LA FORNITURA DI GAS DAGLI USA: LE MENZOGNE DELLA CASA BIANCA ALL’EUROPA

Ma perché Obama ce lo regalerebbe lo shale gas? Era per questo che Fassino a porta a porta nel 2006 disse che l’Italia doveva diventare un Hub energetico per tutta la Ue?

untitled351

DI WILLIAM ENGDAHL
Information Clearing House
 
La Casa Bianca ed il Dipartimento di Stato Americano sono stati molto occupati ultimamente nel mentire spudoratamente ai governi Europei riguardo alla capacità degli USA di fornire tanto gas naturale quanto basta a rimpiazzare l’attuale fornitura Russa. Le ultime dichiarazioni del Presidente Obama e del Segretario di Stato John Kerry sono così false che, data la situazione ucraina, rivelano una certa temerarietà di Washington nei confronti di Mosca. O, tutt’al più, indicano che Washington si trovi in uno stato così fuori dalla realtà che semplicemente non presta più attenzione a ciò che afferma. In entrambi i casi si dimostra comunque un partner diplomatico inaffidabile per l’Unione Europea.
 
Obama, dopo il recente incontro con i vertici europei, ha emesso un comunicato inaudito in cui si afferma che il TTIP (Transatlantic Trade and Investment Partnership), il partenariato trans-atlantico per il commercio e gli investimenti, che attualmente viene negoziato a porte chiuse dalle più grandi multinazionali private, renderebbe più facile per gli Stati Uniti l’esportazione di gas verso l’Europa e aiuterebbe quest’ultima a ridurre la sua dipendenza energetica dalla Russia.
 
Obama ha dichiarato: “Quando avremo un accordo commerciale in vigore, le licenze all’esportazione inerenti a progetti destinati in Europa riguardanti gas naturale liquefatto (GNL) saranno molto più semplici, e ciò è chiaramente molto importante alla luce della situazione geopolitica odierna”.
 
Questo tipo di opportunismo politico che, facendo leva sulle paure europee per una possibile perdita del gas russo dopo il colpo di stato orchestrato dagli USA in Ucraina lo scorso 22 febbraio, prova a riesumare i colloqui sul TTIP attualmente in fase di stallo, ignora il fatto che il problema dell’approvvigionamento del gas da argille dall’America all’Europa non risiede in procedure più semplici sulle licenze per il GNL.
 
Obama e Kerry, in altre dichiarazioni recenti a proposito del recente boom americano del gas da argille non convenzionale, hanno anche affermato che gli Stati Uniti potrebbero rimpiazzare tutto il gas russo che arriva in Europa, una affermazione totalmente falsa basata sui fatti reali. Durante il suo incontro di Bruxelles, Obama ha consigliato ai leader europei l’importazione del gas da argille Americano per sostituire il gas Russo. Tuttavia esistono molti problemi al riguardo
 
La rivoluzione del gas da argille è un fallimento
 
Punto numero uno: la “rivoluzione del gas da argille” in America ha fallito. Il sensazionale aumento della produzione americana di gas naturale deriva in larga parta dalla “fratturazione idraulica”, procedimento che sfruttando la pressione di un fluido, in genere acqua, crea e propaga una frattura in uno strato roccioso spingendo il gas a fuoriuscire. Questo metodo viene ora abbandonato dalle grandi multinazionali energetiche come la Shell e la BP in quanto anti-economico. Shell ha appena annunciato una drastica riduzione negli investimenti inerenti allo sviluppo di gas da argille americano. Shell sta inoltre vendendo le concessioni attualmente in suo possesso su circa 700,000 acri di terreno nelle maggiori aree di gas da argille come il Texas, la Pennsylvania, il Colorado ed il Kansas. Ha anche affermato che potrebbe dismettere molti altri siti per fermare le perdite economiche subite. L’Amministratore Delegato di Shell, il Signor Ben van Beurden, ha dichiarato: “Le prestazioni finanziarie non sono francamente accettabili… alcune delle nostre scommesse esplorative semplicemente non hanno funzionato”.
 
