Def di Rehnzi bocciato da Bankitalia, Istat e Corte Conti. LA RICETTA SUL LAVORO E’ FALLIMENTARE

mercoledì, 16, aprile, 2014
 Non è un mistero che l’ex viceministro dell’Economia Stefano Fassina sia particolarmente critico con Matteo Renzi e quindi con il Def, il Documento di Economia e Finanza, del quale in particolare disapprova il piano dei tagli ritenendolo effimero perché rientra nel solito gioco che da una parte dà e dall’altra toglie. E c’è anche da dire che Fassina non è l’unico a trovare difetti e carenze sul fronte delle coperture strutturali inquesto documento che difatti proprio oggi viene bocciato da Bankitalia, dall’Istat e dalla Corte Conti.
 
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Che valutazione dà al Def? “Ci sono due strade. La prima, che bisogna trovare il modo per allentare le regole europee. Con questo non intendo per renderle meno severe in termini di controllo della finanza pubblica. Rimaniamo convinti che la stabilità della finanza pubblica sia centrale per la crescita dell’Italia, però vanno rese più coerenti con le esigenze che un paese ha di crescere e di aumentare l’occupazione. Con queste regole si impone ai singoli paesi sostanzialmente di scegliere fra un aumento della disoccupazione ed un risanamento della finanza pubblica. Questa è una contraddizione che non può reggere e nessun paese è in grado di portarla avanti, quindi va in qualche modo risolta. Per quanto riguarda le soluzioni indicate dal Def, lì è stata fatta una scelta non necessariamente condivisibile che è quella di ridurre la pressione fiscale a fronte della riduzione della spesa pubblica. Dietro a questo c’è, ci dovrà essere, un disegno di ridimensionamento del settore pubblico nell’economia che può essere discusso perchè si può essere d’accordo o meno, però l’importante è che venga specificato ed a quel punto sarà possibile decidere se ridimensionarlo o non ridimensionarlo, oppure ridimensionatlo di un tot piuttosto che di una cifra diversa. Questo è un passaggio che va ancora esplicitato e che invece sarebbe stato utile già renderlo chiaro all’opinione pubblica”.
 
Nel Def inoltre si è dimenticata del tutto la ricerca. “Sì questo è vero e questo è anche un po’ colpa di come sono impostati gli schemi europei: questo rimanere nelle riforme strutturali entro le quali rientra più o meno tutto, fa perdere di vista quello che è l’obiettivo principale delle politiche economiche che dovrebbe essere l’aumento della produttività, il sostegno all’innovazione, la ricerca, eccetera, solo che queste parole non sempre è facile farle entrare nel credo delle riforme strutturali e questa è la ragione per cui la ricerca è stata dimenticata, però è anche vero che sarebbe stata preferibile un’indicazione molto più netta in termini di produttività. Nella nostra valutazione è un po’ che pensiamo che gli obiettivi di politica economica dovrebbero essere espressi non in termini di crescita del Pil ma di crescita della produttività”.
 
C’è un punto in particolare che disapprova di questo documento? “Un punto c’è perché ritengo che la strada giusta sia quella di puntare sugli investimenti interni e su una politica anticiclica, cioè esattamente l’opposto di quello fa questo Def”.
 
Condivide il modo in cui viene affrontato il problema lavoro da Renzi? “Non approvo l’intervento di Renzi sul lavoro perché corrisponde a quella visione di politica eoconomica per cui serve maggiore precarietà per ridurre le retribuzioni e per cercare la competività di costo per le esportazioni, mentre abbiamo visto che è una ricetta fallimentare, Inoltre non approvo il piano dei tagli che ritengo effimero perché rientra nel solito gioco che da una parte dà e dall’altra toglie.”.
 
Quanto si sente di condividere questo documento? “Ovviamente un documento come il Def non può accontentare tutti e aggiungo che c’è una forte scommessa in questo Def, anzi un azzardo, e non è detto che l’azzardo non riesca, dal momento che è stata rimossa la palude, anche se le acque, quando si muovono, si intorbidano ma poi bisogna vedere se in seguito torneranno limpide. E’ importante però che si stia facendo quel che finora non si è fatto negli ultimi anni e lo dimostra la maggiore fiducia che c’è da parte dei mercati anche se sappiamo bene che la fiducia oggi c’è ma domani potrebbe anche non esserci più”.
 
Si riuscirà ad attutire il duro colpo del Fiscal Compact? “Col Fiscal Compact è necessario chiedere qualche margine di flessibilità altrimenti, con questa crescita così bassa, non riusciamo a rispettarlo. Io, su questo, penso che il tentativo fatto da questo Def sia abbastanza importante, nel senso che si chiede esplicitamente al Parlamento di essere autorizzati a derogare da questo percorso e con questa delega si può andare in Europa a contrattare. E’ anche evidente che in Europa, per quelli che sono gli schemi, si deve chiedere una deroga quest’anno per promettere un risanamento ancora maggiore quest’altro anno. E’ vero anche che la speranza nel frattempo è che si riesca ad agganciare un ciclo un pochino migliore e che si riesca a guadagnare tempo, cosa molto importante in questo momento”.
 
