Regno Unito, così lasceranno morire gli anziani

sono gli stessi UK che intendono inviare truppe nei paesi dove a loro dire non si rispettano i diritti umani????

martedì, 4, marzo, 2014

4 mar – Una manciata di giorni fa il governo di Sua Maestà ha presentato una proposta di legge che mira a togliere o limitare l’assistenza sanitaria a quelle persone anziane che hanno vissuto già abbastanza e che hanno ricevuto cure più adeguate nel corso della loro esistenza. Continuare a prendersi cura di loro con medicinali e visite sarebbe uno sperpero di denaro pubblico. A conti fatti meglio l’abbandono terapeutico quando l’anziano non è più “un beneficio per la società più ampia” – così si legge nella bozza – perché non solo non è più in grado di produrre, ma addirittura consuma risorse.
Il criterio presente in questa proposta non è nuovo, l’aveva già coniato il giurista e filosofo Jeremy Bentham (1748-1832), guarda caso anche lui inglese. Bentham affermava che occorre perseguire la «massima felicità per il massimo numero di persone», anche a costo di sacrificare sull’altare del beneficio di molti la “felicità” di alcuni.
In tale prospettiva, medicine e terapie – eccetto il caso dell’accanimento terapeutico – non devono essere date al paziente sempre e comunque in quanto persona bisognosa di cure, ma solo se il gioco vale la candela. E dunque qualcuno a ragione ha parlato di “valore sociale delle medicine”, valore dato dalla proporzione tra apporto dell’anziano a beneficio della società e costi sociali. Se il bilancio è in rosso meglio licenziare dall’assistenza sanitaria il personale in esubero. È il vecchio concetto che tu vali per quello che fai o hai, non per quello che sei.
Questa proposta di legge riecheggia una simile fatta da Obama qualche anno fa: in tempo di crisi le risorse sono poche, dunque è meglio investirle su quei soggetti che potranno darti un ritorno perché ancora abili al lavoro (lo stesso criterio per cui nei campi di concentramento nazisti non tutti finivano subito nella camere a gas). Curiosamente Obama voleva aiutare chi aveva meno bisogno di aiuto e lasciare per strada chi meritava invece più attenzione. Una strana torsione del principio di sussidiarietà e solidarietà.
Nel Regno Unito si sta dunque assistendo ad una nuova variante dell’eugenetica, un’eugenetica di Stato promossa per motivi di bilancio che tende a buttare dalla torre una fetta di umanità non più sostenibile, non più ecocompatibile con le casse statali. Ma è anche una variazione sul tema “eutanasia”, un prodromo di questa, una variante soft perché l’anticipa in qualche modo, gettando a terra la zavorra per far volare il pallone del welfare più in alto con dentro però pochi eletti. Una vecchiaia terminale, a ben vedere. Ed infatti la bozza di legge risente nel suo contenuto della Liverpool care pathway, un protocollo clinico presente inizialmente in un ospedale di Liverpool e poi esteso ad altre strutture, ma oggi non più vigente, in cui si prevedeva l’astensione delle cure ai malati terminali.
La proposta di legge non spunta fuori dal nulla, come idea bizzarra di qualche parlamentare progressista, ma affonda le sue radici in un particolare concetto bioetico che è stato più volte messo a tema soprattutto in ambiti accademici, concetto che prende il nome di fair innings il quale si incardina non solo sul principio di utilità, ma anche su quello dell’aspettativa di vita: meglio privilegiare i giovani rispetto a chi è ormai sul viale del tramonto.
John Harris, docente di bioetica alla Manchester University e sostenitore dell’eutanasia infantile, afferma in un suo scritto del 1970 (The Value of Life, an Introduction to Medical Ethics) che a tutti dovrebbe essere garantita una “equa quota di vita”, stimabile in 70 anni. Chi riesce a superarla “deve considerare eventuali anni ulteriori come una sorta di bonus”, insomma un fortunato a cui se si toglie la possibilità di vivere ancora più a lungo non può gridare all’ingiustizia perché “una volta raggiunta la soglia [dei 70 anni] ha ormai visto soddisfatto il suo diritto”. Un’esistenza a timer è la bella pensata di Harris. Da ciò discende con implacabile logica che tra due “candidati” (il termine è dell’autore) alla sopravivenza, se le risorse non ci permettono di soddisfare le pretese di entrambi, dobbiamo privilegiare colui il quale ha maggiori aspettative di vita, colui il quale ha appena iniziato il suo soggiorno terreno. Insomma, largo ai giovani.
Va da sé che, a rigore, occorrerebbe togliere le cure anche a quei giovani che con il loro stile di vita poco salubre – troppo alcool, cibo, fumo e droga e niente sport e verdure – erodono quote significative dell’esistenza, consumando in modo irresponsabile la propria aspettativa di vita e attentando in modo pernicioso alla sua lunghezza. Perché dare perle ai porci sottraendole a chi conduce una vita virtuosa? E dunque ad esempio attenti ad alzare il gomito, un emissario del Ministero della Sanità potrebbe segnalare il vostro nominativo alle autorità competenti e così potreste vedervi depennati dalla lista degli assistiti.
Come chiosa auguriamo al dott. Harris non più “lunga vita” – perché sul suolo inglese forse tra poco sarà vietato tale augurio – ma di rimanere in perfetta salute. Perché il tic tac della sveglia dell’abbandono terapeutico suonerà anche per lui e tra non molto, precisamente il 21 agosto del 2015 quando compirà 70 anni.
http://www.imolaoggi.it/2014/03/04/regno-unito-cosi-lasceranno-morire-gli-anziani/