Un riepilogo utile della situazione “ingannevole” del gas da argille ci viene fornito da David Hughes, analista ed esperto del campo energetico, in una recente analisi basata sui risultati effettivi dell’estrazione di gas di scisto negli USA fatta nel corso di molti anni. Hughes indica che “la produzione di gas da argille è cresciuta in maniera esplosiva fino ad arrivare a comprendere quasi il 40% della produzione totale americana di gas naturale. Tuttavia la produzione è stabile dal dicembre 2011 e l’80% della produzione di gas da argille viene solamente da cinque siti, molti dei quali in declino. L’alto tasso di declino nell’estrazione dai pozzi di gas di scisto richiede una immissione continua di capitali, necessaria al fine di mantenere la produzione attuale. La cifra stimata per perforare più di 7,000 pozzi all’anno è di circa 42 miliardi di dollari. Per fare un paragone, il valore del gas da argille prodotto nel 2012 e stato di soli 32,5 miliardi di dollari.
 
Quindi le opzioni sono due: o ad Obama vengono raccontate bugie dai suoi stessi consiglieri sulla vera natura delle forniture USA di gas da argille, o egli mente di proposito. Il primo caso sembra il più probabile.
Il secondo problema relativo alla “offerta” americana di gas all’Europa è il fatto che richiederebbe una infrastruttura costosa e gigantesca. Si parla della costruzione di nuovi terminal in America per l’arrivo del gas, terminal che riescano a gestire le navi super-petroliere adoperate per il suo trasporto, oltre alla creazione di porti riceventi enormi ed attrezzati in Europa.
 
La questione è molto complessa, dovuta anche a varie leggi americane riguardanti l’esportazione di energia nazionale oltre ad evidenti fattori di fornitura in quanto non esistono al momento porti operativi capaci di gestire l’approvvigionamento di gas naturale negli Stati Uniti. Il Sabine Pass GNL è l’unico terminal ricettivo attualmente in costruzione e si trova in Louisiana, a Cameron Parish. Il proprietario dell’infrastruttura è la società Cheniere Energy nel cui consiglio di amministrazione siede John Deutch, ex capo della CIA. Il Sabine Terminal presenta tuttavia un altro ostacolo: la maggior parte del gas è stata già pre-contrattata ai Coreani, Indiani e ad altri clienti asiatici, non all’Europa.
 
Un ulteriore problema deriva dal fatto che, anche se un’enorme capacità portuale venisse messa in piedi per soddisfare la domanda di gas europea, ciò spingerebbe i prezzi interni di gas naturale al rialzo e metterebbe così fine al mini boom manifatturiero scaturito dalla disponibilità di gas abbondante ed a buon mercato. Il costo finale del gas americano per i clienti europei sarebbe molto più alto dell’attuale gas russo che viene instradato attraverso i gasdotti Nord Stream o attraverso l’Ucraina. Per finire, di navi super-petroliere e gassiere specializzate in grado di rifornire il mercato europeo al momento non ce n’è. Implementare tutto ciò richiede anni e, considerando le inevitabili approvazioni ambientali da richiedere e i tempi di costruzione, sette anni è il tempo minimo indispensabile da tenere in considerazione come opzione migliore.
 
L’Unione Europea al giorno d’oggi ottiene il 30% del suo gas dalla Russia. Nel 2007 Gazprom ha fornito il 14% delle importazioni di gas della Francia, il 27% dell’Italia e il 36% della Germania, senza dimenticare la Finlandia e gli Stati Baltici, i quali ricevono quasi il 100% del loro gas dalla Russia.
 
Realisticamente l’Unione Europea non ha al momento nessuna alternativa al gas russo. La Germania, che possiede l’economia più grande, ha stupidamente deciso di eliminare gradualmente l’energia nucleare e la cosiddetta “energia alternativa” (solare ed eolico) è semplicemente un disastro economico e politico con costi dell’elettricità alle stelle per il consumatore, nonostante esse siano solamente una piccola fetta del mercato totale dell’energia.
In breve, la chimera di eliminare il gas russo per sintonizzarsi su quello americano è semplicemente un nonsense; politico, energetico ed economico.
 
