la “finta disperazione”

tutti choosy ed evasori.San Michele: 24enne suicida sotto un treno. il biglietto “Non trovo lavoro”18 febbraio 2014
Un giovane di San Michele al Tagliamento si è tolto la vita gettandosi sotto il treno, il giorno prima del suo 24esimo compleanno. È successo dopo le 15 fra le stazioni di Limena e Portogruaro. La circolazione dei treni sulla linea Trieste-Venezia è rimasta sospesa per più di un’ora per consentire i rilievi dell’Autorità giudiziaria. Sette treni regionali hanno registrato ritardi fino a 40 minuti, due regionali sono stati cancellati e due limitati nel loro percorso. Il giovane ha voluto lasciare alcuni biglietti sulle motivazione del suo gesto, su uno c’è scritto: «Non riesco a trovare un lavoro».(…)

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http://www.crisitaly.org/notizie/san-michele-24enne-suicida-sotto-un-treno-il-biglietto-non-trovo-lavoro/

Milano: Equitalia gli chiede 425mila euro. Escort/trans si denuda davanti Corsera
19 febbraio 2014
La nota escort Efe Bal si è denudata stamani davanti alla sede del Corriere della Sera, a Milano, per protestare contro l’ingiunzione da parte di Equitalia a pagare 425mia euro per la sua attività. La escort, transessuale, ha spiegato che vuole pagare le tasse, per le quali ha già impegnato alcuni suoi beni, ma in cambio, vuole che la sua professione sia regolarizzata. «Non ho mai evaso le tasse e l’ho fatto anche per tutti i trans che lavorano in Italia, e io sono italiana da otto anni», ha detto Efe. Sono intervenuti i carabinieri che l’hanno calmata e fatta rivestire. Sarà probabilmente denunciata per atti osceni in luogo pubblico. Ieri una escort brasiliana aveva rilasciato un’intervista al quotidiano lamentandosi per una vicenda analoga.
Fonte Ansa
http://www.crisitaly.org/notizie/milano-equitalia-gli-chiede-425mila-euro-escorttrans-si-denuda-davanti-corsera/

Legnano: 49enne disoccupato fa lo sciopero della fame
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19 febbraio 2014
“Il piatto di pasta è lì ma io non lo tocco. Perchè non me lo sono guadagnato, e un uomo che non si guadagna il pane non merita di mangiare”.
Manovale edile da sempre, da tre mesi Raffaele è senza lavoro. Rifiutato dalle imprese che gli dicono che con i suoi 49 anni è troppo vecchio per salire su un ponteggio, la situazione ha cominciato a farsi tesa anche in famiglia: così giovedì 13 febbraio ha cominciato a fare lo sciopero della fame, Il suo è un caso-limite che ben testimonia la condizione di chi in questi anni di crisi ha perso il lavoro e ora lotta per tenersi almeno la dignità.(…)

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Pettorazza: Imprenditore 50enne tenta il suicidio in auto con i gas di scarico
19 febbraio 2014
Voleva farla finita. All’origine del gesto estremo seri problemi personali, pare, amplificati delle difficoltà economiche incontrate sul lavoro. Protagonista un 50enne imprenditore padovano del Piovese, soccorso in tempo dai carabinieri di Pettorazza mentre stava per suicidarsi.(…)

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San Marino: imprenditore in crisi tenta suicidio
18 febbraio 2014
Ha minacciato il suicidio per l’ennesima volta, allontanandosi sabato sera da casa e facendo poi perdere le sue tracce. Si tratta di un imprenditore del Titano, non nuovo a queste minacce, fino ad oggi fortunatamente sempre finite senza tragedia. A dare l’allarme è stata la moglie, preoccupata vedendolo sparire senza sapere dove fosse diretto. Sono così iniziate le ricerche, purtroppo senza esito, di tutti e tre i corpi di polizia, durate tutta la notte e poi anche durante il mattino seguente, quando l’allarme è rientrato, attorno alle 10.
L’uomo infatti è tornato spontaneamente a casa, scongiurando anche per questa volta il triste epilogo.(…)

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http://www.crisitaly.org/notizie/san-marino-imprenditore-crisi-tenta-suicidio/


Tav, documento annuncia lotta armata

la fantasia della magistratura e dei poteri forti della mafia del tav….i soliti teoremi del c…o. Come i teoremi Boccassini delle Br nel movimento NO  DAL MOLIN
Dove vogliono arrivare? Alla legge marziale?

Recapitato alla sede Ansa di Torino

19 febbraio 2014  – 13:50 – Alla redazione torinese dell’agenzia Ansa è stato recapitato un documento che, firmato da “Nuclei Operativi Armati” (Noa), annuncia “la lotta armata di liberazione” contro la Tav. Il documento parla di un “tribunale rivoluzionario” che “condanna a morte” alcune persone ritenute “responsabili della repressione in atto”.
http://www.tgcom24.mediaset.it/cronaca/piemonte/2014/notizia/tav-documento-annuncia-lotta-armata_2027937.shtml

Il documento è stato recapitato oggi nella sede di Torino dell’ANSA
Tav, lettera dei “Noa” annuncia lotta armata di liberazione

“I Nuclei Armati Operativi (NOA) – si legge nel documento – sono pronti all’azione diretta nei confronti dei mandanti e degli esecutori della strategia repressiva che sta togliendo libertà e prospettiva al movimento No Tav. Le accuse, ridicole, di terrorismo richiedono una risposta forte che dimostri, rapidamente, che non siamo inermi. Ora è il momento di praticare la lotta armata di liberazione, i terroristi sono loro, noi siamo i partigiani della libertà”

