Italia-Usa: accordo Carabinieri-Pentagono per operazioni di pace

FEB 2014

(AGI) – Washington, 3 feb. – E’ stato siglato oggi a Washington un “Memorandum of Understanding” tra l’Arma dei Carabinieri del Ministero della Difesa Italiano e l’OUSD Personnel & Readiness del Pentagono per avviare una collaborazione nell’addestramento di personale inviato nelle operazioni di pace. Lo ha reso noto l’ambasciata d’Italia a Washington. Firmatari dell’accordo il Capo di Stato Maggiore del Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri, Generale di Divisione Ilio Ciceri e Frank DiGiovanni, OUSD Personnel and Readiness – Director, Force Readiness and Training del Pentagono. Obiettivo del MOU e’ favorire la partecipazione e la collaborazione ad esercitazioni e programmi di formations e istruzione sviluppati dall’Arma dei Carabinieri anche per il tramite del Centro di Eccellenza per le Stability Police Units (CoESPU) di Vicenza e dal Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti, con particolare riferimento ad operazioni di Polizia di Stabilita’; “mentoring” dei Ministeri dell’Interno dei paesi interessati alla cooperazione; consulenza ed addestramento delle Unita’ delle Forze di Polizia; dottrina e sviluppo delle procedure operative. “Si tratta di un’intesa importante – ha detto l’Ambasciatore d’Italia negli USA, Claudio Bisogniero, presente alla cerimonia di firma al Pentagono – che conferma il forte apprezzamento per le attivita’ addestrative gia’ realizzate dall’Arma dei Carabinieri in teatri di crisi quali l’Iraq e l’Afghanistan”. Secondo l’ambasciatore, questo accordo favorira l’ulteriore sviluppo del CoESPU che rimane un ottimo esempio di collaborazione tra Stati Uniti e Italia. “L’intesa – ha sottolineato il generale Ciceri, Capo di Stato Maggiore del Comando Generale dell’Arma dei Carabinieri, subito dopo la firma del Memorandum – suggella un pluriennale rapporto di collaborazione e amicizia con le Forze Armate degli Stati Uniti d’America ed e’ momento di avvio di una piu’ organica ed intensa cooperazione per il futuro. Collaborazione che ci vede anche impegnati con il Dipartimento di Stato USA nella formazione di peacekeepers attraverso il Centro di Eccellenza per le Unita’ di Polizia di Stabilita’ di Vicenza. (AGI) .

http://www.agi.it/estero/notizie/201402032203-est-rt10272-italia_usa_accordo_carabinieri_pentagono_per_operazioni_di_pace

Investimenti non etici, Deutsche Bank mette banca israeliana nella sua lista nera

vedremo le ripercussioni contro Deutsche Bank
Pesano le attività in Cisgiordania di Poalim Bank. Netanyahu: “La cosa più riprovevole è di vedere persone sul suolo dell’Europa parlare del boicottaggio di ebrei”
di Redazione Il Fatto Quotidiano | 18 febbraio 2014
Deutsche Bank ha incluso l’israeliana Poalim Bank in una lista di società che costituiscono un investimento problematico dal punto di vista etico. Lo riferisce il quotidiano locale Maariv secondo il quale l’istituto israeliano si trova in un elenco di sedici compagnie, tra le quali figurano alcune impegnate in traffici di armi. Lunedì 17 il premier israeliano Benyamin Netanyahu aveva affermato che il boicottaggio economico di Israele è una forma di antisemitismo.

Maariv precisa che la Poalim Bank è stata inclusa nella lista nera compilata da una società esterna a Deutsche Bank a causa delle sue attività in Cisgiordania. Fra le compagnie per le quali sussistono questioni etiche figurano anche Lockheed Martin, Northtrop e Nissan. Lunedì incontrando a Gerusalemme dirigenti di organizzazioni ebraiche statunitensi, Netanyahu aveva detto: “La cosa più riprovevole è di vedere persone sul suolo dell’Europa parlare del boicottaggio di ebrei. E’ un fenomeno oltraggioso… In passato gli antisemiti boicottavano esercizi di proprietà ebraica, adesso invocano il boicottaggio dello Stato ebraico, e del solo Stato ebraico”. Netanyahu aveva diretto in particolare le sue critiche contro i membri del movimento Bds (che sostiene il disinvestimento in Israele) qualificandoli “antisemiti con panni moderni”.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2014/02/18/investimenti-non-etici-deutsche-bank-mette-banca-israeliana-nella-sua-lista-nera/885125/

Ingegnere, responsabile degli F35, ucciso dalla polizia.

