più di 55 mila russi vogliono esser inclusi lista nera

In rete sul sito “Aggiungiti alla lista nera Usa” più di 55.000 russi hanno aderito firmando una petizione per introdurre sanzioni contro se stessi, perché trovano ingiusto che Washington abbia il diritto di imporre restrizioni ai cittadini della Federazione Russa, nel caso solo a funzionari, legislatori, uomini d’affari.

“Il Progetto “Aggiungi te stesso nella lista nera degli Stati Uniti ” non è soltanto importante per avere portato allo scoperto la propensione alla solidarietà ma è importante come indicatore dei cambiamenti nella coscienza delle persone, risvegliando l’orgoglio per il loro Paese” ha detto il vice presidente dell’Associazione dei giovani Avvocati della Federazione russa e coautore del sito Artem Kir’yanov.

Il link del sito: http://usagoaway.ru/?en
Per saperne di più: http://italian.ruvr.ru/news/2014_04_16/Piu-di-55-000-russi-hanno-chiesto-agli-Stati-Uniti-di-essere-inclusi-nella-lista-nera-4650/

LE PROSSIME 24 ORE SONO CRUCIALI PER L’UCRAINA

Postato il Martedì, 15 aprile
  
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DI THE SAKER
 
vineyardsaker.blogspot.it
 
In questo fine settimana ci sono state sollevazioni in queste città: Kharkov , Slaviansk , Krasnyi Liman , Kramatorsk , Lugansk , Enakievo, Gorlovka, Donetsk, Khartsyzk, Ilovaisk, Mariupol.
 
Per avere un’idea di quello che è successo guardiamo la mappa.
 
 Le città ribelli nella parte orientale dell’Ucraina.
 
E’ un secondo grande passo che segna un evidente cambio della qualità delle forze che si oppongono all’occupazione della parte orientale dell’Ucraina da parte del regime rivoluzionario di Kiev. Fino a venerdì , la maggior parte dei manifestanti erano civili, “armati” con sbarre, pietre, bombe molotov, mazze , ecc. e le barricate, francamente, sembravano piuttosto fragili.
 
Nel corso di questo fine settimana sono apparse delle forze meglio attrezzate, questo potrebbe essere dovuto agli attacchi ai nascondigli di armi della SBU, ma la mia ipotesi è che ci sia un traffico in corso tra Crimea e Ucraina orientale. Qualcuno in Crimea l’ha detto apertamente. Ma è anche molto probabile che ci siano dei volontari arrivati dalla Russia, forse gente che ha una preparazione militare, arrivata per aiutare la gente del posto. Le barricate sembrano costruite molto meglio adesso, sono alte più di sei metri e sembrano ben protette.
 
Il regime di Kiev e gli USA hanno accusato la Russia di aver coinvolto agenti dei servizi segreti della SVR e del GRU.  Beh, io sono abbastanza sicuro che lo abbiano fatto – sarebbero stupidi se non lo avessero fatto – ma voler presentare questa insurrezione tanto estesa come risultato di operazioni segrete del Cremlino è una cosa piuttosto sciocca.
 
Mentre io aspetterei di vedere all’opera gli uomini del SVR e del GRU, i Servizi stanno già cercando di nascondere qualsiasi traccia in modo da evitare un potenziale scandalo politico per la Russia. Ma i servizi segreti russi potrebbero fornire attrezzature per i volontari russi dell’Ucraina occidentale? Si questo è assolutamente possibile, non credo che servano altre spiegazioni. Il fatto è che nessuno lo sa veramente.
 
Ci sono delle voci abbastanza consistenti che il direttore della C.I.A., John O’Brennan, sia andato sotto copertura personalmente a Kiev e che sia lui ad aver detto al regime di sedare la rivolta nella parte orientale del paese.
 
Forse si. Forse no. Quello che è certo è che i servizi della SBU, negli ultimi 22 anni, sono sempre passati sotto il controllo della C.I.A. e che le autorità non sarebbero mai andate avanti in questo programma senza aver avuto l’appoggio dello zio Sam. Dal momento che l’offensiva è sostanzialmente fallita, sembra che gli Stati Uniti abbiano detto ai loro alleati ucraini di “raffreddarla” in modo da negoziare o perlomeno per prendere un po’ di tempo.
 
In qualunque caso, sia Iatseniuk che Turchinov ora hanno promesso un referendum sul futuro dell’Ucraina e su tutte le “legittime richieste” fatte dalla parte orientale del paese.
 
