Auguri natalizi dall’Osservatorio

http://www.tgvallesusa.it/?p=4260

Scritto da: Gabriella Tittonel – dic• 18•13

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Un anno di lavoro e pace. Questo l’augurio che sta giungendo a molti, a pochi giorni dal Natale, attraverso un cartoncino inoltrato dall’Osservatorio per il collegamento ferroviario Torino-Lione, cartoncino dalle parole accattivanti ma dall’immagine che ha fatto sobbalzare molti, cattolici e non.

Perché l’immagine reca sullo sfondo la fotografia della grande fresa, la “Gea” quando ancora era sul limitare dello scavo del tunnel esplorativo della Clarea, mentre in primo piano sagome scure, della Madonna, di san Giuseppe, del Bambinello e degli immancabili asino e bue prendono luce dall’eccezionale manufatto dell’ingegneria umana…

E se di primo acchito l’immagine ha stupito, anche sconcertato, se ad altri è parsa un’idea azzeccata, a guardarla meglio offre invece chiare indicazioni sul pensiero che l’ha ideata e voluta. Utilizzando un’icona natalizia. Il messaggio che si coglie, conoscendo il luogo posto in evidenza è che l’Osservatorio, novello Erode, è sul punto di compiere una nuova strage di innocenti, perché se la fresa è stata perentoriamente voluta per scavare un tunnel ci si chiede come potrebbe mai farlo senza triturare i personaggi che qui hanno trovato rifugio.

Singolare poi che il Cristo fattosi bambino, icona e voce di un Padre creatore che ha dato come consegna agli umani la custodia del creato venga posto in un luogo di distruzione e devastazione, dove i peggiori problemi stanno ora prendendo forma.

Forse l’augurio vero è altro. Quello che da anni si scambia una popolazione che vorrebbe progettare il suo futuro sul tempo dell’umano, fatto di moto e di pausa, di sguardi scambiati ed accoglienti.

Forse andrebbe cambiata l’immagine, o meglio, andrebbe finalmente annullato un progetto assolutamente inutile ed oggi estremamente pesante anche in termini di salute e di costi liberando soldi indispensabili per altre opere più consone.

Ora la speranza è che, tenuto conto delle succitate argomentazioni, l’Osservatorio decidesse di cambiare immagine… Potrebbe mettere un Babbo Natale. O forse no… Perché allora si rivolterebbero tutti i bambini alla distruzione del  loro Nonno dei doni!

Gabriella Tittonel

18 dicembre 2013

Biglietto AUGURI corretto e quindi più adeguato: guardare attentamente!!!

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La strage di Ustica Sarda: l’elicottero ‘volpe’ 132 abbattuto in volo.

Testimoni scomodi: il caso dell’elicottero ‘Volpe’ 132
 
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Maresciallo Angelo Anedda e il Brigadiere Giuseppe Madera

 C’è un filo invisibile, come quello di un ragno, che lega il disastro aviatorio dell’elicottero Volpe 132, precipitato in Sardegna il 2 marzo 1994, con l’omicidio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin (Mogadiscio, 20 marzo 1994). Probabilmente anche la caduta di questo elicottero fa parte di quelle stragi avvenute in Italia fino agli inizi degli anni ‘90 e, probabilmente, se Pasolini fosse stato ancora in vita, avrebbe incluso questo fatto di cronaca nera nella famosa lettera che pubblicò sul Corriere della Sera nel 1974, intitolata: Cos’è questo golpe? Io so. Mi viene in mente la frase finale della lettera di Pasolini: “Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi! […] La ricostruzione della verità a proposito di ciò che è successo in Italia, a partire dal 1968, non è poi così difficile”.
 
Siamo a Salto di Quirra, in Sardegna, davanti al Poligono missilistico di Feraxi, a nord di Capo Ferrato (costa sud orientale della Sardegna), quattro persone del luogo, intorno alle 19:15/30, Giovanni Utzeri, Luigi Marini, Antonio Cuccu e Giuseppe Zuncheddu, vedono da angolazioni diverse un elicottero della GdF, velivolo Volpe 132, A-109 (Augusta 109), sorvolare questa zona, incendiarsi, esplodere e precipitare in mare. Tutti e quattro i testimoni oculari hanno dichiarato che l’elicottero in questione è caduto in prossimità di una nave portacontainer (in seguito identificata con il mercantile Lucina), ancorata in quel tratto di mare, dove la motovedetta G.63 Colombina della GdF seguiva l’elicottero. Nell’immediatezza dei fatti le forze dell’ordine della zona hanno raccolto le dichiarazioni dei quattro testimoni; in seguito, hanno negato addirittura l’esistenza del mercantile a Feraxi. Secondo alcuni abitanti della zona, invece, il Lucina avrebbe preso rapidamente il largo dopo l’abbattimento dell’elicottero.
 
Alla presenza del tenente colonnello dell’Aeronautica militare, Enrico Moraccini, capo della Commissione d’Inchiesta per accertare la dinamica dei fatti, del maresciallo di P.G. Angelo Anedda e del brigadiere Giuseppe Madera, Luigi Marini, alcuni giorni dopo la tragedia, ha messo per iscritto le dichiarazioni rese il giorno dell’ “incidente”: […] “La sera del 2 marzo 1994, intorno alle 19:15/:25, mentre pescavo sul fiume Picocca, ho sentito un rumore di motori in lontananza e, scrutando il cielo, ho cercato di capire da dove venisse. In quell’attimo, in direzione di Capo Ferrato, sul lato sinistro, guardando il mare, ho visto un fascio di luce salire dal basso verso l’alto e subito ricadere verso il basso. Da quel momento il rumore è cessato”. La luce salita dal basso verso l’alto e ridiscesa al suolo era un missile terra aria, uno FIM-92 Stinger?
 
In questo presunto incidente muoiono il maresciallo Gianfranco Deriu, 41 anni e il brigadiere Fabrizio Sedda, 28 anni. I due sottufficiali risultano ancora dispersi in mare; che fine hanno fatto i loro corpi? “A bordo della Volpe 132 mi sento più sicuro che al volante della mia auto”, diceva il maresciallo Deriu ai suoi colleghi. Gianfranco Deriu aveva maturato 25 anni di onorato servizio e migliaia di ore di volo tanto da diventare il più esperto elicotterista della Sardegna; ha lasciato una moglie e due figli.
 
“Fabrizio è morto perché insieme al suo collega aveva scoperto un traffico illecito di droga ed armi dove sono coinvolti organi delle istituzioni italiane e straniere”, così ha scritto alla famiglia Sedda un anonimo rimasto tale fino ad oggi, spiegando il perché della fine tragica del giovane militare. Fabrizio Sedda aveva la passione per il volo ed era considerato un pilota esperto e affidabile; da Milano era ritornato in Sardegna e, da circa due mesi, prestava servizio al II° gruppo nucleo elicotteristi del comando GdF di Cagliari. Sedda si era fatto subito stimare dai colleghi, supportando Deriu nelle ronde di controllo sulla costa. 

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Il percorso del Volpe 132

La nave fantasma
Il mercantile Lucina, il 6 luglio 1994, quattro mesi dopo la caduta dell’elicottero Volpe 132, è stato lo scenario di un’altra strage, avvenuta nel porto di Jenjen, sprovvisto di adeguate misure di sicurezza e distante 300 chilometri da Algeri. Stranamente, il mercantile sostava a Jenjen da 27 giorni per un ritardo di scarico merci che sarebbe dovuto avvenire nel sicuro porto di Djendjen. Tutti i membri dell’equipaggio del Lucina furono sgozzati come se si trattasse di un’esecuzione e non di un tentativo di saccheggio da parte della pirateria locale. Tra le merci trasportate dal Lucina c’erano anche 600 tonnellate di materiale “non dichiarato” che, secondo un articolo scritto a due mani da Magdi Cristiano Allam e da Nacera Benali per il giornale Repubblica (1997), potrebbe riferirsi ad un carico di armi.
 
