Belgio, i profughi afghani in esilio a Bruxelles. Sono 200 rifugiati. Vivono in una chiesa. In attesa di un asilo che non arriva. «Immaginavamo una Ue giusta. E invece…».

la Ue dell’eguaglianza e dell’accoglienza. la Ue che minaccia la Svizzera che non fa parte della Ue per imporre regole che AD ALCUNI PAESI MEMBRI concede facoltà di violare. L’onere dell’accoglienza deve gravare solo su alcuni paesi ed altri sono esonerati? Sarebbe in linea con la Ue dei due pesi e due misure e mi fa piacere che si deve pure votare chi difende QUESTA EU (DIRE CHE SI PUO’ RIFORMARE è prendere in giro deliberatamente gli elettori). Si vede che un paese con governo socialista si può permettere di rispedire IN GUERRA i cittadini afgani. Non oso pensare l’avesse fatto l’Italia
di Antonietta Demurtas

Bruxelles, capitale dell’Unione europea, che manda le proprie truppe nella Repubblica Centrafricana per fermare massacri, non riesce a fare in casa quello che promette di fare fuori: aiutare chi scappa dalla guerra.
Lo sa bene un gruppo di oltre 200 afghani, di cui 40 bambini, che da ottobre 2013 vive in una chiesa nel centro della città. Al buio, senza riscaldamento, con solo due servizi igienici, qualche stufa a gas e il cibo che i volontari offrono loro ogni giorno, aspettano di essere riconosciuti, protetti, aiutati.
IRREGOLARI DA 5 ANNI. Invece da quando sono arrivati in Europa sono sans papier: irregolari, ombre che vivono nelle città del Belgio. Alcuni sono ‘sbarcati’ qui con le loro famiglie cinque anni fa e da allora è stata una continua lotta con le autorità. Ma finora le loro richieste di asilo o almeno di protezione sussidiaria sono state negate.
Anche se sono fuggiti dall’Afghanistan, terra di guerra. Anche se molti di loro, ben 30 famiglie, sono di origine sikh e quindi perseguitati in patria per il loro credo religioso. Nonostante siano tutti scappati da un Paese nel quale il conflitto iniziato all’indomani della tragedia delle Torri Gemelle non è mai davvero finito, ma solo diventato invisibile. Come loro.
VIVONO IN TENDE DENTRO UNA CHIESA. Sono la resistenza afghana nel cuore dell’Europa. Si sono spostati da altre città del Belgio: Binche, Charleroi, Aalst. E hanno montato piccole tende dentro la chiesa di Béguinage, a pochi passi dalla centrale piazza di Sainte Catherine, a Bruxelles, che padre Daniele Alliet ha messo a loro disposizione.
Per mesi hanno occupato spazi cittadini, hanno organizzato sit-in davanti alle istituzioni, manifestazioni per le vie della città, hanno marciato dal nord al sud del Paese. A dicembre hanno incontrato il primo ministro Elio Di Rupo e anche alcuni parlamentari europei.
LE RICHIESTE DI ASILO REITERATE. Ma poco o niente è stato risolto. «Alcuni hanno chiesto l’asilo già quattro o cinque volte», racconta a Lettera43.it Damienne Martin dell’Ong Cirè, che a Bruxelles insieme con altre associazioni e sindacati sta cercando di aiutare il gruppo di afghani.
Dopo l’incontro con Di Rupo, tutti hanno fatto un’altra richiesta: per ora sono state prese in esame solo quelle fatte dalle famiglie che vivono nella chiesa. «Mentre la loro domanda viene analizzata, hanno un diritto temporaneo di permanenza», spiega Damienne, «e fino ad allora vengono accolte nei vari centri di accoglienza». Marwa: «Se non posso avere riconosciuti i miei diritti nel cuore dell’Europa, dove?»

