David Grassi – L’ufficiale che rifiutò di inquinare il mare

29 Gennaio 2014
 David Grassi
Scritto da  Redazione
 
Un ufficiale di Marina si oppone allo sversamento in mare di liquidi oleosi inquinanti e viene sottoposto a sanzioni e costretto al congedo. Lui ha combattuto nelle aule giudiziarie e oggi racconta la sua storia.
Fonte: Il Tirreno. Abbiamo deciso di rilanciare l’articolo comparso sul quotidiano toscano Il Tirreno perchè racconta una storia che dice molto di questa Italia con cui oggi ci ritroviamo a fare i conti. E la riportiamo anche per dare conto dell’esistenza di persone come David Grassi, che speriamo possano essere tantissime e trovare il coraggio di farsi sentire.
LIVORNO. Invece di abbassare la testa e obbedire rispondendo: «Signorsì, signore», ha guardato il superiore negli occhi e ha risposto: «No, signor capitano, questo non lo possiamo fare. E se lo dovesse fare lei, sappia che ho già fatto delle foto e alcuni filmati che invierò a chi di dovere, anche alla stampa se necessario, per denunciare quello che è successo a bordo».
L’ordine che l’ufficiale David Grassi, insieme ad altri due colleghi, si è rifiutato di eseguire e che ha cambiato la sua vita per sempre, era quello di sversare in mare migliaia di litri di liquidi oleosi, provenienti dal motore, che si erano accumulati nella sentina; in barba alla tutela dell’ambiente, al rischio inquinamento e al regolamento internazionale che prevede, anche per le navi militari, di svuotare le sostanze inquinanti nel porto più vicino e con l’intervento di una ditta specializzata.
Era il 23 febbraio 2002 e l’allora tenente di vascello nato a Oristano ma residente da 4 anni a Livorno, aveva appena compiuto 30 anni, era imbarcato sulla nave da guerra “Maestrale” impegnata nella missione Eduring Freedom nel corno d’Africa. E soprattutto pensava che le battaglie più importanti le avrebbe combattute in mare, non certo nelle aule di un tribunale, tantomeno per riavere indietro la propria dignità dopo essere stato condannato – per quel «No» – a 15 giorni di arresto e a una macchia che ne ha pregiudicato la carriera fino al congedo, avvenuto due anni fa.
Invece la guerra civile dell’ufficiale ambientalista è durata 12 anni, un quarto della sua esistenza, e si è conclusa con una (parziale) vittoria: il Tar di Genova, tribunale al quale si era rivolto per far sentire valere le proprie ragioni, giovedì scorso ha cancellato quella sanzione disciplinare ma non gli ha riconosciuto il risarcimento danni che aveva chiesto tramite il avvocato.
«In questo lasso di tempo – racconta Grassi che adesso lavora come ingegnere civile e nel tempo libero allena i ragazzi di atletica e basket della Libertas Livorno – ho perso molte cose, sia a livello personale, familiare e professionale. Ma tornando indietro rifarei quello che ho fatto, forse non proprio tutto. Ma certamente non ubbidirei a quell’ordine. Perché? Perché è in certe situazioni che vieni fuori chi sei davvero, da dove vieni, e i valori che ti hanno insegnato i tuoi genitori. E in quel momento non potevo far altro che comportarmi in quel modo senza abbassarmi alle prepotenze ma reagendo con coscienza. Eppure, dico anche che l’affetto e l’attaccamento nei confronti della Marina Militare non sono mai cambiati. Nonostante tutto continuo a credere che le persone nelle quali mi sono imbattuto siano una minoranza e che quel tipo di mentalità sia in via di estinzione».

SCANDALO OGM: LE MULTINAZIONALI VIETANO LA RICERCA INDIPENDENTE SUI LORO EFFETTI

Uno dei piu’ grandi misteri che stanno intorno alla diffusione delle piante OGM nel mondo, da quanto furono rilasciati i primi raccolti commerciali agli inizia degli anni ’90  in USA e Argentina, è stata l’assenza  di studi scientifici indipendenti  sui possibili effetti a lungo termine di una dieta a base di OGM su esseri umani o persino sui ratti da laboratorio. Ora la vera ragione è alla luce del sole. Le multinazionali dell’agribusiness come Monsanto, BASF, Pioneer, Syngenta ed altre proibiscono la ricerca indipendente.

In un redazionale del Scientific American, dell’agosto 2009, viene rivelata la realtà shockante ed allarmante, dietro la proliferazione degli OGM nella catena alimentare del pianeta, dal 1994. Non ci sono, nel mondo,  studi scientifici indipendenti che siano stati pubblicati in una rivista scientifica qualificata e questo per una semplice ragione: è impossibile verificare in modo indipendente che i raccolti OGM come la soya della Monsanto Roundup Ready Soybeans o il mais  MON8110 GMO si comportino come afferma la multinazionale o che, come la multinazionale comunque afferma, non abbiano effetti collaterali dannosi. Questo perchè le multinazionali OGM proibiscono tali test!