Secondo lei, saremo noi a subire maggiormente le pesanti conseguenze del Fiscal Compact o sarà un problema più o meno comune agli altri paesi europei? “Ritengo che non verrà soddisfatto da quasi nessuno dei paesi europei perché siamo in uno scenario di quasi deflazione per cui mi sembra che stiamo parlando di un libro dei sogni, ma è più esatto dire un libro degli incubi, perchè in questo momento non ci sono le condizioni minimali che diano la possibilità di rilevare”. OPI

Eni. Cane azzoppato

Le dismissioni produttive dell`entrante era Descalzi
 
c.a.
 
Già indicato come “dismissore doc”, l’ex braccio destro di Scaroni, Claudio Descalzi, nuovo indicato amministratore delegato dell’Eni, è il più “adeguato” a rendere l’ (ex) ente idrocarburi una scatola dimezzata e semivuota. Da costui, infatti, si attende un’accelerazione delle dismissioni volute dal cartello (atlantico) di controllo della proprietà Eni: un business antinazionale da 9 miliardi di euro entro il 2017 che prevede, anche e soprattutto, un graduale “allentamento” della cooperazione con la russa Gazprom.
Se i legami più stretti dell’Eni con la controparte multinazionale russa (come quelli con la controparte della Libia di Gheddafi) già erano costati la defenestrazione di Berlusconi dalla guida governativa italiana  – non si dimentichino mai i files riservati dell’ambasciatore Usa in Italia Spogli, del 2008, che si dichiarava preoccupato per la politica energetica indipendente del governo di Roma e che indicava in “nuovi amici” dell’entourage dell’allora Cavaliere i possibili alleati per bloccare tali conati di sovranità (Wikileaks) – è naturale prevedere, appunto con un Descalzi assurto al timone di comando nei successivi governi extraparlamentari, la progressiva limitazione dell’Eni a “compagnia minore”, con grande respiro di sollievo per i suoi concorrenti, le “sorelle” dell’energia atlantiche, americane, francesi e anglo-olandesi.
Descalzi, peraltro, è un fautore – volente o ingenuamente – della sostituzione delle forniture di gas russe con le nuove del gas da scisto Usa, così come pubblicizzato nel suo recente viaggio di marketing in Europa dell’Ovest dallo stesso presidente statunitense Obama e negoziato direttamente oltre-Atlantico, più o meno negli stessi giorni, da Umberto Scaroni che, fiutato il vento di una sua probabile caduta dal podio del cane a sei zampe, aveva invano tentato di tutto – genuflessioni alle tecnologie ancora in fieri del gas da scisto in primis – per mantenersi a galla e succedere a se stesso.
E’ incredibile e suicida tale inversione di tendenza anti-russa da parte del vertice dell’Eni. Oltre alla perdita di gran parte delle forniture di light libico, la graduale limitazione dell’import di gas russo in favore dell’opinabile “shale gas” nordamericano, condurrà di fatto non soltanto ad una sostanziale totale dipendenza delle forniture energetiche dalle “sorelle” occidentali (esattamente il contrario di quanto inteso da Enrico Mattei proprio con la sua invenzione “multinazionale” dell’Eni), ma ad un raddoppio, sic et simpliciter, dei costi da sostenere. Con le conseguenze immaginabili, purtroppo, a danno dei cittadini italiani.
Tanto più che le riserve russe di energia stanno crescendo e garantirebbero un flusso (già in atto fino a Monfalcone e che avrebbe dovuto raddoppiare con la esecuzione delle condotte balcaniche del South Strea, progetto che rischia di essere congelato per seguire gli ordini dei padroni atlantici) costante di rifornimento.
Si pensi solo che è di queste ore la scoperta nella Russia meridionale, ad Astrakhan, Mar Caspio, di un nuovo giacimento ricco di circa 300 milioni di tonnellate di petrolio e di 90 miliardi di mc di gas.
E’ tuttavia vero che l’Eni puo’ contare su prospettive di crescita di fatturato grazie alle nuove esplorazioni e ai contratti già siglati, ma tale tendenza “di bilancio” conferma la volontà sottesa di “reinventare” la compagnia energetica italiana puntando malauguratamente sulla finanziarizzazione della sua economia.
Tra le dismissioni per “fare cassa”, figurano tra l’altro quelle di una quota del giacimento del Mozambico (dopo la vendita di un 20% delle azioni alla compagnia dell’energia cinese) e dell’intera Saipem, come da pressioni del fondo pensioni Usa azionista di riferimento principale dell’ente privatizzato e da smembrare.
 

Multinazionali e immigrazione: quando l’accoglienza è profitto

Ma l’Europa ha bisogno di manodopera a basso costo, di giovani braccia da sfruttare per continuare a garantire stabilità ad un disegno politico la cui unità viene ormai minacciata da troppi lati. E mentre i politici italiani si fingono impietositi di fronte l’immagine della morte nel “Canale della speranza” che porta a Lampedusa, la loro carica politica viene salvaguardata dai finanziamenti delle stesse multinazionali che contribuiscono a gonfiare le casse dei rispettivi partiti
DI ROBERTA BARONE · 16 APRILE 2014 
  
Se c’è una materia da cui dovremmo ogni giorno imparare, quella è la storia: secondo la visione materialistica di Karl Marx, essa rappresenta il modo con cui i vari gruppi sociali hanno operato la produzione economica per garantire la riproduzione biologica della specie. Ma la storia dell’uomo è principalmente un susseguirsi di vicende, lotte, guerre di potere destinate a ripresentarsi in contesti sempre nuovi, come trame di un romanzo recitate con scenografie e attori diversi: questo è proprio ciò che della storia pensava il filosofo Schopenhauer, autore dell’emblematica storia della formica gigante d’Australia, secondo cui gli uomini non impareranno mai dai propri errori ma continueranno ad uccidersi proprio come nella scena di combattimento tra il capo e la coda della formica divisa in due.
 