Uno strano caso e di cui non si è parlato (perlomeno in Italia): Eugene Robert Mallory, ingegnere di 80 anni, aveva curato l’impianto elettronico degli F35 ed ovviamente ne conosceva i difetti. L’articolo spiega le sospette modalità dell’uccisione avvenuta nel giugno 2013.

La polizia dichiara:
1. Di aver fatto irruzione nella sua casa per una segnalazione di odore di metanfetamina ed altri prodotti chimici
2. Che l’ingegnere abbia puntato contro di loro un’arma da fuoco e loro lo abbiano ucciso per difendersi
3. Che deteneva marijuana ed un’attrezzatura per coltivarla

La moglie dichiara che:
1. Il marito era a letto ed in pessime condizioni di salute
2. Il marito non riusciva a tenere in mano nemmeno il rasoio
3. Intenta una causa da 50 milioni di dollari

I fatti:
1. Mallory aveva lavorato per 40 anni alla Lockeed Martin
2. Con una clearance di altissimo livello
3. Si è occupato – tra le altre cose – dell’elettronica dell’F35…
Tonya Pate, vedova di Eugene Robert Mallory, ha da poco intentato causa contro il Dipartimento di Los Angeles per l’uccisione del marito. Chi era Eugene Robert Mallory?

Amici e colleghi lo ricordano come un uomo gentile e coscienzioso che, stando alla moglie, aveva sempre manifestato un senso di gratitudine per i veterani e gli uomini della polizia.
Eugene era un ingegnere in pensione che aveva lavorato alla Lockheed Martin, l’azienda impegnata nel settore della sicurezza ed aerospaziale [e nella progettazione e produzione degli F35, ndt]
Chi era il sospettato?
Era andato in pensione a 74 anni quando la sua vista era calata ad tal punto da impedirgli di lavorare.

Il suo lavoro alla Lockheed Martin richiedeva la “top security clearance” del governo USA. Grazie alla sua ineccepibile condotta, in tutti gli anni di lavoro alla Lockheed Martin – e sono stati oltre 40 – non ha mai avuto la minima difficoltà a mantenere tale altissimo livello di accesso di massima sicurezza.
Alla rispettabile età di 80 anni, Eugene non godeva di grossa salute ed era anche convalescente a causa di un intervento chirurgico. Aveva dovuto smettere di guidare perché non riusciva più ad avere una presa sufficiente sul volante. Stando alla moglie, il marito non aveva più la capacità manuale nemmeno per radersi.
Un raid in perfetto sitle SWAT

La mattina del 27 giugno, uomini della narcotici di Los Angeles (LASD) entrano in azione su segnalazione di un loro funzionario; secondo la segnalazione, dal piccolo appartamento di Littlerock proveniva odore di metanfetamine e di altre sostanze chimiche. Gli uomini della narcotici entrano nella camera da letto di Eugene. Stando alle loro dichiarazioni, il sospettato impugnava una pistola calibro 22. Gli uomini della narcotici fanno fuoco andando a segno con 6 colpi ed uccidendo l’ingegnere nel suo letto.

In una dichiarazione diffusa dalla KPCC (Southern California Public Radio), Peter Gomez – dell’Ufficio dello Sceriffo – ha dichiarato: “sono state recuperate dalla scena del crimine armi, marijuana e l’attrezzatura per coltivarla di proprietà del sospettato”.

È importante sottolineare che la “scena del crimine” si trovava in una multi-proprietà nella quale Mallory non era l’unico residente ma era l’unica persona presente quando la polizia ha fatto irruzione in perfetto stile SWAT.

Secondo il nostro parere, è veramente arduo immaginare che questo ingegnere di 80 anni, che per 40 ha goduto di una clearance di massima sicurezza, con un curriculuum professionale immacolato ed un gran rispetto per esercito e polizia… abbia provocato un conflitto a fuoco con le forze dell’ordine.

