Barroso, Italia? Meglio Spagna, Grecia, Irlanda e Portogallo

ecco uno dei volti della amata europa dei popoli …per l’eguaglianza……nella miseria
forse ci vuole un altro gov tecnico di capaci contabili alla Monti….i politici si sa son tanto magnanimi e generosi con i propri cittadini

di GIANMARCO LUCCHI

Italia, paese che in pratica non ha fatto nulla a differenza degli altri Piigs. Insomma, una strigliata all’ex Bel Paese, a tutto il suo sistema politico cui «manca coraggio» nell’affrontare il debito pubblico e che ha fatto «riforme scarse» a confronto con i sacrifici degli altri paesi in difficoltà. La lavata di capo è arrivata martedì sera dal capo dell’esecutivo di Bruxelles, Josè Manuel Barroso, nella riunione del gruppo parlamentare del Ppe a Strasburgo. A riferirla è il capogruppo di Forza Italia, Raffaele Baldassarre, ma anche una serie di fonti neutrali la confermano. La portavoce della Commissione europea non la smentisce. Ed anche se il capogruppo dei «separati in casa» di Ncd, Giovanni La Via, punta ad ammorbidirla, di fatto la conferma: secondo l’esponente Ncd, Barroso non non faceva però riferimento «a misure prese negli ultimi mesi» dal governo Letta ma ad un arco temporale più ampio,in cui anche Forza Italia era al governo.

Le parole di Barroso rivelano probabilmente la vera opinione di Bruxelles sull’azione complessiva del sistema Italia. Che a maggio scorso è uscito dalla procedura per deficit eccessivo, ma che da quando «era sull’orlo della bancarotta», sempre secondo Barroso, non ha saputo affrontare «i sacrifici» fatti da Grecia, Spagna, Irlanda, Portogallo e Lituania. Paesi che infatti il presidente della Commissione cita nel suo discorso davanti alla plenaria del Parlamento europeo in occasione della presentazione del semestre di presidenza europea della Grecia. Occasione in cui il premier Antonis Samaras snocciola i numeri della tragedia ellenica (Pil ridotto di un quarto in 6 anni, potere d’acquisto crollato del 38%, disoccupazione balzata dal 7% al 27%) ma anche «l’orgoglio» per essere tornati all’avanzo primario di bilancio «un anno prima di quanto previsto dai programmi». «Nella crisi si è visto che l’Unione europea funziona» dice il premier greco che si dice pure sicuro di una «vittoria degli europeisti» alle elezioni di maggio e del successo della sua ‘Neo Demokratià sulla sinistra di Syriza. Ricorda che «nel primo programma» del 2010 si sono fatti «errori». Ma può anche proclamare che «la Grecia ha mantenuto i suoi impegni e onorato la sua firma» e che «l’insuccesso non è cadere ma non rialzarsi, ma ora la Grecia è di nuovo in piedi».

Il silenzio sull’Italia, quando nel conclave Ppe Barroso ha illustrato quale sarebbe stato il suo discorso, ha provocato le proteste degli italiani di Fi, Ncd e Fdi. Che Barroso ha però zittito. «Ci ha umiliato» lamenta un parlamentare presente che ha preso appunti del discorso e, chiedendo l’anonimato, riferisce come Barroso abbia detto fra l’altro che «i paesi che hanno fatto più sforzi sono stati premiati: addirittura la Spagna, ora è meglio dell’Italia». E se Baldassarre fa suonare la critica come diretta al governo Letta, emerge che l’obiettivo è più ampio. «Impensabile che i partiti italiani pensino che si possa andare avanti con questo debito pubblico». «Basta con questo slogan dei partiti italiani ‘se c’è austerità, non c’è crescità: è falso». «La realtà è che c’è un’emergenza. Nessun paese ha avuto piacere a fare i sacrifici, però quelli più virtuosi come la Spagna lo hanno fatto e sono stati premiati». Fino all’appello finale: «Amici italiani, se credete di vincere le elezioni dicendo che darete tutto a tutti sarà un disastro. E avremo perso tutti credibilità».
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In 200 mila rischiano di perdere il posto di lavoro nei prossimi mesi

