate se questo è un Paese
nato dalle morti di Falcone e Borsellino
dalla trattativa Stato mafia
schiavo della P2
Comandato da un vecchio impaurito
delle sue stesse azioni
che ignora la Costituzione
Considerate se questo è un Paese
consegnato da vent’anni a Dell’Utri e a Berlusconi
e ai loro luridi alleati della sinistra
Un Paese che ha eletto come speranza un volgare mentitore
assurto a leader da povero buffone di provincia
Considerate se questa è una donna,
usata per raccogliere voti,
per raccontare menzogne su un trespolo televisivo,
per rinnegare la sua dignità
orpello di partito
vuoti gli occhi e freddo il cuore
come una rana d’inverno.
Meditate che questo AVVIENE ORA e che per i vostri figli non ci sarà speranza
per colpa della vostra ignavia, per aver rinnegato la vostra Patria
vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
stando in casa andando per via,
coricandovi, alzandovi.
Ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
la malattia vi impedisca,
i vostri nati torcano il viso da voi.

Liberamente ispirata alla poesia Se questo è un uomo di Primo Levi

Salviamo l’insegnamento della storia dell’arte e della Geografia #salvArte

L’Italia, paese di straordinaria bellezza geografica, è scrigno della maggior parte del patrimonio culturale e artistico del mondo ed è dunque un paese con straordinarie potenzialità di crescita occupazionale nel turismo culturale e naturalistico.

Eppure la riforma Gelmini ha ridotto drasticamente le ore di insegnamento della geografia e della storia dell’arte al punto da provocarne la sostanziale abolizione.

Un vero scandalo a cui il nuovo Ministro dell’Istruzione Stefania Giannini può e deve porre rimedio, nell’interesse del nostro Paese e delle future generazioni.

Da cinque anni insegno presso l’Università Bicocca per il corso di laurea magistrale “Turismo, territorio e sviluppo locale” e da due anni presso l’Università di Tor Vergata per il corso di laurea in “Progettazione e Gestione dei sistemi turistici”. Ho incontrato tantissimi docenti, studenti, imprenditori ed operatori turistici che ribadiscono la necessità di ripristinare e potenziare l’insegnamento della Geografia e della Storia dell’Arte nelle scuole italiane, proprio perché siamo un paese di turismo culturale.

Chiedo al nuovo Ministro dell’Istruzione e al Presidente del Consiglio, che già si è pronunciato sull’importanza dell’istruzione e della scuola, di dichiarare pubblicamente la volontà di riparare ai danni causati dalla riforma Gelmini e garantire già a partire dal prossimo anno scolastico, una chiara svolta in tal senso.

GEOPOLITIQUE/ QUE VEUT MOSCOU EN UKRAINE ?

Luc MICHEL / En Bref (2 )/ avec Libération – PCN-SPO/ 2014 04 17/

Vous êtes nombreux à m’avoir écrit pour me poser la question « Que veut Moscou en Ukraine ? ». Vous êtes aujourd’hui trop nombreux pour que je puisse répondre personnellement à chacun. Mais je vous lis tous et je tiens comte de vos questions et préoccupations dans mes éditoriaux d’actu rapide « EN BREF ». Ce que veut Moscou dépendra de ce que les Occidentaux voudront de leur côté, et de leur degré d’agression contre la Russie. Une chose est certaine sans respect – ce respect dont ils ont manqué totalement depuis 1991 – ils n’obtiendront rien et les claques seront rendues par deux. L’affaire de Crimée est un tournant.

 1/ LE PLAN A : NEUTRALISATION

Il y a tout d’abord la réunion de Genève.

Moscou y présentera son PLAN A : la fédéralisation et la neutralisation de l’Ukraine. C’est la solution raisonnable.