Le circostanze che circondano la tragica uccisione di Eugene Mallory sollevano ovvi dubbi, il primo dei quali riguarda la sua reazione violenta descritta dagli uomini della polizia di Los Angeles. Difficile credere al loro rapporto stando al quale quest’uomo di 80 anni, degente a letto e che non riusciva né ad impugnare un volante né a radersi, avrebbe puntato una pistola contro gli agenti entrati in casa sua in un modo così rapido e minaccioso da lasciar loro solo il tempo per freddarlo.

Fonte > bergenerlawhttp://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=Forums&file=viewtopic&t=67984

Tav: da M5S un ddl in Senato per identificare forze ordine

Depositato DDL su codice identificativo FF.OO!

TORINO
(ANSA) – TORINO, 18 FEB – Il Movimento 5 Stelle ha presentato in Senato un ddl per adottare misure che permettano di identificare gli elementi delle forze dell’ordine durante i servizi di ordine pubblico. Il primo firmatario è Marco Scibona, della Valle di Susa, vicino al Movimento No Tav, al quale si sono associati trentuno colleghi del gruppo. Si prevede, fra l’altro, l’adozione di un codice identificativo.

 

Tav-Giunta decaduta articola sui giornali, 10 Mln per Tav

http://www.tgvallesusa.it/?p=5573

SCRITTO DA: VALSUSA REPORT – FEB• 18•14

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È di oggi la notizia che la giunta decaduta del presidente Cota spazza con un colpo a effetto e “regala” dieci milioni di euro alla Val di Susa. Ecco come le frange estreme dell’antagonismo comprano le elezioni.

La Giunta regionale del Piemonte è ormai decaduta per voler di Stato. Il Consiglio di Stato ha respinto l’ultimo ricorso di Roberto Cota  contro la sentenza del Tar che annullava le elezioni del 2010. Ha così confermato l’irregolarità delle consultazioni per la partecipazione eversiva di una lista (Pensionati per Cota), presentata con l’uso di firme false. Sancito così l’azzeramento dell’Assemblea regionale e il ritorno al voto da ieri giorno della ratifica ufficiale, il presidente resta in carica solo per gli atti improrogabili e urgenti.

“Si tratta dell’estremo tentativo di far digerire una Grande Opera inutile alla popolazione valsusina, convinti di poter comprare in questo modo qualche briciola di consenso elettorale in vista delle imminenti votazioni regionali e comunali di Susa” dirà Davide Bono del M5S. Il Presidente decaduto con un’integrazione di 10 milioni di euro allo sviluppo dell’imprenditoria della valle di Susa. Per le attività produttive destinata alle imprese piemontesi interessate dalla realizzazione di grandi infrastrutture, sarà gestita da Finpiemonte.

“Risponde alla concretezza e al lungo percorso di confronto e condivisione intrapreso, insieme all’Osservatorio Torino-Lione, con gli attori economici, gli enti locali e le associazioni della valle – replica Roberto Cota -. La nuova misura non comporta oneri sul bilancio regionale e si inserisce nell’Asse 1 ‘Competitività delle imprese”, le risorse vengono trasferite a titolo di anticipazione provvisoria dalle risorse a valere sulla sezione emergenze del ‘Fondo regionale per lo sviluppo e la qualificazione delle piccole imprese’ e potranno poi essere restituite, utilizzando i fondi statali stanziati a titolo di compensazione.

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Dunque saranno prestati i soldi da Finpiemonte e verranno restituiti con i fondi delle compensazioni alla Torino-Lione. Si fa subito sentire il Movimento 5 Stelle in una nota del consigliere regionale Davide Bono. “Queste risorse, ai sensi della legge regionale 34/2004, sono risorse regionali o europee cofinanziate (anche se Cota prova a mentire nuovamente dicendo che non hanno oneri per le casse della Regione), che, a quanto apprendiamo dalle agenzie di stampa, costituirebbero un anticipo di cassa per i fondi di cui alla l.r. 4/2011, la legge bluff a titolo ‘Promozione di interventi a favore dei territori interessati dalla realizzazione di grandi infrastrutture. Cantieri – Sviluppo – Territorio’.  Tale legge rappresenta il simbolo dell’inciucio tra destra e Pd, che forzarono il regolamento contro il M5S che resisteva ad oltranza all’approvazione di una legge truffa che alla fine destinò soli 200.000 € alla Valsusa, spesi in volantini informativi!! Dove sono i soldi a copertura dunque? – continua nella nota – Ci sarà da stare ben attenti, per questo chiederò quanto prima al Tar, al Consiglio di Stato e al Ministero dell’Interno di esprimersi sulla regolarità di queste azioni, tutto fuorché improrogabili ed urgenti”.