Mercenari Greyston in arrivo in Ucraina

Gli americani stanno facendo affluire in Ucraina mercenari della Greystone Limited(marchio Blackwater,registrato alle Barbados)per preparare uno scenario
balcanico favorevole a un intervento NATO.Si aggiungono ai tagliagole ceceni chiamati
in soccorso dalla teppaglia euroatlantica.La russia deve rompere gli indugi,o si trovera’
uno scenario yugoslavo in casa.

Вечер перестает быть томным
http://takie.org/news/vecher_perestaet_byt_tomnym/2014-03-02-9163

traduzione spannometrica di googletranslator

Insider Inserita che Kiev voli civili charter sono gettati forti ragazzi che lavorano in azienda “Greystone limitata”, registrati in Barbados. Ma sappiamo che Greystone, Ltd. è una divisione di Blackwater USA. Sì, la stessa società “privata” militare Blackwater (Xe Services), da cui sporgono le orecchie CIA. ragazzi vengono frammentario, ma trascinò con il tipo di grandi sacchi esercito. Dire che è venuto circa 300 persone. Lev Vershinin scrisse il suo confidente di Odessa, e c’è un tale passaggio ” Se si comincia a interferire sul serio, si potrebbe ottenere tutti i […] si stampa mercenari , decisi di iniziare con Odessa. poprodavat io a Kiev tutti a buon mercato e lasciando il giorno dopo per sempre . ” Assegnato frase abbastanza sintomatico. Militanti fascisti sono fuori controllo, l’esecuzione approssimativa e non adatto per l’alta qualità di stripping resistenza – così abbiamo deciso di attrarre professionisti. Non è economico, ma gli Stati Uniti devono sborsare – a rottura rogo del gioco.

La Russia nell’ “Asse del Male ?”

In queste ore, oltre a subire il bombardamento di un apparato mediatico completamente asservito alla propaganda della NATO, tocca anche leggere in rete commenti da parte di esponenti di “Sinistra, Ecologia e Libertà”, di alcuni promotori della lista Tsipras e di altre componenti della cosiddetta “sinistra radicale” improntati all’ossessivo refrain “dell’intervento militare russo che va fermato”, dell’ “occupazione della Crimea”, della “violazione russa della sovranità nazionale e del diritto internazionale”. Ora, è doveroso replicare che questa storia della Russia che, pressata a casa sua dalla NATO, circondata e assediata e minacciata di sanzioni e quant’altro, passerebbe per paese occupante, è veramente un capolavoro di ipocrisia.
Si invoca il diritto internazionale, quando la prima gravissima violazione del diritto internazionale si verificò già nell’agosto del 1991 con la proclamazione dell’indipendenza dell’Ucraina, contravvenendo platealmente al risultato del referendum sulla conservazione dell’URSS del marzo 1991 (voluto da Gorbaciov), in cui oltre il 70% degli ucraini (con punte di oltre l’80% in Crimea e nell’Ucraina orientale) avevano votato si.

Ma di che cosa stiamo parlando, quando tutte le vicende che hanno accompagnato l’avanzata della NATO ad est (insieme all’UE) negli ultimi 25 anni sono state segnate da sistematiche violazioni di questo diritto? La verità è una sola. E’ almeno da un decennio che da parte delle dirigenze occidentali si opera per creare le condizioni del rovesciamento di Putin e della sua leadership. E per far tornare la Russia ai “bei tempi” di Eltsin tanto graditi agli interessi delle multinazionali occidentali, quando, da noi, neppure il massacro del legittimo parlamento aveva sollevato un moto di indignazione degno di questo nome. Oggi un imperialismo privo di scrupoli (in particolare quello USA) è disposto anche a sferrare alla Russia un primo colpo nucleare, come hanno denunciato persino personalità che hanno fatto parte dell’amministrazione USA (link). Questa è la verità, nuda e cruda. Tutto il resto è fumo negli occhi che serve a giustificare tutti i crimini dell’imperialismo. E anche “a sinistra” nel nostro paese (e in Europa occidentale) non si scherza.
E proprio alla luce di quanto sta accadendo ora alle porte della Russia, che abbiamo ritenuto utile riproporre un articolo scritto per la rivista “L’Ernesto” nel 2004 (guarda caso, l’anno della “rivoluzione arancione” a Kiev), che forse permette di offrire una chiave di lettura degli avvenimenti di questi giorni e di comprendere che si tratta di una brutta storia che parte da lontano e che è stata perfezionata fin nei minimi particolari.