F. William Engdahl, consulente in rischio strategico e docente universitario, possiede una laurea in Politica alla Princeton University ed è autore di numerosi best-sellers riguardanti il petrolio e la geopolitica, esclusivamente per la rivista online “New Eastern Outlook”
 
 
 
10.05.2014
 

12 APRILE: RIFLESSIONI “SCOMODE”

Stendiamo un pietoso velo sul comportamento dei gruppi che ieri, vestiti di nero o di blu, han cercato lo scontro ad ogni costo in una Roma in Stato d’assedio. La distanza tra l’obbiettivo conclamato (attacco al Ministero del lavoro) e la capacità di metterlo in atto è stata siderale. Quando le forze di polizia hanno sferrato la prevedibile carica chi lo scontro cercava, e aveva il dovere di almeno difendere il resto del corteo, se l’è data a gambe levate.
Un’altro è l’elemento su cui chi ha puntato e scommesso sul successo di questa manifestazione deve riflettere. Lo scarso numero dei partecipanti (un quarto, forse meno, di quelli che parteciparono alla manifestazione omologa del 19 ottobre scorso) ha significato un sonoro fallimento.
 
Abbiamo la sensazione che la manifestazione di ieri, con la sconfitta subita, segni uno spartiacque. Ci sono segnali che nel frastornato poliverso dell’estrema sinistra possa finalmente aprirsi un dibattito affinché ci si lasci alle spalle concezioni e pratiche sterili che non portano da nessuna parte. Il ritardo, a cinque anni dalla più grave crisi economica che si ricordi, è riprorevole, ma meglio tardi che mai.
 
Prendiamo spunto dalle riflessioni a caldo di Contropiano, organo della Rete dei Comunisti. La redazione si pone tre domande calzanti:
 
(1) perché la partecipazione è crollata rispetto a solo sei mesi fa?; (2) gli obiettivi specifici da soli, hanno la forza per diventare mobilitazione generale? (3) è possibile o necessaria una alleanza politica e sociale che veda dentro tutti i settori sociali aggrediti dalla crisi e dalle misure antipopolari per ingaggiare la sfida con un avversario di classe strutturato e integrato a livello di Unione Europea oppure si procede ognuno per conto suo?
 
Alla prima domanda questa è la risposta:
 
«Nei fatti si è rivelata una manifestazione per la casa – un obiettivo legittimo e popolare – ma la declinazione del problema specifico e la sua declinazione generale si sono persi in una evocazione generica che non ha dato né priorità né indicazioni da socializzare agli altri settori sociali (dai lavoratori alle famiglie proletarie ai disoccupati) che pure dovrebbero essere parte del conflitto di classe più generale. L’aver occultato il fattore antagonista oggi principale, l’Unione Europea e i suoi diktat, rende sempre più evanescente il nemico e la prospettiva generale di cambiamento che dà forza e respiro alle singole lotte».
 
In effetti il movimento che si è espresso ieri a Roma non si rivolge a tutti gli strati sociali falcidiati dalla crisi, ma solo a settori di gran lunga minoritari, anzitutto immigrati e senza tetto. Invece di agire per allargare il fronte di lotta a milioni e milioni di cittadini gettati sul lastrico, chiude in un recinto la sua base sociale di riferimento. Cosa ancor più grave, questo movimento protesta sì contro l’austerità, ma non mette sotto accusa i poteri oligarchici europei, di cui i governi italiani sono esecutori. Un movimento, dunque, del tutto privo di una visione politica complessiva, e senza nemmeno un’idea chiara di chi siano i nemici principali oggigiorno.
I gruppi che animano questo movimento non vogliono infatti sentire parlare né di mollare con l’euro né di uscire dall’Unione europea. Manca dunque di ogni linea di fase, avanzando un massimalismo imbelle (la lotta è contro il capitalismo) ed un trito estremismo sindacalistico (vogliamo tutto!).
 
La domanda a cui Contropiano dovrebbe rispondere è la seguente: qual è la causa del rifiuto di tali gruppi di avanzare gli obbiettivi l’uscita dall’Unione e dall’euro? La risposta è che sono vittime del tabù anarchico della sovranità nazionale, per essi obbiettivo “reazionario” se non addirittura “fascista”. E come mai Contropiano non se la pone, questa domanda? Perché verrebbe alla luce che sulla questione della sovranità nazionale Contropiano non ha ancora sciolto la sua propria ambiguità —ricordiamo gli attacchi al vetriolo che sono stati rivolti al Mpl.
 