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Balza subito all’occhio la nuova frase istigatrice del presidente dell’Osservatorio Mario Virano, intervenendo alla presentazione del libro di Mino Giachino Logistica e Trasporti: “La Torino-Lione e’ una sfida politica di primo livello, di rilievo nazionale e internazionale e come tale va vissuta. Non farla farebbe prevalere tutti i localismi, i settorialismi, gli interessi particolari”.

Nulla di nuovo a detta di molti, se si tratta di atti improrogabili e urgenti allora l’area di supporter e antagonista del Tav azzarda un nuovo spot elettorale. È sperabile che le persone siano ormai  in grado di smascherare i messaggi oltranzisti dell’ala politicoinsurrezionalista promotrice delle Grandi Opere, e chieda a gran voce più welfare – giunge l’eco dalla Valle.

Perugina, chiesta Cig per 867 dipendenti

seguendo la logica Elkann, questi lavoratori improvvisamente, dopo anni di servizio, si sono impigriti e sono diventati choosy. Per cui è colpa loro

Cassa integrazione per tutti gli 867 dipendenti a tempo pieno (con gli stagionali si arriva a un migliaio), alla Perugina Nestlè di San Sisto, a Perugia, la fabbrica dei Baci: questa la richiesta dell’azienda «unilateralmente» decisa e comunicata ai lavoratori che al termine delle assemblee di fabbrica, il 17 febbraio hanno affidato ai sindacati un pacchetto di otto ore di sciopero, oltre alla proposta di contratti solidarietà, al posto della Cig.

IMPROBABILE BLOCCO DELLA PRODUZIONE. Da subito è partito anche lo stato di agitazione permanente nello stabilimento perugino. Secondo fonti sindacali, la richiesta di cassa integrazione andrebbe da zero ore a una riduzione di orario, ma non è ancora chiara la sua distribuzione sull’organico. I sindacati non temono comunque al momento un blocco della produzione, ma «l’esame congiunto», già richiesto all’azienda dalle organizzazioni, deve ancora cominciare.

GRECO (RSU): «MANCA PARTE DI STRATEGIA». La mancanza della «parte strategia» perché l’ammortizzatore «non sia fine a se stesso» è ciò che preoccupa di più secondo Michele Greco, coordinatore della Rsu della Perugina. «Siamo consapevoli della gravità della crisi in essere», hanno riferito, in una nota congiunta, Flai-Cgil, Fai-Cisl, Uila-Uil e Rsu, «ma siamo altrettanto consapevoli che i suoi effetti sono amplificati oltremodo dalla mancata reazione, attraverso scelte industriali coraggiose e investimenti, da parte del management italiano. Per questo non riteniamo accettabile scaricare in modo superficiale le conseguenze di questa situazione esclusivamente sul salario dei lavoratori, attraverso l’utilizzo di un ammortizzatore passivo e difensivo quale è la cassa integrazione».

«SERVE UNA PROSPETTIVA SERIA». Secondo sindacati e lavoratori, il contratto di solidarietà (applicato anche nel 2013), al contrario presuppone un accordo su un piano industriale «che deve dare una prospettiva seria. L’atteggiamento di Nestlé e la mancanza di un guida forte a livello di direzione azienda non offrono al momento queste garanzie».

Fonte: www.lettera43.it
18.02.2014

Mauro Moretti ministro?

C’è un limite all’orrore che non bisognerebbe mai varcare. Il nome di Mauro Moretti, amministratore delegato delle Ferrovie dello stato, a giudizio con altri per la strage di Viareggio (32 morti) e responsabile della distruzione della rete ferroviaria italiana (progressivamente ridotta per concentrarsi solo sull’alta velocità), è sui giornali come possibile ministro delle infrastrutture.

Questa la reazione dei familiari delle vittime della strage di Viareggio.

*****

AL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO – MATTEO RENZI

A TUTTI I MEDIA

Stamani, di ritorno dal cimitero, ho appreso la notizia; Renzi potrebbe volere in squadra Mauro Moretti quale ministro delle Infrastrutture e dello Sviluppo.

