Eni. Cane azzoppato

Le dismissioni produttive dell`entrante era Descalzi
 
c.a.
 
Già indicato come “dismissore doc”, l’ex braccio destro di Scaroni, Claudio Descalzi, nuovo indicato amministratore delegato dell’Eni, è il più “adeguato” a rendere l’ (ex) ente idrocarburi una scatola dimezzata e semivuota. Da costui, infatti, si attende un’accelerazione delle dismissioni volute dal cartello (atlantico) di controllo della proprietà Eni: un business antinazionale da 9 miliardi di euro entro il 2017 che prevede, anche e soprattutto, un graduale “allentamento” della cooperazione con la russa Gazprom.
Se i legami più stretti dell’Eni con la controparte multinazionale russa (come quelli con la controparte della Libia di Gheddafi) già erano costati la defenestrazione di Berlusconi dalla guida governativa italiana  – non si dimentichino mai i files riservati dell’ambasciatore Usa in Italia Spogli, del 2008, che si dichiarava preoccupato per la politica energetica indipendente del governo di Roma e che indicava in “nuovi amici” dell’entourage dell’allora Cavaliere i possibili alleati per bloccare tali conati di sovranità (Wikileaks) – è naturale prevedere, appunto con un Descalzi assurto al timone di comando nei successivi governi extraparlamentari, la progressiva limitazione dell’Eni a “compagnia minore”, con grande respiro di sollievo per i suoi concorrenti, le “sorelle” dell’energia atlantiche, americane, francesi e anglo-olandesi.
Descalzi, peraltro, è un fautore – volente o ingenuamente – della sostituzione delle forniture di gas russe con le nuove del gas da scisto Usa, così come pubblicizzato nel suo recente viaggio di marketing in Europa dell’Ovest dallo stesso presidente statunitense Obama e negoziato direttamente oltre-Atlantico, più o meno negli stessi giorni, da Umberto Scaroni che, fiutato il vento di una sua probabile caduta dal podio del cane a sei zampe, aveva invano tentato di tutto – genuflessioni alle tecnologie ancora in fieri del gas da scisto in primis – per mantenersi a galla e succedere a se stesso.
E’ incredibile e suicida tale inversione di tendenza anti-russa da parte del vertice dell’Eni. Oltre alla perdita di gran parte delle forniture di light libico, la graduale limitazione dell’import di gas russo in favore dell’opinabile “shale gas” nordamericano, condurrà di fatto non soltanto ad una sostanziale totale dipendenza delle forniture energetiche dalle “sorelle” occidentali (esattamente il contrario di quanto inteso da Enrico Mattei proprio con la sua invenzione “multinazionale” dell’Eni), ma ad un raddoppio, sic et simpliciter, dei costi da sostenere. Con le conseguenze immaginabili, purtroppo, a danno dei cittadini italiani.
Tanto più che le riserve russe di energia stanno crescendo e garantirebbero un flusso (già in atto fino a Monfalcone e che avrebbe dovuto raddoppiare con la esecuzione delle condotte balcaniche del South Strea, progetto che rischia di essere congelato per seguire gli ordini dei padroni atlantici) costante di rifornimento.
Si pensi solo che è di queste ore la scoperta nella Russia meridionale, ad Astrakhan, Mar Caspio, di un nuovo giacimento ricco di circa 300 milioni di tonnellate di petrolio e di 90 miliardi di mc di gas.
E’ tuttavia vero che l’Eni puo’ contare su prospettive di crescita di fatturato grazie alle nuove esplorazioni e ai contratti già siglati, ma tale tendenza “di bilancio” conferma la volontà sottesa di “reinventare” la compagnia energetica italiana puntando malauguratamente sulla finanziarizzazione della sua economia.
Tra le dismissioni per “fare cassa”, figurano tra l’altro quelle di una quota del giacimento del Mozambico (dopo la vendita di un 20% delle azioni alla compagnia dell’energia cinese) e dell’intera Saipem, come da pressioni del fondo pensioni Usa azionista di riferimento principale dell’ente privatizzato e da smembrare.
 
Eni. Cane azzoppatoultima modifica: 2014-04-17T21:17:46+02:00da davi-luciano
Reposta per primo quest’articolo