Nessuno si fida di loro (Turchinov aveva appena annunciato un’ operazione anti-terrorismo”!), ma queste manifestazioni sono state comunque un « enorme sviluppo». Allo stesso tempo, sono arrivate ripetute informazioni su un ordine segreto di Turchinov per reprimere le rivolte nell’ Ucraina orientale e su Andrei Parubii ( Maidan), Valentin Nalivaichenko (SBU ) e Vasilij Krutov ( Esercito) che sembra abbiano creato un Quartier Generale speciale per coordinare la repressione.
 
E poi ci sono una serie di segnalazioni sul movimento di grandi colonne di unità militari verso l’oriente del paese, c’è persino l’artiglieria e lanciarazzi multipli pesanti. La mia speranza è che questi mezzi vengano spostati con il solo fine di cercare di fermare un eventuale intervento militare russo. Non sto dicendo che questo potrebbe bastare – non basterebbe di sicuro – ma mi auguro che solo questo sia il motivo. Non voglio prendere in considerazione nemmeno la possibilità che questa operazione possa essere utilizzata contro la popolazione civile.
 
Per il momento ci sono fondamentalmente tre scenari a breve termine:
  1. Gli Ukies rinunciano a pensare di poter risolvere questo problema con la violenza e con il terrore e accettano un qualsiasi tipo di accordo che potrà essere raggiunto tra Russia e Stati Uniti il 17
  2. Gli Ukies attaccano e non riescono a sedare le rivolte.
  3. L’attacco degli Ukies ha successo e la Russia interviene.
E’ ancora possibile salvare una Ucraina unita? A questo punto mi piacerebbe dire che “potrebbe” essere ancora possibile, ma che gli Ukies dovrebbero veramente abbandonare il concetto di stroncare la ribellione in atto nell’oriente del paese con la violenza e che gli Stati Uniti devono finalmente smettere di perdere tempo e accettare di negoziare seriamente.
 
Se gli Ukies provassero ad attaccare per stroncare la ribellione con la forza, potranno dire un addio per sempre alla parte est dell’Ucraina.
 
Fonte: The Saker
 
14.04.2014
 
Il testo di questo articolo è liberamente utilizzabile a scopi non commerciali, citando la fontecomedonchisciotte.orge l’autore della traduzione Bosque Primario

Il Baltic Dry Index si Sfracella di Nuovo

15 aprile 2014
 
 
Per chi non lo sapesse il Baltic Dry Index (BDI) è un indice dell’andamento dei costi del trasporto marittimo e dei noli delle principali categorie delle navi dry bulk cargo. Malgrado il nome indichi diversamente, esso raccoglie i dati delle principali rotte mondiali e non è ristretto a quelle del Mar Baltico.
 
Esso raccoglie le informazioni relative alle navi cargo che trasportano materiale “dry”, quindi non liquido (petrolio, materiali chimici,ecc) e “bulk”, cioè sfuso. Riferendosi al trasporto delle materie prime o derrate agricole (carbone, ferro, grano, ecc) costituisce anche un indicatore del livello della domanda e dell’offerta di tali merci. Per queste sue caratteristiche viene monitorato per individuare i segnali di tendenza della congiuntura economica.
 
Il BDI oggi è pesato in particolare per fare il tracking dei noli da e per la Cina e il sud est Asiatico.
 
Bisogna stare molto attenti nella lettura del BDI oggi siamo di fronte all’esplosione di una gigantesca bolla delle navi cargo iniziata all’inizio del 2000 su aspettative esagerate dell’aumento dei traffici per mare, sono state costruite troppe navi e contamporaneamente il “traffico” non è andato ai livelli attesi.
 
Dunque il BDI “naviga” da 5 anni su prezzi molto bassi, tuttavia è ancora un buon indicatore di tendenza quando ci sono repentine salite o discese dei prezzi.
 
Ebbene sono 15 giorno consecutivi che il “prezzo” del BDI scende continuamente e ha perso oltre il 33% in valore dall’ultimo picco massimo:

grafici al link
http://www.rischiocalcolato.it/2014/04/baltic-dry-index-si-sfracella.html

Ebola, paura in Sicilia. I consigli di Medici senza frontiere

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“EBOLA NON SI E’ MAI DIFFUSO IN UN PAESE SVILUPPATO”, DICE L’EPIDEMIOLOGA KAMILINY  KALAHNE. SE SI VERIFICASSE UN PROBLEMA IN SICILIA SAREBBE UN BEL GUAIO CON GLI OSPEDALI PUBBLICI MASSACRATI DAI TAGLI
di Salvatore Petrotto
 
Sulla rete si discute molto del virus Ebola e dei pericoli che incombono sull’Italia, in particolare nei porti siciliani, dove l’arrivo di immigrati è praticamente continuo, comincia a serpeggiare la paura.
 