Noi familiari non potevamo non avere un’altra mazzata tra capo e collo ed oggi è toccato a Renzi darcela!
Eppure con Matteo Renzi ci siamo incontrati qui a Viareggio in occasione delle elezioni del nostro Sindaco e a Firenze in occasione dell’ultima manifestazione nazionale di “Libera”; in entrambe le occasioni mi ha personalmente espresso la Sua vicinanza al nostro dolore incoraggiandoci ad andare avanti e non mollare…..

Eppure, dalla tv e dai giornali vedo che è la solita persona, l’ex Sindaco di Firenze…

Non lo faccia, smentisca subito questa aberrante ipotesi, l’ipotesi che un IMPUTATO per la morte di 32 persone bruciate vive nella sicurezza delle loro case (non dimenticando le altre imputazioni e 47 operai morti sui binari per mancanza di sicurezza dal 2007 ad oggi) vada a ricoprire il Ministero delle Infrastrutture!!!

Ma come si fa a pensare una cosa del genere? E’ uno scherzo di Carnevale?

No, è un incubo, perchè come cambia il Premier viene sempre fuori questa cosa…..come mai? Perchè?

Caro Matteo Renzi, non si azzardi neanche a pensare di fare questa cosa, è così offensivo per noi ma soprattutto per i nostri figli morti che è impensabile.

E che non ci vengano a dire che è solo frutto di un giornalismo in cerca della grande notizia: non ci interessa, nessuno deve neanche osare pensare Moretti Ministro!

Voi del PD ad agosto avete “scelto” di mantenerlo ancora AD di Ferrovie, quelle ferrovie che preferiscono pagare tanti soldi ai familiari dei morti anziché fare sicurezza sui binari;

voi del PD avete “scelto” di non stare al nostro fianco e di prendervi i soldi nel processo appena iniziato, logica e lineare conseguenza a quanto detto prima!

Ma il Pd è fatto di UOMINI e per fortuna qui a Viareggio, ed in primis il Presidente della nostra provincia (Lucca, se non lo sapesse) e la senatrice Granaiola sono due persone speciali, e Lei?

A questo punto non lo so, tocca a Lei dirmelo.

In attesa di un Suo riscontro, Le chiedo comunque un colloquio con noi, colloquio che Letta non ci ha mai concesso….che strano questo PD!

La presidente

Daniela Rombi
http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=Forums&file=viewtopic&t=67956


GMT : come gli Stati Uniti continueranno a fare a pezzi l’Europa

Traduzione a cura de “L’Intellettuale Dissidente”.
DI DAMIEN BONDAVALLI · 18 FEBBRAIO 2014Traduzione a cura di Damien Bondavalli

Il grande mercato transatlantico, gigantesca zona di libero scambio tra l’Europa e gli Stati Uniti, è il grande progetto del momento. Ma i media ne parlano poco. Come mai ?

Perché l’opinione pubblica è tenuta in disparte, e i negoziati si svolgono a porte chiuse. È tuttavia un affare enorme. Si tratta di mettere in opera, procedendo ad una deregolamentazione generalizzata, un’immensa zona di libero scambio, corrispondente ad un mercato di più di 800 milioni di consumatori, alla metà del PIL mondiale ed al 40% degli scambi mondiali. Il progetto porta il nome di « Partnership transatlantica di commercio e di investimenti. ». Aggiungendosi alla « Partnership transpacifica » lanciato nel 2011 dagli Stati Uniti, mira a creare la più grande zona di libero scambio del mondo grazie ad una vasta unione economica e commerciale che darebbe vita al progetto di una ” nuova governance” comune ai due continenti.

Creando una sorta di NATO economica, l’obiettivo degli americani è di togliere alle altre nazioni il controllo dei loro scambi commerciali a favore di multinazionali in maggior parte controllate dalle loro élite finanziarie. Parallelamente, vogliono contenere la crescita della Cina, diventata il primo paese esportatore mondiale oggi. La creazione di un grande mercato transatlantico offrirebbe agli americani un partner strategico suscettibile di far cadere gli ultimi poli industriali europei. Permetterebbe di smantellare l’Unione Europea a vantaggio di un’unione economica intercontinentale, cioè relegare definitivamente l’Europa ad un grande insieme « oceanico » separandola dalla sua parte orientale e da qualsiasi legame con la Russia.