Ripercorrendo a ritroso la storia di un Occidente oggi tanto ricco quanto povero di spirito, ci ritroviamo di fronte immagini di schiavi neri condannati a lavorare nelle piantagioni americane alla mercè di potenti bianchi. E mentre perfino molti re africani si facevano corrompere in cambio di ricchezze terrene, dall’altra parte del mondo la nobiltà francese perdeva del tutto le concezioni di libertà e di orgoglio in cambio di lussuose residenze al castello di Versailles. Tale contraddizione sarà destinata a risalire a galla, forse più forte di prima, con il fenomeno della colonizzazione dei paesi più ricchi di risorse primarie (e guarda caso oggi i più poveri economicamente).
 
L’Africa infatti è l’esempio più emblematico del continente più ricco del mondo per risorse e materie prime ma considerato paese del Terzo Mondo, dove ogni giorno si muore di fame e da dove quotidianamente si decide di fuggire altrove in cerca di un futuro migliore.
 
Arriviamo così al 2014 con la consapevolezza che, anni ed anni di sviluppo tecnologico, hanno invece portato l’umanità a regredire, spingendo l’uomo del ventunesimo secolo alla ricerca sempre più sfrenata del potere economico. Diverse sono state le tecniche utilizzate per attuare strategie di conquista che potessero, in qualche modo, differenziarsi da quelle che hanno caratterizzato gli anni delle dittature e delle guerre mondiali. Basta più bombe. Creare terrorismo psicologico attraverso la manipolazione dell’informazione mediatica, per poi alimentare violente rivolte contro il dittatore di un certo paese, avrebbe così permesso a potenze mondiali di esportare egoisticamente la propria “democrazia” per poi instaurarvi un governo fantoccio. Ma quali le conseguenze? Quali risultati possiamo oggi raccogliere soprattuto in Europa?
 
Quando si parla di immigrazione dobbiamo ormai soffermarci su due visione ben diverse: quella del finto perbenista che pensa di risolvere il problema “regalando il pesce” oggi, e quella di chi si oppone a questo enorme flusso migratorio riflettendo sulle conseguenze oramai vicine. Questi ultimi, difendendo di pari passo le identità dei popoli, sostengono l’idea di un continente che possa rialzarsi solo “imparando a pescare”: disegno che non giova sicuramente alle numerose multinazionali che ogni giorno si arricchiscono derubando ad altri popoli ingenti risorse.
 
Secondo dati più recenti, quello dell’immigrazione rappresenterebbe un enorme business da 1.800.000 euro al giorno per i professionisti dell’accoglienza. O almeno è quanto testimoniano bilanci riguardanti l’intero 2013, anno in cui l’Italia si è trovata ad accogliere 40.244 migranti. Ma non è finita qui, perchè la spesa media per ogni immigrato ammonta a circa 45 euro al giorno, spese enormi se consideriamo che tale somma può raggiungere i 70 euro per i minorenni. Emblematico è il caso del Cara di Mineo, a Catania, centro di accoglienza dove gira un affare di circa 50 milioni di euro all’anno. Oltre al “Consorzio Calatino Terre di accoglienza”, dentro il sistema ci stanno importanti multinazionali come la Legacoop o la Croce Rossa, tutte pronte a trarre enormi profitti sulla pelle dei migranti.
 
Non si capisce, o non si vuole capire, che sostenere il grande business dell’immigrazione significa oggi continuare a condannare migliaia di giovani a fuggire dalla propria terra alla ricerca di un lavoro che invece potrebbe essere offerto dal loro stesso paese se non fosse per il piano di sfruttamento operato in nome di uncapitalismo mascherato per interventismo umanitario.
 
Ma l’Europa ha bisogno di manodopera a basso costo, di giovani braccia da sfruttare per continuare a garantire stabilità ad un disegno politico la cui unità viene ormai minacciata da troppi lati. E mentre i politici italiani si fingono impietositi di fronte l’immagine della morte nel “Canale della speranza” che porta a Lampedusa, la loro carica politica viene salvaguardata dai finanziamenti delle stesse multinazionali che contribuiscono a gonfiare le casse dei rispettivi partiti. È un caso che la Nestlè, accusata diverse volte di sfruttamento minorile per il lavoro nella piantagioni di cacao come di aver causato la morte di un milione e mezzo di bambini in Africa, sia oggi una delle multinazionali che finanziano i maggiori partiti statunitensi?
 
Continua così la tratta degli schiavi del ventunesimo secolo: barconi carichi di uomini e donne ( il più delle volte senza identità) vengono presi al largo delle coste dietro comunicazione da Roma, mentre i centri di accoglienza ormai saturi diventano luogo di proteste e dall’altro lato di profitto.
 