Il documento, tre pagine recapitate in una busta bianca affrancata e con timbro postale apparentemente di Torino, è ora al vaglio degli investigatori. La sigla ‘Noa’ è già nota agli inquirenti.
“Torino è il luogo da cui partiremo per svegliare le coscienze proletarie e rivoluzionarie”, si legge ancora nel documento scritto a computer, che si conclude con la “condanna a morte” del “tribunale rivoluzionario insediato per valutare le responsabilità politiche della repressione in atto nei confronti del movimento No Tav in Valsusa”. Il documento fa riferimento, in particolare, a quattro persone. E definisce le condanne “immediatamente esecutive”.

http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/Tav-Lettera-dei-Noa-annuncia-lotta-armata-di-liberazione-6d882488-b99c-4237-9d3c-fde4a199c204.html


Carabiniere, la Procura condanna per pestaggi del 3 luglio.

http://www.tgvallesusa.it/?p=5597

SCRITTO DA: FABRIZIO SALMONI – FEB• 18•14
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Il carabiniere  è stato citato a giudizio dalla Procura di Torino e risponderà di lesioni ai danni di un dimostrante. Il processo si terrà nel 2015. Forse perchè la vicenda non interferisca con il processo in corso ai 53 No Tav per i fatti di quei giorni.

Era il 27 marzo 2012 quando il movimento No Tav, in una conferenza stampa tenuta al centro Studi Sereno Regis di Torino, presentò un video e un dossier in merito alla brutalità delle forze dell’ordine nella giornata del 3 luglio.

Tutta la documentazione era nella piena disponibilità della Procura della Repubblica di Torino già dai giorni immediatamente successivi ai fatti e risulta addirittura che essa sia stata utilizzata dalla Procura medesima a carico dei manifestanti nell’ambito dell’indagine che ha condotto agli arresti (con detenzione in carcere e/o domiciliare, nonché ad altre restrizioni della libertà personale) del 26.1.2012 ed all’attuale processo in aula bunker.

Il Movimento aveva  poi racchiuso il tutto in un video, qui denominato Operazione Hunter.

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Quel giorno, centinaia di manifestanti provenienti dal bosco sovrastante la Maddalena impegnarono le forze dell’ordine in scontri che andarono avanti per tutto il pomeriggio. Alcuni furoni catturati subito nella tarda mattina ed è allora che i militari li trascinarono dentro le recinzioni in una zona controllata dalle Ff.Oo colpendoli ripetutamente con calci, manganellate e, come risulta dalle immagini, anche con bastoni ricavati dai rami di alberi della zona. Un quasi linciaggio di gruppo di cui si è voluto identificare un solo militare.

La Procura si giustifica dicendo che quegli appartenenti alle FF.OO. non sono identificabili e che le vittime non si siano presentate in Procura dopo aver sporto querela (chissà come mai…): cosi dicendo, la Procura fa torto alle sue estese capacità di indagine perchè diversi dei colpevoli sono identificabili per avere il volto scoperto, altri da aspetti somatici, reparto di appartenenza, qualifica professionale, armamento in dotazione, e da tatuaggi. Infatti a tradire il carabiniere che si vede in mimetica è stato un vistoso tatuaggio sul braccio che spunta dalla divisa. L’unico identificato con certezza – dice la Procura –  andrà a giudizio e risponderà di lesioni ai danni di un dimostrante. A distanza di anni, infatti il processo si terrà nel 2015. Il militare fino ad allora resterà in servizio, magari sugli stessi luoghi, e probabilmente non subirà nessuna restrizione della libertà.

E’ significativo che si sia preso in considerazione un solo fatto quando quel giorno furono quattro i dimostranti percossi e seviziati nella zona di sicurezza allestita dalle Forze dell’Ordine. Di uno di loro fu addirittura diffusa dal Tg3  la testimonianza già la sera stessa dal Cto.

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Ci aspettiamo che l’inchiesta su quei fatti non venga chiusa per salvare gli altri militari, Ps, GdF e carabinieri, e i loro dirigenti colpevoli di quelle violenze e sia fatta giustizia anche per altri episodi di repressione violenta della lunga opposizione alla Linea Torino-Lione. Ne mancano ancora tanti, su tutti le violenze su Simone e Marinella a Coldimosso nel 2010, Li il responsabile era quello Spartaco Mortola poi condannato per i fatti della Diaz di Genova ma in quel caso il problema è la difficoltà a riconoscerli perchè tutto si svolse di notte nei boschi – diranno dal Movimento No Tav.

Oggi il Movimento 5 Stelle ha presentato in Senato un ddl per identificare gli elementi delle forze dell’ordine durante i servizi di ordine pubblico, tramite l’adozione di un codice identificativo. Il primo firmatario è Marco Scibona, al quale si sono associati trentuno colleghi del gruppo.

Comunicato degli avvocati di Chiara, Claudio, Mattia e Niccolò

http://www.tgvallesusa.it/?p=5608

SCRITTO DA: CONTRIBUTI  FEB• 19•14
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Riceviamo e pubblichiamo il comunicato degli avvocati Eugenio Losco, Claudio Novaro, Giuseppe Pelazza che denuncia le condizioni di carcerazione afflitte ai 4 notav arrestati con l’accusa di terrorismo. Un modo per aprire un varco nelle mura dell’isolamento che stanno vivendo i 4 notav  agli arresti dal 9 dicembre scorso, trasferiti in diversi penitenziari italiani e ridotti dei loro diritti.

Chiara Zenobi, Claudio Alberto, Niccolò Blasi e Mattia Zanotti, i giovani No Tav arrestati all’inizio di dicembre 2013 e accusati dell’assalto al cantiere dell’alta velocità di Chiomonte, avvenuto il 13-14 maggio 2013, sono stati trasferiti nelle scorse settimane dal carcere di Torino nei reparti ad Alta sicurezza delle case circondariali di Roma, Ferrara e Alessandria.