MG 3 marzo 2014

LA RUSSIA NELL’ “ASSE DEL MALE” ?
di Mauro Gemma
2004

Un centinaio di personalità del blocco atlantico invocano l’apertura di un fronte di “guerra fredda” con la Russia di Putin, allo scopo di destabilizzare il grande concorrente eurasiatico, proprio nel momento in cui esso tenta di riprendere il controllo delle enormi risorse energetiche del paese (1).

A sgomberare il campo da equivoci sul futuro oscuro delle relazioni tra Russia e Stati Uniti ha provveduto, alla vigilia delle elezioni presidenziali del 2 novembre, Zbignew Brzezinski, già consigliere delle amministrazioni USA e teorico della strategia americana nell’area eurasiatica. “L’idillio con Putin, sia per i repubblicani che per i democratici, è finito. Non prevedo particolari differenze tra le posizioni di Bush e di Kerry nei confronti del Cremlino. Nei prossimi anni tutta la politica americana sarà caratterizzata dalla preoccupazione per gli sviluppi della situazione in Russia. Tale preoccupazione è condivisa dai più influenti circoli politici degli USA. E’ il riflesso della disillusione nei confronti di Putin, che ha iniziato a condurre una politica apertamente antidemocratica, che si traduce nella feroce e rovinosa guerra in Cecenia”, dichiara il noto anticomunista, acerrimo nemico prima dell’URSS e poi della Russia, al giornale filo-oligarchico russo “Novaja Gazeta” (fonte privilegiata di informazione e commento sulle cose russe anche delle sinistre occidentali, moderate e “alternative”) (2). E’ stata la più autorevole smentita anche a quegli ambienti ufficiali russi (che hanno consigliato Putin a non nascondere le sue preferenze per il candidato Bush) che, sulla scorta di un’esperienza maturata già al tempo dell’URSS, continuano a considerare l’establishment repubblicano meno disponibile di quello democratico a cedere alle pressioni delle lobby anti-russe.

In questa cornice, che lascia prevedere il delinearsi di nuovi inquietanti scenari di acuta tensione tra le massime potenze nucleari del pianeta, si inquadra anche quella che può essere considerata una delle più importanti offensive “mediatiche” di quest’anno. Si tratta della “lettera aperta” (3), firmata da un centinaio di illustri personalità americane ed europee del blocco atlantico, indirizzata il 28 settembre “ai capi di stato e di governo dell’Unione Europea e della NATO”. Gli autori dichiarano di essere “profondamente preoccupati che questi tragici avvenimenti (di Beslan) possano esseresfruttati (dal presidente russo Vladimir Putin) per minacciare ulteriormente l’esistenza della democrazia in Russia”. Tra le varie accuse rivolte a Putin c’è anche quella di avere arbitrariamente imprigionato o costretto all’esilio “i suoi avversari politici”: evidentemente ci si riferisce al petroliere Khodorkovskij e agli altri magnati fuggiti in Occidente, che sono responsabili del saccheggio della ricchezza nazionale e di gravissimi crimini di carattere economico. In politica estera, gli autori della lettera, andando brutalmente al “nocciolo” della questione, non mascherano la loro preoccupazione per la “pretesa” della Russia di esercitare il pieno controllo sulle sue ricchezze energetiche e la loro destinazione, quando osservano che Putin avrebbe “un atteggiamento minaccioso…nei confronti della sicurezza energetica europea”. Essi affermano che “è giunto il momento di ripensare i termini del nostro impegno con la Russia di Putin” e invitano esplicitamente a schierarsi dalla parte delle “decine di migliaia di democratici russi (con in prima fila i residui del “clan Eltsin”) che stanno ancora combattendo per difendere la libertà e la democrazia nel loro paese”.

E’ un appello esplicito alla rottura di ogni forma di collaborazione tra la NATO e la Federazione Russa e al rilancio della “guerra fredda”.

Il testo integrale della “lettera” è stato pubblicato contemporaneamente da diverse prestigiose testate occidentali, tra le quali spicca quella del “Washington Post”, e ha immediatamente avuto un’enorme diffusione nell’intera rete web.
Promotore dell’appello è il primo presidente della Repubblica Ceca Vaclav Havel (4). Per tradurre in pratica l’iniziativa anti-russa, Havel si è naturalmente servito di numerose potenti collaborazioni. Tra le innumerevoli fondazioni e istituti che lo sostengono sistematicamente nella sua azione di promozione della penetrazione della NATO nell’est europeo e dell’offensiva contro quel che resta della presenza comunista su scala mondiale, l’ex “dissidente” ha potuto contare sull’appoggio della cosiddetta “Nuova iniziativa atlantica”, un progetto dell’ “America Enterprise Institute” da lui creato nel 1996.