Ad Agrigento, precisamente a Porto Empedocle, dove giungono numerosi i migranti dall’isola di Lampedusa, la situazione è ormai al limite. Già da tempo si segnala in che modo molti di questi scappano (o vengono fatti scappare) dal centro di accoglienza e lasciati allo sbando. Le strade agrigentine abbondano ormai di migranti senza una vera e propria meta. Proprio giorni fa, nella città originaria del Ministro dell’Interno, Angelino Alfano, il fenomeno assumeva le forme di una vera e propria invasione. L’emergenza, non solo nel soccorso ai migranti, ma anche nelle azioni di controllo e di sicurezza nei confronti dei cittadini residenti preoccupati per la situazione, era stata sottolineata anche nella richiesta di aiuto inviata a Matteo Renzi dal sindaco di Porto Empedocle, Lillo Firetto. Ma il contesto attuale, quella di un’Europa ormai vicina alla distruzione della propria identità e soprattutto quello di un paese dove quotidianamente si muore di crisi e di disperazione,sembra non preoccupare una politica che, invece di attuare azioni nei paesi da cui i migranti scappano, pensa invece a cancellare la parola clandestinità. Come se questo imperialismo mondiale non fosse già un reato legalizzato e voluto.
 
“L’Imperialismo nasce e sussiste nel nostro malfunzionamento, e per portarsi a termine, deve distruggere le matrici dei popoli. Più vi sarà degenerazione tra i ceti di bassa condizione più aumenteranno il loro profitto le classi alte. La conservazione della propria identità è l’ultimo bastione di resistenza al mondialismo”, Kemi Seba

RUSSIA: L’ABOMINATO UOMO DELLE NEVI

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Putin con lo scrittore Alexander Solgenitsin
Tito Pulsinelli Che tempi memorabili quelli in cui un presidente russo prendeva a cannonate la sede del parlamento e poi mise all’asta tutto -letteralmente tutto- per quattro spiccioli. Era la vera e propria conquista dell’est per i globalisti. Per la modica spesa di 600 milioni di dollari, si aggiudicarono tutti i giacimenti, pozzi, condutture, raffinerie e stazioni di servizio dell’industria petrolifera. Una manna, e che simpatico quel Yeltsin, autentico eroe della democrazia elitista -versione etilica – che l’Occidente applaudiva fino a spellarsi le mani. Tempi virili, in cui i gagliardi “globalizzatori” sputavano anche nel piatto da cui
si ingozzavano. Vendettero la pelliccia dell’orso prima di averlo abbattuto. I maestri del galleggio si accalcarono attorno al carro del vincitore per rinnegare la “pianificazione”. In tutte le contrade, sgomitavano i neofiti (di primo e ultimo pelo) del novello sacerdozio del liberismo totale del “mercato”, borse e banche.
 
Spolparono quasi tutto, poi il “gran” Yeltsin passò a miglior vita. Non fecero in tempo a dargli in premio Nobel. Si sa, sono sempre i migliori ad andarsene. Le vacche ancora disponibili erano quelle più scheletriche. Inatteso come le sette piaghe, però, arrivò un abominevole uomo delle nevi, un temibile tiranno eurasiatico. Riprese a sventolare improbabili bandiere eretiche e antimoderniste: sovranità, protezionismo, centralità dello Stato nell’indirizzo della nazione, identità nazionale, economia mista. In più, una “assurda” pretesa di mantenere separato il potere economico da quello politico. Ad ogni costo.
 
 
Putin aprì le porte delle carceri a coloro che -alla ricchezza generata da delinquenziali privatizzazioni- volevano aggiungere anche il comando politico della Russia, con la compra all’ingrosso di elettori e di tutti i media. Tra Putin e i nuovi oligarchi venuti dal nulla, l’Occidente si schierò con questi ultimi. E voltò le spalle al volgo, disprezzandone l’iperdonabile  “populismo”. Mise in chiaro che democrazia si coniuga perfettamente con mafie organizzate, se aprono conti nelle banche di Londra.
 
L’ex colonnello del KGB, strappando all’arbitrio dei “mercati” il controllo delle risorse strategiche della nazione, generò i mezzi necessari per rinsaldare l’intelaiatura post-sovietica. Mise fino al culto dell’ognuno per se e mercato per tutti. Potè sostenere la domanda sociale di una popolazione data in pasto alle divinità antropofaghe del “modernismo”. Riuscì a rinsaldare la coesione sociale e il vigore del braccio armato, indispensabili per ogni progettualità propria. I distributori automatici di coccarde e brevetti democratici malcelavano lo stupore per il ciclo di +7% di crescita del sacro PIL.
 
Durante l’olimpiade di Pechino, portò una risposta militare fulminante alle provocazioni nel Caucaso da parte della Georgia, dimostrando che molta acqua era passata sotto i ponti dopo la disintegrazione della Yugoslavia. L’espansione abusiva della NATO verso est, nonostante lo scioglimento del Patto di Varsavia, era finita. La complicità atlantista della classe dirigente europea, con l’avallo dato a questo inganno, rinuncia all’occasione storica di ricostituire una difesa propria. Andò a rimorchio, non riprese le redini del destino geopolitico. L’ebrezza del neoliberismo è un lenitivo immediatista, risibile rispetto alla negata funzione di ponte storico tra le Americhe e l’Asia, Medioriente e Nordafrica.
 
 
 Gli europei non hanno il diritto di scambiare manufatti e tecnologie con l’energia e materie prime russe. La proposta di unpartenariato che apra la grande area eurasiatica, va oltre la dimensione meramente doganale. Perchè dischiude un’orizzonte di pace basato sulla coperazione di lungo periodo e la complementarietà. Non c’è stata risposta al discorso rivolto in lingua tedesca da Putin al Bundestang di Berlino.
 