Il regime detentivo a cui sono attualmente sottoposti è più rigido rispetto a quello previsto per gli altri detenuti in regime di Alta sicurezza, che prevede già, come è noto, una forte attenuazione delle opportunità trattamentali ed un regime di socialità specifico e più ridotto rispetto a quello dei detenuti definiti “normali”.

Nessuno di loro ha la possibilità di avere colloqui con i rispettivi conviventi. La loro posta in entrata e uscita è sottoposta a censura.

Nonostante fino a poche settimane si incontrassero regolarmente in sezione e ai colloqui con i difensori, Blasi e Zanotti hanno attualmente un divieto di incontro tra loro. Questo divieto ha come conseguenza una sensibile riduzione delle loro ore d’aria (visto che sono costretti a farle a turno), che da sei sono diventate tre.

Claudio Alberto si trova nella situazione più preoccupante.

A causa del divieto di incontro con due dei tre detenuti presenti nella sezione ad Alta sicurezza, e della scelta del terzo di svolgere la socialità unitamente agli altri due, Claudio Alberto, dalla data del suo trasferimento, avvenuto a fine gennaio, si trova in una situazione di completo isolamento, tanto più grave se si pone mente alla sua giovane età e alla circostanza che si tratta della sua prima esperienza carceraria.

In più occasioni la Corte europea dei diritti dell’uomo e il Comitato europeo per la prevenzione contro la tortura hanno sostenuto che l’isolamento carcerario, in considerazione della grave sofferenza psichica che ne deriva, può configurare un un trattamento inumano e degradante che viola l’art. 3 della convenzione europea dei diritti dell’uomo. Perché ciò non si verifichi, tale misura deve essere contenuta nel tempo (non superare mai i 14 giorni) , essere giustificato da comportamenti straordinari e specifici del soggetto e non essere totale, vale a dire che non è possibile vietare al detenuto qualsiasi contatto sociale con gli altri soggetti ristretti in carcere.

L’isolamento e le altre restrizioni a cui sono sottoposti i nostri assistiti vengono giustificate dalla Procura di Torino con ragioni investigative, che, peraltro, nessuna autorità giudiziaria si è preoccupata di vagliare e verificare.

Ma l’ordinamento penitenziario, all’art. 33, ammette l’isolamento degli imputati solo durante la fase delle indagini. Nel nostro caso, le indagini sono da tempo concluse e gli imputati sono stati già rinviati a giudizio per il dibattimento, fissato per il prossimo 14 maggio.

Il regime detentivo a cui sono attualmente sottoposti gli imputati si risolve in un inasprimento generalizzato del grado di afflittività della misura cautelare a loro imposta e in una compressione dei loro diritti, in contrasto con l’insegnamento della Corte di cassazione, che ha più volte affermato come sia “principio di civiltà che a colui che subisce una restrizione carceraria … sia garantita quella parte di diritti della personalità che neppure la pena detentiva può intaccare”.

Torino – Milano  19 febbraio 2014.

Avvocati Eugenio Losco, Claudio Novaro, Giuseppe Pelazza.

da notav.info

Piccola antologia ignobile: così parlarono i padri dell’Ue

e certa gente dice che si può riformare la Ue e trattare con questa gente? O si è stupidi o complici. Molto chiaro per chi lavora chi si batte contro le sovranità nazionali.«Sono sicuro che l’euro ci costringerà a introdurre un nuovo insieme di strumenti di politica economica. Proporli adesso è politicamente impossibile, ma un bel giorno ci sarà una crisi e si creeranno i nuovi strumenti». Così parlava Romano Prodi nel lontano 2001, precisamente il 4 dicembre, intervistato dal “Financial Times”. Dunque “sapeva”, Prodi, che l’euro avrebbe generato “una crisi”. La memorabile sortita dell’ex premier italiano, ex consulente di Goldman Sachs e ovviamente ex presidente della Commissione Europea, fa parte del florilegio presentato da “Megachip” alla voce: piccola antologia di “democrazia europea”. «Dunque per fare “passi avanti” l’Europa ha bisogno di devastare la società, avvilire la cultura, generare disoccupazione di massa, far suicidare imprenditori e lavoratori, gettare nello sconforto e nella disperazione milioni di giovani e produrre miseria».
Sul metodo generalmente adottato dalla Troika – il terrorismo economico – è illuminante l’ammissione di un altro supremo eurocrate, il francese Jean-Claude Juncker, già presidente dell’Eurogruppo: «Prendiamo una decisione, poi la mettiamo sul tavolo e aspettiamo un po’ per vedere cosa succede. Se non provoca proteste né rivolte, perché la maggior parte della gente non capisce niente di cosa è stato deciso, andiamo avanti passo dopo passo fino al punto di non ritorno». Non è fantascienza, non è letteratura horror. Sono parole – reali – dei grandi decisori europei, quelli che decretano le misure da cui deriva il supplizio socio-economico al quale siamo sottoposti. In altre parole, stando alle rivelazioni di Juncker, crimini contro l’umanità. I leader europei, dice l’italiano Giuliano Amato il 12 luglio 2007 a “Eu Observer”, hanno deciso che il Trattato Lisbona «avrebbe dovuto essere illeggibile». Questo perché, «se fosse stato comprensibile, ci sarebbero state ragioni per sottoporlo a referendum». Quindi gli eurocrati «si sentono più al sicuro con la cosa illeggibile», testualmente. Obiettivo, appunto, «evitare pericolosi referendum».

Lo sa bene l’ex cancelliere tedesco Helmuth Kohl, che al “Telegraph” del 9 aprile 2013 dichiara: «Sapevo che non avrei mai potuto vincere un referendum in Germania. Avremmo perso il referendum sull’introduzione dell’euro. Questo è abbastanza chiaro. Avrei perso sette a tre. Nel caso dell’euro sono stato come un dittatore». Dopotutto, «l’Europa non nasce da un movimento democratico», come ammette già nel 1999 il super-tecnocrate ed ex ministro prodiano Tommaso Padoa Schioppa. L’attuale Unione Europea ha un’origine chiaramente eversiva: «E’ nata seguendo un metodo che potremmo definire con il termine di dispotismo illuminato».