L’armatore della Lucina, Massimo Cellino, ha dichiarato agli inquirenti che il comandante del mercantile, Salvatore Scotto, lo chiamava tutti i giorni dicendo di sentirsi in pericolo e di contattare l’ambasciata italiana per accelerare la procedura di scarico merci, rallentata dal governo algerino. Pare che, la notte della strage, il comandante fu costretto a far salire alcune persone non identificate a bordo del mercantile, forse con la promessa di poter attraccare a Djendjen. Questi “visitatori”, che in seguito si rivelarono essere terroristi islamici, secondo la ricostruzione dei fatti, non hanno voluto pagare il conto della “merce” trasportata dal Lucina e per questo motivo hanno sterminato tutto l’equipaggio della nave. E’ credibile tale ricostruzione? E’ credibile che il comandante e il suo equipaggio fossero a conoscenza che, tra i sacchi di semola trasportata sul mercantile, ci fossero anche armi? Se Scotto chiamò ripetutamente l’armatore Cellino probabilmente non era a conoscenza del vero scopo del suo viaggio in Algeria e probabilmente si rese conto solo dopo del pericolo che stava correndo insieme al suo equipaggio. C’è da chiedersi perché ci fu un tale ritardo da parte dell’armatore Cellino e del governo italiano all’insistente richiesta di aiuto di Scotto e per quale motivo i terroristi salirono a bordo del mercantile senza aspettare di prelevare ciò che gli interessava nel porto di Djendjen? Secondo le varie ipotesi che furono formulate dalle Procure di Trapani e di Napoli, che si sono occupate della vicenda, molte delle responsabilità sulla strage del Lucina sono attribuibili all’ambasciata italiana di Algeri, la quale era a conoscenza che su quella nave avrebbe dovuto imbarcarsi un ex agente segreto, un certo Gaetano Giacomina di Oristano, alias G-65, per anni infiltrato in Algeria. L’agente G-65 è morto misteriosamente a Capo Verde, nel 1998.
 
“La Chernobyl della Sardegna”
 
Un altro fatto inquietante da collegare all’abbattimento del ‘Volpe’ 132 e alla presenza del Lucina nella baia di Feraxi è “la sindrome di Serra di Quirra”. Il fenomeno è stato chiamato così perché il 65% degli abitanti della zona è stato colpito da leucemie, da linfomi e da altre forme tumorali, sviluppatesi così velocemente da non lasciare scampo. Maurizio Torrealta, tra il 2007 e il 2008, ha realizzato un documentario intitolato L’inchiesta, dove, attraverso le testimonianze degli abitanti di Serra di Quirra, ha spiegato questo fenomeno. Dati certi non ce ne sono perché protetti da segreto di Stato a causa della presenza del Poligono missilistico Interforze, la base militare sperimentale più grande d’Europa. E’ comunque innegabile che negli ultimi anni ci siano stati 32 individui deceduti in poco tempo a causa della presenza di uranio impoverito. Ad avvalorare questo dato è anche il 15% di neoplasie maligne nella zona di Villa Puzzu (frazione vicina al Poligono Interforze), di aborti e di malformazioni alla nascita, sia umane sia animali, presenti in tutto il territorio limitrofo a Serra di Quirra. L’on. Mauro Bulgarelli, consulente della Commissione Parlamentare per l’omicidio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin, ha dichiarato che all’interno della base militare di Serra di Quirra vengono regolarmente impiegati missili ed esplosivi per esercitazioni militari e che anche aziende italiane come Fiat, Iveco, Alenia Aeronautica ed aziende straniere (anche aerospaziali) come l’Eurosam, la Thomsonfly e la Meteo utilizzano regolarmente questo Poligono.
La Commissione Parlamentare non è a conoscenza di cosa sia stato sperimentato fino ad oggi all’interno della base ma è evidente il collegamento tra queste sperimentazioni e le malattie mortali sviluppatesi negli ultimi anni.
 
Il dottor Claudio Casulla, veterinario di Serra di Quirra ha riscontrato dagli esami autoptici sul bestiame di alcuni allevatori della zona la presenza di uranio impoverito e di micro particelle di materiali pesanti nel sangue e in alcuni tessuti prelevati dai cadaveri. Stessa cosa è stata riscontrata dai medici dell’Istituto di Medicina Legale di Cagliari sui cadaveri di civili morti per la stessa causa. Non sono mai stati comunicati i dati dei militari del Poligono Interforze deceduti negli ultimi anni perché coperti da segreto militare. “Gli allevatori della zona hanno molta paura di parlare”, ha dichiarato Casulla, “Ampie zone di sgombero frequentate dai pastori sono contaminate da repellenti e scorie missilistiche che causano anche reazioni evidenti ad occhio nudo come la mancanza di erba sul terreno per diversi anni. La dottoressa Gatti ed io abbiamo effettuato analisi specifiche sui cadaveri di alcuni capretti, riscontrando la presenza di metalli pesanti molto superiore alla norma”.
 

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Le indagini della Procura di Cagliari
 
Le indagini del G.I Mauro Mura e del P.M. Guido Pani, vertono sull’accusa di “disastro aviatorio” e di “omicidio colposo plurimo”. Le perizie effettuate dai carabinieri del Ris hanno subìto diversi rallentamenti nel corso delle indagini, come pure la consulenza di parte per accertare o no se sui rottami del velivolo ci fossero tracce di esplosivo. “La risposta del Ris non è mai arrivata”, ha dichiarato l’avvocato delle parti civili Deriu e Sedda, Carmelo Fenudi. “L’accertamento se ci fosse stata traccia di esplosivo o di altro materiale che potesse far pensare all’abbattimento dell’elicottero sarebbe stato importante per trasformare l’accusa da omicidio colposo plurimo a duplice omicidio volontario, che prevede l’ergastolo e l’imprescrittibilità del reato. Da parte del Ris sono arrivate solo due richieste di proroghe di 30 giorni: la prima avvenuta il 19 maggio 2005 e la seconda il 18 agosto dello stesso anno. Appare pertanto non giustificata una richiesta di archiviazione fondata sul fatto che, ancora oggi, la consulenza tecnica non sia stata espletata e depositata”.
 
Eppure i testimoni hanno sempre dichiarato la stessa cosa. La fuga repentina del mercantile Lucina ha fatto ipotizzare una relazione tra la nave e l’esplosione dell’elicottero, il cui relitto non è stato ritrovato, eccetto qualche frammento recuperato dai testimoni o depositato sul fondo del mare. Gli inquirenti hanno anche pensato che la zona sia stata “ripulita” e che quindi, come è stato fatto allontanare il mercantile, così sono stati rimossi i rottami dell’elicottero.
 
Durante le indagini, la Procura di Cagliari ha chiesto formalmente al Comando Provinciale della Guardia di Finanza se nei primi giorni di marzo vi fossero ancorate navi civili o militari nella baia di Feraxi. La Gdf ha riferito alla Procura che il Comando Generale non poteva consegnare agli inquirenti “documenti classificati” composti da 29 cartelle, i quali facevano riferimento ad una direttiva della Presidenza del Consiglio nella quale si diceva che le comunicazioni dei Servizi (Segreti) non possono essere utilizzate e quindi [sono] coperte da segreto di Stato (PCM-ANS1/R).
 