è la ripresa che avanza…..verso la luce
peccato che i cassintegrati riguardino i lavoratori dip in aziende con + di 15 dipendenti
gli altri non mangiano e non pagano le bollette, sono figli di un dio minore strano che in paese tanto attento alle discriminazioni questa”svista” non infastidisca la soc civile. per non parlare della disoccupazione con tutti i paletti per accederci sono in 4gatti a beneficiarne


di GIORGIO CALABRESI

Oltre 200.000 lavoratori potrebbero perdere il loro posto di lavoro nei prossimi mesi se non ripartiranno l’economia e i consumi. L’allarme è arrivato ieri dalla Cisl che sulla base dei dati Inps per il 2013 ha calcolato in oltre 208.000 lavoratori equivalenti a tempo pieno coloro che sono in cassa straordinaria e in deroga (e quindi a maggiore rischio di essere licenziati mentre quelli in cassa ordinaria sono fermi solo per ragioni temporanee di mercato). Il dato riferito al 2013 sulla base di un tiraggio di circa il 56% delle ore di cig autorizzate, in lieve calo rispetto al 2012, si affianca alla crescita registrata nei primi 11 mesi dell’anno per le domande di disoccupazione con 1,95 milioni di richieste arrivate all’Inps (+32,5%). Resta complicata inoltre la situazione industriale del Paese con quasi 160 vertenze aperte al ministero dello Sviluppo economico con 120.000 lavoratori complessivamente coinvolti. «In questo inizio del 2014- sottolinea il segretario confederale della Cisl Luigi Sbarra – dopo un biennio terribile per l’economia (la recessione del 2012-2013 ha causato una contrazione complessiva del pil del 4,2%), l’orizzonte è passato dalla recessione aperta ad una sorta di stagnazione, in cui s’intravedono solo piccole luci di una possibile ripresa, messa in discussione dalla debolezza della situazione economica nell’area europea».

La cassa integrazione nel 2013 ha nuovamente superato il miliardo di ore autorizzate, viaggiando a ritmi di circa 90 milioni di ore al mese nonostante la frenata delle autorizzazioni per la cassa integrazione in deroga, quella per la quale sono necessari finanziamenti da parte del Governo (per la cigo e la cigs le risorse arrivano dai contributi di imprese e lavoratori). «Quel che è ancora più preoccupante – dice Sbarra – è che si è accentuato il passaggio da cassa integrazione a disoccupazione: nei primi 11 mesi del 2013 sono arrivati circa 1,95 milioni di domande di Aspi e mobilità con un aumento del 32,5% rispetto alle domande di disoccupazione presentate nello stesso periodo del 2012. »Tutti ci auguriamo – dice il presidente della Commissione Lavoro della Camera, Cesare Damiano – che, nel 2014 la cassa integrazione diminuisca e che questi lavoratori possano tornare in attività. Questo dimostra l’importanza di avere uno strumento di tutela come la cassa integrazione che mantiene il rapporto di lavoro nella previsione del superamento di una crisi o della positiva soluzione di un processo di ristrutturazione. Noi vogliamo difendere questo strumento e pensiamo che debba essere esteso anche ai settori che non adottano questa tutela contro la disoccupazione. Per farlo bisogna che, come capita nel settore industriale, le imprese e i lavoratori finanzino la cassa integrazione in una logica di mutualità«.
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La croce del sistema bancario italiano

“povere” banche italiane, tanto sofferenti….e si lagnano magari sarà colpa dei tedeschi anche questo loro “fallimento”


16 gennaio 2014

Si avvicina il momento nel quale le principali banche europee saranno sottoposte alla vigilanza della BCE e presumibilmente verranno messe in riga con identici criteri sul capitale e sulla determinazione del rischio. Nel frattempo l’OECD ha pubblicato un paper dal titolo “The State of the Banking Sector in Europe” (1) all’interno del quale sono contenute alcune tabelle di confronto sulla situazione di molti istituti di credito dal punto di vista dell’andamento degli attivi, della diversificazione geografica e delle necessità di capitale. Una tabella predisposta da V-Lab della Stern School of Business (NYU) consente di mettere a confronto la situazione dei non performing loans (NPL) dei gruppi bancari e comprendere quale sia la posizione relativa del sistema bancario italiano rispetto alle banche degli altri paesi.
 