L’allarme lanciato dal Ministero della Salute, come raccontato da l’Espresso, desta preoccupazione.
 
A migliaia “i migranti arrivati in questi giorni – racconta al settimanale, Pietro Bartolo, coordinatore sanitario di Lampedusa (che per ora non è interessata da sbarchi spostati su Augusta e altri porti siciliani)  – provengono in gran parte dalla Libia e questo sembra non escludere la presenza di portatori del virus Ebola. Ma in ogni caso è meglio stare con gli occhi aperti perché la situazione è drammatica e non è possibile procedere all’identificazione dei migranti che arrivano”.
 
Interessante quanto si legge sul sito Magazine donna:
 
In un comunicato stampa Medici Senza Frontiere, spiega che, nonostante oggi siano numerosi gli spostamenti internazionali, “Ebola non si è mai diffusa in un Paese sviluppato”.
 
Rischi per la presenza di immigrati o per chi torna da un viaggio dai Paesi dell’Africa dove tale malattia è presente?
 
“Le persone – spiega la dottoressa Kamiliny Kalahne, epidemilologa – trasmettono l’infezione quando sono molto malate, hanno la febbre alta e tanti altri sintomi e in queste condizioni non sono in grado di viaggiare. E anche qualora sviluppassero la malattia, una volta arrivati in un Paese sviluppato sarebbero assistiti in ospedali di buon livello con adeguati sistemi di controllo delle infezioni ed è molto improbabile che contagerebbero altre persone.”
 
Purtroppo in Sicilia, in molti casi, non possiamo parlare di “ospedali di buon livello”. La responsabilità non è dei medici, ma della politica che, su input dell’Unione europea, ha ridotto i fondi per le strutture sanitarie pubbliche.
 
Contrariamente a quello che affermano dal Ministero della Sanità e dall’assessorato regionale alla salute, negli ospedali pubblici siciliani mancano i posti letto.
 
Detto con parole molto crude, la Sicilia non sarebbe in grado di affrontare anche una minima emergenza eventualmente provocata dalla presenza di un piccolo focolaio di questo virus. Questo non perché in medici pubblici non sono bravi, ma perché, ormai, le risorse economiche e umane sono ridotte all’osso.
 
In queste ore ci si interroga anche su come si trasmette il virus Ebola.
 
La dottoressa Kalahne spiega che Ebola non si trasmette come una normale influenza: “Non puoi ammalarti sedendo accanto a una persona malata sull’autobus. Le persone si ammalano perché hanno accudito un familiare o un paziente malato che aveva diarrea, vomito ed emorragie. E l’epidemia può diffondersi negli ospedali quando manca un adeguato controllo delle infezioni: negli ospedali di alcuni Paesi mancano perfino le risorse di base, ma bastano acqua corrente, sapone e guanti per ridurre il livello di trasmissione del virus”.
 
La trasmissione avviene quindi mediante il contatto con i fluidi corporei: muco, sangue, vomito, attraverso le lacrime o la saliva e forse attraverso i rapporti sessuali con persone ammalate.
 
I sintomi sono nausea, mal di testa, vomito e febbre emorragica. Le emorragie devono essere il campanello d’allarme per un controllo approfondito.
 
Il periodo di incubazione del virus va dai 2 ai 21 giorni, periodo in cui gli infetti sono asintomatici, la malattia può durare oltre 60 giorni in maniera latente, anche quando il paziente sembra essere guarito.
 
Spiega il presidente dei Microbiologi clinici italiani, Pierangelo Clerici: “Purtroppo questa volta il virus non si è fermato ai villaggi rurali, ma ha iniziato a diffondersi in un grande centro urbano dove vivono due milioni di persone e si tratta del ceppo più aggressivo (ceppo Zaire). L’isolamento dei casi non basta, è fondamentale tracciare la catena di trasmissione. Tutti i contatti dei pazienti che potrebbero essere stati contagiati dovrebbero essere monitorati e isolati al primo segno dell’infezione. L’Italia non ha voli diretti con le capitali dei Paesi attualmente coinvolti dall’epidemia; se da una parte è positivo, dall’altra è un fattore di difficoltà poiché passeggeri infetti potrebbero arrivare dagli scali europei. Sarebbe bene, quindi, che anche l’Italia iniziasse ad attivare misure di attenzione negli aeroporti e nei centri di prima accoglienza. La rete dei laboratori di microbiologia clinica in Italia comprende alcuni centri di riferimento con strutture di alto isolamento e capacità tecniche di diagnosticare tali patologie”.
 