Come  condizione preliminare per comprare le sementi, sia per piantarle per i raccolti o per farci ricerca, la Monsanto e le multinazionali  del gene, chiedono prima di tutto di firmare un “accordo dell’utilizzatore finale” – End User Agreement – con l’azienda.

Nello scorso decennio (l’articolo è del 2010 ndt), quando ha avuto luogo la grande proliferazione delle sementi OGM in agricoltura, la Monsanto, la Pioneer (DuPont) e la Syngenta hanno richiesto agli acquirenti delle loro sementi OGM, di firmare un accordo che esplicitamente proibisce che le sementi vengano usate per una ricerca indipendente.

Agli scienziati è proibito testare un seme per indagare a quali condizioni fiorisce o perisce. Non possono paragonare nessuna caratteristica del seme OGM con altri semi NON OGM o OGM di altra azienda. Ancor piu’ allarmante, viene fatto loro divieto di esaminare se i raccolti geneticamente modificati conducano ad effetti collaterali non voluti,  sia nell’ambiente, che negli animali che negli umani.

L’unica ricerca di cui si consente la pubblicazione in riviste scientificamente quotate  e in quelle di peer-review, riguarda quegli studi che sono stati PRIMA approvati dalla Monsanto e dalla altre industrie e aziende OGM.

Tutto il processo con cui i semi OGM sono stati approvati  in USA, a cominciare dalla proclamazione dell’allora Presidente George H.W. Bush nel 1992, su richiesta della Monsanto, sul fatto che il governo non avrebbe condotto alcun test sulla sicurezza dei semi OGM poichè il Presidente li aveva giudicati sostanzialmente equivalenti a quelli
NON OGM, è un enigma pieno di interessi di corruzione.

Sono le muiltinazionali stesse, come la Monsanto, che forniscono al governo USA i test sulla sicureza e prestazione degli OGM . Non stupiamoci quindi che gli OGM risuonino “positivi”  e che la Monsanto ed altri possano falsamente affermare che gli OGM siano la “soluzione alla fame del mondo”  . (si veda per l’Italia, ad esempio…http://saluteolistica.blogspot.it/2013/04/ancora-su-emma-bonino-e-gli.html)

In USA un gruppo di 24 scienziati, di università di grido, specializzati in insetti da raccolto, hanno scritto al governo USA, precisamente  all’Ente per la Protezione Ambientale ( US Government Environmental Protection Agency- EPA-) richiedendo che quest’ultima costringa ad un cambiamento della censura nella pratica delle multinazionali. (ricordo articolo del 2010…ndt)

E’ come se la Chevrolet o la Tata Motors o la Fiat cercassero di censurare articoli per i consumatori, su test comparativi anti urto, relativi alle loro macchine e questo  perchè non gradiscono i risultati dei test. Solo che qui si tratta della catena alimentare di esseri umani e animali.

Gli scienziati con ragione hanno discusso con l’EPA sul fatto che la sicurezza sul cibo e la protezione dell’ambiente “dipendano dal fatto di rendere accessibili i prodotti vegetali ad un regolare scrutinio scientifico”

” Dovremmo pensarci 2 volte prima di mangiare i cereali  da colazione americani , se si tratta di grano (corn flakes)  OGM” .

Traduzione Cristina Bassi

FONTE: http://www.globalresearch.ca/gmo-scandal-the-long-term-effects-of-genetically-modified-food-on-humans/14570

Articolo in Italiano: http://saluteolistica.blogspot.it/2013/05/scandalo-ogm-le-multinazionali-vietano.html

Tratto da http://sapereeundovere.it/

API IN PERICOLO – STANNO COSTRUENDO I NIDI CON LA PLASTICA

TERRA REAL TIME

07 febbraio 2014

LE API SONO IN PERICOLO.La maggiore minaccia alla loro esistenza è costituita dai pesticidi chimici utilizzati nelle coltivazioni agricole a scopo industriale. Anche i cambiamenti climatici fanno la loro parte e ora, come rivela un recente studio dei biologi dell’Università di York pubblicato sulla rivista Ecosphere dell’Ecological Society of America, alla lista dei “killer delle api” si aggiungono anche i rifiuti umani.Nel loro disperato tentativo di adattarsi
e sopravvivere, questi insetti fondamentali per la biodiversità e gli ecosistemi hanno iniziato a utilizzare i nostri rifiuti di plastica per costruire nidi. Fino a oggi lo avevano fatto solo utilizzando materiali naturali. La colonia di api osservata dal team di esperti ha sostituito proprio con la plastica circa il 23 per cento delle foglie normalmente utilizzate.