L’Europa finanziarista autorizzata da Washington, può solo intrupparsi nelle avventure belliche imperiali, ultimo senile abbaglio di poter continuare a comandare su tutte e ogni cosa del mondo. Tragico, nel caso italiano, quando ricava solo perdite di forniture energetiche privilegiate e voluminose esportazioni in Libia, oltre al secolare ruolo nel Mediterraneo.
 
Minacce, ultimatum rinnovati e differiti, raggiri della “legalità internazionale” e bizze di varia indole non hanno piegato la Siria. La NATO non ha rischiato i suoi aerei contro la inviolabile barriera di radar e missili forniti dalla Russia. Il ripiego forzato su milizie noleggiate e feccia politica di avariata indole, dice che  il ricorso camuffato al terrorismo endogeno e importato, non paga . Distrugge ma non controlla nè addomestica. La fase propulsiva dell’espansionismo atlantista si è esaurita. Infranta sulle porte di Damasco dall’ampio arco multipolare che va dal BRICS alle 104 nazioni del Movimento Non-Allineati. La strada che porta a Teheran è sbarrata e si addiviene a più ragionevoli e miti conciliaboli.
 
I nemici sono tanti e la forza (bruta) è quel che è. L’armata russa sarà pure obsoleta, ma ha livelli di eccelenza nel dominio dei cieli, in grado di neutralizzare caccia e portaerei. Impossibile chiudere il mar della Cina per controllarne l’unico sbocco e asfissiarla, e contemporaneamente mettere in inginocchio gli ayatollah.Poi trasformare il mar Nero in un bunker invalicabile che scacci Mosca dal Mediterraneo e dal Medioriente è proprio una… roulette russa. Chi -nell’esercizio pieno delle facoltà mentali- può credere che Washington (e l’entità-UE) oggi può sbaragliare simultaneamente Russia e Cina, riavvicinate e confluenti?
 
 
Il colpo di mano per cambiare il governo di Kiev è stato “facile” però non garantisce il controllo dell’Ucraina. L’implosione innescata è inarrestabile, anche con una Federazione o Confederazione, poichè gli Stati Uniti e Bruxelles dovrebbero metter mano al portafogli per garantire il minimo di operatività ai lacchè istallati in loco. Le sanzioni masochistiche, lasciano spazio alla contromossa “economica” del Cremlino, che sposterà definitivamente l’asse geo-economico verso l’oriente. Gli idrocarburi che non affluiranno più verso l’Europa saranno ben ricevuti dalla Cina e India.
Ci si può pure gingillare con la favola delle navi che trasporteranno il gas che gli Stati Uniti estrarranno nel prossimo futuro. Quel che è certo è che -comunque andrà a finire- le forniture russe saranno tagliate del 30%. E’ il prezzo per l’indecente collaborazionismo con il Pentagono.
 
Putin dispone di una ulteriore ed estrema contromossa sull’arroventato scacchiere. Fornire all’Iran il sistema di difesa aerea SS-300 o SS-400 che l’immunizzerebbe definitivamente da ogni minaccia di Israele, Arabia saudita e NATO. Una svolta imprevista per i negoziati sulla regolamentazione dell’energia nucleare, in cui l’unilateralismo degli atlantisti cozzerebbe contro un muro.
 
Da tempo è in corso una guerra commerciale, monetaria, finanziaria, demografica, culturale e mediatica. In alcuni casi c’è anche il ricorso ai mezzi militari. L’eliteeuropea si presterà ancora una volta a che gli Stati Uniti combattano l’ennesima guerra fuori del loro territorio? Continuerà ad abboccare all’amo di sanzioni contro paesi con cui Washington non commercia da trent’anni (Iran)? O dove sono esposti in misura assai minore dell’entità-UE?
Il masochismo non è più giustificato neppure dal livello dall’aumentata subordinazione, ormai dilatata oltre i limiti angusti fissati dagli armistizi del 1945. Yalta è morta, come pure l’unipolarismo. L’Europa deve risollevare la testa e volgere lo sguardo altrove: esiste anche il sud e l’oriente, oltre e contro il predatorio asse Atlantico sta avanzado il multipolarismo. Ritrovare più spazi di autonomia e’ possibile, mandando a casa l’attuale gruppo dirigente sovranazionale. E’ solo un’ombra del globalismo espansionista, approdato all’ultima spiaggia militarista.

BRUTTE NOTIZIE: EBOLA RESPONSABILE ATTUALE CONTAGIO È NUOVO CEPPO SCONOSCIUTO

 
Gli scienziati hanno scoperto che il virus Ebola che si sta diffondendo in Africa a partire dalla Guinea è un nuovo ceppo. Ciò significa che non si è diffuso là da altri focolai.
I ricercatori non conoscono l’origine del virus. Alcuni altri focolai sono stati collegati ai pipistrelli della frutta africani.
Sapere che il virus non è stato importato può aiutare i medici a capirne lo sviluppo, ma è inquietante, perché non si conosce l’origine dell’epidemia e la si affronta come qualcosa di totalmente nuovo, che ha ucciso più di 120 persone da dicembre, soprattutto in Guinea.
Il rapporto è stato appena pubblicato online sul New England Journal of Medicine.
 saran razzisti questi medici….