Nel lanciare l’iniziativa, Havel si è naturalmente preoccupato di preservarne il carattere rigorosamente “bipartisan”. E’ questa la ragione che spiega la “trasversalità” delle adesioni raccolte sia in ambito ultra-conservatore, che tra gli esponenti del “centro-sinistra” clintoniano e socialdemocratico. Tra le firme si contano quelle di rappresentanti dell’anticomunismo più spinto dell’attuale corso est-europeo, come Landsberghis, l’ex presidente di quella Lituania recentemente associata alla NATO, dove numerosi militanti comunisti sono sepolti in galera da oltre un decennio, l’ex premier bulgaro Philip Dimitrov e l’ex ministro e “dissidente” polacco Bronislaw Geremek.

Immancabili le firme del filosofo francese André Glucksmann e del verde tedesco Reinhardt Butifoker
E non è certo casuale che tra le firme di italiani, oltre a quella (scontata) dell’esponente radicale Daniele Capezzone, spicchino quelle dell’ex premier socialista Giuliano Amato e del capo di governo italiano che ha partecipato all’aggressione alla Jugoslavia nel 1999, il presidente dei “democratici di sinistra” Massimo D’Alema.

Rigorosamente bilanciata tra “falchi” e “colombe” è la pattuglia americana. Il “Corriere della sera” scrive di “un partito trasversale americano che si è venuto formando tra politici democratici, repubblicani e indipendenti…Vanno dall’ideologo neoconservatore William Bristol all’ex ambasciatore all’ONU Richard Holbrooke, un liberal che diverrebbe segretario di Stato se John Kerry fosse eletto presidente; dall’ex direttore della CIA James Woolsey, un falco, all’ex vicedirettore della Sicurezza Nazionale sotto Bill Clinton, James Steinberg, una colomba; da Francis Fukuyama, l’autore de “La fine della storia”, a Robert Kagan, il teorico del divario tra l’America (Marte) e l’Europa (Venere)” (5).

Contemporaneamente al lancio dell’appello, si è provveduto a dar vita a una serie di centri e di siti internet che dovrebbero affiancare con un “bombardamento” propagandistico la “battaglia democratica” in Russia. Tali iniziative sono coordinate dal cosiddetto “Centro per il futuro della Russia”, un’istituzione che conta sul sostegno finanziario del banchiere neofascista Richard Mellon Scafe e il cui “cervello” organizzativo pare essere l’ex direttore della CIA Woolsey, che, come abbiamo visto, compare tra i firmatari dell’appello. Compito di tale centro dovrebbe essere quello di denunciare sistematicamente “le violazioni dei diritti dell’uomo” in Cecenia e “gli attentati alla libertà di stampa” nell’insieme della Federazione Russa, organizzando campagne di denuncia, pressione e mobilitazione della “società civile” in Russia e all’estero.

Tutte queste iniziative, di cui l’appello è sicuramente la più clamorosa, si proporrebbero di convincere l’Occidente, considerato ancora titubante, della necessità di una nuova mobilitazione, simile a quella dei tempi della “guerra fredda”, al fine di contenere la Russia e bloccare il processo “totalitario” in corso. Nella fase attuale, secondo i promotori dell’offensiva, muterebbero, rispetto al passato “comunista”, solo le caratteristiche ideologiche del nuovo “totalitarismo”. Si tratterebbe di un’ideologia che farebbe leva sulle inclinazioni autoritarie dell’identità nazionale russa che non si esita a definire “ataviche”.

Ma, in realtà, le ragioni di un’iniziativa di tale pesantezza appaiono ben più concrete. In tal senso, occorre fare un passo indietro nel tempo, dando uno sguardo alle più recenti fasi che hanno scandito il progressivo deterioramento delle relazioni tra la Federazione Russa e gli Stati Uniti.

A questo proposito, ci sembra illuminante citare testualmente quanto si può leggere su “reseau voltaire.net” il 4 ottobre 2004:

“Le relazioni tra il Cremlino e la Casa Bianca si sono raffreddate il 2 luglio 2003, con l’arresto per frode fiscale di Platon Lebedev, presidente del gruppo bancario “Menatep”. Esse si sono ancor più tese con l’arresto di Mikhail Khodorkovskij, presidente del gruppo petrolifero “Yukos-Sibneft”, il 25 ottobre 2003, ugualmente per frode fiscale. Sono divenute acide con l’arresto in Qatar, nel febbraio 2004, di tre agenti dei servizi segreti russi, denunciati dalla CIA per essere venuti ad assassinare Zelimkhan Yandarbiyed, considerato il mandante della presa degli ostaggi al teatro di Mosca. Sono entrati in una fase di scontro, nel mese di settembre, dopo la dichiarazione di Vladimir V. Putin che attribuiva la cattura degli ostaggi di Beslan ai servizi segreti anglo-sassoni.