I RIFIUTI DI PLASTICA PERVADONO IL PANORAMA MONDIALE. Anche se gli impatti negativi sulle specie e gli ecosistemi sono stati documentati, ci sono alcune osservazioni sulla flessibilità comportamentale e l’adattamento delle specie, soprattutto insetti, ad ambienti sempre più ricchi di plastica”, scrivono gli autori, che hanno creato “nidi trappola” a Toronto per osservare il comportamento delle diverse specie di api.A seconda delle specie, infatti, le api costruiscono i loro nidi con vari materiali naturali, dalle foglie al fango, passando anche per piccoli ciottoli. Ma, appena le api hanno finito il loro lavoro, i ricercatori hanno notato che materiali non naturali erano stati incorporati nei nidi di due diverse specie di api. Avevano optato per i tipi di plastica che imitavano i materiali naturali solitamente impiegati.

LA MEGACHILE ROTUNDATA,che di solito raccoglie foglie, aveva completato alcuni dei suoi nidi con pezzi di plastica bianca lucida, sostituendo circa il 23 per cento delle foglie. Nel frattempo, la Campanula Megachile, che di solito raccoglie resina di pino, di tanto in tanto lo aveva sostituito con sigillanti a base poliuretanica, usati spesso in edilizia per gli esterni degli edifici.Quali sono le conseguenze di queste nuove tecniche di costruzione? La plastica nei nidi può causare la formazione di muffe, o può uccidere gli insetti impedendo loro di muoversi o respirare. Un’ulteriore prova, insomma, che stiamo avvelenando il pianeta con i nostri rifiuti.

*Roberta Ragni
http://www.greenme.it/
 http:/ ilfattaccio
http://terrarealtime.blogspot.it/2014/02/api-in-pericolo-stanno-costruendo-i.html

L’Australia approva lo sversamento di 3 milioni di metri cubi di detriti sulla grande barriera corallina

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La “Great Barrier Reef Marine Park Authority” (l’agenzia governativa australiana che si occupa della protezione dei parchi marini) ha approvato lo sversamento di 3 milioni di metri cubi di sedimenti da dragaggio nelle adiacenze della grande barriera corallina. Questo permesso, di fatto mette in serio rischio la sopravvivenza di uno degli habitat più belli ed unici del mondo.
L’ennesima vergogna dell’umanità.
 
 
“Il governo australiano ha approvato la costruzione di centrali a carbone in una costa adiacente alla Grande barriera corallina. Quattro nuovi terminali di esportazione di carbone saranno costruiti per provvedere alla capacità annuale di 120 milioni di tonnellate. In questo modo, Abbot Point diventerebbe il più grande porto di carbone del mondo spostando 300 milioni di tonnellate di carbone all’anno. Non solo, i terminali interesseranno anche i bacini di Bowen, Surat e Galilee, tre delle riserve minerarie più abbondanti al mondo.
Il ministro dell’ambiente australiano, Greg Hunt, si è opposto alla decisione e ha imposto 148 restrizioni al progetto di legge, come si legge sull’Ansa, fra questi: controlli sulla qualità dell’acqua e i periodi in cui si potrà effettuare il dragaggio, escludendo quello in cui si riproducono i coralli. Per proteggere la barriera corallina, Hunt ha ridotto la quantità di dragaggio a tre milioni di metri cubici contro i 38 della proposta di legge.
Le attenzioni di Hunt non convincono però gli ambientalisti australiani che sono convinti che qualsiasi operazione di dragaggio potrebbe danneggiare la barriera corallina: “Dragare e scaricare è un brutto colpo per la barriera corallina già fragile”, ha detto alla Reuters Felicity Wishart, che si occupa di questo angolo paradisiaco di costa australiana per l’Australian Marine Conservation Society. Anche Greenpeace si è opposto all’estrazione, il portavoce australiano dell’ONG, Louise Matthiesson, ha affermato al quotidiano The Australian: “Annunciare e approvare questi piani è un segno che sia lo Stato che i governi riconoscono che un’operazione simile vada contro la comunità internazionale”. Per la Matthiesson, il governo di Canberra sta prendendo in giro la comunità internazionale, da anni molto preoccupata per il futuro (incerto) della Grande barriera corallina, uno dei papabili futuri Patrimoni Mondiali dell’Unesco. L’Unesco, a quanto pare, è in pensiero per quello che potrebbe succedere nella vicina Gladstone, a due passi dalla Grande barriera corallina. Non solo, dragare in quest’area potrebbe nuocere al turismo, un’altra fonte di ricchezza per l’economia australiana. Anche il WWF australiano si è opposto a queste operazioni affermando che è difficile prevedere l’impatto di operazioni simili sulla fauna dei banchi di corallo.
L’Australia, intanto, è interessata ad ampliare una delle sue principali fonti di ricchezza, quella delle miniere di carbone. Il governo però ha trovato i primi blocchi, nel bacino di Galilee ci sono stati problemi di estrazione e di infrastrutture.” (fonte: http://www.ilghirlandaio.com/top-news/93579/l-australia-dice-s-alle-centrali-a-carbone-accanto-alla-barriera-corallina-governo-conservatore-sotto-accusa/)