La costruzione europea? «E’ una rivoluzione», dice Padoa Schioppa a “Commentaire”, «anche se i rivoluzionari non sono dei cospiratori pallidi e magri, ma degli impiegati, dei funzionari, dei banchieri e dei professori», che al «polo del consenso popolare» preferiscono ovviamente «quello della leadership».
Per un altro padre fondatore dell’Ue, il monarchico Jacques Attali, trasformatosi in “socialista” alla corte di François Mitterrad, l’euro non fu certo creato per la gioia della “plebaglia europea”. Il 24 gennaio 2011 rivela: «Abbiamo minuziosamente “dimenticato” di includere l’articolo per uscire da Maastricht». Contratto unico al mondo: senza clausola di rescissione. Attali ha avuto «il privilegio» di far parte del gruppo ristretto incaricato di stendere le prime bozze. «Ci siamo incoraggiati a fare in modo che uscirne sia impossibile», ammette. «Abbiamo attentamente “dimenticato” di scrivere l’articolo che permetta di uscirne». Niente da aggiungere? «Non è stato molto democratico, naturalmente, ma è stata un’ottima garanzia per rendere le cose più difficili, per costringerci ad andare avanti».

Chiude la rassegna dell’orrore il professor Mario Monti, il 22 febbraio 2001 all’università Luiss, al convegno “finanza: comportamenti, regole istituzioni”. «Non dobbiamo sorprenderci che l’Europa abbia bisogno di crisi, crisi gravi, per fare passi avanti», dice il futuro capo del “governo tecnico” incaricato da Napolitano. «I passi avanti dell’Europa sono per definizione cessioni di parti delle sovranità nazionali a un livello comunitario».
In quattro parole, Monti espone la “filosofia del ricatto” che è la prassi sostanziale dei gangster al governo di Bruxelles:
si provvede a terremotare un paese, per poi (Prodi docet) imporre la “soluzione” già pronta nel cassetto. «È chiaro che il potere politico – ma anche il senso di appartenenza dei cittadini a una collettività nazionale – possono essere pronti a queste cessioni solo quando il costo politico e psicologico del non farle diventa superiore al costo del farle, perché c’è una crisi in atto visibile, conclamata». La benedetta crisi, progettata a tavolino. Minacce, ricatti, menzogne, truffe. Un campionario inesauribile.

Fonte: www.libreidee.org
20.02.2014

e come dimenticare questa. Ma i vincoli non li fissò la Germania?

La formula del 3% sul deficit/Pil fu decisa in un’ora e senza nessuna base teorica
A rivelarlo il suo inventore, l’economista francese Guy Abeille, che spiega: “Nasceva dalle circostanze della Francia di allora”.

La formula del 3% sul deficit/Pil fu decisa in un’ora e senza nessuna base teorica.
La formula del tetto del 3% al rapporto tra deficit e Pil, che tanto impensierisce l’Europa e l’Italia, fu inventata a tavolino negli anni ’80 in meno di un’ora e senza nessuna base teorica alle spalle. È quanto racconta il suo inventore, il francese Guy Abeille, uno sconosciuto funzionario del governo di François Mitterand oggi 62enne che, insieme al collega Roland de Villepin, fu chiamato all’epoca per stabilire un tetto massimo alla spesa pubblica francese. Come racconta  Vito Lops sul Sole 24 Ore  citando il quotidiano tedesco Frankfurter Allgemeine Zeitung e il francese Aujourd’hui en France-Le Parisien, tutto iniziò nel 1981 dopo la vittoria dei socialisti di Mitterrand in Francia. Il governo di Parigi, dopo aver aumentato in maniera considerevole il debito, decise di incaricare il vice direttore del dipartimento del Bilancio al ministero delle Finanze di inventare una regola per evitare di andare troppo oltre con il debito pubblico. A quel punto vennero contattati de Villepin e Abeille, esperti di economica e matematica all’Ensae.

“Prendemmo in considerazione i 100 miliardi del deficit pubblico di allora. Corrispondevano al 2,6 % del Pil. Ci siamo detti: un 1% di deficit sarebbe troppo difficile e irraggiungibile. Il 2% metterebbe il governo sotto troppa pressione. Siamo così arrivati al 3%” racconta oggi Abeille. Insomma il tetto nel rapporto tra deficit e prodotto interno lordo “Nasceva dalle circostanze, senza un’analisi teorica”. “Abbiamo stabilito la cifra del 3 per cento in meno di un’ora. È nata su un tavolo, senza alcuna riflessione teorica. Mitterrand aveva bisogno di una regola facile da opporre ai ministri che si presentavano nel suo ufficio a chiedere denaro […]. Avevamo bisogno di qualcosa di semplice. Tre per cento? È un buon numero, un numero storico che fa pensare alla trinità” ha raccontato sempre Abeille al giornale francese. Quel tetto però ha resistito nel tempo in Francia e ha finito per influenzare anche l’Europa, entrando poi a pieno titolo nei parametri di Maastricht.

http://www.fanpage.it/la-formula-del-3-sul-deficit-pil-fu-decisa-in-un-ora-e-senza-nessuna-base-teorica/#ixzz2tlxNvkH9