Il Cremlino si è poi impegnato in una politica di riappropriazione delle ricchezze nazionali, privatizzate sotto Boris Eltsin a vantaggio di un pugno di sodali, liquidando uno ad uno gli “oligarchi”. Questo processo, che viene vissuto dal popolo russo come il recupero dei beni collettivi rubati, è analizzato negli Stati Uniti alla stregua di una nazionalizzazione mascherata, di un ritorno strisciante al collettivismo statalista. Esso ha toccato gli investimenti di Wall Street, in particolare in seguito all’arresto di Khodorkovskij. Egli in effetti era vicino alla famiglia Bush, fino a diventare consigliere della loro società di investimenti, il gruppo “Carlyle”.

Per il FSB (l’ex KGB), sebbene tali elementi non figurino negli atti giudiziari, Mikhail Khodorkovskij non era solo un uomo d’affari, ma anche un traditore. In combutta con Henry Kisinger e George Soros, avrebbe preparato il rovesciamento di Vladimir Putin e la decisione del suo arresto sarebbe stata presa all’ultimo momento per impedire un colpo di stato.

Dopo gli attentati dell’11 settembre 2001 esiste un accordo non scritto tra i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza dell’ONU che li autorizza ad assassinare all’estero i capi terroristi, senza che ciò possa creare incidenti diplomatici. In tal modo, la CIA ha potuto liquidare nello Yemen uomini sospettati di appartenere ad un’organizzazione terrorista internazionale, lanciando un missile “Predator”, senza sollevare proteste. Allo stesso modo il FSB ha ritenuto di potere assassinare in Qatar Yandarbiyed per vendicare le 129 vittime della cattura degli ostaggi al teatro di Mosca nell’ottobre 2002. Ma gli agenti del FSB sono stati denunciati dalla CIA alle autorità del Qatar e bloccati all’aeroporto di Doha mentre si accingevano a lasciare il paese. Incarcerati, sono in attesa di processo e rischiano la pena di morte. Per il Cremlino è stata la prova definitiva che la “guerra mondiale al terrorismo” non è che un artificio retorico privo di senso, utilizzato dalla Casa Bianca per avere la possibilità di passare oltre il diritto internazionale”.

Poi c’è stata la tragedia di Beslan, che ha rappresentato il momento di massima tensione nei rapporti russo-americani, come abbiamo avuto modo di analizzare in un nostro precedente articolo (6). In quell’occasione la risposta di Vladimir Putin è stata durissima: nel corso di un incontro con i giornalisti stranieri ha inchiodato alle loro responsabilità, chiamandoli esplicitamente in causa, quegli ambienti occidentali che “vogliono indebolire la Russia esattamente come i Romani volevano distruggere Cartagine” (7).

E’ ancora “reseau voltaire.net” (8) a rilevare come la clamorosa presa di posizione contro il corso politico di Putin si manifesti proprio nel momento di maggiore difficoltà per gli USA ad esercitare uno stabile controllo sulle risorse petrolifere del pianeta, dovuto in particolare ad importanti fenomeni di resistenza di popoli e stati, registrabili in alcune aree “calde”, strategiche dal punto di vista dell’approvvigionamento energetico. E’ sempre più evidente che la poderosa armata americana non riesce ad avere la meglio dell’eroica Resistenza irachena e a stabilizzare il controllo delle aree di produzione del paese. In Venezuela, altro grande produttore di petrolio, le azioni di destabilizzazione, messe in atto dall’amministrazione Bush, hanno avuto come effetto solo quello di rafforzare la Rivoluzione “bolivariana” e il prestigio popolare del suo leader Hugo Chavez. Gli Stati Uniti sono stati costretti in tal modo a rinunciare, almeno in parte significativa, a diversificare le loro fonti di approvvigionamento. Si presenta, inevitabile, la necessità di alzare il tiro direttamente sugli obiettivi principali della competizione: i tre maggiori produttori del mondo, vale a dire l’Arabia Saudita, l’Iran e, naturalmente, la Russia, con la sua insopportabile richiesta di porre delle regole alla penetrazione delle multinazionali nel suo sterminato territorio.

Una nuova diversa strategia, di conseguenza, potrebbe caratterizzare il secondo mandato di Bush. Il complesso militare-industriale e le multinazionali del petrolio cercano di ridefinire gli obiettivi, creando, allo scopo, nuove “squadre”.

La pressione propagandistica del potente fronte delle “personalità” del blocco atlantico risponde pienamente allo scopo.

note

(1) Gran parte delle informazioni contenute in questo articolo sono reperibili nel lungo e dettagliatissimo contributo apparso il 4 ottobre 2004 nel sito francese di analisi internazionali “reseau voltaire.net”. http://www.reseauvoltaire.net/

(2) “L’idillio dell’America con Putin è finito”. Intervista a Zbignew Brzezinski. “Novaja Gazeta”, n. 76, 14 ottobre 2004. , http://2004.novayagazeta.ru/nomer/2004/76n/n76n-s10.shtml

(3) La versione italiana della “Lettera aperta ai Capi di Stato e di governo dell’Unione europea e della NATO” è apparsa il 30 settembre in “Il Foglio”.