Questi negoziati si svolgono nelle alte sfere, senza chiedere l’avviso dei governi . Nuova disfatta della politica?

La « liberalizzazione » totale degli scambi commerciali è un vecchio obiettivo degli ambienti finanziari e liberali. Il progetto di un grande mercato transatlantico è maturato discretamente per più di vent’ anni dietro le quinte del potere, sia a Washington che a Bruxelles. I primi negoziati ufficiali si sono aperti l’8 luglio 2013. Un secondo e terzo round di discussione ha avuto luogo a novembre e dicembre scorsi. Una nuova riunione è prevista a Bruxelles a marzo. I partner sperano di giungere ad un accordo entro 2015. I governi europei non partecipano alle discussioni che sono condotte esclusivamente dalle istituzioni europee. In compenso, le multinazionali sono strettamente associate.

Sapendo che in questo momento, 2,7 miliardi di beni e di servizi si scambiano già ogni giorno tra l’Europa e gli Stati Uniti, la soppressione degli ultimi diritti di dazio cambierà veramente qualcosa ?

La soppressione dei diritti di dazio non avrà effetti macro-economici seri, tranne nel campo del tessile e del settore agricolo. Molto più importante è l’eliminazione programmata di ciò che chiamiamo « barriere non tariffarie » (BNT), vale a dire l’insieme delle regole che i negoziatori vogliono far sparire perché costituiscono tanti « ostacoli alla libertà del commercio » : norme di produzione sociale, salariale, ambientale, sanitaria, finanziaria, economica, politica, ecc…  L’obiettivo di allinearsi al « più alto livello di liberalizzazione che esista », « l’armonizzazione » sarà raggiunto tramite l’allineamento delle norme europee alle norme americane.

Nel campo agricolo, per esempio, la soppressione dei BNT dovrebbe portare l’arrivo massivo sul mercato europeo dei prodotti a basso costo dell’agrobusiness americano : manzo agli ormoni, carcasse di carne spruzzate di acido lattico, polli lavati con la clorina, OGM, animali nutriti con farine animali, prodotti composti da pesticidi di cui l’uso è vietato, additivi tossici, ecc… In materia ambientale, la regolamentazione che limita l’industria agro-alimentaria sarà smantellata. In materia sociale, sono tutte le protezioni legate al diritto del lavoro che potrebbero essere rimesse in causa. I mercati pubblici saranno aperti « a tutti i livelli », ecc…

C’è qualcosa di ancora più grave. Una delle questioni più esplosive del negoziato riguarda la messa in vigore di un meccanismo di « arbitraggio delle controversie » tra Stati ed investitori privati. Questo meccanismo inteso come di « protezione degli investimenti » deve permettere alle imprese multinazionali ed alle società private di citare in giudizio ad hoc gli Stati o le collettività territoriali che farebbero evolvere la loro legislazione in un senso considerato come nocivo ai loro interessi o di natura tale da restringere i loro benefici, cioè ogni volta che le loro politiche di investimento sarebbero messe in discussione dalle politiche pubbliche, al fine di ottenere un risarcimento danni. La controversia sarebbe arbitrata in modo discrezionale da giudici o da esperti privati, fuori dalle giurisdizioni pubbliche nazionali o regionali. L’importo del risarcimento sarebbe potenzialmente illimitato, ed il giudizio reso non sarebbe suscettibile di nessun appello. Un meccanismo di questo tipo è già stato integrato all’accordo commerciale che l’Europa ha negoziato con il Canada recentemente.

Proprietà de ©L’Intellettuale Dissidente
http://www.lintellettualedissidente.it/gmt-come-gli-stati-uniti-continueranno-fare-pezzi-leuropa-alain-de-benoist/


Tecnica della rivoluzione colorata

Venezuela, Sochi, Vladimir Luxuria e altro
DI SEBASTIANO CAPUTO · 18 FEBBRAIO 2014