Il figlio del dittatore ancora nelle mani delle milizie, sottoposto a processo segreto

democrazia yankee e diritti umanisti a senso alternato
Saif al Islam da più di due anni e tre mesi trascorre le giornate in un isolamento quasi totale. Per sua stessa ammissione la cella è «adeguata». Ha accesso ad una televisione fornita di canali satellitari. Gli portano libri religiosi, può scrivere. Ma per il resto gli unici, rari incontri sono con i suoi accusatori, che gli ordinano insistentemente di confessare, di firmare gli atti di imputazione. E le accuse sono terrificanti: organizzazione di assassini, autobomba, squadre della morte destinate a torturare, violentare e intimorire i nemici del regime, distruzione metodica di infrastrutture civili fondamentali come acquedotti e rete elettrica per ricattare la popolazione e molto altro. Basterebbe un quarto delle imputazioni per condannarlo a morte secondo il codice penale libico. Però lui ormai si è arreso. Non ha un avvocato, non ha alcun modo di farsi sentire, non può assistere alle fasi istruttorie del suo processo. Forse spera che proprio la sua passività gli assicuri qualche miglioramento nell’immediato: cibo più vario, una cella più spaziosa. «Gli investigatori mi dicono che devo confessare, che devo ammettere che sono un assassino, un corrotto e poi potrò chiedere la grazia. Così io firmo, firmo tutti i fogli di carta che mi mettono in mano. E’ stupido, ma è così», ha dichiarato Saif in occasione di una rarissima visita di una rappresentanza dell’organizzazione umanitaria internazionale Human Rights Watch il 23 gennaio.

L’incontro è avvenuto in una base delle milizie locali a Zintan, sulle montagne brulle quasi 140 chilometri a sud ovest di Tripoli. Una distanza ridicola negli spazi immensi e vuoti dello «scatolone di sabbia» libico. Eppure un mondo a parte nel caleidoscopio variegato di bellicose e litigiose autonomie locali in cui è piombata la Libia del post-Gheddafi. Qui il 41enne figlio più politico del Colonnello linciato alle porte di Sirte il 20 ottobre 2011 consuma le sue vane, segregate giornate. Non è poi così strano pensare che la sua sorte, come del resto quella di tutta la sua famiglia, valga da memento per Bashar Assad e i fedelissimi del regime siriano in lotta contro le milizie ribelli in Siria. Gli inviati di Human Rights Watch non hanno potuto vedere la sua cella, che resta segreta per tutti gli esterni. Il governo di Tripoli vorrebbe processarlo nella capitale. Anche il tribunale internazionale dell’Aja ne ha chiesto l’estradizione per «crimini contro l’umanità». Ma i suoi carcerieri non lo mollano. Per loro il prigioniero è «merce privata». Un po’ come lo fu il cadavere martoriato di Gheddafi per le milizie di Misurata, che prima lo esposero al pubblico dileggio per 40 ore e poi lo seppellirono in una località sperduta nel deserto nota solo a pochissimi.

Saif veste un’uniforme blu scuro. Sono guarite le ferite per la perdita di almeno due dita della mano destra durante un bombardamento Nato, sembra a Bani Walid il 17 ottobre 2011. Unico segno di possibili maltrattamenti, la mancanza di un incisivo. Un poco migliore pare invece la condizione di altri tre detenuti eccellenti. Si tratta di Abdallah Sanussi, responsabile dell’intelligence militare di Gheddafi, oltre ai due ex premier Al Baghdadi Al Mahmoudi e Abuzaid Dorda. Nei loro casi gli osservatori stranieri hanno potuto vedere le loro celle a Al Hadba, il carcere di Tripoli. Ma resta del tutto oscura la sorte di migliaia di altri prigionieri nel resto del Paese, specie quelli trattenuti a Misurata.

Lorenzo Cremonesi
Fonte: www.corriere.it
19.02.2014


IRLANDA: MEGA PROCESSO CONTRO BANCHIERI

come in Italia, no? Banchieri alla sbarra, la povera madama Boldrini diventerebbe isterica

http://cafedehumanite.blogspot.it/2014/02/irlanda-mega-processo-contro-banchieri.html

‘3 banchieri “nella gabbia” di un affollatto tribunale a Dublino, accusati forse del piu’ grande crimine dei colletti bianchi, mai commesso in Irlanda e che riguarda mutui di 625milioni di euro

Tutti si sono voltati a guardare l’uomo principale nel caso giudiziario: Sean Fitz Patrick, l’ex boss dell’ora defunto Anglo Irish Bank,il cui abbigliamento impeccabile e lo shock dei suoi capelli bianchi sono balzati all’occhio, mentre si dichiarava non colpevole.

Il vento e la pioggia di Dublino hanno tenuto basso il numero del pubblico presente ma poi in centinaia si sono presentati per il primno giorno del piu’ grande processo penale che avviene nella città, da molti anni a questa parte.’

>> tutto l’articolo qui:
http://www.independent.co.uk/news/business/news/irelands-bankers-in-the-dock-anglo-irish-chiefs-charged-with-illegally-bolstering-banks-share-price-9110344.html


Via il cash, così la finanza ci controllerà al centesimo

la Ue, così simile al suo creatore….

di Giorgio Cattaneo – 18/02/2014

Fonte: libreidee

Bitcoin Nuove tecnologie minacciano di concentrare un potere assoluto nelle mani di pochi privilegiati, «gli stessi individui e le stesse organizzazioni che hanno già ripetutamente tradito la fiducia di chinque abbia voluto credere in loro». La Hsbc, la terza banca per importanza nel mondo, è stata scelta dai trafficanti di droga e di armi e dai gruppi terroristici di tutto il mondo per riciclare denaro.

Di recente, la Hsbc è finita sui giornali per aver limitato gli importi che i clienti possono prelevare dai loro conti correnti (ed è stata costretta a fare retromarcia) mentre, informa la Bbc, la banca non ha «creato gli stessi problemi nell’onorare trasferimenti elettronici: da questo si può ragionevolmente supporre che il problema è il denaro contante in mano al cliente, non la disponibilità di denaro». Questo, scrive “Raging Bullshit”, è solo «l’ultimo episodio di quel grande assalto che la grande finanza e i governi dei paesi più potenti stanno portando contro tutte le transazioni in contanti».Per anni, aggiunge il blog in un intervento ripreso da “Come Don Chisciotte”, i governi hanno cercato tagliare le operazioni in contanti.