Alla seconda domanda (gli obiettivi specifici da soli, hanno la forza per diventare mobilitazione generale?) questa è la risposta:
 
«Unire le forze non è un esercizio di egemonia, è un processo nel quale ognuno porta quello che è e mette a disposizione quella che ha su un piano di convergenza comune e condiviso fin nei dettagli. L’alleanza del 18 e 19 ottobre indicava questa possibilità ma è stata volutamente affondata e i risultati si sono visti sabato 12 aprile».
 
Siamo proprio sicuri che “l’alleanza del 18 e 19 ottobre” sia la risposta adeguata alla domanda? Ovvero la strada giusta per costruire “una alleanza politica e sociale che veda dentro tutti i settori sociali aggrediti dalla crisi e dalle misure antipopolari”? Noi non lo pensiamo affatto. E’ vero che le giornate del 18 e 19 ottobre furono un discreto successo in quanto a partecipazione, ma affermare che lì c’era la soluzione è illusorio. La manifestazione del 12 aprile è invece figlia legittima della relazione incestuosa del 18 e 19 ottobre: non è sufficiente, per stabilire una specie di differenza qualitativa tra i due eventi, la massiccia presenza del sindacalismo di base. Il 19 ottobre in testa c’erano gli stessi gruppi di ieri. Medesime erano le parole d’ordine.
 
Contropiano, che si consola sperando sia possibile far girare l’orologio all’indietro, dovrebbe porsi la domanda vera: si può costruire “una alleanza politica e sociale che veda dentro tutti i settori sociali aggrediti dalla crisi e dalle misure antipopolari” in compagnia di questi gruppi? La nostra risposta è no e chi si ostina a perseguire il sodalizio perde il suo tempo. Come da tempo andiamo dicendo, da altre parti occorre guardare se si vuole davvero costruire una sollevazione popolare e rovesciare il regime di protettorato euro-tedesco invece che correre dietro a chi non va oltre il mito della ribellione.
 
E infatti l’asino di Contropiano cade sulla terza domanda:
 
«E’ possibile o necessaria una alleanza politica e sociale che veda dentro tutti i settori sociali aggrediti dalla crisi e dalle misure antipopolari per ingaggiare la sfida con un avversario di classe strutturato e integrato a livello di Unione Europea oppure si procede ognuno per conto suo?»
 
Sembrerà incredibile ma a questa domanda, la più importante, non viene data nessuna risposta. Buio pesto. Una reticenza senz’altro sintomatica delle antinomie e delle difficoltà in cui non solo la Rete dei Comunisti, ma più in generale ciò che resta della sinistra rivoluzionaria, si dimenano. Queste antinomie hanno una radice, il vecchio tabù operaista quello dell’interclassismo, per cui è ripugnante, anzi proibito, ogni contatto con una classe sociale che non sia la mitica “classe operaia”. Di qui il disprezzo, l’anatema ed il rifiuto di ogni contatto contaminante, tanto per fare un esempio, con i settori di piccola e media borghesia ridotti alla miseria che sono scesi in strada nelle giornate del 9 dicembre scorso —quello della presenza dei fascisti era solo un ridicolo alibi per camuffare questo tabù.
A ben vedere qui si palesa curiosamente una matrice culturale, anzi s’affacciano due dogmi religiosi, tipici del peggiore cristianesimo, quelli del peccato originale e del servo arbitrio, per cui la natura sociale e la coscienza di un soggetto sarebbero fissate, predeterminate, e non possono mutare con le circostanze storiche, proprio a causa di un stigma originario, geneticamente immutabile.
 