(4) L’artefice della cosiddetta “rivoluzione di velluto” cecoslovacca del 1989 è uno degli alfieri dell’atlantismo. Il suo servilismo nei confronti degli Stati Uniti è giunto fino al punto di spingerlo a proporre una modifica della legge elettorale della Repubblica Ceca, per permettere all’ex segretario di stato USA Madeleine Albright di succedergli nella carica di capo dello stato. Fortunatamente la proposta è apparsa balzana persino alla stessa donna politica americana, di cui non si può mettere certo in discussione la provata fede anticomunista. Nel luglio 2004, su suo suggerimento, il governo ceco ha creato addirittura un “dipartimento per i paesi totalitari” in seno al ministero degli esteri. Insieme all’ex premier spagnolo José Maria Aznar, Vaclav Havel si è distinto per il feroce accanimento nei confronti di Cuba, fino ad organizzare lo scorso settembre, nelle sale del Senato ceco, una conferenza internazionale “per la democrazia a Cuba”, con il compito esplicito di appoggiare l’attività controrivoluzionaria e terroristica nell’ “Isola della libertà”.

(5) Ennio Caretto, “Appello a Europa e NATO: Putin resti democratico”, “Corriere della Sera”, 29 settembre 2004

(6) Mauro Gemma, “Russia: dopo la tragedia di Beslan”, “L’Ernesto”, n.4/2004.

(7) “Le Monde”, 8 settembre 2004

(8) “Le dispositif Woolsey”, www.reseauvoltaire.net , 4 ottobre 2004

www.marx21.it/internazionale/area-ex-urss/23702-la-russia-nell-qasse-del-maleq-.html#sthash.VdF26Z5I.dpuf

Dalla Crimea passa il gas che arriva in Italia

Lunedì, 03 Marzo 2014 06:42
Ucraina, dalla Crimea passa il gas che arriva in Italia: preoccupazioni

Un terzo del gas importato in Italia e in Europa viene dalla Russia, e sul territorio dell’Ucraina passano i principali gasdotti che lo trasportano verso l’Occidente.

La gravissima crisi in corso tuttavia arriva in un momento in cui, vuoi per la fine della stagione invernale, vuoi per i bassi consumi dovuti alla situazione economica, gli stoccaggi sono pieni al 45% e quindi un eventuale rallentamento dei flussi non desta preoccupazione nel settore. L’ad dell’Eni Scaroni qualche giorno fa ha escluso problemi “fino all’estate” anche nel caso dello scenario peggiore, quello di blocco totale delle forniture. Al momento a Tarvisio, dove arriva il gasdotto Tag che trasporta la quasi totalita’ del gas russo, passando anche per l’Ucraina, il flusso e’ regolare e nella media.

In Italia quindi circa il 30-35% del gas importato, secondo fonti industriali, viene dal paese di Putin. Una percentuale consistente ma in linea con quella degli altri paesi europei. In alcuni paesi dell’Est e Sud Europa tuttavia le percentuali salgono a livelli piu’ elevati, e nel caso della Croazia sfiorano il 100%. Al gas russo si affianca quello in arrivo in Italia dall’Algeria, dalla Libia e da Olanda e Norvegia attraverso diversi gasdotti (Transmed, Greenstream, Tenp e Transitgas). Sono da completare o appaino ancora sulla carta invece i progetti South Stream (promosso da Gazprom per far arrivare sempre gas russo ma senza passare per Kiev) e quelli Nabucco e Tap, che invece attingono da altri paesi dell’area del Caucaso e del Mar Caspio, riducendo cosi’ la dipendenza da Mosca. Il Tap in particolare approderebbe in Italia in Puglia passando per il Mar Ionio. Tornando al gas russo, nei paesi dell’Europa Occidentale arriva attraverso numerose infrastrutture come lo Yamal che passa per Bielorussia e Polonia per approdare in Germania, il Nord Stream che passa attraverso il Mar Baltico proprio per evitare l’Ucraina e il Blue Stream che invece giunge in Turchia. Kiev e’ cosi’ crocevia di una fitta rete da 40mila km di gasdotti nati in epoca sovietica e che poi si diramano per agganciarsi alle reti europee come il Tag. Da questa rete arriva circa l’80% del gas destinato al Vecchio Continente e che porta al governo di Kiev notevoli ritorni in termini di tariffe ma anche tutta “l’attenzione” interessata di Mosca.
Fonte: meteoweb.eu
http://italian.irib.ir/notizie/politica5/item/155325-ucraina,-dalla-crimea-passa-il-gas-che-arriva-in-italia-preoccupazioni

Il gas del Mar Nero nei contratti dell’Eni

Il Cane a sei zampe annusa con crescente preoccupazione i venti di guerra che soffiano in Crimea. Per comprenderne la ragione va fatto un passo indietro nel tempo, al 27 novembre 2013, quando l’Eni ha firmato a Kiev con il governo ucraino, rappresentato dall’allora ministro dell’Energia Eduard Stavytsky, alla presenza del defenestrato presidente Viktor Yanukovich, un Production Sharing Agreement (Psa) per l’esplorazione e lo sviluppo di un’area situata nelle acque del Mar Nero ucraino. L’area dal potenziale significativo – informava un comunicato – si estende su circa 1400 chilometri quadrati nelle acque al largo della Crimea orientale, e include la licenza Subbotina, dove è stata fatta l’omonima scoperta di petrolio, e le licenze Abiha, Mayachna e Kavkazka, conosciute complessivamente come Pry Kerch block, dove sono state individuate diverse strutture potenzialmente mineralizzate di petrolio e gas.

