Processo ai No Tav. Gas, gazzarre, dotte citazioni

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 Udienza agitata che conferma l’illegittimità dell’intervento poliziesco e mette in discussione i limiti territoriali del cantiere. Un’aula divisa in due. Le testimonianze di Paolo Ferrero e Marco Scibona. Il teste Meotto irrita Padalino.

Posted on 25 marzo 2014

 

di Fabrizio Salmoni.

Aula bunker, 24.3.2014.  Tanto per far capire che aria tira ci accoglie un presidio di polizia rafforzato e misure di controllo che non risparmiano neanche il senatore Scibona (5S) malgrado mostri il tesserino da parlamentare. Cosi l’udienza inizia subito in gioiosa armonia con la richiesta alla Corte di sanzionare i Carabinieri troppo scrupolosi, naturalmente non senza obiezioni dei procuratori presenti, Rinaudo e Padalino.

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Ma non basta. Tra un teste e l’altro, Tobia Imperato legge una dichiarazione di denuncia per le sevizie subite a Padova dal  coimputato Zeno Rocca, fermato per strada il 10 marzo scorso da un gruppo di celerini del Repato Mobile che avevano testimoniato al processo contro di lui, portato in Questura e malmenato (costola fratturata, lesioni alla cervicale e prognosi di 20 giorni): “…provocazioni da parte degli stessi che – grazie all’impunità che ha sempre seguito tali comportamenti da parte dlele forze dell’ordine – sono rappresentati in quest’aula come parti lese…”. La dichiarazione è messa agli atti ma in mattinata anche l’imputato Ginetti denuncia di essere stato avvicinato da tal Massaro della Digos di Firenze, testimone a suo carico al processo, durante una manifestazione per la casa il 21 Dicembre scorso, e fronteggiato minacciosamente per almeno mezz’ora. Anche la sua dichiarazione è messa agli atti.

Si registra il forfait del sindaco Pinard e dell’ex prefetto Di Pace, ingiustificato (leggi: fanno un po’ quel che vogliono) e si dà inizio alle previste testimonianze a difesa in un clima pesante.

Il prof. Sergi racconta della sua partecipazione ad una conferenza alla Maddalena come parte di un ciclo di lezioni universitarie in loco.

Maria Rollero, infermiera valsusina, ricorda la sua esperienza quel 27 Giugno quando partecipò al presidio al cancello della centrale, le decine di lacrimogeni che rendevano l’aria irrespirabile e la ritirata su per il bosco di Ramat inseguita dalle nuvole di gas. I pm cercano di metterla in difficoltà con domande sulle barricate dell’Avanà e ridacchiano alle sue risposte: “Lei si è persa lo spettacolo!…“. Gli avvocati protestano con veemenza.

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Sale sullo scranno dei testi Paolo Ferrero, ex ministro (con Prodi) e segretario di Rifondazione, che narra con toni gravi quanto ha potuto vedere il 27 Giugno, “l’incolumità delle persone messa a repentaglio…la gasatura di centinaia di persone che non avevano vie di fuga. C’era la paura che spesso produce la resistenza!“. Racconta dei gas sparati fino dentro i boschi e delle sue telefonate al Prefetto che sembrava avere informazioni totalmente contrastanti con quanto lui stava vedendo; fa il paragone con i fatti di Genova 2001 dicendo che persino là si era in qualche modo riusciti a trattare mentre alla Maddalena no. E’ uno scenario di guerra contro le persone, non un semplice sgombero quello che descrive Ferrero, “come l’assedio a un castello da espugnare…in cui si perseguiva  la repressione delle persone“. Anche il 3 Luglio – racconta – si è usato il gas in quantità spropositata sparando d’infilata sul corteo che veniva giù dalla strada di Exilles: “…una situazione di scontri senza sbocchi con la sensazione che la gestione dell’ordine pubblico fosse del tutto fuori luogo…”

Anche con lui i pm tentano di confondere le idee e trascinarlo sul terreno dei dettagli per tentarne la delegittimazione secondo la loro evidente strategia.

Marco Scibona, senatore cittadino del M5S, depone anche nella veste di segretario della Commissione Lavori Pubblici e Infrastrutture e come tale ribadisce quali fossero (e sono) i limiti territoriali del presunto cantiere come da progetto preliminare e come quelli non comprendessero il piazzale della Maddalena confermando cosi indirettamente la legittimità della presenza popolare sul sito (“posso confermare che l’area archeologica, l’azienda vinicola e l’area museale, non sono parte dell’area di cantiere“). In base a queste dichiarazioni la difesa richiede per la seconda volta nel processo la revoca dell’ordinanza sugli omissis della relazione di servizio della Questura e la Corte si riserva di rispondere.

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La testimonianza di Scibona è integrata dal racconto dei suoi spostamenti nei due giorni sotto scrutinio quando insieme agli altri esponenti 5S gestiva l’ “ufficio mobile” del gruppo consiliare, temporaneamente in Clarea; tra i vari dettagli ricorda di un dimostrante inerme colpito alla testa da un candelotto lacrimogeno mentre si allontanava lungo la strada di Chiomonte. Molte sono scene già raccontate da altri per uno scenario che si conferma ogni volta di più per quello che è stato: un’aggressione illegittima e violenta a un popolo inerme costretto a fare resistenza dall’enormità dell’intervento poliziesco.

Esplodono obiezioni a raffica sul metodo intimidatorio dei pm nello svolgere il controesame. La tensione in aula è forte e si traduce in continui battibecchi tra le parti. La teste Eleonora Ponte viene derisa , il teste Alberto Fiorentini viene direttamente provocato da Rinaudo con la domanda (respinta tra i clamori delle difese) su un suo presunto fermo identificativo in data successiva ai fatti, un atteggiamento – dichiarano gli avvocati – rivelatorio dell’intenzione della Procura di portare il processo sul terreno dello scontro piuttosto che su quello della riflessione e del giudizio. I Digos in aula se la ridono ogni volta che i testi sembrano in difficoltà e insieme a loro ridacchiano i giornalisti “enbedded” in un’aula che è divisa in due anche geograficamente: di qua avvocati, imputati e giornalisti No Tav, di là pm, parti civili, poliziotti e inviati delle testate pro Tav. Questa è l’atmosfera del processo che alcuni dicono già deciso ma che val la pena condurre a fondo per rendere ufficiali i fatti e dire la verità su quei giorni di resistenza valsusina.

E’ la testimonianza di Marco Meotto che fa saltare i nervi anche a Padalino. Le puntualizzazioni pignole del teste sulle domande rivoltegli e le sue dotte citazioni (“…Non ero la piccola vedetta lombarda…”, “…come sosteneva David Hume“…) lo irritano: “Vada in altre aule a sfoggiare cultura, in queste deve rispondere alle nostre domande!...” poi il  passo falso “…I suoi amici avvocati...”. Insorgono gli avvocati, chiedono l’intervento del Presidente “se no ce ne andiamo…!” Padalino: “Se il teste fa lo spiritoso lo faccio anch’io e la difesa non interrompa” e via cosi per qualche minuto.

Con la richiesta alla Corte di svolgere un sopralluogo sui luoghi in oggetto, l’ udienza dopo quasi sette ore volge al termine.  L’appuntamento è per il 31 Marzo con altri 10-12 testi.

(F.S. 24-3.2014)

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Processo ai No Tav. Gas, gazzarre, dotte citazioniultima modifica: 2014-03-25T11:08:50+01:00da davi-luciano
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