Le ministre russe des affaires étrangères Sergueï Lavrov, souvent surnommé «monsieur niet» par les médias de l’OTAN qui aiment les allusions à la Guerre froide, expliquera sans doute à Genève ce que veut la Russie: une «fédéralisation» de l’Ukraine qui accorde une large autonomie aux régions de l’est et du sud-est comptant une forte proportion de russophones (qui ne sont pas forcément des Russes ethniques comme c’était le cas en Crimée). « Au départ, la Russie avait même voulu faire asseoir à Genève des partisans de cette décentralisation. Aujourd’hui elle s’efforce de démontrer que l’Etat ukrainien est si faible ce que révèlent tous les jours l’inaction de sa police et les atermoiements de son armée qui a perdu la Crimée sans un coup de feu – qu’il faut pratiquement la mettre sous tutelle. Pour Moscou, il ne s’agit pas de négocier avec l’Ukraine sous médiation internationale une solution à la crise mais de trouver avec les Occidentaux un modèle pour décider de l’avenir de l’Ukraine. Bruxelles et Washington repoussent la vision russe ».

Mon avis est que Genève est une farce, comme l’as été Genève I et II pour la Syrie.

La diplomatie est un théâtre pour amuser les médias et les opinions publiques. Les diverses parties ne donnent pas le même sens aux mots et les « accords » sont inapplicables. Par exemple « désarmer les groupes armés illégaux », c’est désarmer l’Armée du Donbass pour les occidentaux et Kiev. Mais c’est désarmer les milices de la Junte de Kiev – à commencer par celles de Svoboda et Praviy Sektor -, un projet qui signifierait la guerre civile à Kiev même. Ce fait semble avoir échappés aux journalistes occidentaux (voir Libé ce soir). Pendant que les négociations quadripartites de Genève, le Parlement européen appelle à des sanctions lourdes contre Moscou et la Junte de Kiev organise des mesures répressives développées.

Pour une fois je serai d’accord avec Libération (Paris). Le fait que Poutine n’ait pas reporté ce jour sa conference de presse-marathon indique clairement le peu d’importance qu’il accorde à Genève. Il y a soufflé le chaud et le froid, alternant la carotte et le gros baton (le seul que les américains comprennent).

La fédéralisation de l’Ukraine implique aussi le dossier Moldavie et Transdniestrie.

 * Lire mon analyse pour EODE Think Tank :

Géopolitique : Poutine déplace ses pions sur le ‘grand échiquier’ et propose la neutralisation de Kiev et de la Moldavie…

http://www.lucmichel.net/2014/04/01/eode-think-tank-geopolitique-poutine-deplace-ses-pions-sur-le-grand-echiquier-et-propose-la-neutralisation-de-kiev-et-de-la-moldavie/

 2/ LE PLAN B : ‘NOVY ROSSIA’ OU LA ‘TRANS-DNIEPR’ ?

Le Plan A représente la dernière chance de préserver un état ukrainien au coût finalement modique en géopolitique de la Crimée.

Mais cette dernière chance qu’est la fédéralisation est refusée à la fois par la Junte de Kiev, ultranationaliste dans la ligne bendériste, et ses maîtres occidentaux. Qui ne veulent pas la neutralisation de Kiev mais in fine l’Ukraine dans l’OTAN. Etape indispensable à la défaite finale de Moscou (relire Brezinski).

 Restera alors le PLAN B pour Moscou, au prix cette fois d’une nouvelle guerre froide et sans aucun doute de graves problèmes économiques. Mais la Puissante Russie stalinienne s’était bâtie sur un isolement global de 1918 à 1939. Ce plan ce serait une PMR à la puissance 1000 : la ‘Novi Rossia’. Qui fait trembler les géopolitologues US comme Edward Luttwak …

 * Lire mon analyse pour EODE Think Tank sur les thèses de Luttwak et les miennes :

Géopolitique / Crimée et ‘Transdniestrie’ entre géopolitique et répétition de l’histoire …

http://www.eode.org/eode-think-tank-geopolitique-crimee-et-transdniestrie-entre-geopolitique-et-repetition-de-lhistoire/

 Luc MICHEL