Fonti: Espresso e Magazine donna
 

Marine Le Pen va in Russia e lancia l’idea per la crisi ucraina: la federazione

Mentre l’Europa teme con terrore la cosiddetta ondata populista alle elezioni per l’europarlamento a maggio, la presidente del Front National, Marine Le Pen, ha sostenuto responsabilmente l’idea di federazione dell’Ucraina, appoggiata dalla Russia, durante una visita a Mosca.

«Spero che gli elementi più moderati della diplomazia europea riescano a mettere tutti attorno a un tavolo per riuscire a trovare soluzioni per un futuro pacifico per l’Ucraina e rispettoso del desiderio e della sensibilità di ogni parte della popolazione ucraina», ha detto Le Pen in una conferenza stampa, aggiungendo che «il progetto più logico, il più rispettoso, è quello di una federazione in seno all’Ucraina, che permetta un certo grado di autonomia ad alcune regioni». Questo permetterebbe «all’Ucraina dell’est, che per mille ragioni si sente più vicina alla Russia, o all’Ucraina dell’ovest che per mille ragioni si sente più vicina all’Ue, di poter preservare il Paese», ha spiegato. Le Pen ha incontrato a Mosca il presidente della Duma, Serghiei Narishkin, che poi è uno dei responsabili russi colpito dalle sanzioni Ue dopo l’annessione della Crimea alla Russia. Sanzioni, detto per inciso, alle quali la Serbia ha annunciato di non aderire. E in effetti, considerando la situazione sul terreno, questa sembra la soluzione più ragionevole: in Ucraina di fatto si è verificato un golpe, perché il presidente eletto è stato deposto, e ora comanda un amico dell’ex premier Julia Timoshenko, che è stata fatta immediatamente uscire del carcere dove stava scontano una pena a sette anni per reati connessi alla pubblica amministrazione, dalla magistratura ucraina, subito condiscendente verso i nuovo padroni dell’ex regione sovietica. È dai tempi della Rivoluzione arancione che l’Ucraina è squassata da forze centrifughe che ne minano la stabilità e l’unione. Oggi è un Paese nel caos: in molte zone si è sull’orlo della guerra civile, la Crimea se ne è già andata con un legittimo referendum in cui la popolazione ha espresso democraticamente la sua opinione, e l’opposizione è spaccata tra nazionalisti ed europeisti. Usa e Ue, anziché mettere in campo la diplomazia, ha soffiato sul fuoco pur di attaccare quello che vedono come una minaccia al loro potere mondiale, ossia la Russia di Putin. Dopo gli esempi dei fallimenti di Iraq, Afghanistan, Balcani, Libia, l’Occidente ancora non accetta di ragionare, e nemmeno la clamorosa figuraccia fatta con la Siria è servita a ridurllo alla ragione.

Antonio Pannullo
Fonte: http://www.secoloditalia.it/
13.04.2014

L’Europa non sa come rispondere agli USA e non vuol perdere la Russia

Ue, questa è annessione fagocitante

15 aprile 2014, 16:44

La riunione programmata dei Ministri degli Esteri degli Stati membri dell’UE si è conclusa senza progressi significativi. Secondo gli esperti, gli europei sono in uno stato di completa confusione: il buonsenso ed il lucido calcolo suggeriscono un’altra linea di azione per quanto riguarda la Russia e gli Stati Uniti. Presa tra due fuochi, l’Europa è costretta a sbarazzarsi di varie clausole e dichiarazioni politiche.