Il primo a coniare l’espressione “Tecnica del colpo di Stato” fu lo scrittore italiano Curzio Malaparte nel suo saggio pubblicato nel 1931 in Francia. L’idea di realizzare un’opera che tracciasse una teoria generale (e universale) sulla conquista del potere gli venne negli Anni Venti quando, addetto culturale presso l’ambasciata italiana a Varsavia, assistette in prima persona all’assedio dell’Armata Rossa governata da Trotskij che tentò, invano, di espugnare la città. Un testo tagliente, un’analisi impietosa, che coglie il fenomeno “rivoluzionario” – prescindendo dalle ideologie -, come il rovesciamento di un sistema politico volto all’edificazione di un nuovo ordine. Nel mondo occidentale sono emersi secondo lo scrittore toscano i “professionisti del colpo di Stato”, uomini capaci di sovvertire il sistema e imporne uno nuovo qualunque sia il Paese di riferimento, che sia retto dall’anarchia oppure da un regime estremamente stabile. La rivoluzione è un processo che si porta a termine in rapporto alla capacità, volontà, organizzazione e determinazione delle forze rivoluzionarie. Questa è la tesi di Malaparte.

I vertici statunitensi dopo lo smantellamento dell’Unione Sovietica hanno fatto tesoro del manoscritto malapartiano rinnovandone il pensiero (da “tecnica del colpo di Stato” hanno idato una sorta di “tecnica della rivoluzione colorata”) in un mondo moderno retto dai mass media e la tecnologia. Secondo i neocon per legittimare il ribaltamento di un governo sfavorevole ai propri interessi ed insediarne uno funzionale all’ordine occidentale è necessario far montare la protesta falsamente dal basso e calare l’homo novus velatamente dall’alto. Una forma d’imperialismo mascherato che si articola su alcuni elementi imprescindibili come le organizzazioni non governative promotrici della democrazia, gli intellettuali di regime, gli studenti, i mass media, il “marketing rivoluzionario” e i servizi segreti. I primi laboratori di queste “rivoluzioni colorate” sono state le nazioni post-sovietiche: dal 1989 all’attuale crisi ucraina si sono registrati infatti una serie di capovolgimenti estremamente simili tra loro (ancora più rilevanti sono i nomi assegnati dalla stampa e storiografia occidentale). Tra queste c’è la rivoluzione di velluto in Cecoslovacchia (novembre-dicembre 1989), la rivoluzione del 5 ottobre in Serbia (2005), la rivoluzione delle Rose in Georgia (2003), la rivoluzione Arancione in Ucraina (2004), la rivoluzione dei Tulipani in Kirghizistan (2005). Altre “rivoluzioni colorate” si sono poi registrate in altri Paesi, riuscendo in maniera parziale o fallendo completamente ad esempio la purple revolution in Iraq nel 2003, la rivoluzione dei Cedri in Libano (2005), la rivoluzione Verde in Iran (2009), o ancora le recenti primavere arabe in Nordafrica e Medio Oriente.

La tecnica della “rivoluzione colorata”, come gli obiettivi del resto (destabilizzare o capovolgere una nazione sovrana scomoda all’ordine occidentale), è sempre la stessa: le organizzazioni non governative (Amnesty International, Ocse, ecc.) pilotate e finanziate dagli istituti finanziari occidentali (Soros Foundation, ecc.) trovano il pretesto per alimentare lo scontro (brogli elettorali come in Ucraina nel 2004 oppure l’omofobia di Vladimir Putin ai giochi invernali di Sochi). I mass media creano consenso nel blocco statunitense, delegittimano il presidente di turno (Saddam, Putin, Bashar Al Assad, ecc.), e il più delle volte lo dipingono come un sanguinario. Le associazioni studentesche “chiedono” riforme attraverso un marketing politico sottile: si costruiscono di fatto attorno a un colore, un logo ben identificabile e slogan evocativi e sessantotteschi (“Otpor!” in Serbia che significa “Resistenza!”), in maniera da rendere le manifestazioni di grande impatto (vedi in Iran o attualmente in Venezuela). Gli intellettuali e le personalità di regime arrivano in soccorso dei “rivoltosi” per dare “autorevolezza” ai sollevamenti (vedi la recente visita del filosofo francese Bernard Henri Levy a Kiev in sostegno dei manifestanti pro-Ue, l’atto provocatorio dell’ex deputato italiano Vladimir Luxuria a Sochi, l’esaltazione delle “Pussy Riot” in Russia). Infine dopo le manipolazioni interne, le pressioni di governo e il martellamento mediatico, i “tecnici della rivoluzione” passano la palla, se necessario, ai servizi segreti (Golpe in Venezuela contro Chavez nell’aprile del 2002) alle Nazioni Unite (caso siriano) o alla Nato (Libia di Gheddafi). Il piatto (riscaldato) è servito, la pianificazione del nuovo ordine rivoluzionario è in atto.
http://www.lintellettualedissidente.it/tecnica-della-rivoluzione-colorata/