Negli Usa, qualsiasi azienda o persona che incassi 10.000 dollari “cash” per una vendita, deve presentare un “Form 8300”. Le banche inoltre devono segnalare tutte le operazioni di cassa che superino questo limite. Stesse procedure valgono anche in Europa, dove le parti sono tenute a spiegare da dove proviene il denaro. Nel 2013, il governo francese ha reso queste norme ancora più restrittive, con nuovi controlli sulle transazioni in contanti abbassando il limite 3.000 a soli 1.000 euro, come del resto anche in Italia. Le ragioni di queste misure sono evidenti:

«In un momento in cui la maggior parte dei paesi sta lottando per tenere a freno la spesa pubblica – per non parlare degli interessi sempre più insostenibili sul debito pubblico – i governi si stanno freneticamente guardando intorno per cercare qualsiasi cosa di valore che si possa rubare o depredare. E quando si tratta di avidità i governi, soprattutto durante un momento di acuta crisi fiscale, come quello attuale, non conoscono limiti».Come dice Patrick Henningsen, del Center for Research on Globalization, «il sogno di sempre di tutte le élite di tecnocrati e collettivisti, sarebbe riuscire ad eliminare dall’economia sia il “denaro in contanti semi-irregolare” che il mercato nero, per massimizzare e controllare completamente i mercati. Se riuscissero a farci arrivare a una società senza contanti, sarebbero molto vicini ad aver raggiunto il completo controllo sulla vita di ogni singolo individuo».

Protesta un cliente londinese della Hsbc: «Ho un conto in questa banca da 28 anni, mi conoscono tutti. Non dovrebbero chiedermi spiegazioni sul perché io voglia ritirare il mio denaro. Non è denaro loro, è denaro mio». Per tanti versi, aggiunge “Raging Bullshit”, il denaro in contanti offre ai cittadini l’ultimo rifugio rimasto alla propria privacy e serve a mantenere l’anonimato in un mercato sempre più invischiato in una rete di controllo mondiale. «Se si comincia con i collegamenti incrociati globali su tutto quello che si muove nel mondo finanziario, i governi saranno in grado di tener traccia di ogni centesimo che si guadagna, che si spende e che si risparmia».Gli stessi governi che hanno varato misure per limitare l’uso del contante sono gli stessi che spingono per far utilizzare forme alternative di denaro, come il “mobile money” (denaro digitale) che può essere completamente tracciato. Finora, la crescita della moneta che “viaggia per telefono” è avvenuta soprattutto nell’Africa sub-sahariana, dove alcuni dei settori finanziari più sottosviluppati hanno fornito il banco di prova ideale per la sperimentazione di progetti sul denaro telefonico. Secondo il “Mobile Africa Report 2011”, gli utenti africani della telefonia mobile sono oltre 500 milioni. Un sondaggio citato dall’“Economist” e condotto da tre colossi mondiali – la Fondazione Gates, la Banca Mondiale e la Gallup World Poll – rivela che esistono 20 paesi nel mondo dove più del 10% degli adulti afferma di aver fatto transazioni con il “mobile-money” durante il 2011 – e tra questi, 15 sono in Africa. In Kenya, Sudan e Gabon almeno metà degli adulti ha mosso denaro per telefono.Il principale operatore di telefonia mobile in Kenya, Safaricom (società ora controllata da Vodafone), vanta oltre 14,7 milioni di utenti che usano M-Pesa, la piattaforma di “mobile-money”. «Questo significa che oltre il 36,75% della popolazione del Kenya ha un conto di deposito in M-Pesa – senza considerare gli utenti che hanno conti dello stesso genere su altre reti telefoniche. I movimenti di fondi trasferiti da M-Pesa ormai arrivano ad uno sconcertante 25% del Pil del paese». Da quando è stato introdotto questo sistema per trasferire denaro, in Africa si è assistito ad un cambiamento paradigmatico nei metodi delle transazioni finanziarie. Non mancano gli aspetti postivi: «Il denaro movimentato per telefono ha permesso a molte persone, con una istruzione elementare o senza nessuna istruzione, di avere accesso per la prima volta ai servizi finanziari. Ha anche contribuito a colmare il divario tra il settore bancario e non bancario, consentendo a molte persone di ricevere rimesse bancarie dai familiari all’estero, cosa essenziale per far crescere una nuova generazione di africani».C’è però anche il lato oscuro del “mobile money”, come riporta il sito africano di tecnologia “Humanipo.com”: «Più viene utilizzato, più i clienti si espongono a nuove generazioni di truffatori». Esempio: «Ci sono stati recenti casi di raggiro condotti con sms fasulli, che sembravano essere inviati automaticamente da fornitori di telefonia mobile, banche o altre istituzioni finanziarie». Vittime del raggiro: gli abbonati che usano il “mobile money”. La stessa Safaricom ha dimostrato che il 65% dei casi collegati a frodi telefoniche provenivano dalle carceri. Ma il problema non è solo africano: «Nel Regno Unito le autorità di controllo finanziario hanno avvertito che si verificano frodi prodotte da un software dannoso, come se si avesse un “dito grosso” che causa errori di stile e blocchi del sistema, e che può mettere sotto minaccia chi utilizza i servizi di mobile banking». Il rischio maggiore «resta il sistema stesso di alternativa digitale ai soldi in contanti». A oscurare i vantaggi del “mobile-money” è «il suo enorme potenziale di concentrazione del potere finanziario», consuderati «gli abusi e i conflitti di interesse che sta provocando».Il vero problema, aggiunge “Raging Bullshit”, è che a dominare il mercato del denaro digitale saranno «le stesse istituzioni – come la Hsbc, ad esempio – che hanno già infranto praticamente ogni regola», in materia di servizi finanziari. «Saranno gli stessi che hanno già manipolato le regole di ogni mercato esistente, che hanno mercificato e finanziarizzato praticamente qualsiasi risorsa naturale di valore su questo pianeta». Gli stessi che, sulla scia della crisi finanziaria da loro provocata, «hanno estorto miliardi di dollari dalle tasche dei propri clienti e miliardi di dollari da quelle dei contribuenti». Come fidarsi, d’altra parte, dei nostri governi? Scott Shay, presidente della Signature Bank, su “Cnbc” scrive che il governo Usa sta «diventando molto esperto nel togliere denaro ai cittadini», per poi “spiegare” loro che è in atto una “decadenza civile”. «A peggiorare ancora le cose, c’è un drammatico consolidamento che è avvenuto in tutto il sistema bancario, che ha reso più facile al governo l’acquisizione delle informazioni, dovendo controllare un minor numero di punti di accesso».Ad esempio, Jp Morgan, una delle più grandi e potenti banche d’America, ha raggiunto la stessa dimensione che hanno, tutte insieme, oltre 3.000 banche più piccole.  Motivo per cui le prime quattro banche americane controllano circa il 60% di tutti i depositi bancari Usa. «Grazie soprattutto alle rivelazioni di Edward Snowden, siamo riusciti a sapere che il governo americano sta approfittando delle prodezze compiute dai servizi della Nsa e della manipolazione dei big-data in un modo spaventosamente pericoloso». Eppure, aggiunge “Raging Bullshit”, noi «continuiamo ad camminare come dei sonnambuli, quasi come degli zombie, e ci stiamo pericolosamente avvicinando ad una società che potrà vivere senza contanti». In cambio di qualche piccola convenienza immediata, «siamo disposti a concedere ai nostri governi e alle grandi banche “too-big-to fail” (ma anche “tanto-grasse-da-scoppiare”) la possibilità di controllare completamente ogni nostra singola transazione quotidiana. E mentre ci sembra di vedere nelle valute virtuali, come il Bitcoin, qualcosa di vicino ad un antidoto contro questo scenario, anche queste possibili alternative – come dice Shay – sono soggette a continuo monitoraggio e possono essere regolamentate in modo che si limiti o addirittura si metta fine alla loro possibile utilità».
Nuove tecnologie minacciano di concentrare un potere assoluto nelle mani di pochi privilegiati, «gli stessi individui e le stesse organizzazioni che hanno già ripetutamente tradito la fiducia di chinque abbia voluto credere in loro».
http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=47485&utm_medium=referral&utm_source=pulsenews