In realtà, tutte le soluzioni pratiche sono rinviate fino alla conclusione della riunione, che si terrà il 17 aprile a Ginevra, dei Ministri degli Esteri di Russia, Stati Uniti ed Unione Europea con il capo facente funzione del Ministro degli Esteri dell’Ucraina.
I ministri si aspettano anche una maggiore certezza sulla situazione nella parte orientale dell’Ucraina. Tuttavia, anche in assenza di fatti specifici, la maggior parte di loro è disposta ad accusare la Russia di “alimentare le proteste e la destabilizzazione”.
Possiamo già rilevare cinque punti principali della riunione: in primo luogo, i ministri hanno adottato una decisione politica per ampliare “la lista nera” per la Russia e l’Ucraina senza specificare date, nomi e numeri degli imputati futuri. In secondo luogo, la Commissione Europea ha chiesto di preparare una risposta unitaria ad una lettera del Presidente della Russia sui debiti ucraini per il gas erogato, senza specificare, però, anche la sua tesi, oltre alla evidente necessità di consultazioni sulla questione gas con la Russia e l’Ucraina. In terzo luogo, la Commissione Europea ha confermato la decisione del 5 marzo di assistere l’Ucraina e l’adozione per lei di preferenze unilaterali. In quarto luogo, ha deciso di inviare una missione di esperti in Ucraina per sostenere la riforma delle forze dell’ordine. In quinto luogo, infine, i Ministri hanno incaricato la Commissione Europea di elaborare un elenco di restrizioni finanziarie, commerciali ed economiche contro la Crimea sulla base della “valutazione delle conseguenze giuridiche di annessione illegale” della penisola alla Russia.
Sulla questione delle sanzioni commerciali ed economiche antirusse, questa appare ora solo come una possibilità futura di creare un’ulteriore pressione su Mosca. In ogni caso, l’idea di introdurre eventuali restrizioni contro la Russia non è una scelta consolidata dell’UE, dice il direttore del “Centro di Comunicazione Eurasiatica” Alexej Pil’ko. Secondo lui, questa è la posizione di quei paesi europei che si trovano sotto la forte pressione degli Stati Uniti.
Per l’Europa non è assolutamente redditizio imporre sanzioni contro la Russia. Dal momento che le sanzioni colpiscono anche l’economia dell’eurozona. Ma per gli Stati Uniti è vantaggioso che l’Europa sia coinvolta in una guerra di sanzioni. Perché ciò non intacca l’economia statunitense ed il volume di affari tra la Russia e gli Stati Uniti è basso”.
Adesso siamo di fronte ad una specie di test: in quanti paesi europei vi è una reale sovranità politica? I paesi che sono effettivamente indipendenti sul piano politico saranno in grado di resistere alla pressione da Washington.
Sulla questione delle sanzioni contro la Russia oggi l’Unione Europea è nella seconda fase. La prima significava la sospensione dei negoziati su un nuovo basilare accordo russo-europeo e il trattato sulla liberalizzazione del regime dei visti. L’attuale seconda fase riguarda le sanzioni sui visti individuali ed il congelamento dei beni per un certo numero di funzionari, così come l’annullamento del summit Russia – Unione Europea, previsto a Sochi. La terza riguarda le sanzioni economiche.
Gli Stati Uniti insistono su un veloce raggiungimento della terza fase. Le speranze di Washington sono di infrangere la riluttanza dell’UE nei confronti delle misure punitive che potrebbero minare la già fragile economia del blocco. Gli esperti americani ritengono che la pressione sull’economia russa è l’unica vera leva di influenza che l’Occidente può usare contro la Russia. Tuttavia, senza il sostegno dell’Europa, le sanzioni degli Stati Uniti non porteranno risultati significativi.
D’altra parte, anche se l’Europa accetta le sanzioni commerciali ed economiche contro la Russia, questo in alcun modo può risolvere i problemi dell’Ucraina. Così, per esempio, ha dichiarato il Ministro degli Esteri del Lussemburgo Jean Asselborn. Tale dichiarazione è stata fatta prima della riunione dei ministri. Secondo alcuni politici europei ragionevoli, la principale sfida attuale è quella di intensificare i contatti diplomatici ed una reale volontà di ascoltare le argomentazioni dell’avversario. Questo è l’unico modo per trovare una via d’uscita da una situazione molto complicata in cui l’Ucraina si trova, a causa della mancanza di volontà dell’Occidente di assumersi la responsabilità delle proprie azioni.
Per saperne di più: http://italian.ruvr.ru/2014_04_15/L-Europa-si-sbarazza-di-alcune-clausole-6709/

L’Ukip travolto da una denuncia anonima per presunti illeciti sui rimborsi dell’europarlamento. Farage: “Attacco politicamente motivato”

come si toglie di mezzo un euroscettico…..grazie alla quinta colonna dello status quo

Andrea Indini – Il Giornale – Mar, 15/04/2014 – 15:35

Quanto fa paura l’onda d’urto dello UK Indipendence Party? Sembrerebbe parecchio visto che all’indomani dei sondaggi della Strathclyde University, che danno gli euroscettici al 28%, Nigel Farage è stato accusato da un ex funzionario del suo stesso partito di aver frodato sui rimborsi ottenuti in quanto europarlamentare.
Un attacco che arriva direttamente dalle colonne del Times che ha pubblicato la notizia sui presunti illeciti denunciati da una fonte che, però, avrebbe voluto rimanere anonima. Un attacco che il leader dell’Ukip non ha faticato a definire “politicamente motivato” assicurando ai microfoni della Bbc di non aver in alcun modo violato le regole nell’utilizzo dei rimborsi spese dell’Europarlamento.
“Mi sto consultando con i miei legali, credo che tutto questo sia completamente vergognoso”. Farage non ha parole per le accuse che un ex dirigente ha mosso dalle pagine del Times. Il quotidiano britannico si è prontamente prestato a fare da cassa di risonanza ad accuse che potrebbero anche incidere sui sondaggi in vista delle elezioni europee del prossimo 25 maggio. Secondo i recenti sondaggi della Strathclyde University, il partito conservatore di David Cameron rischia una storica débâcle alle prossime elezioni europee e il crollo al terzo posto. Mentre i tory vengono dati al 23%, l’euroscettico Ukip è recentemente schizzato al 28% e i Labour potrebbero attestarsi al 31%. Proprio per questo Farage ha reagito piccato alle accuse che ha definito “oltraggiose”.