Cgil: cercasi Susanna disperatamente

Conferenza stampa del segretario della CGIL Camusso
Susanna Camusso alle prese con i grattacapi creati da Fiom e dalla totale incapacità di difendere il lavoro in Italia
 
Milano, 16 feb – Schiaffoni, spintoni e  pugni: si è scatenata una vera rissa, tra i delegati della Cgil e una decina di esponenti della Fiom, durante l’incontro dal titolo “Estendere gli accordi su democrazia e rappresentanza a tutti i luoghi di lavoro” dove era peraltro presente Susanna Camusso. Il motivo: non invitati i rappresentanti della Fiom, guidati da Giorgio Cremaschi hanno fatto irruzione perchè volevano intervenire all’incontro con un loro rappresentante,  ma la Cgil si è opposta ed è finita con la violenza fisica.
Susanna  Camusso non ha fatto nulla per dar voce a quelli della Fiom, i quali  hanno annunciato tramite Cremaschi di procedere con una denuncia alla Procura della Repubblica per la violenza subita.
Al di là di questo raccapricciante episodio, che la dice lunga sulla condizione in cui versa il più grande sindacato italiano – e vista più in generale, sullo strappo politico che si sta consumando a sinistra tra i massimalisti da un lato, legati ad un’ideologia, e la larga base dall’altra, ancorata alla deriva liberista del Pd – ciò che sconcerta è la totale ignavia e leggerezza con cui i vertici di Cgil stanno affrontando la dissoluzione delle realtà produttive e industriali del paese.
 
L’ultima in ordine di tempo è legata ad altri 200 lavoratori della Memc-SunEdison, azienda leader mondiale nel settore del silicio, che ha deciso di delocalizzare la produzione in Arabia Saudita. Sulla scia del caso Electroluxanche in questo caso si era inizialmente chiesto ai lavoratori di decurtare una parte dello stipendio pena l’obbligo di abbattere i costi traslocando la filiera produttiva.
 
Ricatti, ai danni di chi lavora, che appaiono sempre più diffusi e affrancati da qualsivoglia controllo da parte delle istituzioni. Ma ciò che più irrita è l’atteggiamento di Susanna Camusso, tra il chi vorrebbe ma non può, o per meglio inquadrare la situazione, la più canonica delle attitudini che la Cgil ha da sempre mostrato tutte le volte che il Pd, e tutte le sue precedenti incarnazioni, era alla guida del governo: vietato disturbare il manovratore.
 
Eppure di carne al fuoco per portare in piazza centinaia di migliaia di persone ce n’è in abbondanza di questi tempi. Il quasi prossimo presidente del consiglio, Matteo Renzi, ha più volte fatto capire di voler mettere mani, pesantemente, nel mondo del lavoro, anche cancellando l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. In Cgil, a parte qualche isolata critica, e a parte l’ala più massimalista, tutto sembra apparire placido e calmo. Manca una visione d’insieme, cosa che del resto pervade tutta la sinistra italiana da sempre, ma manca soprattutto una profonda e meditata critica all’attuale modello economico. Si avverte l’assenza di giudizio su quei meccanismi che stanno portando l’Italia alla deindustrializzazione e alla conseguente miseria salariale. E allo stato attuale sono 160 le crisi aziendali aperte di cui nessuno si sta occupando fattivamente.
 
Susanna Camusso dietro l’atteggiamento a volte sornione, nasconde l’eterno ruolo di mediatore per conto di una sola parte politica e questo è una delle principali cause per le quali il primo sindacato italiano abbia perso iscritti e credibilità negli ultimi lustri. La Cgil, in sostanza, è come un esercito di riserva da mostrare in piazza in occasione delle feste comandate o per fare pressione nei confronti dei precedenti governi berlusconiani, ma assolutamente incapace di dare dignità a chi produce ricchezza con il sudore della propria fronte.
 
Giuseppe Maneggio