GIALLO CANONE RAI: SI PAGA IN BOLLETTA, MA È UNA BUFALA

Il Governo ha smentito le indiscrezioni secondo cui si pensava a un provvedimento per far pagare i cittadini in base al contatore dell’elettricità e non più legando la tassa al televisore.
Pagare il canone Rai in base al contatore dell’elettricità e non più legandolo al televisore. Da Palazzo Chigi, però, arriva una secca smentita: “E’ un’eventualità non prevista e di una notizia destituita di fondamento”.
L’INDISCREZIONE Alcune indiscrezioni avevano riportato che governo avrebbe pensato a un provvedimento per il recupero dell’evasione del canone Rai, da inserire nel decreto che metterà i famosi 80 euro in busta paga agli italiani con redditi fino a 25mila euro. Un progetto con un duplice scopo, da un lato recuperare evasione, dall’altro per aumentare il gettito. L’introito eventualmente recuperato infatti, stimato intorno ai 600 milioni di euro, sarebbe andato per metà al Tesoro e per metà alla Rai.

Perché i comunisti ucraini sono contro il nuovo esecutivo di Kiev

Ma di che ciancia il Barroso, i demoni risvegliati in Ucraina FANNO ESATTAMENTE QUANTO LA TROIKA IMPONE DA DECENNI IN NOME DELL’EURO, PRIVATIZZA, TAGLIA SALARI E PENSIONI E LE SOLITE RICETTE LACRIME E SANGUE CON LE QUALI IL FMI DAL 1944 TAGLIEGGIA IL MONDO 
  
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Secondo Simonenko: “le riforme in atto non costituiscono altro che una menzogna e la continuazione della politica del vecchio regime. Il nuovo esecutivo accusa strumentalmente il suo predecessore di aver distrutto l’economia, per poter meglio demolire lo Stato sociale” e ancora “il governo intende riversare il costo delle nuove misure anti popolari esclusivamente sui semplici cittadini, in modo da proteggere gli interessi di casta dei burocrati, dei malversatori e degli speculatori. Per questo il partito comunista insiste nell’affermare che esiste un’altra strada percorribile e cioè quella di nazionalizzare le aziende degli oligarchi e distribuirne i profitti nell’interesse del Paese”.
 
Per comprendere meglio la tendenza in atto, occorre dare un’occhiata, secondo Simonenko, a ciò che sta accadendo nell’economia: “ La moneta nazionale, la Grivna è oggetto di una svalutazione continua e ciò accade per favorire le speculazioni legate all’esportazione. Le banche stanno derubando la gente comune attraverso un semplice schema: con il pretesto del rifinanziamento, la banca nazionale ucraina fa piovere sulle banche un fiume di dollari che acquista al tasso di cambio ufficiale e che in seguito, le banche rivendono al pubblico a tasso di mercato”.
 
Secondo Simonenko, la ripresa dell’economia potrà avvenire in due modi: o costringendo gli oligarchi a investire di più nella produzione o costringendo i comuni cittadini a pagare di più per beni e servizi. A giudicare dall’aumento costante dei prezzi, appare chiaro come il nuovo governo abbia deciso di rilanciare l’economia attraverso la seconda opzione. Con una politica dei prezzi gonfiati, per il segretario comunista, i lavoratori comuni pagheranno due volte gli oligarchi. In primo luogo, sacrificando loro una parte dello stipendio e subito dopo, venendo costretti ad acquistare tutto il necessario a prezzi gonfiati.
 
Per ciò che concerne le tariffe, appare evidente come a pagare lo scotto dell’aumento del prezzo delle forniture di gas, dovuto al deteriorarsi dei rapporti con la Russia, sarà in primo luogo la popolazione. In tema tasse, inoltre, avverte Simonenko: “per incrementare il bilancio, il governo ha aumentato le accise sugli alcolici e tabacco e chi paga è di nuovo il popolo. L’esecutivo, infatti, nulla ha compiuto  per bloccare il furto di denaro in bilancio causato dai sistemi di rimborso fittizi dell’Iva. Nessun centro di conversione, che gli imprenditori disonesti utilizzano per eludere le tasse e pagare salari “ombra”, è stato chiuso per mano governativa. Gli oligarchi continuano a portare fuori dal Paese, attraverso società offshore, miliardi di grivna, piuttosto che a investire nello sviluppo economico e la creazione di posti di lavoro.”
 
Continua Simonenko: “il governo ha congelato le pensioni minime, nonostante l’inflazione e la svalutazione della moneta abbiano già diminuito della metà il loro potere d’acquisto. Allo stesso tempo, deputati, pubblici ministeri, giudici e altre categorie privilegiate godono di pensioni “da dipendenti pubblici” ben al di sopra di quanto sia in realtà necessario. Con l’ attuale aumento dei prezzi alimentari e delle tariffe dei servizi sui medicinali, la stragrande maggioranza dei pensionati sarà costretta a vivere al di sotto della soglia di sussistenza. L’obiettivo di una simile strategia è chiaro quanto cinico , più pensionati moriranno durante le “riforme”, tanto ne gioverà la “salute” del sistema pensionistico”.
 
Questi i motivi per i quali i comunisti sono all’opposizione dell’attuale governo di Kiev.

THE HEAD OF THE CIA ORGANIZES IN KIEV THE MILITARY CRACKDOWN IN EASTERN UKRAINE !