Secondo il Times, nel ricorso presentato dall’ex esponente dell’Ukip all’Olaf, l’ufficio europeo anti-frode, si parlerebbe di 15.500 sterline all’anno che Farage avrebbe ricevuto per pagare l’affitto di un ufficio elettorale a Bognor Regis. Ufficio che, sempre stando alla denuncia, sarebbe stato offerto a titolo gratuito da sostenitori del partito. Operazione che avrebbe fatto scendere i costi di gestione della sede ad appena 3mila sterline all’anno. Farage ha subito rilasciato un’intervista alla Bbc per difendersi assicurando di non aver violato nessuna delle regole dell’Europarlamento che, è bene ricordarlo, non chiede di presentare delle note spese dettagliate. “L’Ukip non vuole questi rimborsi spese – ha tuonato – non vogliamo che gli europarlamentari britannici costino ai contribuenti tutti questi soldi”.
http://www.ilgiornale.it/news/esteri/accuse-anonime-agli-anti-ue-vogliono-fare-fuori-farage-1011026.html

Per conoscenza-ListaTsipras-L’Europa come forza di pace

lode a Kissinger, alla Nato e all’Ue….si certo la critica all’acqua di rose lascia proprio il tempo che trova. Le meravigliose primavere e rivoluzioni di Soros? Sono anch’esse missioni di pace Operazioni umanitarie naturalmente…..Non c’è bisogno no di un esercito europeo, C’è LA NATO al quale esso già obbedisce.
interessante leggere i commenti

Giro la parte del programma della Lista Tsipras italiana dedicata alla pace e alla guerra. Ho letto una sola volta il testo e mi sembra assolutamente da contestare l’ assoluta mancanza di critica al ruolo guerrafondaio di alcuni paesi europei, in particolare della Francia, anche negli anni in cui è guidata dal Partito Socialista Francese.
Giro subito il capitolo nella speranza che ne nasca una discussione approfondita, una eventualità però che mi stupirebbe molto.

Buona lettura

L’Europa come forza di pace

L’Europa non ha ancora sviluppato una sua reale Politica Estera e di Difesa per ragioni storiche (basti pensare al grande numero di basi statunitensi ancora ospitate sul territorio europeo) e per mancanza di autorevolezza e unità politica. I paesi più forti nella Ue, o che si sentono tali, quali Germania, Francia e Inghilterra tendono a costruire un loro sistema di relazioni economiche, finanziarie e militari che non intendono mettere in comune; dal canto suo l’Italia non è da meno con il suo attivo presenzialismo militare in tragiche situazioni di conflitto di cui favorisce di fatto la cronicizzazione, dovuta alle politiche inefficaci o negative nel cui quadro esso si inserisce.

Ma soprattutto in ambito europeo ha pesato e ancora pesa enormemente la presenza della NATO, che ha sempre svolto un ruolo importante per orientare e determinare il coordinamento della politica estera e di difesa dei Paesi europei. Di fatto la Nato ha rappresentato un potente strumento ideologico e pratico di surroga/supplenza di un’autonoma politica europea. La Nato ha determinato i modi del rapporto dell’Europa con il suo lato orientale, dopo la fine dell’Unione sovietica e lo sbriciolamento del sistema delle ex Repubbliche legate al Cremlino. Lo stesso Henry Kissinger ha recentemente, in occasione della crisi ucraina, apertamente criticato la politica di annessione alla Nato dei paesi dell’est europeo. L’idea di “un ordine stabile e giusto in Europa” affidato alla Nato e all’esclusiva alleanza con gli Stati Uniti ha una storia antica (Rapporto Pierre Hermel 1967) e continua a svolgere un ruolo fondamentale.

Questo stato di cose non può continuare. L’Europa può e deve promuovere un processo di superamento della Nato, la cui persistenza come strumento particolare ed esclusivo di sicurezza appare sempre meno giustificabile quasi un quarto di secolo dopo la fine della divisione dell’Europa e del mondo in blocchi contrapposti, mentre rischia proprio di suscitare nuovamente e in nuove forme una tale pericolosissima contrapposizione. All’interno dei suoi attuali confini e nel mondo, l’Europa deve esigere il disarmo nucleare, una drastica riduzione di ogni forma di armamento convenzionale e delle spese militari, misure severe per la limitazione e il controllo del commercio delle armi, la conversione dell’industria bellica. Per la sicurezza europea non c’è alcun bisogno di costruire un nuovo esercito europeo, fonte di nuove spese (basti pensare agli F35 il cui acquisto da parte dell’Italia vogliamo bloccare), ma soprattutto di una visione militarista che lo qualificherebbe come il braccio armato della “Fortezza Europa”.