Da una parte la Gdf di Cagliari ha affermato che sul mare di Feraxi non c’erano navi, negando la presenza del Lucina, il Sismi, invece, ha imposto il silenzio anche sulla vicenda del ‘Volpe’ 132. Come nella strage di Brescia, avvenuta 30 anni prima, anche in questo caso, l’Arma dei Carabinieri ha avuto la sua parte. Il quarto testimone della caduta dell’elicottero Volpe 132, il pastore Giuseppe Zuncheddu, ha dichiarato agli inquirenti di avere ricevuto la visita di un colonnello dei CC, che con un elicottero, è atterrato in prossimità del suo ovile e lo ha interrogato personalmente su cosa avesse visto quel 2 marzo 1994. Zuncheddu era un testimone ancora sconosciuto alla Procura ed è apparso strano che, senza avvertire la Procura, un ufficiale dell’Arma sia andato personalmente a casa di un pastore quando avrebbe potuto convocarlo in caserma. Si è recato personalmente a Burcei per accertarsi che ciò che il pastore aveva visto fosse rilevante o no per l’andamento delle indagini? Per ordine di chi?
La testimonianza del pastore è molto importante perché indica la rotta dell’elicottero. Secondo quanto visto da Zuncheddu, infatti, il velivolo ‘Volpe’ 132 ha sorvolato ad una certa quota il massiccio dei Sette Fratelli e il canalone di Campuomu. Quindi l’elicottero non si trovava in una zona d’ombra non visibile ai radar perché a sud della costa non ci sono montagne. C’è da chiedersi, allora, se da parte delle forze dell’ordine non fosse già stato tracciato un itinerario da seguire in modo da optare, nel più breve tempo possibile, per l’archiviazione della morte dei due sottufficiali della GdF come “errore umano”, un incidente coperto da segreto militare di Stato,contraddizione tipica italiana. I giornalisti Piero Mannironi e Pier Giorgio Pinna dell’ “Unione Sarda” si sono anche chiesti come mai non sia stata disposta una consulenza tecnica sulle registrazioni tra la centrale operativa del II° gruppo del Nucleo Elicotteristi GdF di Cagliari e l’elicottero Volpe 132. Quel giorno l’unico radar funzionante era quello di Monte Codi (Radio Detection and Ranging) che, secondo quanto detto dai militari del Poligono Interforze di Salto di Quirra, non ha segnalato niente di anomalo. Gli altri radar della zona, quello di Elmas (da dove sono partiti Deriu e Sedda) e di Salto Quirra, non erano funzionanti e le comunicazioni T/B/T si sono interrotte alle 19.14 circa. Sono seguiti interminabili 40 minuti di silenzio che hanno presagito la tragedia dell’elicottero.
 
I nastri delle comunicazioni T/B/T sono stati tagliati?
 
I radar utilizzano onde elettromagnetiche per il rilevamento e la determinazione della posizione e la velocità degli oggetti sia fissi sia mobili come velivoli, navi ecc.. Il radar ha anche la capacità di rilevare formazioni atmosferiche o il suolo stesso visto dall’alto; possono essere disturbati dalla presenza di clutter (oggetti) fissi o mobili che possono costituire un pericolo per la zona da controllare e segnalati durante la propagazione del segnale. Com’è possibile che quel giorno l’elicottero della GdF, la motovedetta Colombina e il mercantile Lucina non siano stati intercettati dal radar? C’è inoltre un particolare molto importante. La Commissione Ministeriale d’Inchiesta per l’omicidio Alpi – Hrovatin, istituita nel 2001, che ha indagato anche sulla scomparsa dell’elicottero Volpe 132, ha appurato che i due piloti della GdF controllavano, in condizioni meteorologiche buone, un ampio raggio tra Capo Carbonara (dove fu ritrovato il casco di uno dei piloti), Serpentara e Capo Ferrato.  L’elicottero ‘Volpe’ 132 A-109 e la Colombina dovevano scandagliare la costa cooperando attraverso un intenso contatto radio. Nella relazione della l^ Commissione tecnica formale nominata dal Ministero della Difesa (Commissione d’Inchiesta militare) questo “legame di sinergia operativa” da prima viene confermato ma, in seguito, smentito anche dalla Guardia di Finanza. La motovedetta G.63, comandata dal maresciallo Atzori, secondo la procedura di controllo della costa e del mare, avrebbe dovuto solcare anche la zona tirrenica del nord della Sicilia e non ripiegare subito sulla baia di Feraxi. Inoltre, secondo il racconto dei militari a bordo della Colombina, l’elicottero ‘Volpe’ 132 è stato perso di vista a Serpentara e solo dopo la motovedetta della GdF si è diretta verso Capo Ferrato. In un secondo momento gli inquirenti hanno controllato i tracciati del radar di Monte Codi e il maresciallo Atzori ha dovuto confermare “la versione del tracciato”, ossia, che, quando l’elicottero è sparito, la Colombina era sotto il velivolo, avendo ben visibile le scritte dell’elicottero e, solo dopo averlo perso di vista, ha cambiato la rotta. I colleghi di Deriu e Sedda hanno cambiato versione perché non potevano smentire il radar di Monte Codi, che nello stesso istante dell’elicottero, aveva segnalato anche la sua presenza nella zona di Serpentara, o perché non ricordavano la sequenza degli avvenimenti? Dalla costa, i testimoni Utzeri, Marini, Cuccu e Zuncheddu hanno visto la forte esplosione da Capo Ferrato, dove Atzori ha dichiarato di essersi diretto dopo aver perso di vista l’elicottero. Come ha fatto la motovedetta Colombina a non accorgersi dell’esplosione essendo sulla traiettoria del velivolo? Altro mistero!
 
Il 15 maggio 1994, la Commissione d’inchiesta militare ha archiviato la morte di Deriu e Sedda come incidente senza specificarne le cause. La Procura ha sentito anche il comandate del Poligono Interforze di Serra di Quirra, il generale Fabio Molteni, il quale ha dichiarato che il tratto di costa compreso tra Capo Ferrato e la baia di Feraxi non rientra nella loro giurisdizione. Quindi, se ci fosse stata una nave (il mercantile Lucina) ancorata a largo nella baia di Feraxi, non competeva alla base militare accertare la “natura” del carico del mercantile. Molteni parla di tratto di costa e non di tratto di mare perché i confini del Poligono militare di Serra di Quirra terminano a Capo San Lorenzo, a nord di Capo Ferrato. Se, invece, il generale avesse inteso “tratto di mare”, la zona sarebbe stata ad ampio raggio, comprendendo anche quella lontana dalla costa e i mezzi ancorati in mare aperto in direzione del Poligono.
 
Di tutta questa faccenda è sicuro che alle 14:00 del 2 marzo 1994, al maresciallo Deriu e al brigadiere Sedda viene comunicato di effettuare, una perlustrazione notturna nella zona costiera cagliaritana “per la repressione traffici illeciti via mare nel tratto Elmas – Capo/Carbonara – Capo/Spartivento – Elmas”; decollo ore 18:44. A supportare “la missione” il G.63 Colombina, che avrebbe effettuato “un’azione combinata” dal mare di ricognizione del territorio. L’elicottero della GdF avrebbe dovuto controllare una “zona limitata” della costa cagliaritana, il G.63, invece, avrebbe dovuto raggiungere le 60 miglia marine a est di Capo Carbonara (111 chilometri dalle coste sarde). Se i mezzi erano cooperanti e “la missione” doveva essere costiera per quale motivo le rotte seguite dai due mezzi della GdF erano opposte?
 
Le comunicazioni T/B/T tra l’operatore di Cagliari avvicinamento e il mar. llo Deriu (Sedda,quindi, era ai comandi) sono le seguenti:
 
Ore 18:44, Volpe 132 a Cagliari avvicinamento: “Siamo un A-109 della Finanza, in volo fino a Capo Carbonara. Effettueremo una piccola ricerca verso sud”.
 
Ore 18,58, Volpe 132: “A-109 lascia Elmas per Capo Carbonara a 1000 ft (piedi). Ci dirigiamo verso sud per seguire i bersagli segnalati dai radar”.
 
Cagliari avvicinamento “Copiato Volpe 132, allora ci richiamate su Capo Carbonara”.
Volpe 132: “Ricevuto”.
 