SARA’ GAY, MA A ME FA SENSO

da www.fulviogrimaldicontroblog.info: “Sarà gay, ma a me fa senso”Nuova immagine (1)Ve lo ricordate quel fritto misto di Vladimir Luxuria con le mutande di Valeria Marini in testa a fare da protagonista nello show più degradante, reazionario, volgare, fascistoide, renziano, passato sugli schermi della tv, l’ “Isola dei Famosi”? Vi ricordate sul fogliaccio di Sansonetti, “Liberazione”, il “Forza Vladimir!” in prima pagina a sostegno della nobile gara sostenuta dal rifondarolo androgino nell’isoletta dell’Honduras offesa e imbrattata? Poi i golpisti fascisti al soldo degli Usa di Obama ammazzarono uno dei più prestigiosi e amati leader della resistenza, esponente della comunità gay. Avete sentito anche un solo rimbrottino di Vladimir? E’ forse andato a Tegucigalpa, fasciato di insegne omosessuali, a protestare sotto i palazzi degli assassini di Walter Trochez e delle centinaia di militanti politici, sindacali e dei diritti umani, di contadini e indigeni? Figurarsi, quelli mica sono invisi alla criminalità organizzata occidentale, ufficiale e ufficiosa. Anzi, ne sono i cari virgulti, i pitbull da guardia, indispensabili perché l’Honduras torni a essere l’hub della droga proveniente dalla colonia colombiana e diretta al mercato Usa che, anche con il concorso dell’eroina afghana, fa prosperare le grandi banche statunitensi

Invece ieri questo losco vessillifero di ogni mistificazione dirittoumanista si è presentato a Sochi, tentando con l’ennesima chiassata alla Pussy Riot, con tanto di bandiera “Gay is OK”, di rivitalizzare la sfessata campagna lanciata dai mercenari imperiali GLBT, fiancheggiate dagli ascari di complemento della stampa “sinistra”, contro la Russia rinata di Vladimir Putin. Tanto si è agitato, tanto ha schiamazzato, da farsi fermare dalla polizia. Il suo martirio è durato due ore. Quanto basta ai media amici per rilanciare una campagna d’odio già svuotata da Putin con l’inno russo cantato da due dichiarate atlete lesbiche e con i suoi abbracci a vincitrici lesbiche di medaglie. Ancora una volta questa lobby sempre più arrogante e invasiva, sempre più strumento della frantumazione sociale e del depistaggio dalle lotte che ai poteri fascio-mafiosi occidentali fanno male davvero, si è messa in mostra in tutta la sua abiezione collaborazionista. Nuova immagine (4)

Ora aspettiamo Vladimir alla prossima, indispensabile impresa da esaltare con i cori  delle profonde sintonie tra “manifesto” e “Foglio”: in campo a piazza Maidan di Kiev, intrecciata a qualche nerboruto energumeno di “Svoboda” (la punta di lancia nazifascista UE-USA nel tentato golpe ucraino) impegnato nel linciaggio dell’ennesimo poliziotto. A questo vorrebbero servire il detrito rifondarolo Luxuria e i suoi compari della lobby, a restituire ai predatori multinazionali il corpo esanime della Russia da sbranare, come ai tempi di Eltsin e prima del miracoloso salvataggio operato da Putin e dal suo popolo. Lo sappiamo, mai ci fu intesa e sintonia maggiore tra finti sinistri e autentici destri che nell’obiettivo globale finale: Russia delenda est.