Non farebbe male una rivisitazione critica della nostra storia. Se la si facesse certa sinistra dovrebbe finalmente capire che una della cause della sconfitta storica subita negli anni ’20 in Italia e nei ’30 in Germania, consistette proprio nel settarismo e nel dottrinarismo della sinistra comunista di allora, due patologie che isolarono i rivoluzionari e che finirono per agevolare lo sfondamento di massa dei fascisti e dei nazisti, prima tra gli strati pauperizzati della piccola borghesia, poi a seguire in seno alla stessa classe operaia.
Avessero imparato qualcosa dei rivoluzionari russi, che quelle tragedie si sarebbero potute evitare:
 
«Ogni crisi rigetta tutto ciò che è convenzionale, strappa gli involucri esterni, spazza via ciò che è sorpassato, scopre le molle e le forze più profonde. (…) Credere che la rivoluzione sociale sia immaginabile senza le insurrezioni e le esplosioni rivoluzionarie della piccola borghesia, con tutti i suoi pregiudizi, senza il movimento delle masse proletarie e semiproletarie arretrate … non la vedrà mai. Egli è un rivoluzionario a parole che non capisce la vera rivoluzione.
La rivoluzione russa del 1905 è stata una rivoluzione democratica borghese. Essa è consistita in una serie di lotte di tutte le classi, i gruppi e gli elementi scontenti della popolazione. V’erano tra di essi masse con i pregiudizi più strani, con i più oscuri e fantastici scopi di lotta, v’erano gruppi che prendevano denaro dai giapponesi, speculatori e avventurieri, ecc. Obiettivamente, il movimento delle masse colpiva lo zarismo e apriva la strada alla democrazia, e per questo gli operai coscienti lo hanno diretto.
La rivoluzione socialista in Europa non può essere nient’altro che l’esplosione della lotta di massa di tutti gli oppressi e di tutti gli scontenti. Una parte della piccola borghesia e degli operai arretrati vi parteciperanno inevitabilmente —senza una tale partecipazione non è possibile una lotta di massa, non è possibile nessuna rivoluzione— e porteranno nel movimento, non meno inevitabilmente, i loro pregiudizi, le loro fantasie reazionarie, le loro debolezze e i loro errori. Ma oggettivamente essi attaccheranno il capitale».  [V. I. Lenin, Luglio 1916]
 
Il dibattito sul 12 aprile, se vogliamo condurlo sul serio, alle sue estreme conseguenze, non solo allude ma solleva ben altri nodi irrisolti nella sinistra antagonista italiana. Ben venga questa discussione!

VICEPRESIDENTE CAMERA, DI MAIO, SMASCHERA LE BALLE SUI TAGLI DI BOLDRINI E RENZI

lunedì 14 aprile 2014
 
untitled285
Con un messaggio dalla sua pagina Facebook il vicepresidente della Camera Luigi Di Maio ha smentito tutte le balle di Matteo Renzi e Laura Boldrini sui tagli alla politica, sostenendo che si tratta soltanto di annunci a fini elettorali. Ecco le sue parole:
 
RENZI E BOLDRINI: FINO AD ORA IL NULLA.
 
Il Premier Renzi e la Presidente Boldrini, in una ridicola corrispondenza epistolare a mezzo stampa, in questi giorni stanno discutendo dei costi da tagliare alla Camera e alle amministrazioni pubbliche dello Stato, giocando a chi è più bravo.
Renzi che sostiene si debbano tagliare i maxi-stipendi dei dirigenti della Camera, non ha tagliato ancora un solo euro ai manager pubblici delle aziende partecipate italiane, nonostante ne parli da mesi. E non si è ridotto di un euro il suo stipendio.
La Presidente Boldrini che gli risponde, addirittura si vanta di aver già fatto tagli agli stipendi del personale della Camera (per inciso ha tagliato 2000 euro al mese a una persona che guadagna quasi 500.000 euro all’anno!!). Ovviamente nessun taglio agli stipendi dei parlamentari.
Si vanta anche di essersi tagliata del 30% il suo stipendio. Balle! Si è tagliata del 30% l’indennità aggiuntiva. Quella a cui io è Roberto Fico rinunciamo interamente insieme alle spese di rappresentanza e all’auto blu. Inoltre ci dimezziamo lo stipendio da Deputato.
Siamo ormai al niente che risponde al nulla!
 