Alle 19,52, Cagliari avvicinamento: “Volpe 132 … Volpe 132, rispondete! Volpe 132 … Volpe 132!”.
 
La tragedia si è già consumata. Il mar. llo Deriu e il brig. Sedda sono morti ma Cagliari avvicinamento non lo sa e continua a chiamare l’elicottero della GdF senza trovare risposta. A quali bersagli si riferiva il mar. llo Deriu? Dopo quasi 20 anni, la caduta dell’elicottero, come la morte dell’equipaggio del Lucina, rischia di finire nell’oblio dei cold case italiani. Sono del parere che se si cercasse di dare anche solo una risposta ai tanti misteri del nostro Paese, protetti dal segreto di Stato, il nostro sistema governativo e di ordine pubblico crollerebbe. Probabilmente emergerebbero dalla palude nomi noti e nomi di insospettabili e la nostra Italia vacillerebbe per non rialzarsi più perché il nostro equilibrio politico e sociale è appeso ad un filo sottile e tagliente che dilania chiunque voglia spezzarlo, come ha fatto per il maresciallo Deriu e il brigadiere Sedda.
 
Non è da escludere, quindi, che questi due avvenimenti possano includersi in quei reati puniti con gli artt. 285 (strage allo scopo di attentare alla sicurezza dello Stato) e 422 (strage) del c. p.,entrambi puniti con l’ergastolo e, in quanto tali, imprescrittibili. Mannironi e Pinna hanno definito il disastro dell’elicottero Volpe 132 l’”Ustica sarda” mentre Magdi Cristiano Allam e Nacera Benali hanno ipotizzato che la strage dell’equipaggio del mercantile Lucina sia opera di uno dei leader del Fis, Lounici Djamel, e del gruppo terroristico Gia. La Procura di Napoli, che, nel 1995, si è occupata della strage del Lucina, ha emesso 12 ordinanze di custodia cautelare a carico del Fis e del Gia. L’accusa più grave mossa dalla Procura di Napoli è nei confronti di Lounici Djamel, ricercato con un mandato di arresto dall’Italia, dal Marocco e dalla Francia, è accusato di gestire una parte del traffico di armi internazionale tra Italia, Asia ed Africa. Lo stesso traffico di cui si occuparono la giornalista Ilaria Alpi e Miran Hrovatin in Somalia nel 1994.
 
Da anni l’avvocato delle parti civili Deriu e Sedda, Carmelo Fenudi, si batte perché il caso non sia archiviato dalla Procura di Cagliari. “E’ inammissibile”, spiega l’avvocato, “che, secondo gli inquirenti, l’elicottero della Guardia di Finanza sia finito in una zona d’ombra inaccessibile ai radar!”.
 
Lo scorso ottobre, il Procuratore Mauro Mura ha respinto la richiesta di archiviazione della morte dei due sottufficiali della GdF a causa delle gravissime mancanze investigative che, negli ultimi 18 anni, non hanno permesso che venisse alla luce la verità. Oltre all’assenza totale di comunicazioni tra l’elicottero Volpe 132 e la motovedetta G.63; alla “fantomatica” zona d’ombra su cui si sarebbe trovato l’elicottero; ai 40 minuti di silenzio nelle comunicazioni T/B/T tra il velivolo della Gdf e Cagliari avvicinamento; alla mancanza comunicazioni tra il II Gruppo del Nucleo Elicotteristi Gdf e la Torre di Controllo; a rafforzare la convinzione della Procura sono state alcune fatti acquisiti dal PM nel corso delle indagini. All’inizio delle indagini, il sost. proc. Guido Pani ha chiesto all’Aeronautica militare una copia della relazione della Commissione d’inchiesta ma la richiesta è stata respinta perché coperta da segreto militare. Secondo il Ministero dell’Interno e della Difesa, la morte dei due sottufficiali della Gdf è un incidente, probabilmente dovuto ad un errore del brig.
 
Sedda ma deve restare coperto sia da segreto di Stato sia da segreto militare. In che tipo di esercitazioni è stato coinvolto l’elicottero Volpe 132 per essere stato coperto anche da segreto militare? Altro elemento raccolto dalla Procura riguarda il furto di un elicottero Volpe 132 dal deposito della GdF di Oristano, gestito dalla ditta Wind Air s.r.l.. In seguito ad una segnalazione anonima, l’elicottero è stato trovato a Quarto S. Elena. Si è ipotizzato ad un depistaggio: l’elicottero “gemello”, fatto a pezzi, doveva essere gettato in mare in una zona distante dal Poligono Interforze e spacciato per l’elicottero disperso. La Wind s.r.l è risultata essere una società senza ragione sociale e, probabilmente, utilizzata come copertura dai Servizi Segreti. Il legale di questa società, l’avv. Costantino Polo, risulta avere tre diversi dati anagrafici e innumerevoli residenze, tutte inesistenti.
 
Da alcuni documenti demaniali dello Stato italiano è emerso che ad Oristano, tra gli immobili pubblici, c’è un edificio in via della Tribuna di Campitelli n. 23 dove il codice corrispondente allo stabile è lo stesso della sede legale della società Wind s.r.l.. Attiguo al numero civico 23 c’è un altro immobile appartenente al Ministero dell’Interno, i cui dati catastali e amministrativi compaiono. Sia l’edificio al n. 23 sia quello del Ministero dell’Interno sono utilizzati per uso governativo e tale uso è specificato nelle carte catastali. La sede della Wind s.r.l., dopo il furto dell’elicottero da Oristano, è stata spostata a Nuoro ad un indirizzo inesistente.
Che rapporto c’è tra la Wind s.r.l., il Ministeri dell’Interno e della Difesa, l’elicottero “gemello” del Volpe 132 abbattuto a Faraxi e la morte dei due sottufficiali della GdF? I due Ministeri non hanno fatto chiarezza avvalendosi ancora una volta del segreto di Stato e militare ma è chiaro, come la luce del sole, che questo rapporto c’è e cammina all’ombra dei depistaggi. Il caso del Volpe 132 si riapre sul rapporto tra i traffici internazionali di rifiuti tossici ed armi, che hanno coinvolto anche le nostre coste e i nostri mari, controllati da camorra, cosa nostra e ‘ndrangheta, passando per il Kosovo, minato dalla guerra di pulizia etnica. Una vecchia ipotesi che diventa nuova e concreta se si collegano i tasselli del mosaico che legano la morte di Ilaria Alpi e di Miran Hrovatin, l’abbattimento dell’elicottero Volpe 132 e il mistero del mercantile “fantasma” Lucina, che fa la spola tra Nuoro, Cagliari e le acque internazionali. E’ possibile che il mercantile trasportasse scorie radioattive e uranio impoverito proveniente da Serra di Quirra? Credo che gli inquirenti abbiano tutti gli elementi e c’è da augurarsi, almeno questa volta, che siano capaci di metterli in ordine e scoprire finalmente come e perché il mar.llo Deriu e il brig. Sedda sono morti.
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L’elicottero Volpe 132

Il Pentagono svela le capacità militari del laser

HEL MD Directed energy System
 L’Esercito USA ha concluso con successo i test di tiro del sistema d’arma sperimentale High Energy Laser Mobile Demonstrator (HEL MD), sviluppato da Boeing e da un pool di contractor della DIfesa all’interno del programma Directed Energy Systems (DES). Studiato per missioni intelligence, sorveglianza e ricognizione, operazioni offensive e protezione delle forze contro razzi, proiettili d’artiglieria, mortai, UAV e ordigni inesplosi, l’HEL MD è montato sullo chassis di un semovente pesante 8 X 8 mosso da un motore Caterpillar C-15 da 500 Hp e trasmissione automatica a cinque velocità Allison 4500 SP/5.
 