Tutto questo va detto con immutata stima per i GLBT  che non si fanno strumentalizzare dalla lobby, come per le donne che  non manipolano il femminismo per occultare il proprio accanimento di ginocrate. Sarà una banalità, ma ripetiamolo: gli stronzi stanno dappertutto, donne e uomini, gay ed etero. Personalmente trovo del tutto condivisibile la legge passata dal parlamento russo che vieta attività e propaganda di pratiche omosessuali in presenza di minori. Operazioni di proselitismo omosessuale pubblico su bambini e ragazzi, persone con una maturazione sessuale non conclusa, rappresentano una prevaricazione del forte sul debole. Perfino la Chiesa si astiene dal propagandare le sue inclinazioni. Se ne fa addirittura accusatrice. In pubblico.

Appello dai familiari di Chiara, Claudio, Mattia e Niccolò

http://www.tgvallesusa.it/?p=5358

SCRITTO DA: CONTRIBUTI – FEB• 12•14
carcere-sbarre

Riceviamo e pubblichiamo un Appello dai  familiari di Chiara, Claudio, Mattia e Niccolò accusati di terrorismo e segregati in isolamento nelle carceri di Alessandria, Ferrara e Rebibbia di Roma

In queste settimane avete sentito parlare di loro. Sono le persone arrestate il 9 dicembre con l’accusa, tutta da dimostrare, di aver assaltato il cantiere Tav di Chiomonte. In quell’assalto è stato danneggiato un compressore, non c’è stato un solo ferito. Ma l’accusa è di terrorismo perché “in quel contesto” e con le loro azioni presunte “avrebbero potuto” creare panico nella popolazione e un grave danno al Paese. Quale? Un danno d’immagine. Ripetiamo: d’immagine. L’accusa si basa sulla potenzialità di quei comportamenti, ma non esistendo nel nostro ordinamento il reato di terrorismo colposo, l’imputazione è quella di terrorismo vero e volontario. Quello, per intenderci, a cui la memoria di tutti corre spontanea: le stragi degli anni 70 e 80, le bombe sui treni e nelle piazze e, di recente, in aeroporti, metropolitane, grattacieli. Il terrorismo contro persone ignare e inconsapevoli, che uccideva, che, appunto, terrorizzava l’intera popolazione. Al contrario i nostri figli, fratelli, sorelle hanno sempre avuto rispetto della vita degli altri. Sono persone generose, hanno idee, vogliono un mondo migliore e lottano per averlo. Si sono battuti contro ogni forma di razzismo, denunciando gli orrori nei Cie, per cui oggi ci si indigna, prima ancora che li scoprissero organi di stampa e opinione pubblica. Hanno creato spazi e momenti di confronto. Hanno scelto di difendere la vita di un territorio, non di terrorizzarne la popolazione. Tutti i valsusini ve lo diranno, come stanno continuando a fare attraverso i loro siti. E’ forse questa la popolazione che sarebbe terrorizzata? E può un compressore incendiato creare un grave danno al Paese?
Le persone arrestate stanno pagando lo scotto di un Paese in crisi di credibilità. Ed ecco allora che diventano all’improvviso terroristi per danno d’immagine con le stesse pene, pesantissime, di chi ha ucciso, di chi voleva uccidere. E’ un passaggio inaccettabile in una democrazia. Se vincesse questa tesi, da domani, chiunque contesterà una scelta fatta dall’alto potrebbe essere accusato delle stesse cose perché, in teoria, potrebbe mettere in cattiva luce il Paese, potrebbe essere accusato di provocare, potenzialmente, un danno d’immagine. E’ la libertà di tutti che è in pericolo. E non è una libertà da dare per scontata.
Per il reato di terrorismo non sono previsti gli arresti domiciliari ma la detenzione in regime di alta sicurezza che comporta l’isolamento, due ore d’aria al giorno, quattro ore di colloqui al mese. Le lettere tutte controllate, inviate alla procura, protocollate, arrivano a loro e a noi con estrema lentezza, oppure non arrivano affatto. Ora sono stati trasferiti in un altro carcere di Alta Sorveglianza, lontano dalla loro città di origine. Una distanza che li separa ancora di più dagli affetti delle loro famiglie e dei loro cari, con ulteriori incomprensibili vessazioni come la sospensione dei colloqui, il divieto di incontro e in alcuni casi l’isolamento totale. Tutto questo prima ancora di un processo, perché sono “pericolosi” grazie a un’interpretazione giudiziaria che non trova riscontro nei fatti.
Questa lettera si rivolge:
Ai giornali, alle Tv, ai mass media, perché recuperino il loro compito di informare, perché valutino tutti gli aspetti, perché trobino il coraggio di indignarsi di fronte al paradosso di una persona che rischia una condanna durissima non per aver trucidato qualcuno ma perché, secondo l’accusa, avrebbe danneggiato una macchina o sarebbe stato presente quando è stato fatto..
Agli intellettuali, perché facciano sentire la loro voce. Perché agiscano prima che il nostro Paese diventi un posto invivibile in cui chi si oppone, chi pensa che una grande opera debba servire ai cittadini e non a racimolare qualche spicciolo dall’Ue, sia considerato una ricchezza e non un terrorista.
Alla società intera e in particolare alle famiglie come le nostre che stanno crescendo con grande preoccupazione e fatica i propri figli in questo Paese, insegnando loro a non voltare lo sguardo, a restare vicini a chi è nel giusto e ha bisogno di noi.
Grazie
I familiari di Chiara, Claudio, Mattia e Niccolò