Ormai è un anno che il Movimento 5 Stelle sta chiedendo a questa maggioranza del Partito Democratico e alla Presidente Boldrini, di iniziare davvero tagli drastici alla Camera. Lo abbiamo ribadito con diverse richieste scritte e verbali negli organi competenti, che non sono mai state messe neanche all’ordine del giorno dell’ufficio di Presidenza, almeno avremmo gradito una risposta. Neanche quella.
Abbiamo chiesto le dimissioni dei Questori della Camera per evidenti incapacità nel tagliare gli stipendi dei parlamentari dei loro partiti.
 
I punti focali sono sempre quattro, da un anno:
– La dismissione di 9 auto blu su 10 del parco macchine della Camera. La Boldrini ci ha fatto sapere che non si può fare, perché c’è bisogno di “decoro istituzionale” (!!). Risposta “indecorosa”, visto che si potrebbe risparmiare un milione di euro all’anno.
 
– Il dimezzamento immediato degli stipendi dei parlamentari. Inoltre tutti i rimborsi devono essere rendicontati ai cittadini pubblicamente.
50 milioni di euro in meno subito;
– L’assimilazione dello status dei dirigenti camera a quello dei funzionari pubblici, con i tetti di stipendio previsti dalla Legge;
– L’abolizione dei vitalizi dei parlamentari. Ci costano oltre 200 milioni di euro all’anno.
Il Pd è un anno che ci riflette, la Boldrini è un anno che non risponde alle richieste del Movimento 5 Stelle. C’è bisogno di altro per spiegarvi che questi due ci stanno prendendo in giro?
 
Fingono di avere a cuore i costi della politica solo in campagna elettorale e poi si tengono il malloppo il giorno dopo. Ancora una volta si sta consumando una truffa politica ai danni dei cittadini. Con la complicità di tanti media.
 

PERCHÉ LE IMPRESE DI FRACKING USAMERICANE SI LECCANO I BAFFI SULL’UCRAINA?

Dai cambiamenti climatici alla Crimea, l’industria del gas naturale è sempre pronta a trovare il modo migliore per sfruttare le crisi per guadagnarci sopra: E’ quello che io chiamo la dottrina d’urto (The shock doctrine).

no fracking
Il modo pensato per battere Vladimir Putin sarebbe inondare il mercato europeo con gas naturale-fracked-in-USA, o almeno così vorrebbero farci credere. Come parte dellacrescente isteria anti-russa, sono stati presentati due disegni di legge al Congresso degli Stati Uniti – uno alla Camera dei Rappresentanti (H.R. 6), e uno al Senato (S. 2083) – che propongono l’esportazione di gas naturale liquefatto (LNG), tutto in nome di un aiuto all’Europa per svezzarla dalla dipendenza dai combuatibili fossili di Putin e per il miglioramento della sicurezza nazionale USA.
Secondo Cory Gardner, il deputato repubblicano che ha presentato la mozione alla Camera, “opporsi a questa legislazione è come lasciare in attesa una chiamata d’emergenza dei nostri amici e alleati”. Cosa che potrebbe essere vera – fintanto che inostri amici e alleati lavorano alla Chevron e alla Shell, e che lo stato di emergenza sia il bisogno di mantenere alti i profitti menrte diminuiscono le scorte di petrolio e gasconvenzionali.
Perché questa strategia funzioni, è importante non cercare mai il pelo nell’uovo. Come il fatto che gran parte del gas non andrà mai in Europa – perché gli accordi dicono che il gas deve essere venduto sul mercato mondiale a qualsiasi paese faccia parte dell’Organizzazione Mondiale del Commercio.
Fracking in a Colorado valley

Un ampia distesa di siti di fratturazione in una valle del Colorado.«La soluzione singolare trovata dall’industria alla crisi climatica è di espandere notevolmente un processo di estrazione che rilascia enormi quantità di metano destabilizzante per il clima.» Foto Ted Wood/Aurora Photos/Corbis