Nel corso dei test, tenutisi dal 18 novembre al 10 dicembre presso il poligono militare di White Sands Missile Range, nel New Mexico meridionale, sono state effettuate prove di acquisizione target e tiro contro obbiettivi statici e in movimento: installato sulla torretta del mezzo, il raggio laser, delle dimensioni di un quarto di dollaro, ha centrato e distrutto più di 90 bersagli, piccoli velivoli radiocomandati e proiettili di mortaio da 60 mm sparati 1800-2700 metri di distanza.
 
Descrivendo il funzionamento dell’arma, il manager Boeing del programma armamenti per l’US Army, Terry Baurer, ha spiegato che quando il raggio colpisce il proiettile lo riscalda a tal punto da farlo esplodere in aria; nel caso di attacco contro un drone, il laser può essere utilizzato per accecare i sensori e danneggiare i piani di coda, causando il crash del velivolo.
 
Il prototipo utilizzato in New Mexico può montare da tre a cinque laser da 10 kW, ma è già allo studio una versione da 50/100 kW che il Pentagono spera di utilizzare presto in un test contro razzi e missili cruise. I bassi costi dell’HEL MDm, che dovrebbe essere dichiarato “combact ready” entro il 2022, potrebbero essere decisivi nella scelta di un eventuale impiego come arma di difesa per la protezione delle basi dal lancio di razzi e dal fuoco dell’artiglieria.
 
All’interno del programma DES, la Boeing sta sviluppando per il Pentagono tre progetti: l’High Energy Laser Mobile Demonstrator, per la US Army; il Free Electron Laser e l’Mk 38 Tactical Laser System, per la US Navy; il Tactical Relay Mirror System, per la US Air Force. Inoltre, il dipartimento Ricerca e Sviluppo della Difesa starebbe stipulando un accordo con Northrop Grumman e Lockheed Martin per la realizzazione di un sistema laser di autodifesa da installare a bordo degli UAV di ultima generazione, contratti che ammonterebbero rispettivamente a 14,6 milioni e 11,3 milioni di US$. In base al progetto, il sistema dovrebbe essere composto da un apparato di warning, uno di acquisizione e uno di reazione.

LE VERE CAUSE BIOLOGICHE DEL COSIDDETTO “DISAGIO MENTALE”

di Corrado Penna

Per anni ho detto, scritto e argomentato che le diagnosi dell’apparato psichiatrico sono più che altro etichette, ben poco scientifiche, spesso utilizzate in maniera strumentale in base ai pregiudizi di un’epoca storica o di un contesto sociale. La lettura testuale delle diagnosi degli anni ’70 lascia davvero inorriditui. 

In effetti la storia della psichiatria è un concentrato di orrori, ed anche molta cosiddetta “antipsichiatria” spesso è stata alquanto timida nel denunciare tutto questo.
Con questo però si è detta solo metà della verità, dal momento che certe diagnosi non sono poi del tutto inventate, per quanto la loro attribuzione sia (come appena ricordato) alquanto soggettiva. Se quindi la diagnosi di “schizofrenia” è una delle più vaghe dell’intera letteratura medica (l’esperimento di Rosenham ha dimostrato in maniera decisiva l’inconsistenza e la totale mancanza di scientificità di tale classificazione diagnostica), non altrettanto si può dire della diagnosi di “disturbo ossessivo compulsivo”, di “depressione” o “anoressia”. Ferma restando una notevole arbitrarietà e soggettività nella diagnosi, non si può certo negare che esistano persone che soffrono di crisi depressive, di umore fin troppo volubile, ossessionati da manie irrazionali, o con un terribile rapporto col cibo.
La psichiatria ha spesso sostenuto che i cosiddetti “problemi mentali” fossero causati da cause biologiche, da squilibri elettrochimici nel cervello, arrivando ad incolpare in un caso l’eccesso o nell’altro caso la carenza di certe molecole biochimiche. Ebbene io ho sempre argomentato che tale ipotesi fosse priva di fondamento, e con me l’ottimo psichiatra (decisamente fuori dal coro) Peter Breggin, di cui consiglio di leggere questo lunga introduzione ad un suo libro.

Adesso però ho scoperto che se gli psichiatri sbagliavano nell’attribuire le cause della cosiddetta “malattia mentale” a tali squilibri biochimici, la loro idea che ci fosse una causa biologica di tanti problemi “mentali” era in realtà esatta, ma tale scoperta porta ben lontano dall’utilizzo di psicofarmaci che rendono la gente simile a zombie, dalla reclusione forzata di persone in strutture psichiatriche, dalla perdita sostanziale dei diritti civili.

Ciò che ho scoperto negli ultimi anni è che le vere cause dei problemi cosiddetti mentali sono:
– la disbiosi intestinale, che causa carenze di magnesio e vitamine del gruppo B (nonchè di altri nutrienti essenziali) indispensabili al buon funzionamento del sistema nervoso, che causa la presenza nel sangue di un notevole carico di tossine generate dai microbi patogeni. A tal riguardo la dottoressa Campbell-McBride ha ben spiegato nel suo libro La sindrome psico-intestinale come dai probemi intestinali si originino i cosiddetti problemi mentali.
– l’inquinamento da veleni chimici e metalli pesanti come il piombo ed il mercurio; il mercurio in particolare era presente fino a pochi anni nei vaccini (*), ma lo si trova anche nelle tossiche otturazioni dentali in amalgama (da notare che il mercurio è una delle cause della disbiosi intestinale)
–  i focus dentali e i denti del giudizio impattati a ulteriore conferma che le cause della malattia fisica e mentale sono spesso certe pericolose pratiche di odontoiatria; vedi a tal proposito oltre che il link precedente anche i video presenti sul canale youtube di Lorenzo Acerra.
Leggi anche
 
 
 
 

(*) in alcuni vaccini multidose ed in qualche lotto di vaccino ancora in circolazione è presente ancora un conservante a base di mercurio (Thiomerosal).


Slot machine, quando lo Stato è biscazziere e medico. Ti svuota le tasche e poi ti cura

e come se non bastasse….

” se Regioni e Comuni, nell’ambito delle loro competenze, adotteranno interventi contro il gioco d’azzardo (come le famigerate slot machines) con conseguente minor gettito fiscale destinato alle casse dello Stato, a mettere la differenza saranno gli stessi enti locali, sotto forma di minori trasferimenti di denaro da Roma. Se ti ravvedi, verrà tutto dimenticato.” tutto l’articolo qui  http://it.ibtimes.com/articles/60465/20131218/gioco-azzardo-emendamento-stato-regioni-comuni-decreto-governo-letta.htm#ixzz2ns4xwiP8

Slot machine, quando lo Stato è biscazziere e medico. Ti svuota le tasche e poi ti cura

Scritto da Quifinanza.it |
Pubblicato Mercoledì, 18 Dicembre 2013 
 
Nuove concessioni per sale Bingo e 7mila videolottery nella legge di Stabilità. Il governo sponsorizza le cure per la ludopatia.
 
Da una parte lo Stato promuove, sulle spalle degli enti locali, cure di vario genere contro la ludopatia, autentico allarme sociale dell’ultimo quinquennio specie nelle fasce d’età più alte; dall’altra però non esita però a fare cassa sul “disagio” utilizzando la non indifferente leva fiscale basata sul gioco. E’ quanto risulta, nel calderone di norme che riguardano innumerevoli ambiti, dalla legge di Stabilitàche promuove trenta nuove concessioni per sale Bingo e soprattutto per 7mila nuove videolottery, divenute ormai una sorta di bancomat statale. Uno stato sostanzialmente biscazziere che non ha però colore politico, giacchè la tendenza ad utilizzare questo tipo di leva si registra dai governi di D’Alema e Berlusconi fino a quello attuale, a precindere da quanto larghe siano le intese.
 