L’attesa però questa volta rischia di essere ancora più lunga: in tempo di elezioni il tema immigrazione scotta nelle mani del governo socialista belga, che teme di fare concessioni agli afghani e dare alla destra un motivo in più per vincere a maggio.
MA AL BELGIO CONVIENE IL RIMPATRIO. Sinora nemmeno la sensibilizzazione da parte di alcuni parlamentari europei è servita: il capo del gruppo Gue (Gruppo confederale della Sinistra unitaria europea), la tedesca Gabi Zimmer, ha scritto una lettera che ora sta girando tra gli eurodeputati. «Nel 2012, il Belgio è stato condannato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo per aver tentato di sfrattare i membri della minoranza religiosa sikh afghana», si legge nella missiva. L’invito è pertanto a non «negare che essi sono fuggiti da un conflitto armato in un Paese dove la loro sicurezza è seriamente a rischio».
Una richiesta che difficilmente sarà accolta dal ministro dell’Interno belga. L’Unione europea offre agli Stati membri 6 mila euro per ogni rifugiato riconosciuto, ma i governi spesso preferiscono il rimpatrio perché, spiega Damienne, «sanno che tenerli nel Paese costerebbe molto di più».
1.300 RICHIESTE DI ASILO IN UN ANNO. Secondo l’Eurostat, nel 2013, 20 mila persone hanno chiesto asilo in tutta l’Ue. Oltre 1.300 in Belgio: «Di questi solo poco più del 50% ha ricevuto una sorta di status di protezione».
Per questo alcuni pensano che la presa in esame delle domande di asilo sia solo un escamotage per disunire il gruppo che vive nella chiesa. «Qui siamo ancora cinque famiglie», racconta a Lettera43.it Marwa, leader della protesta, che ha deciso di rimanere nella chiesa nonostante la possibilità di usufruire di uno spazio dentro un centro di accoglienza.
Il timore è quello di lasciare soli gli uomini senza una famiglia. A sei di loro è stata già negata l’ultima richiesta di asilo e adesso rischiano l’espulsione coatta. «Nel 2013, circa 50 sono stati rimpatriati», continua Damienne. E da gennaio 2014 «ogni settimana ne mandano via uno», aggiunge Marwa.
«ORMAI NON CREDO PIÙ ALLE PROMESSE». Tra questi c’è Wahidhulle Akbayi, 24 anni: era scappato dall’Afghanistan con la fidanzata, che ora è rimasta sola in Belgio. «L’hanno rimpatriato ma non so dove sia», dice la ragazza a Lettera43.it mentre tiene in mano un cellulare come se da un momento all’altro potesse ricevere una sua telefonata. «Non so se è in pericolo, sto impazzendo».
Nella chiesa di Béguinage la disperazione è un sentimento comune che si mescola alla rabbia: Marwa, a 26 anni, con il marito e due figli di quattro e sei anni continua a lottare: «Se non posso avere riconosciuti i miei diritti qui, nel cuore dell’Europa, non potrò averli da nessun’altra parte. Nelle promesse però non ci credo più». Soprattutto a quelle di Maggie De Block, ministro dell’Immigrazione: «Basta guardarla in faccia per capire che è razzista, che non ci vuole qui».
Quaìs: «I politici ci usano: vengono qui e si fanno fotografare, poi spariscono»
Tre anni fa Quais Ahamadi insieme con la moglie Nilefay Nadeyi e la figlia Dilnia sono scappati dall’Afghanistan.

I 200 rifugiati sono ora in un vicolo cieco: «Senza documenti non ci possiamo muovere», racconta Marwa, scappata da Helmand cinque anni fa. Per volare in Belgio ha dovuto pagare 30 mila dollari: «Ci dissero che una volta qui sarebbe stato semplice ottenere l’asilo».
Invece adesso la ragazza è costretta a raccontare la sua odissea seduta su un vecchio matterasso sotto una tenda di nylon allestita dentro la chiesa, mentre il figlio di quattro anni, che è nato in Belgio, gioca tra scatoloni, valigie di abiti e rifiuti. «La mia unica casa è il Belgio. Il mio Paese è distrutto, quando sono partita c’era la guerra e tutta la mia famiglia è scappata».
LA SOLIDARIETÀ DEI CITTADINI. Ora Marwa può contare solo su qualche lavoretto in nero e sulla solidarietà della gente: «Siamo qui grazie all’aiuto dei belgi che ogni giorno ci portano cibo e vestiti, se fosse per i politici chissà dove saremmo».
Nei rappresentanti delle istituzioni non crede più nessuno: «Ci sentiamo usati», dice a Lettera43.it Quais Ahamadi, uno dei fondatori del gruppo di resistenza. «Vengono qui, dicono che ci aiuteranno, si fanno fotografare, ma ora dove sono?». Il ragazzo, 26 anni, è scappato tre anni fa dall’Afghanistan con la figlia di quattro anni Dilnia e la moglie Nilefay Nadeyi, che ora lo ascolta raccontare la loro storia mentre cucina una zuppa su una stufa a gas.
DA MAZAR-I-SHARIF A BRUXELLES VIA TERRA. Da Mazar-i-Sharif sono arrivati via terra: «L’abbiamo fatta a piedi, in calesse, in autobus, in treno», ricorda, «dall’Afghanistan all’Iran, dalla Turchia alla Grecia, dall’Italia alla Francia». Tutto pur di arrivare qui, la capitale dell’Unione europea, madre dei diritti.
Invece hanno trovato una matrigna. «Ogni volta che la richiesta di asilo ci veniva negata venivamo sbattuti fuori dai centri di accoglienza», racconta Quais, che alla fine ha deciso di creare un gruppo per non dover affrontare tutto da solo.
LO SPETTRO DEL RITORNO IN PATRIA. Ma, sottolinea, «qui nessuno di noi vuole fare politica, vogliamo solo lavorare». Davanti alla possibilità di essere rimandato in Afghanistan Quais trema: «Se fosse un posto sicuro che cosa ci farebbero tutti quei soldati? E il parlamento europeo perché ringrazia il Pakistan che accoglie circa 3 milioni di rifugiati afghani? Da che cosa scappiamo tutti noi se è così tranquillo?»
Oggi sono circa 2,7 milioni gli afghani che continuano a vivere in esilio.
L’unica cosa che Quais vuole è «una vita normale: voglio lottare per i miei diritti, ma non so più che cosa sia giusto fare».

Mercoledì, 12 Febbraio 2014

http://www.lettera43.it/fatti/belgio-i-profughi-afghani-in-esilio-a-bruxelles_43675121836.htm

Belgio, i profughi afghani in esilio a Bruxelles. Sono 200 rifugiati. Vivono in una chiesa. In attesa di un asilo che non arriva. «Immaginavamo una Ue giusta. E invece…».ultima modifica: 2014-02-13T15:07:34+01:00da davi-luciano
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