O il fatto che per anni l’industria ha fatto passare il messaggio che l’ America debba accettare il  rischio che corrono a causa del fracking-idraulico il territorio, l’acqua e l’ariapur di aiutare il paese a raggiungere “l’indipendenza energetica”. E adesso, all’improvviso e di nascosto, l’obiettivo è stato spostato sulla ” sicurezza energetica “, che apparentemente significa vendere il gas estratto con il fracking, che attualmente abbiamo in più, sul mercato mondiale per creare in questo modo una dipendenza energetica all’estero.Ma la cosa più importante è che nessuno dica mai che la costruzione delle infrastrutture necessarie per esportare il gas su larga scala richiede molti anni sia per le autorizzazioni che per la costruzione – un singolo terminale LNG  può arrivare a costare sette miliardi di dollari, deve essere alimentato da una fitta rete a incastro di metanodotti e di centrali di compressione, e che ha bisogno di una propria centrale elettrica solo per generare l’energia che serve per liquefare il gas attraverso il super-raffreddamento. Nell’attesa chequesti progetti industriali tanto complessi entrino in funzione, Germania e Russia possono anche essere diventati amici tra di loro. Ma poi qualcuno si ricorderà che la crisi in Crimea fu solo una scusa colta al volo dall’industria dei petrolieri per far avverare il loro eterno sogno di esportare il gas, a prescindere dalle conseguenze per la società che provoca il fracking e quello che sarà di un pianeta sempre più cotto.

Io chiamo questo talento che ha questa gente per sfruttare le crisi, pur di realizzare un guadagno privato, “la dottrina dell’urto”, e questa dottrina non sembra dare segni di ritirata. Sappiamo tutti come funziona la dottrina dell’urto: in tempi di crisi – vera o artificiosa – le nostre élites riescono sempre a far imporre scelte politiche impopolari che sono dannose per tutti, ma che vengono prese per motivi di emergenza. Certo che ci sono obiezioni – dagli scienziati del clima che avvertono dell’elevato potere di riscaldamento di metano, o dalle comunità locali che non vogliono che porti d’esportazione ad alto rischio sulle loro amate coste. Ma chi ha tempo per parlarne? E’ un’emergenza! Prima approviamo le leggi, al resto penseremo più tardi.