Si può procedere all’integrazione degli eserciti nazionali, con un loro snellimento e una consistente riduzione di spesa, che possono diventare un corpo capace di intervenire in aree a rischio con i criteri e gli strumenti della prevenzione pacifica, della tutela dei diritti umani, della gestione politica dei conflitti, sempre e solo sotto l’egida e la legittimazione delle Nazioni Unite. Accanto a questi possono agire corpi civili di pace, costituiti anche su base volontaria.

La sicurezza europea, come dei suoi cittadini, comporta una lotta senza quartiere alla grande criminalità organizzata, al traffico di armi, preziosi, stupefacenti (cui è funzionale la liberalizzazione dell’uso delle droghe leggere) e alle nuove forme in cui si organizza l’economia criminale, in stretto rapporto con la finanziarizzazione del mondo economico.
La dimensione internazionale della Mafia e delle sue molteplici varianti, delle organizzazioni criminose costruite sulla base di affiliazioni segrete hanno invaso il mondo. Sono tra le prime ad avere capito le leggi della globalizzazione. È contro queste che va rivolta l’azione dei servizi di intelligence e di polizia. Presso il Parlamento europeo si è costituita una commissione (la Crim) con il compito di mettere ordine nelle legislazioni degli Stati membri per giungere alla prima normativa comune per il contrasto alla criminalità organizzata e alla corruzione.

un passo avanti che va sostenuto e incrementato. Il Parlamento di Strasburgo ha varato un Rapporto contro la criminalità organizzata e la corruzione, che rappresenta il primo concreto piano d’azione dell’Ue per contrastare questi fenomeni a livello transnazionale e per superare quelle barriere legislative anche grazie alle quali, purtroppo, le mafie hanno potuto alimentare il proprio immenso giro di affari. Per esempio, il rapporto introduce il reato di associazione mafiosa a livello Ue, un reato sconosciuto finora alla maggior parte dei paesi europei.

Il Parlamento ha varato anche la direttiva sulla confisca dei beni che sono provento di reato. La direttiva dovrebbe essere formalmente approvata dal Consiglio nelle prossime settimane e introduce per la prima volta un testo unico europeo in tema di sequestro dei beni della criminalità organizzata. La necessità di leggi transnazionali per combattere il crimine organizzato è nota da tempo. E uno degli strumenti più efficaci è proprio quello della confisca dei beni. Secondo la direttiva approvata a Strasburgo, i beni potranno essere confiscati a seguito di una condanna penale definitiva, ma anche nel caso di procedimenti che non possono giungere a conclusione.
Le nuove norme consentiranno agli Stati membri di confiscare beni ottenuti mediante attività criminali, tra cui ad esempio corruzione, partecipazione a un’organizzazione criminale, pornografia infantile o criminalità informatica. Secondo il testo, i 28 stati membri dovrebbero adottare misure che consentano l’utilizzo dei beni confiscati per interesse pubblico e ne incoraggino il riutilizzo sociale. Oggi, meno dell’1% dei proventi di reato in Europa sono confiscati.

Il lavoro fatto finora al Parlamento, però, non basta. Il rapporto sulla criminalità organizzata, per diventare operativo, deve ancora passare dalle forche caudine di Commissione e Consiglio. E la stessa direttiva sulla confisca va migliorata (purtroppo molte delle indicazioni del Parlamento sono state stralciate dagli stati membri). Il nostro impegno è quindi pieno per ribadire ancora una volta che senza una lotta alla mafia realmente globale, oltre che europea, la criminalità organizzata continuerà a proliferare in tutta l’Ue.

Per l’Fmi il Def di Renzi va bene. Per noi un po’ meno

Matteo Renzi vuole accelerare su tutto. Dalle riforme istituzionali a quella elettorale, fino agli interventi per rilanciare l’economia e la domanda interna. Se in Italia l’ex sindaco viene accusato di eccessivo decisionismo (insomma di craxismo) e di tendenze autoritarie, all’estero, al contrario, lo si sospetta di essere eccessivamente parolaio e di non fare i conti con un sistema ingessato, come quello italiano, che ha sempre fatto di tutto per bloccare il cambiamento.