LE NUOVE SLOT –Passate sostanzialmente inosservate, le nuove concessioni dovranno portare nell casse dell’erario non meno di 150 milioni, di cui una quarantina dal rinnovo delle attuali concessioni e oltre 100 dalle 7mila nuove Videolottery, che vanno ad aggiungersi alle oltre 50mila già esistenti. Queste ultime, peraltro, così come le Slot Machines sono collegate in rete e hanno la possibilità di incassare financo banconote da 500 euro. Una soglia oggettivamente pericolosa.
 
IL CONTENZIOSO –Il tema è peraltro tutto fuorchè nuovo; nel 2008 la procura della Corte dei conti aveva stabilito un risarcimento da 98 miliardi di euro nei confronti dello Stato da parte dei signori delle slot, che non collegarono le loro macchine ai sistemi informatici del ministero. Il procedimento è ancora pendente, ma lo Stato ha scelto la strada più breve del tipo “pochi, maledetti e subito” con una richiesta da 700 milioni, meno dell’1% di quanto stabilito dalla Corte. Se non una sanatoria poco di diverso, con inevitabili accuse politiche al governo.
 
I DATI –Per cogliere meglio il fenomeno è utile dare un’occhiata ai dati. La spesa degli italiani per il gioco è salita da 15,4 miliardi di euro nel 2003 ea 79,8 nel 2011, con un incremento del 52% l’anno ed un fatturato totale che vale il 5% del pil. La spesa media degli italiani maggiorenni è stata di oltre 1.500 euro nel 2011, ossia il 13,5% del reddito. Dato da rivedere verso l’alto per quanto riguarda l’anno 2013.
 
IL PARADOSSO DELLE CURE AI LUDOPATICI –Il tutto mentre lo Stato finisce per “scaricare” sugli enti locali l’onere delle cure per la ludopatia, decretata fenomeno da allarme sociale. E lo scaricabarile, oltre che economico, è sostanziale, perchè sono i comuni e le regioni a preoccuparsi in questo senso dei cittadini-giocatori. La regione più virtuosa in questo senso è l’Emilia Romagna, che ha aperto servizi di cura praticamente in tutte le città principali, obbligando peraltro le sale da gioco ad esporre opuscoli sulle possibilità di cura del cosiddetto “gioco compulsivo”. Lo Stato centrale, ovviamente, promuove e appoggia iniziative di questo tipo, ma al contempo invita ad entrare nelle sale e giocare con nuove concessioni. Perchè tutto fa brodo per presentare a Bruxelles conti in ordine, persino il nonsense.
 
 

Un posto in cui vivere

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Il mio amico Franco, che qui vediamo in uno dei suoi più riusciti travestimenti, fin da piccolo ha sviluppato un particolare affetto per i pesci. Fin da quando, cioè, all’età di tre anni, fu portato in barca da suo padre a poca distanza dalla costa e gli fu mostrato il fondale variopinto attraverso il vetro di una maschera. Il verde delle alghe, il bianco delle stelle marine e il rosso degli anemoni non provocarono in lui un moto di precoce patriottismo, ma un’ondata emotiva di tutt’altro genere. Il bimbo infatti, inaspettatamente, dopo che il padre gli aveva tolto la maschera dal viso, si tuffo’ a pesce, è il caso di dirlo, per raggiungere quei meravigliosi gioielli che aveva appena intravisto. Il padre, in quell’occasione, si prese un bello spavento e si chiese quale bizzarra anima era entrata nel corpo del suo piccolo bambino. Quella di una sirena, per caso?
Qualche anno più tardi, anche la madre all’inizio era preoccupata, dopo averlo mandato a far commissioni nel quartiere del Santo di Padova, poiché il fanciullo Franco ritardava a rientrare. Quando qualcuno le disse che il ragazzino restava delle mezzore in contemplazione degli acquari del negozietto di animali poco distante, la madre si tranquillizzo’. Ora che Franco è un maturo signore che vuole lasciare la nativa città di Sant’Antonio, facendo parte di quella nutrita schiera d’italiani disgustati dall’Italia, ci si pone il problema di quale sia la sua più consona destinazione. Poiché anche lui come me vuole rimanere fedele alla propria infanzia, ciascuno a suo modo, viene naturale supporre che Franco voglia passare il tempo immergendosi nelle acque trasparenti di qualche mare tropicale, come decise improvvisamente di fare all’età di tre anni, e quelle del Madagascar sarebbero le acque giuste per lui. Se non ci fosse un piccolo problema.
Il problema di dover condividere le stesso spazio e avere lo stesso oggetto del desiderio di migliaia di altri esseri umani, che del fascino del mare non sanno che farsene e che ragionano con lo stomaco piuttosto che con il cuore. Non si tratta solo di pescatori subacquei occidentali, armati di fiocina e bombole d’ossigeno, ma degli innumerevoli nativi che da secoli calpestano le immacolate spiagge del Madagascar e che traggono dal mare le proteine e il denaro per vivere.
Ho sostenuto fin dai miei primi viaggi, in questa terra bella e impossibile, che il Madagascar non è un paese per animalisti, parafrasando quel film con Tommy Lee Jones intitolato “Non è un pase per vecchi”. Non solo per come vengono trattati gli animali di superficie, ma per le razzie compiute dai malgasci, a dispetto delle, per loro sconosciute, leggi internazionali. Tanto per fare un esempio, quando quattro anni fa ci fu il golpe, la gente si mise a mangiare carne di tartaruga marina per le strade, pensando che il divieto fosse opera di Marc Ravalomanana, il deposto presidente, mentre prima si limitavano a mangiarla direttamente nei villaggi dei pescatori o comunque lontano dagli occhi indiscreti di turisti o poliziotti.
Pochi giorni fa, a Itampolo, ho fotografato uno squalo appena pescato ed eviscerato sul posto, dal cui ventre era uscito un grumo di inequivocabili uova. Tutto il mondo, compreso quello venatorio, sa che uccidere una madre con uova e piccoli è eticamente sbagliato, ma la risposta è che i pescatori malgasci non sanno distinguere il sesso dei pescicani prima di catturarli. E dunque, avanti come si è sempre fatto!
La questione di fondo quindi è: dove puo’ andare a vivere un signore come il mio amico Franco che si rattrista anche solo vedendo la foto di pesci uccisi? Anzi, diro’ di più, siccome a Padova Franco vive circondato dall’affetto dei suoi cinque gatti, è il Madagascar il posto giusto in cui vivere, per lui, considerato che almeno due etnie, i Masikoro e i Merina, i gatti li mangiano? Non è raro, sull’uscio delle abitazioni private o nelle gare routiere, trovare gatti legati al collo con una corta cordicella, cosa inconcepibile  per noi occidentali. Si dice: per la loro sicurezza, cioè perché non si allontanino, non finiscano sotto le macchine o, più facilmente, non vengano presi e mangiati.
Poiché anch’io, nel 2006, dopo tre mesi di permanenza, ero sull’orlo dell’esaurimento nervoso, come potrebbe reagire il mio amico a un simile impatto? Potrebbe dar di matto, sclerare e mettersi nei guai con la giustizia che, in caso di contenzioso, sicuramente darebbe ragione ai locali e non certo a un vazaha? Non auguro a nessuno di provare le galere malgasce e vi lascio immaginare perché. L’alternativa, mantenendo un saldo controllo di nervi, sarebbe contrattare l’acquisto del felino con il suo proprietario, imbarcandosi in snervanti trattative sul prezzo – e qui Tina sarebbe utilissima – ottenendo alla fine di cambiare il destino di quell’unico esemplare ma lasciando nelle loro ceste diverse decine di altri gatti in vendita come cibo. La frustrazione sarebbe garantita e, anche qui, ci si potrebbe salvare emotivamente allestendo un gattile e introducendo i semi della zoofilia in un paese che trova semplicemente folle l’idea che degli esseri umani possano avere per amici dei volgari animali.
Se io, per pura ipotesi, avessi un ristorante o un albergo, qui in Madagascar, lo chiamerei “Bibi namana”, cioè “animali amici”, concetto che verrebbe considerato come una delle tante stranezze dell’uomo bianco. Anche perché, gli altri bianchi, turisti e residenti, la carne la mangiano e a Mangily, sulla spiaggia, mi è anche capitato di vedere un vazahaitaliano che tirava sassi a un cane.
Da noi sarebbe impensabile, ma io mi spiego questo comportamento come una sorta di livellamento verso il basso e anch’io mi sono ritrovato a gettare piccoli rifiuti per terra, gesto che in Italia, per l’educazione scolastica che abbiamo ricevuto, sarebbe tabù.
Poi, tornando a Franco, non ci sarebbero solo le scene dal vero, di pesci ancora boccheggianti portati a riva a bordo delle piroghe, ma anche le sue scelte alimentari. Benché in Madagascar esistano tutti i tipi di verdure, oltre ai deliziosi frutti tropicali come i manghi e i litchi, un’alimentazione vegana potrebbe essere d’ostacolo quando ci si siede al ristorante. Detto cosi’ sembra che il problema sia la scelta del singolo, mentre in realtà è il contesto sociale ad essere primitivo. Quando per esempio, viaggiando in taxi brousse, ci si ferma per la pausa pranzo, presso uno dei ristoranti per malgasci dove la scelta è tra riso e pollo o riso e pesce, cosa possiamo mangiare io e Franco, esausti e affamati? Se siamo fortunati troviamo fagioli malcotti, ma bisogna che Tina specifichi reiteratamente “senza carne”, altrimenti cuochi e camerieri, per forza d’inerzia, ci sbattono dentro maiale o pollo o quel che l’è.
A tutto c’è rimedio e un digiuno ogni tanto puo’ fare solo bene a noi occidentali, pasciuti e sovrappeso. Sono sicuro che quando Franco m’incontrerà prossimamente non potrà fare a meno di notare la mia magrezza. E mi sono fermato in Madagascar solo un mese!
Il problema pero’ è più profondo, e non si tratta solo di cosa mangiare. Il problema è di natura etica. C’è un posto nel mondo in cui un animalista puo’ vivere relativamente felice? Probabilmente no, giacché l’oggetto del nostro amore è da sempre sottoposto alla tirannia dei nostri simili e solo con l’oblio possiamo ricavarci una nicchia in cui trascorrere l’esistenza. Da noi ci si salva grazie al fatto che l’oppressione è occulta. Qui è palese, spontanea e mostrata laidamente agli occhi di chiunque. Hans Ruesch ha intitolato il suo più famoso libro “Imperatrice nuda”. Io, l’antica tirannia dell’uomo sugli animali, posso parafrasarlo in “Baldracca svergognata”. E, nei toni, mi sono trattenuto!
A meno che non si tratti di un falso, un antico manoscritto datato 1762, fu trovato nella sacrestia di una chiesa a Baltimora. Contiene alcune perle di saggezza paragonabili a quelle di Rudyard Kiplig raccolte nella poesia “Se”. Una di quelle frasi, del manoscritto di Baltimora, dice: “Tu hai diritto a vivere qui, non meno degli alberi e delle stelle”.
Io e Franco abbiamo diritto di vivere in Madagascar, se ce ne viene voglia, non meno dei baobab e delle comete. Gli altri, malgasci o vazaha che siano, possono dire quello che vogliono e anche se sarebbe impossibile insegnare a un pescatore a non pescare, a meno di mantenerlo per tutta la vita, lui e la sua famiglia, ci potrà scappare qualche opera meritoria a base di gatti, pesci boccheggianti e tartarughe marine salvate e restituite a una vita dignitosa e libera. Sarebbe una spruzzata di refrigerio all’inferno, una goccia di metafisica pietà in un oceano di inspiegabile sofferenza.