Ci sono un sacco di imprese brave in questa strategia, ma nessuna è tanto brava a sfruttare con tanta razionalità i tentennamenti prodotti dalle crisi come l’industriamondiale del gas.Negli ultimi quattro anni la lobby del gas si è servita della crisi economica in Europa per raccontare a paesi come la Grecia che il modo migliore per uscire dal debito e dalla disperazione è far forare i loro belli e fragili mari. E ha usato le stesse argomentazioni per razionalizzare il fracking in tutto il Nord America e nel Regno Unito.
Ora la crisi del giorno è il conflitto in Ucraina, che viene utilizzato come un ariete per abbattere le forti restrizioni sulle esportazioni di gas naturale e per sostenerleforzando un controverso accordo di libero scambio con l’Europa. E’ proprio un bell’affare: si mettono insieme le economie delle imprese più aperte al libero scambio, quelle più inquinanti e quelle che intrappolano il calore del gas nell’atmosfera – tutti lavorano per risolvere il problema di una crisi energetica, che in gran parte è tutta un’invenzione.In questo contesto vale la pena ricordare – ironia della sorte – che l’industria del gas naturale è stata la più abile a sfruttare la crisi del cambiamento climatico stesso.
Non importa che la singolare soluzione trovata dall’industria per la crisi climatica sia una notevole espansione del processo di estrazione con il fracking, che emette enormi quantità di metano destabilizzante per il clima e per la nostra atmosfera. Il metano è uno dei gas a effetto serra più potenti –  34 volte più potente dell’anidride carbonica, secondo le ultime stime del Gruppo Intergovernativo di Esperti sul Cambiamento Climatico (IPCC). E questo per un periodo di 100 anni, quanto è il tempo che impiega il metano a ridurre i suoi effeti.
E molto più importante, sostiene il biochimico Robert Howarth, della Cornell University, uno dei maggiori esperti mondiali sulle emissioni di metano, guardare l’impatto nel raggio dei prossimi 15-20 anni, periodo nel quale il metano ha un potenziale di riscaldamento globale che arriva ad un impressionante 86-100 volte più dell’anidride carbonica. “E’ in questo lasso di tempo che rischiamo noi stessi di sprofondare in un riscaldamentoglobale molto rapido”, ha detto mercoledì scorso.
E ricordate: non bisogna costruire infrastrutture multimiliardarie a meno che non si pensi di usarle per almeno 40 anni. E invece noi rispondiamo alla crisi del riscaldamento delnostro pianeta,  con la costruzione di una rete di forni atmosferici ultra-potenti. Ma siamo pazzi?
Il fatto è che noi non sappiamo quanto sia il metano che viene effettivamente rilasciato dalle perforazioni, dal fracking e da tutte le infrastrutture collaterali. Anche mentre l’industria del gas naturale ci racconta che comunque le emissioni di anidride carbonica sono “sempre meno del carbone!”, non si è mai sistematicamente valutato quante siano le fughe di metano, che fuoriescono durante le fasi del processo di estrazione, di trasformazione e di distribuzione del gas – dalle tubature e dalle valvole dei condensatori ai gasdotti rotti che corrono sotto i quartieri di Harlem. L’industria del gas stesso, nel 1981, venne fuori intelligentemente dicendo che il gas naturale sarebbe stato un “ponte” verso un futuro di energia pulita. Questo succedeva 33 anni fa. Un lungo ponte. E la costa dall’altra parte ancora non si vede.E nel 1988 – l’anno in cui il climatologo James Hansen avvertiva il Congresso, con una testimonianza storica, del problema urgente del riscaldamento globale – la American Gas Association cominciò a pubblicizzare esplicitamente il suo prodotto come una risposta all’ “effetto serra”. Non perse tempo, in altre parole, a vendersi come la soluzione a una crisi globale che aveva contribuito a creare.L’utilizzo che fa l’industria della crisi in Ucraina per espandere il proprio mercato globale sotto la bandiera della “sicurezza energetica” deve essere inquadrato nel contesto di questo ininterrotto opportunismo determinato dalle crisi.
Solo che questa volta siamo molti di più a sapere dove stanno le vere bugie sulla sicurezza energetica. Grazie al lavoro di valenti ricercatori come Mark Jacobson e il suo team di Stanford, sappiamo che il mondo può, entro il 2030, alimentarsi completamente con energia rinnovabile. E, grazie agli ultimi rapporti allarmistici dell’ IPCC, sappiamo che seguire queste indicazioni adesso è un imperativo esistenziale.
Questa è l’infrastruttura che dobbiamo sbrigarci a costruire – non quei colossali progetti industriali che ci bloccheranno ancora dentro una pericolosa dipendenza dai combustibili fossili per altri decenni. Sì, questi combustibili ci saranno ancora necessari durante il periodo di transizione, ma basteranno i sistemi tradizionali per farci arrivare sull’altra sponda:  non serviranno certamente i metodi di estrazione ultra-inquinanti come le sabbie bituminose e il fracking.
Come ha detto Jacobson in un’intervista proprio questa settimana: “Non abbiamo bisogno di combustibili non convenzionali per produrre le infrastrutture che servono per farci arrivare alle nuove infrastrutture interamente pulite e rinnovabili. Infrastrutture eoliche, idriche e solari a tutti gli effetti.  Fino a quel momento possiamo contare solo sulle infrastrutture esistenti per produrre l’energia di cui abbiamo bisogno … il petrolio convenzionale e il gas sono molto più che sufficienti. “
untitled852
Detto questo, tocca agli Europei trasformare il loro desiderio di emanciparsi dal gas russo in una domanda di una transizione accelerata verso le energie rinnovabili. Questa transizione – a cui le nazioni europee si sono impegnate nell’ambito del Protocollo di Kyoto – può essere facilmente sabotata se il mercato mondiale verrà invaso da combustibili fossili a buon mercato estratto con il fracking dalle rocce degli Stati Uniti. E in effetti Americans Against Fracking, che sta conducendo la carica contro le procedure accelerate di adozione di leggi sulle esportazioni di gas, sta lavorando a stretto contatto con i suoi omologhi europei per evitare che questo accada.Rispondere alla minaccia di un riscaldamento catastrofico è il nostro imperativo più pressante per l’energia. Per  questo noi semplicemente non possiamo permetterci di essere distratti da questo ultimo trucco di marketing messo in atto dall’industria del gas naturale.
Fonte: The Guardian

Tlaxcala