La tabella, basata su dati 2012, è stata rielaborata graficamente per capire visivamente come lo stato di salute delle banche, misurato dalla percentuale di prestiti in sofferenza in percentuale dei prestiti totali oggi penalizzi essenzialmente Spagna e Italia, con alcune piccole distinzioni
 
oecd_npl_european_banks
fonte: elaborazione LINKER su dati Schoenmaker, D. and T. Peek (2014), “The State of the Banking Sector in Europe”
 
Questa è la fotografia che tormenta l’ABI e la Banca d’Italia che da tempo sostengono in sede europea quanto i criteri di classificazione dei non performing loans siano troppo diversi e penalizzanti per il sistema bancario italiano rispetto ai sistemi adottati dalle banche centrali degli altri paesi.  Certo è che la differenza da colmare con l’adeguamento dei criteri appare molto rilevante nei confronti di Francia, Germania, UK e persino del Portogallo, che la presenza di numeri contenuti in Spagna (BBVA e Santander) derivi dalla bassa dipendenza di questi gruppi bancari dal mercato locale, mentre i buoni dati di Credem, Banco Desio e Popolare Sondrio -che stanno abbondantemente sotto la soglia critica del 10%- sembrano giustificare una differenziazione sulla qualità del processo di credito a parità di mercato del credito, cioè quello domestico.
Peraltro gli interventi della vigilanza della Banca d’Italia (l’ultimo dei quali ha colpito Veneto Banca) per classificare con maggiore severità sofferenze e incagli nei bilanci delle banche vigilate sembrano andare nella direzione opposta, vale a dire quella di un’emersione totale di partite classificate nel tempo con una certa leggerezza.
 
(1) Fonte: Schoenmaker, D. and T. Peek (2014), “The State of the Banking Sector in Europe”, OECD Economics Department Working Papers, No. 1102, OECD Publishing. http://dx.doi.org/10.1787/5k3ttg7n4r32-en
 

Comunicato su pubblicazione neofascista di Massimo Numa

http://www.tgvallesusa.it/?p=2358

SCRITTO DA: CONTRIBUTI – SET• 20•13

logo-ANPI

Da:

Sezione A.N.P.I. “68 Martiri” di Grugliasco (TO)
Sezione A.N.P.I. “G. Perotti MAVM – A. Appendino” Nizza-Lingotto di Torino
Sezione A.N.P.I. “Boris Bradac” di Chivasso (TO)

Comunicato su pubblicazione neofascista di Massimo Numa

numa

Torino, 18 Settembre 2013

Le sottoscritte Sezioni A.N.P.I., Associazione Nazionale Partigiani d’Italia, Ente Morale con Decreto Luogotenenziale 224 del 5 aprile 1945, presa conoscenza dellibro “La Stagione del Sangue” a firma di Massimo Numa, cronista de La Stampa,DENUNCIANO l’evidente impronta neofascista dei contenuti espressi nel volume.

Per gli iscritti A.N.P.I., come per tutti gli antifascisti, non possono passare inosservate la palese denigrazione della Resistenza e l’altrettanto evidente apologia della RSI, stato fascista satellite del Terzo Reich nazista, a partire dalla dedica iniziale dell’autore a un fascista repubblichino della Divisione San Marco, addestrata in Germania e dal 1944 impiegata al fianco dei nazisti contro i Partigiani, nel più ampio progetto di guerra imperialista e razzista dei nazifascisti, portato avanti attraverso l’eliminazione di massa degli ebrei e degli antifascisti nelle camere a gas dei campi di sterminio disseminati in mezza Europa.

Per molti non è una sorpresa: al di là delle opinioni personali, il cronista infatti si è sempre distinto per acrimonia, faziosità ed estremo livore nei suoi scritti e nei suoi comportamenti pubblici nei confronti di ogni protagonista delle lotte sociali sul nostro territorio, fossero essi immigrati, occupanti di case, attivisti viola, NO TAV, no inceneritore, antinuclearisti o altri.

Significativamente, di recente non ha avuto ritegno nell’associare fotografie di iscritti A.N.P.I. valsusini ad un articolo che richiamava vaghe minacce terroristiche, definendo ancora una volta gli antifascisti e i Partigiani quali “terroristi” ed “eversivi”, termini utilizzati dai nazifascisti durante la Guerra di Liberazione 1943-1945 per definire i combattenti Partigiani e ripresi oggi dai loro eredi neofascisti nei confronti di tutti coloro che animano le lotte sociali, per la difesa della Costituzione e dei beni comuni.

Ogni antifascista ed ogni democratico si può ora chiedere come sia possibile che un tale individuo sia compatibile con un giornale come La Stampa che ha avuto tra i suoi collaboratori Arrigo Levi, Norberto Bobbio e Alessandro Galante Garrone, oltretutto nella cronaca di Torino, Città Medaglia d’Oro per la Resistenza.

CHIEDIAMO quindi un’esplicita presa di posizione dell’editrice La Stampa e l’allontanamento di Massimo Numa dalla redazione Cronaca.