Il governo americano non ha escluso la possibilità di incontrare gruppi di insorti di al-Qaeda legate lotta contro il governo siriano.

mercoledì, dicembre 18, 2013
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Il Dipartimento di Stato USA nella persona del vice portavoce Marie Harf ha detto Lunedi che gli Stati Uniti potrebbero avviare negoziati con il gruppo di al-Qaeda-linked Fronte islamico, che cerca di rovesciare il governo del presidente siriano Bashar al-Assad.
“Noi non escludiamo la possibilità di incontrarci con il Fronte islamico”, ha detto ai giornalisti Harf. Qui tutta la notizia con il video: press Tv

L’Emiro dell’Afghanistan, la sinistra e le proteste popolari di Eugenio Orso

Posted on 18 dicembre 2013
Reazionari. Brutti, Sporchi e Cattivi. Populisti. Antidemocratici. Fascisti. Infiltrati dalla criminalità organizzata e dagli ultras da stadio. Eccetera, eccetera.

La propaganda – dai quotidiani alle tv, dalla politica degenere ma democraticissima, agli intellettuali “di complemento” al sistema – è impegnata a demonizzare, a criminalizzare, a delegittimare con ogni mezzo, con ogni accusa, ogni possibile insulto la protesta polare in corso dalla scorsa settimana in Italia. Qualsiasi accusa, pur infondata, è buona per seminare discredito intorno ai manifestanti e i loro capi, facendoli apparire come un pericolo per la società e la tanto divinizzata democrazia (liberale, di mercato, assolutistica). E’ soprattutto la sinistra – miglior servo sub-politico delle eurocrazie del denaro e della finanza – che fa la faccia feroce e copre con palate di merda mediatica gli italiani abbandonati a se stessi, rovinati dalla crisi, ormai alle corde, che manifestano nel paese. Il buffone Renzi e i suoi compari tuonano contro i Forconi e sottolineano l’estraneità “di quella gente” niente di meno che ai valori e alle tradizioni del partito democratico, della sinistra tutta. Peccato che dei vili collaborazionisti dei poteri esterni, abili mentitori privi di qualsivoglia dignità (non solo politica), impegnati come sono a svendere il patrimonio degli italiani e la pelle della popolazione ai loro padroni, non possono avere alcuna tradizione degna di questo nome e tanto meno valori, se non valori squisitamente monetari, ben più pingui dei trenta denari intascati dal povero Giuda.

Sono quelli del “progressismo”, delle riforme strutturali contro il paese e la popolazione, della crescita abbinata al rigore, della democrazia (liberale) “anche sul posto di lavoro”, dei famigerati stati uniti d’Europa (leggi eurolager). Quelli “di sinistra” dal doppio linguaggio e dalla lingua biforcuta. I figli degeneri nati dai cadaveri putrefatti del Pci e della Dc. Quelli che sventolano la bandiera dei loro padroni, l’orribile straccio blu con dodici stelle simbolo dell’oppressione, e aspettano l’osso da spolpare sotto il tavolo. Loro sarebbero la legalità democratica, mentre il popolo italiano oppresso è abusivo, quando cerca, in solitudine, di alzare un po’ la testa. Come abusivi, fascisti, o mafiosi, sono i capipopolo della rivolta, per ora nonviolenta e non armata. I vari Calvani, Ferro, Chiavegato, Zunino.

Chissà perché, mi torna in mente una metafora molto nota. L’Emiro dell’Afghanistan, di matrice marxista-leninista. Un duro come Sher Alì Khan costretto a vedersela con l’impero inglese e quello zarista e a combatterli con forze inferiori. L’Emiro non era che un regnante d’altri tempi con caratteristiche “reazionarie”, espressione di tradizioni orientali per noi indigeribili e oscurantismo con forti connotazioni religiose. Eppure, nella sua specifica congiuntura storica, opponendosi alle potenze imperialiste e colonialiste di allora, favoriva oggettivamente un processo rivoluzionario, diventando, nei fatti, esso stesso un rivoluzionario. Molto più rivoluzionario e antagonista, il nostro Emiro, di una buona parte del movimento operaio dell’epoca, già rifluita su posizioni meramente economico-rivendicative, interne al capitalismo, di natura socialdemocratica e revisionista. In un (non troppo) sorprendente rovesciamento delle parti, l’Emiro dell’Afghanistan diventava un rivoluzionario da appoggiare, che mirava allo scardinamento del sistema, mentre i “progressisti” del movimento operaio, edulcorato e svilito, si qualificano come un sostegno al sistema stesso e, quindi, come dei veri reazionari. L’Emiro lottava contro l’imperialismo, fase suprema del capitalismo secondo il grande Lenin, mentre una parte sempre più grande del movimento operaio europeo, socialdemocratica e revisionista, lo sosteneva fiancheggiandolo.