Eni è operatore, con una partecipazione del 50%, di una joint venture composta anche da EdF (5%) e dalle aziende di Stato Vody Ukrainy (35%) e Chornomornaftogaz (10%), interamente controllate rispettivamente da Njsc Nadra Ukrainy e Njsc Naftogaz Ucraina. L’esperienza di Eni – puntualizzava ancora la nota – nella esplorazione, sviluppo e produzione in bacini analoghi e la sua vasta competenza nell’impiego delle tecnologie necessarie allo sviluppo di attività offshore, combinate con la competenza apportata dai partner ucraini, rappresentano una combinazione eccellente per il successo del progetto.

Il progetto sul Mar Nero, che fa seguito agli accordi di collaborazione stabiliti nel 2011 con le società di Stato, rafforza in modo significativo la presenza di Eni in Ucraina, dove la società è presente dal 2011 nelle licenze Zagoryanska e Pokroskoe situate nel bacino Dniepr-Donetz. Nel 2012, Eni ha acquisito una quota di partecipazione del 50,01% e l’operatorship in LLC Westgasinvest, società che attualmente detiene i diritti di nove aree a gas non convenzionale nel bacino di Lviv, in Ucraina occidentale, per un totale di circa 3.800 chilometri quadrati. Il bacino del Lviv è considerato una delle aree a più elevato potenziale d’Europa per l’esplorazione di gas non convenzionale. «Sto facendo fare un’analisi sullo scenario peggiore possibile, non ho ancorai risultati ma mi sembra che non ci dovrebbe essere crisi del gas neppure di fronte allo scenario peggiore, cioè che non transiti neppure un metro cubo di gas», prova a rassicurare l’ad di Eni, Paolo Scaroni, in merito agli ultimi eventi in Ucraina. «Non ci sarebbero problemi di approvvigionamento del gas fino all’estate», aggiunge Scaroni. Ma il condizionale è quanto mai d’obbligo così come la finestra temporale di sicurezza indicata dall’ad del Cane a sei zampe.

D’altro canto non sono meno cospicui e di valenza strategica, gli interessi italiani negli idrocarburi russi e nei gasdotti che passano attraverso ilMar Nero. Basti pensare che nello sviluppo del progetto South Stream l’Eni è in prima fila insieme alla russa Gazprom, ai francesi di EdF e ai tedeschi di Wintershall. Eguale discorso si può fare per il Blue Stream che unisce Eni e Gazprom nella joint-venture «Blue Stream Pipeline BV».
Resta il fatto che tutto il gas in arrivo in Italia dalla Russia transita dall’Ucraina e si teme che l’instabilità politica nel Paese, sul baratro di una guerra civile, possa avere effetti imprevedibili sulla gestione dei gasdotti. In particolare, un’Ucraina sempre più indebitata potrebbe cercare di fare pressione sulla Russia per avere sconti sulle proprie forniture, minacciando di chiudere i rubinetti verso l’Europa.

IMPRESE TRICOLORE. L’Italia è il secondo partner commerciale dell’Ucraina, il primo importatore nell’Europa Occidentale. Oltre al settore energetico, i maggiori investimenti italiani sono nel campo assicurativo- finanziario, nel settore della trasformazione alimentare, in quello delle ceramiche, legno, tessile e calzature. Solo a titolo indicativo, tra le maggiori aziende italiane presenti in Ucraina nel comparto banche e servizi finanziari si possono citare Unicredit, Intesa Sanpaolo e Generali, nel settore degli impianti produttivi, invece, Fashion Group, Guala Closures, Campari e Buzzi Unicem. Tra le società che hanno commesse pubbliche/private in corso si trovano Danieli (realizzazione di una acciaieria chiavi in mano a Dnipropetrovsk), Todini e Salini Costruttori (costruzione di due tratti dell’autostrada Kiev-Chop) e Saipem (installazione di impianti per l’estrazione di idrocarburi). Infine, tra i maggiori uffici commerciali ci sono quelli di Iveco, New Holland, Indesit, Marazzi, Manuli Alitalia e Eni, mentre commercializzano, tramite reti di aziende ucraine importatrici, i marchi dell’automobile (Fiat, Maserati e Ferrari), della motoristica (Ducati), della moda italiana e dell’arredamento. Presente, inoltre, in base ad accordi di franchising con partners locali, il gruppo Benetton.