CHIEDIAMO agli intellettuali antifascisti, alle forze politiche ed a tutti i sinceri democratici di associarsi alla nostra denuncia e di pronunciarsi in merito.

RECENSIONE

 ”La Stagione del Sangue” di Massimo Numa, Ed. la Ricerca, 1992

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Riceviamo e malvolentieri leggiamo questo libro inviatoci da mano amica. In qualche modo giunge a proposito, visto che di recente sono stati perquisiti compagni degli ANPI valsusini con annesso sequestro di T-shirts e bandane e, in particolare su La Stampa, pubblicazione non autorizzata di fotografie di associati ANPI definiti nei titoli e nel testo terroristi e sovversivi. Dopo aver letto questo libro non ce ne stupiamo. Perché l’autore è quel Massimo Numa che da anni imperversa con inusuale veemenza, se non autentica acrimonia, dalla redazione cronaca della Busiarda contro ogni scintilla di lotta sociale: No Tav, anarchici, centri sociali, immigrati, oppositori e resistenti vari di cui la nostra povera Italia fortunatamente pullula . Ora capiamo perché.

Qualche dato significativo. Il libro è stato pubblicato a spese dell’autore da una casa editrice inesistente. Attualmente è reperibile su circuito SBN solo in due sedi ma in compenso è segnalatosu diversi blog di cui diremo in seguito. Si suppone quindi che ne siano stampate pochissime copie non destinate in libreria. La dedica chiarisce subito da che parte sta l’autore: è per un marò del Reggimento San Marco della Rsi, ucciso il 26 Aprile 1945 in piena insurrezione. Nell’introduzione, un coacervo di concetti arruffati, Pier Paolo Cervone, ex sindaco di Finale Ligure, giornalista e biografo del generale repubblichino Enrico Caviglia, si arrischia a citare Norberto Bobbio per giustificare il senso dell’”opera”, un’opera che possiamo benevolmente definire un tentativo maldestro di cavalcare la storiografia revisionista ma che è in realtà un libro prettamente fascista che si propone di dar voce al rancore dei vinti di allora rivisitandone con malcelata pietà di parte il vittimismo per le esecuzioni subite prima, durante e dopo la sconfitta.

Lo stile dell’autore è riconoscibile: quel dire e non dire, l’ insinuare, quell’ambiguità tipica di chi disinforma e manipola i fatti. Si finge equidistanza ammettendo qua e là la ferocia dei fascisti, le violenze, le torture, le rappresaglie e gli eccidi ma l’enfasi si sposta inesorabilmente e comunque sulla violenza giustiziera dell’altra parte descritta come anche più efferata, motivata spesso da desideri di vendetta personale quando non di rapina o addirittura da corruzione, furia omicida, arbitrio, estorsione o perversione dei singoli, “banditismo tout-court”, “… non disdegnavano la rapina e il furto…” Qui e là ricorrono domande e risposte retoriche: “basta questo a giustificare l’esecuzione di decine di giovani?”; oppure “…. E’ sufficiente questo delitto assurdo per infangare la polizia partigiana? Sarebbe troppo facile dire di si’” o dichiarazioni rivelatrici: “… è difficile non dare ragione a Pisanò e altri…” lasciando il lettore a domandarsi chi potranno essere quegli “altri”.

L’equidistanza cede comunque nei dettagli: le unità partigiane sono definite “esercito irregolare” a fronte delle opposte “Forze Armate Repubblicane”, i partigiani sono sovente “assassini e grassatori” quando non decisamente rapinatori, i fascisti diventano “i nemici dei partigiani”, i collaborazionisti sono “spinti da motivazioni ideali”. Saranno stati anche violenti e deprecabili, i fascisti, ma ecco citati episodi che minimizzano: un milite fascista processato dalla locale Cas per presunte torture con la corrente elettrica che viene condannato “a pene mitissime” perché si accertò che il cavo da lui utilizzato era telefonico; al noto torturatore Zunino si attribuisce, tramite la testimonianza di un arrestato riconoscente, soltanto “un ceffone”, stessa pena inflitta agli antifascisti da parte di quei buontemponi della Compagnia della Morte savonese che, tra un ceffone e l’altro, denunciavano ebrei e renitenti.