Luc MICHEL / In Brief /

with LVDR – Rossia 24 – PCN -SPO / 13 April 2014 /

LM.NET - EN BREF CIA à Kiev (2014 04 16) ENGL

The junta of Kiev has absolutely no autonomy , they are puppets , and there are the Americans who control . The news of the day confirm it if necessary …

 The head of the CIA has held several secret meetings in Kiev (according to Ukrainian and Russian media) . The CIA director John Brennan stayed yesterday in Kiev where he held several secret meetings with leaders of the Ukrainian police, provided a source in the Rada . The source indicated that according to some reports the U.S. official “had a series of meetings with the leaders of Ukraine and several consultations with the heads of the police”. “According to unconfirmed data , the decision on the use of force in Slavjansk in the south -east of Ukraine was adopted on the initiative of Mr. Brennan ,” the source said .

 The MP of the Communist Party of Ukraine ( KPU ) to the Verkhovna Rada ( Ukrainian parliament ), Vladimir Goloub stated that ” his colleagues speak of a visit by CIA Director in Kiev as a fait accompli .” “The CIA director John Brennan went undercover to Kiev , where he met with the heads of law enforcement agencies in Ukraine . According to some reports, the decision on military intervention in Eastern Ukraine was taken from his presentation . “

 ” Colleagues of the Verkhovna Rada speak of the visit of the head of the CIA as a fait accompli. That does not surprise me , because it is obvious that in the past, when Valentin Nalivaïtchenko headed the Security Service of Ukraine, it was not a special service of an independent country, but a branch of the CIA of the USA. We do speak of it openly in parliament, and I do not think it’s wrong , “said Goloub on Sunday.

 Other information yet confirms that it is the U.S. that are well in command in Kiev.

” An entire floor of the building of the Security Service of Ukraine (SBU) is occupied by U.S. intelligence agencies , and this floor is forbidden to the Ukrainian employees ,” said the deputy of the Verkhovna Rada and candidate to the Ukraine presidential election Oleg Tsarev. “Many SBU officers have told me that the intelligence agencies of the United States are actively involved in everything that is happening in Ukraine . They say even a whole floor was left available to U.S. intelligence agencies, and Ukrainian officers do not have access there”, he said live to TV channel Rossia 24 .

 There are the Americans who organize the crackdown in eastern Ukraine . And who brought the Western mercenaries of ‘Academi’ (former Blackwater ) to Ukraine …

 Luc MICHEL

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 Luc MICHEL /

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EST UKRAINIEN : LES MEDIAS DE L’OTAN DESINFORMENT DE CONCERT AVEC LA JUNTE DE KIEV

KH pour PCN-SPO / Avec Correspondance en Ukraine / 2014 04 16 /

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PCN-SPO - afp désinforme (2014 04 16) FR

Sous le choc du passage des blindés de l’armée régulière ukrainienne du côté des pro-russes, les médias de l’OTAN  de concert avec la junte de Kiev mentent et désinforment !

Incapables d’expliquer ce passage, l’AFP invente donc des « blindés russes dans l’est ukrainien » et refuse de donner comme le font RIA NOVOSTI, LA VOIX DELA RUSSIE et PCN-SPO depuis ce matin la véritable info : à l’est c’est un tournant.

« DES BLINDES RUSSES DANS L’EST DE L’UKRAINE? »

OU COMMENT L’AFP MENT !

Voici ses médiamensonges :

« Une colonne de six transports de troupes blindés, arborant le drapeau russe, stationne à Slaviansk, ville emblématique de la dernière série d’insurrections pro-russes, contrôlée depuis dimanche par des insurgés armés. Les blindés étaient arrivés dans la matinée depuis la localité voisine de Kramatorsk, à quelques km plus au sud ». Ce sont les blindés passés à l’insurrection . Là l’AFP dérape : « Des blindés russes dans l’est de l’Ukraine? (…)Trois blindés légers et un camion transportant des hommes en armes sans insignes et arborant un drapeau russe circulaient mercredi matin à Kramatorsk, dans l’est de l’Ukraine, a constaté un photographe de l’AFP sur place. Le convoi s’est dirigé vers Slaviansk, à quelques kilomètres au nord, ville emblématique de la dernière série d’insurrections pro-russes, contrôlée depuis dimanche par des insurgés armés. On ignorait dans l’immédiat la provenance des blindés. L’agence Interfax-Ukraine a affirmé qu’il s’agissait de blindés participant à “l’opération antiterroriste” lancée par le gouvernement pro-européen de Kiev contre les séparatistes, qui étaient entrés dans la localité et auraient été bloqués puis pris par des manifestants pro-russes. Le ministère ukrainien de la Défense, interrogé par l’AFP, a indiqué “qu’aucun blindé de l’armée n’avait été pris sur le territoire ukrainien”(sic) »

Il faudra plusieurs heures à l’AFP pour rectifier, alors qu’elle a un correpondant sur place.

Mais France 24, la pire des TV de l’OTAN, ose elle toujours médiamentir et contester les défections et les tanks passés à l’insurrection dans ses éditions de nuit (16 au 17) …

La véritable info, celle qui épouvante les presstitutes de l’OTAN, c’est que la junte de Kiev en choisissant sur les conseils de la CIA la guerre civile vient de révéler qu’elles ne représente qu’elle-même : les milices néofascistes et les mercenaires occidentaux …

 KH

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UKRAINE : TOURNANT A L’EST ?