Al nuovo governo è stato concesso il beneficio del dubbio e i primi giudizi sono sostanzialmente positivi, limitandosi a riferirsi alle dichiarazioni di facciata. Così il Fondo Monetario Internazionale, dopo una prima sommaria analisi, ha giudicato con favore il Def (Documento di economia e finanza) del governo. Anche perché, come direbbe Razzi, il Fmi sostiene da tempo l’idea di abbassare le tasse attraverso il taglio della spesa.

Riferendosi al riequilibrio dei conti, e quindi al taglio del debito pubblico, un portavoce del Fmi ha auspicato che i tagli annunciati non rappresentino una tantum ma siano la regola dei prossimi anni. L’organismo usuraio di Washington giudica con favore che Renzi e il ministro dell’Economia, Padoan (ex dirigente dello stesso Fmi e dell’Ocse) abbiano posto l’accento sulla necessità delle “riforme” che sono funzionali a sostenere una crescita economica che in Italia è ancora troppo bassa rispetto alla media europea. Ma poi, il Fmi chiede che alle parole seguano i fatti. E tanto per dimostrare quale sia la riforma più impellente, si cita quella del mercato del lavoro che deve essere “liberalizzato”. Termine che, come ben sappiamo, significa la più totale deregolamentazione; la diffusione della flessibilità e del precariato, con la più ampia libertà di licenziamento da parte delle imprese; la fine dei contratti nazionali di categoria e la loro sostituzione con contratti aziendali nei quali le buste paga registreranno l’incidenza crescente degli straordinari e dei premi di produzione. Con lo stakanovismo innalzato a regola di vita.

Il Fmi, come tanti gruppi similari, sostenitori del mercato unico globale, non prova alcuna remora a sostenere che le regole che valgono in Cina debbano valere anche in Italia. E pazienza se in Cina lo schiavismo in molte aziende è la regola sulla quale vigilano le milizie del partito comunista. Un capitalismo di Stato feroce e disumano ma che evidentemente piace ai tecnocrati del Fmi, dei quali molti vengono dai Paesi del cosiddetto Terzo Mondo. Una peculiarità che non gli ha impedito di sposare la filosofia del Fmi che è la stessa di altre strutture similari come la Banca Mondiale e l’Ocse. Una filosofia che vede nella finanza l’elemento centrale dell’economia. Tanto che il Fmi è arrivato a giudicare con favore, non avevamo dubbi in proposito, l’annuncio della Banca centrale europea (guidata dall’ex Goldman Sachs, Mario Draghi) di essere pronta ad immettere altra liquidità (si parla di mille miliardi di euro) nel sistema finanziario (quindi alle banche) per fare ripartire l’economia dell’Eurozona. Una soluzione che il Fmi giustifica lamentando il differenziale (gap) tra le potenzialità dell’economia europea e la sua crescita effettiva. Una soluzione che, è appena il caso di dirlo, non servirà allo scopo dichiarato perché, come successo per i mille miliardi precedenti prestati dalla Bce alle banche europee (novembre 2011-marzo 2012), essi non finiranno alle imprese e ai cittadini, ma serviranno alle banche stesse per coprire i debiti effetto delle proprie speculazioni.

Questo scenario futuro è ben chiaro anche ai politici italiani ma nessuno di loro, specie i neo convertiti al Libero Mercato, sembra preoccuparsene troppo. Non è il caso per costoro lamentare la stretta creditizia o criticare l’intoccabile Mario Draghi. Quello che dicono il Fmi e la Bce deve essere infatti preso come vangelo. E se ci chiedono di ridurre il lavoro a merce, bah, cosa volete che sia. È la tendenza in atto in buona parte del mondo. Ed anche l’Italia dovrà adeguarsi.

Irene Sabeni
Fonte: www.ilribelle.com
14.04.2014

CRISI: 1 BIMBO SU 4 A RISCHIO POVERTÀ IN UE, +1 MLN IN 4 ANNI

meraviglioso questo sogno europeo…

Rapporto Save the Children. Sono 27 milioni nella Ue a 28 (ANSA) – ROMA, 15 APR – La crisi e la mancata distribuzione di risorse hanno portato 27 milioni di bambini, in Europa, a rischio povertà. Più di uno su quattro. In quattro anni, dal 2008 al 2012, questo numero è aumentato di un milione. Lo rivela un rapporto di Save the Children, il primo dell’organizzazione internazionale sulla povertà minorile in Europa, diffuso oggi, in vista delle elezioni europee. Il Rapporto riguarda i Paesi Ue28, quindi anche quelli del Nord Europa, dove le percentuali oscillano tra il 12 e il 19%. In Italia siamo al 33,8%.(ANSA). AB 15-APR-14