Il testo è generalmente sgrammaticato, spesso anche a debito di sintassi. Vi abbondano superficialità e contraddizioni come “Nei giorni … precedenti all’insurrezione si erano già verificate le prime uccisioni al di fuori della logica dello scontro armato” o come la “presunta fede fascista” della famiglia Biamonti, giustiziata nel maggio 1945, che però aveva un figlio ufficiale nella San Marco e che ospitava abitualmente ufficiali tedeschi e repubblichini. Tra questi, la vox populi elenca “il marchese Di Neghelli, capo delle Forze Armate della Repubblica” fornendo del resto una data precisa, il 13 Marzo 1945. Risulta tra le righe che fu proprio la popolazione di Legino a denunciare la famigliola come attivi collaborazionisti che “ridevano e scherzavano” quando le Brigate Nere rastrellavano il paese.

Alte espressioni di rammarico sono spese per le esecuzioni di “fascisti moderati” come Giobatta Rambaldi, fiduciario del fascio, nei giorni della Liberazione o di figuri come Antonio Padoan, sacerdote repubblichino noto a Imperia per le sue prediche “contro la guerra civile” ucciso dai partigiani l’8 maggio 1944, il cui nome viene adottato da una Brigata Nera locale. Degli esecutori partigiani di un reparto di marò del San Marco addetto ai rastrellamenti e catturato con le armi in pugno, si riferisce con partecipazione personale “che la pubblicistica di Salò, non senza qualche ragione, ha definito boia.” Quando si dice il distacco dello storico…

Significativo il breve elenco delle fonti a cui il Numa attinge: prevalentemente La Gazzetta di Savona (gestita fino alla liberazione direttamente dalla locale Federazione Fascista e dalla Brigata Nera Briatore), il Corriere Mercantile solo a partire dal 1949, saltuarie citazioni da fogli locali o di parte (Nuovo Fronte, quindicinale del msi; il trimestrale La Legione, ecc.), naturalmente Giorgio Pisanò dalla cui Storia delle Forze Armate della Repubblica Sociale l’autore copia cronache e definizione di “pistola silenziosa” per gli inafferrabili giustizieri di ex repubblichini nei primi anni del dopoguerra, qualche verbale giudiziario, qualche testimonianza diretta, quasi tutto senza note o riferimenti. Fine. La parte predominante è affidata alla vacuità più totale: si dice, si pensa, siamo convinti che, forse, si è mormorato con insistenza…

Naturalmente il piatto forte dell’”opera” è la denigrazione costante delle forze resistenti, il cui ”nerbo era costituito da ex San Marco” o da “sbandati o disertori della Rsi”, covi di spie, delinquenti, antifascisti dell’ultima ora e infiltrati, “bande slegate da un comando generale… con le frange sfuggite ad ogni controllo…”, “schegge impazzite… a cui lo stesso Pci… faticò ad imporsi”; tanto per gradire e per sfrucugliare sensibilità attuali, si insinua addirittura che i partigiani fossero razzisti pescando in un libello di ricordi di un sappista, in cui i militi repubblichini erano descritti ”meridionali…volgari…con l’accento del Sud”. In chiave complottista, per non farsi mancare nulla, abbondano oscuri accenni a “verità scomode e imbarazzanti”, a “personaggi rimasti nell’ombra”, a un’omertà imposta allora col terrore che dura ancora ai nostri giorni, a testimoni che ancora oggi hanno paura di parlare (“…l’identità di questa persona la terremo celata…perché si ritiene, a torto o a ragione (qui si vede la stoffa dello storico…), ancora in pericolo… un’ipotesi da non sottovalutare”). I partigiani come la mafia, insomma: “… Oggi ci sono parenti di vittime che tacciono ancora, parlano di ritorsioni, di timori per i figli e i congiunti, tanto da chiedere all’autore di questa ricerca di tacere i loro nomi, di non permettere a ‘loro’ di risalire ai superstiti”. L’attacco più pesante è portato con il caso della giovane Giuseppina Ghersi, seviziata e uccisa da ignoti insieme al cognato malavitoso il 26 Aprile 1945. Se la descrizione stessa dei fatti suggerisce l’azione di balordi a scopo estortivo, per Numa gli ignoti si trasformano poche righe dopo in ”partigiani”. La cronaca fornita è contradditoria: in un primo tempo il luogo della morte è una via cittadina, nella pagina successiva diventa il cimitero di Zinola. A tale vaghezza si aggiunge la circostanza, corroborata da una testimonianza altrettanto imprecisata di “una parente”, che la ragazza fosse stata arrestata e rasata come collaborazionista il giorno precedente alla morte. Un episodio orribile nell’insieme che non fu mai chiarito nemmeno in tribunale ma che il Numa e la pubblicistica neofascista non esitano ad attribuire alla responsabilità dei partigiani.