Luc MICHEL/ En Bref /

avec LVDR – PCN-SPO / 2014 04 16 /

LM.NET - EN BREF tournant à l'est (2014 04 16) FR

Si il est facile aux néonazis de Praviy Sektor ou aux mercenaires de Blackwater/Academi habillés d’unformes ukrainiens de réprimer et de tirer sur des civils, les véritables soldats de l’Armée ukrainienne ne sont pas des assassins.

A Kramatorsk, face à l’assaut des unités de Kiev, la foule s’est jointe dans les rues aux unités d’auto-défense, à Slaviansk aussi. Et elle a fait basculer les unités de blindés …

A KRAMATORSK ET SLAVIANSK (EST UKRAINE) LES CHARS DE L’ARMEE UKRAINIENNE VIENNENT DE PASSER DU COTE DES INSURGES ET REFUSENT LA GUERRE CIVILE

Les équipages de six blindés qui ont été envoyés à Kramatorsk par les autorités putschistes ukrainiennes, sont passés du coté de la milice populaire, selon des témoins oculaires.

« Une foule de femmes les a entourés et nous leur avons dit que nous sommes des civils qui luttent tout simplement pour leurs droits. Il n’y a pas de terroristes ici. Ils ne vont pas nous tirer dessus. Un drapeau russe a été accroché sur le blindé de tête et nous sommes partis avec les membres de la milice populaire en direction de Slaviansk », a indiqué le témoin.

Les rassemblements des partisans de la fédéralisation se déroulent au Sud-est d’Ukraine de depuis mars dernier. Les autorités putschistes d’Ukraine, sur ordre du grand patron de la CIA venus à Kiev samedi organiser la répression, ont parlé d’une « opération spéciale de grande envergure avec l’utilisation des forces armées ».

Cela sera sans doute plus difficile que prévu par les criminels de Kiev qui ont ordonné la guerre civile contre le peuple …

DONETSK – SLAVIANSK – KRAMATOVSK :

LA JUNTE DE KIEV A CHOISI LA GUERRE CIVILE

Les membres des milices populaires de Donetsk estiment que les militaires ukrainiens se préparent à « nettoyer » la ville et sa région, a annoncé mercredi à RIA Novosti Nikolaï Solntsev, commissaire du ‘mouvement patriotique pro-russe du Front de l’Est’.

« La situation est tendue. Plusieurs avions de transport ont atterri à l’aéroport de Donetsk, mais les accès de l’aéroport sont bloqués. Selon les informations dont nous disposons, les militaires préparent une opération de nettoyage », a déclaré l’interlocuteur de l’agence.

D’après lui, « la guerre civile a déjà commencé ». Cependant, a-t-il ajouté, « nous n’observons pas pour le moment de combats d’envergure, mais uniquement des accrochages locaux ». « Nous sommes prêts à n’importe quelles actions. Nous sommes aux côtés du peuple, et ce dernier nous donne le droit de défendre ses intérêts. Nous sommes prêts à tout dénouement, à tout événement qui aura lieu », a conclu le militant pro-russe.

LE CRIME DES REGIONS DE L’EST ?

DEMANDER LE REFERENDUM D’AUTO-DETERMINATION …

Des manifestations réunissant des partisans de la fédéralisation de l’Ukraine se déroulent depuis quelques semaines dans l’Est du pays: à Donetsk, Kharkov et Lougansk. Les manifestants, des drapeaux russes à la main, réclament des référendums sur le statut politique de leurs régions. Samedi dernier, le mouvement de protestation s’est propagé à l’ensemble de la région de Donetsk.

Les autorités de Kiev ont fait appel aux forces armées pour lancer une opération d’envergure visant à mater les résistances. Des affrontements particulièrement violents entre les manifestants et les forces de l’ordre ont déjà été enregistrés dans deux villes de la région de Donetsk: samedi dernier à Slaviansk et ce mardi à Kramatorsk.

Les manifestants en faveur de la fédéralisation de l’Ukraine installés à l’entrée de Kramatorsk (est) incendient ce matin des barricades de pneus et reculent vers le centre-ville, rapporte mercredi le correspondant de RIA Novosti. Les forces d’autodéfense redoutent un assaut des forces armées qui encerclent la ville et contrôlent l’aéroport local après y avoir repoussé les insurgés.

Mais les choses risquent de ne pas se passer comme prévu pour les criminels de la junte de Kiev. Dans le même temps, les partisans de la fédéralisation de l’Ukraine ont en effet investi les postes de police situés dans les villes voisines de Slaviansk et de Gorlovka et se sont emparés des armes qui se trouvaient dans les locaux.

COMME A KRAMATOVSK LES BLINDES DE L’ARMEE UKRAINIENNE PASSENT DU COTE DES PRO-RUSSE A SLAVIANSK …

Les militaires ukrainiens hissent aussi le drapeau russe au-dessus de Slaviansk !

Les militaires de l’armée ukrainienne, qui sont entrés ce matin dans la ville de Slaviansk, ont hissé le drapeau russe pour montrer qu’ils sont passés sur le côté des partisans de a fédéralisation.

« Il ne s’agit pas de l’assaut contre les forces d’autodéfense. Les militaires ukrainiens sont arrivés ici sous le drapeau russe. Ils sont donc passés sur le côté de la population », a indiqué le correspondant de la chaîne Rossia-24.

Washington – car c’est bien Obama qui décide à Kiev – a choisi la guerre civile. Pas sur qu’elle débouche sur ce que le prix Nobel aux mains sanglantes en attend …

Luc MICHEL

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