Armi chimiche siriane, i porti italiani si ribellano ma il governo tira dritto

visto che bisogna mantenere la promessa fatta si scarichino le armi chimiche nel giardino di casa della Bonino e del giornalista. E gli altri paesi quante ne prendono di sta roba?
12/01/2014

Giovedì la decisione: Brindisi e Cagliari dicono no
REUTERS

Il cargo danese Ark Futura porterà le armi dal porto siriano di Latakia a uno italiano dove saranno caricate su una nave speciale Usa
L’Italia intende annunciare giovedì il porto dove avverrà il trasferimento delle armi chimiche in arrivo dalla Siria sulla nave americana che le distruggerà. Le destinazioni candidate restano soprattutto Brindisi, Cagliari, Augusta, Taranto, Gioia Tauro, e la decisione verrà presa in base alle valutazioni tecniche in corso. Le preoccupazioni internazionali emerse nelle ultimi ore, quindi, dovrebbero trovare risposta il 16 gennaio.
Damasco, anche se in ritardo, sta trasferendo le sue armi nel porto di Latakia, dove una parte è già stata caricata su una nave danese. Questa nave le trasferirà nel porto dove verranno caricate sulla Cape Ray, l’unità americana attrezzata a distruggerle con l’idrolisi. Gli Stati Uniti non possono prelevare direttamente le armi nel porto siriano, per ovvie ragioni diplomatiche, e quindi effettuare il transito in sicurezza è diventata una delle priorità più importanti per la Organization for the Prohibition of Chemical Weapons, che gestisce l’intera operazione.
L’Italia ha offerto un porto, ma appena sono emersi i candidati sono arrivati anche i rifiuti. Il «Wall Street Journal» ne ha parlato ieri in un pezzo intitolato «Local Opposition in Italy Risks Delaying Syrian Arsenal Destruction», cioè le resistenze locali in Italia rischiano di ritardare la distruzione dell’arsenale siriano. Il «Wsj» cita in particolare il no di Brindisi, e la lettera che il governatore della Sardegna Ugo Cappellacci ha inviato al presidente del Consiglio Letta, dicendo che «noi rigettiamo l’ipotesi di Cagliari con rabbia e choc, e la combatteremo in ogni maniera possibile».
Nonostante queste resistenze, Roma è determinata ad andare avanti. Giovedì il rappresentante della Opcw sarà in Parlamento per partecipare ad una audizione, e in quella occasione il ministro degli Esteri Bonino conta di annunciare il nome del porto. Nel frattempo sono in corso le valutazioni tecniche, tipo il pescaggio e la lontananza dalle zone abitate, che determineranno la scelta.
Mantenere la promessa fatta è molto importante per l’Italia, perché tutti i Paesi che collaborano a questo processo guadagnano crediti sul piano della promozione della pace. Inoltre Roma nei prossimi mesi sarà il crocevia di molti dossier fondamentali del Medio Oriente. A febbraio ospiteremo una conferenza per il sostegno delle forze armate libanesi, che ha peso tanto nella crisi siriana, quanto nei rapporti con l’Iran. In seguito, forse a marzo, terremo il delicato incontro che punta a ricostruire la stabilità in Libia. In questi giorni, poi, si sta ragionando anche sulla possibilità di organizzare proprio a Roma un appuntamento per affrontare l’emergenza umanitaria in Siria, dove l’Onu cerca 4,4 miliardi di dollari per aiutare oltre 9 milioni di persone. In questo quadro, l’Italia non vuole mancare alla promessa fatta di assistere il disarmo di Damasco.

http://www.lastampa.it/2014/01/12/esteri/armi-chimiche-siriane-i-porti-italiani-si-ribellano-ma-il-governo-tira-dritto-H6IvI3xWi7sZGzTG9txvKL/pagina.html

Armi chimiche siriane, i porti italiani si ribellano ma il governo tira drittoultima modifica: 2014-01-13T21:12:56+01:00da davi-luciano
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