E’ interessante individuare i fili conduttori nella mente dell’ autore. Aiutano ad interpretarne, anche alla luce attuale, la psicologia e gli scritti.

1. La reiterazione del concetto di pretesa legalità in un contesto di guerra combattuta e di comprensibili strascichi seguiti alla Liberazione: è costante il riferimento a processi mancati, a testimonianze o prove insufficienti, alla scarsa osservanza delle istruzioni del Cln in materia di trattamento dei prigionieri, a un “humus di illegalità”, a “circostanze illegali”. Si pretende un’anacronistica osservanza delle norme e delle leggi (quali?) da una situazione come quella bellica e immediatamente post-liberazione con una visuale che esclude l’elemento umano e sociale di quei giorni.

2. E’ evidente la propensione autogiustificatoria dell’autore a “stare dalla parte dell’autorità”, delle istituzioni, mistificandone la natura nel contesto bellico. Per Numa, ieri come oggi, è importante l’omologazione (lo Stato, i partiti, ecc.); tutto quanto ad essa sfugge è negativo: cosi’ le bande partigiane non identificate (“schegge impazzite”, “formazioni fuori controllo”) a fronte della Repubblica Sociale, come i protagonisti attuali delle lotte sociali (anarchici, centri sociali, No Tav, antagonisti, il dissenso non riconoscibile, ecc.) a fronte dello Stato e delle Forze dell’Ordine.

Insomma, l’importante è la divisa. Nessuno gli ha mai spiegato che la Rsi non è  mai stata un’autorità riconosciuta ma un’entità fittizia o che lo Stato e certe sue articolazioni o comportamenti non sempre sono simboli di democrazia compiuta. A prescindere, lui sta dove stanno i manganelli.

3. E’ interessante e significativa la sua fascinazione per le spie. A spie, infiltrati e doppiogiochisti è dedicato un intero capitolo da cui sprizza malcelata simpatia per chi aveva quel ruolo e soprattutto per chi abilmente, furbescamente se l’è cavata. Personaggi che gli ispirano evidente ammirazione e, chissà, desiderio di emulazione? Le voci insistenti nell’ ambiente giornalistico torinese sul ruolo del Numa sembrano trovare in questo atteggiamento verso protagonisti del passato un qualche riscontro, fragile ma trasparente.

Volendo tirare delle conclusioni, dopo la faticosa lettura di tale concentrato di pattume fascista, ci limitiamo a riportare l’esaustivo commento dell’Anpi savonese che definisce il Numa “capostipite del revisionismo vittimistico dei vinti, in chiave neofascista e anticomunista” e ricorda che la Resistenza e la popolazione inerme sono stati “… la prima vittima dell’atroce strategia di sterminio perseguita dai nazisti e dai repubblichini di Salò; per questo non esiste confronto possibile tra le efferatezze e le stragi, gli orrori inflitti dai nazifascisti e le durezze della guerra partigiana… Episodi di vendetta e di efferatezza dei partigiani ci furono prima e dopo la Liberazione. Ma risultano fatti limitati di numero, isolati, episodici, frutto di pulsioni di singoli…atti nè incoraggiati nè programmati…a differenza dei Comandi nazifascisti che promossero sino all’ultimo minuto la strategia del terrorismo di massa contro partigiani e inermi cittadini. D’altra parte vendette e rese dei conti dei vincitori sono le conseguenze ‘fatali’ e prevedibili della guerra. E’ ipocrita che i fascisti se ne lamentino…” (Resistenti, n. 250, 2008). Non possiamo che sottoscrivere tutto questo e concludere segnalando che chi volesse trovare migliori recensioni di questo libro e commenti favorevoli può cercarli sui siti di Casa Pound, sui blog “neri” Libero-mente per non dimenticare, Camerataseba.

Cosi’ ora è tutto più chiaro. Viene a questo punto spontanea una domanda: ma cosa ci fa un neofascista dichiarato alla redazione  cronaca (con mandato per le lotte sociali) di un giornale che fu anche di Alessandro Galante Garrone, di Norberto Bobbio, di una Torino liberale e di una borghesia magari conservatrice ma sempre democratica? Direttore Calabresi, come può permettere tale presenza?

Sezione A.N.P.I. “68 Martiri” di Grugliasco (TO)

Sezione A.N.P.I. “G. Perotti MAVM – A. Appendino” Nizza-Lingotto di Torino

Sezione A.N.P.I. “Boris Bradac” di Chivasso (TO)