Umberto de Giovannangeli
Fonte: http://www.unita.it/
2.03.2014

“Primarie Pd, pulmini di stranieri organizzati per il voto”

prima che scattino le sirene antirazziste, vorrei precisare che per me gli stranieri possono benissimo votare alle primarie, contesto le MODALITA’ poco SPONTANEE e sembrano più USATI questi stranieri che non resi partecipe in maniera naturale e consapevole. Ma immagino non sia sfruttamento

La denuncia del candidato modenese Paolo Silingardi fatta su Facebook: “Al seggio stranieri pulmini e auto che scaricano gente, alcune persone che organizzano la fila e danno chiare indicazioni su chi votare”

  
Redazione 2 Marzo 2014
  
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Stranieri al voto in via Padre Candido
Pattuglie di stranieri istruite per il voto con tanto di pulmini organizzati. È questa la denuncia fatta da Paolo Silingardi, candidato alle primarie Pd  di Modena, via Facebook.”È bello vedere tanti stranieri al voto, peccato siano più interessati alla ricevuta che alla scheda – ha scritto Silingardi sul popolare social network – Ora vado li per vedere di persona”. Il riferimento probabilmente era rivolto alseggio per stranieri allestito presso la palestra Giorgio Bellini in via Padre Candido. “Sono stato a vedere il voto al seggio stranieri – ha aggiunto il portavoce di ModenAttiva – pulmini e auto che scaricano gente, alcune persone che organizzano la fila e danno chiare indicazioni su chi votare, la percezione di un voto di etnia, filippini, ghanesi, marocchini, ecc. La sensazione, per me brutta, ma che non posso documentare, del rimborso dei 2€”.
 
ESPOSTO – “Un dato è evidente – evidenzia Silingardi –  le comunità di stranieri non votano scegliendo tra le idee il candidato, ma esprimono un voto compatto, di appartenenza alla loro comunità, guidato e orientato dal loro leader. Sarà forse inevitabile, ma io ho un’altra idee di voto e di democrazia e mi domando se debba essere questa la forma. Vedremo i numeri, di certo alle 15 il voto rispetto a dicembre 2013 è più che raddoppiato, contro la tendenza inversa nel resto della città. Io non ho fatto il giro delle comunità di stranieri, e credo sia sbagliato alimentare questa modalità, ma rispetto all’idea di dare il voto agli stranieri nelle amministrative quello che ho visto oggi mio porta a riflettere. Molto”. Silingardi conclude facendo presente di avere esposto il problema agli organi preposti: “Premesso che ho fatto un esposto al collegio di garanzia – evidenza – credo che una riflessione sul modo di intendere la politica e la partecipazione nostro e delle comunità straniere vada fatto. Io sono per una comunità accogliente, multietnica, e per una società che dia opportunità a tutti, con pari dignità. Ma il modo in cui ho visto la partecipazione non mi è piaciuto e temo sia distorcente rispetto al voto”.
 
LA FOTO – A corroborare le parole di Silingardi una fotografia scattata da Marcello Cappi proprio in via Padre Candido dove una lunga fila di persone di nazionalità straniera staziona all’esterno del seggio in attesa di potere votare: “Arrivare e vedere una fila lunghissima di gente tutta di origine africana ed dell europa dell est mi ha colto sinceramente di sorpresa – scrive l’elettore su Facebook – Oltretutto gente che a vederla non sapeva neanche dove si trovava: fatico a pensare che sia tutta gente che abbia come priorità nella vita la politica. Qui la foto di spalle (a sinistra, ndr), chi non ci crede può recarsi al seggio. Vedere per credere: alla fine gli italiani al seggio erano solo tre: io mia sorella ed un signore, tutti e tre increduli”.

L’Europa ha paura del Movimento 5 Stelle, pressioni per bloccarlo

e c’è chi vuol far credere che questa Europa sia minacciata da venti totalitaristi (il M5S non è tra coloro che lanciano questa credenza ma vittime di questa superstizione) ma se viviamo già nel peggior dispotismo, quello della finanza?

Parole pensanti che non possono non far riflettere. La clamorosa denuncia parte dalla senatrice 5 Stelle Vilma Moronese che su Facebook scrive il seguente messaggio:

Sono state fatte pressioni dai poteri forti per bloccare l’ascesa del MoVimento 5 Stelle in Europa, così Napolitano ha tolto Letta e messo Renzie con la speranza di recuperare consensi in vista delle prossime elezioni europee.
Sono arrivati a queste conclusioni parlando con economisti stranieri durante una conference call, ascoltate, lo ha detto l’economista Eugenio Benetazzo in TV.
 
Il video che vedete sopra documenta quanto riferito dalla senatrice 5 Stelle. L’economista Eugenio Benetazzo afferma appunto che “sono state fatte pressioni dai poteri forti per bloccare l’ascesa del MoVimento 5 Stelle in Europa“.