Come si può adattare questa metafora, utilizzandola convenientemente ai giorni nostri? Non è troppo difficile.

Il pontino Calvani che vuole marciare a tutti i costi su Roma come sta facendo oggi, che vorrebbe il governo dei carabinieri (e dei contadini!), oggettivamente, in questa congiuntura storica, punta a destabilizzare il potere vigente ed è, perciò, “rivoluzionario” e molto meno “reazionario” dei vigliacchetti di sinistra che si annidano nel pd (renziani e non renziani), nella cgil e nel sel collaborazionisti. Paradossalmente lo è chi, all’interno di questo movimento spontaneo, o semi-spontaneo, fuori dagli schemi usurati delle rappresentanze parlamentari e sindacali, vorrebbe addirittura una “junta militar” per fermare la strage sociale e produttiva, uscendo dall’unione europide e dall’eurolager nel modo peggiore (migliore, in verità) sbattendo la porta alle spalle. Le ombre inquietanti dell’Emiro dell’Afghanistan e del suo contrario, cioè i “progressisti” a supporto del sistema di potere vigente, sono ancora fra noi, sia pur con abiti nuovi.

Perciò io dico, ai vigliacchetti democratici, liberali, progressisti, servi delle eurocrazie, sempre attenti ai “diritti umani” e alle libertà civili astratte, ma non alle sofferenze crescenti di tutto un popolo: siete delle merde e siete voi i veri reazionari. Quelli fra loro che vengono “da sinistra” (ormai solo una direzione stradale), da anni hanno buttato nel cesso senza rimpianti Marx, Lenin, Gramsci e quant’altro, hanno abiurato qualsivoglia tradizione che avevano alle spalle, e ora li ripescano strumentalmente accusando i manifestanti di essere “reazionari” volti al passato, “ordini medi” allo sbando con un po’ di lumpenproletariat, “fascisti”, “mafiosi” e via elencando. Siete voi – care le mie merdacce politicamente corrette e progressiste – i veri farabutti, i veri lacchè del potere finanziario, i fiancheggiatori-collaborazionisti dell’oppressore neocapitalistico ed europoide, i nemici interni del popolo italiano. Siete voi, oggi, i reazionari, non i piccoli, piccolissimi Emiri dell’Afghanistan – oggettivamente “rivoluzionari per caso” – che guidano una disperata protesta popolare anti-sistemica!
http://pauperclass.myblog.it/2013/12/18/lemiro-dellafghanistan-la-sinistra-le-proteste-popolari-eugenio-orso/

Gli “indignati” a comando del fronte “politicamente corretto”

a Torino ci sono sfrattati e famiglie cadute nella morsa della povertà? Sono dei choosy che non vogliono lavorare

18 dicembre 2013 |

 
Naufragio: familiari vittime, aprite bare vogliamo vedere
di Luciano Lago
I giornalisti ed i commentatori del fronte del “politicamente corretto” hanno tratto scandalo dalla pubblicazione del filmato proveniente da Lampedusa  con le immagini del lavaggio e “disinfezione” dei migranti sbarcati sull’isola.  Certamente si tratta di uno spettacolo non “edificante” ma ci sono dei fattori determinanti  che vengono volutamente trascurati:
1) la situazione dell’isola di Lampedusa in grave degrado causa la successione di sbarchi massicci di migranti è tale da essere imputata come responsabilità a coloro che hanno incentivato il flusso di tali sbarchi sostenendo che fosse un “diritto” per tutti gli africani e nord africani quello di approdare sulle coste italiane ed essere accolti, alloggiati, rifocillati e mantenuti per tempo indefinito, come affermato dagli esponenti di governo ed in particolare  dai personaggi quali la ministra Kyenge, dalla Boldrini ed altri mondialisti,  sostenitori della  libera immigrazione di massa e dell’accoglienza senza limiti. Normale che le strutture collassino di fronte alla massa di emigranti che arrivano su una piccola isola e non possano assicurare quel minimo di accoglienza civile che un paese può assicurare.
2) la struttura del centro di accoglienza di Lampedusa è stata già incendiata e distrutta 2 volte da precedenti ondate di migranti ed appare inutile e dispendioso ricostruire megastrutture per l’accoglienza quando lo Stato si dimostra non in grado di far rispettare le leggi e le regole per i nuovi arrivati (che diventano sempre più esigenti ed arroganti di fronte alla “debolezza” delle istituzioni).
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Nella foto l’incendio del centro di accoglienza di Lampedusa
3) L’Unione Europea che vorrebbe sanzionare l’Italia per questa “difettosa” accoglienza è la stessa che obbliga l’Italia ad accogliere queste masse di emigranti mentre altri paesi come Francia, Spagna, Grecia e la stessa Gran Bretagna hanno messo in atto da tempo politiche restrittive e di respingimento e la medesima UE si guarda bene di fornire un supporto logistico e di distribuzione dell’ondata dei profughi e migranti.
Bisogna poi osservare che gli Alfano (nuovo acquisto nel fronte del “politicamente corretto”) e gli altri politici  e commentatori che si scandalizzano per le condizioni  “inumane” dei migranti sono gli stessi che si guardano bene da scandalizzarsi e dallo stracciarsi le vesti dall’indignazione per le condizioni inumane in cui si trovano migliaia di cittadini italiani anziani, malati e senza più assistenza, senza redditi o con pensioni da fame, molti di loro anche sfrattati e senza casa che si trovano a vagare per le strade, a rovistare nella spazzatura ed a mendicare un pasto caldo alla Caritas, grazie alle politiche di austerità ed ai tagli alle spese sociali e pensioni  imposti dalla UE ed attuati dai governi succubi e servili dell’oligarchia eurocratica.
Tanto meno questi signori si sono indignati nell’apprendere che in Italia ci sono oltre un milione di bambini che vivono sotto il livello di povertà (60,7% al sud) come certificato ultimamente dall’ISTAT, bambini le cui famiglie hanno difficoltà ad assicurare loro i tre pasti caldi giornalieri di cui necessitano, ad avere una casa riscaldata, visto che si tratta il più delle volte di famiglie dove i genitori hanno perso il posto di lavoro e non dispongono di alcun reddito di sussistenza perché si trovano fuori dai meccanismo di sussidi sociali (cassa integrazione o assegno sociale).
Questi signori del governo che si “indignano” non  hanno mai provveduto a prendere provvedimenti seri per fare fronte a questa situazione vergognosa ed inumana ma al contrario hanno continuato a versare denaro pubblico alle banche ed ai fondi di stabilità (54 miliardi soltanto al MES/ESM come dettato dall’Europa), a finanziare le spese della casta, a sovvenzionare i giornali di regime, a fornire denaro pubblico per i partiti ed a permettere alle organizzazioni sindacali di fare giganteschi affari con i patronati e con le trattenute su stipendi e pensioni.
Eppure sarebbe bastato che i politici del governo, senza allontanarsi da Roma, si fossero recati ad esempio al piazzale del Verano  dove sono stazionate da tempo una serie di roulottes e camper in cui vivono stabilmente parecchie decine di famiglie italiane sfrattate o senza casa che approfittano dei bagni del cimitero per lavarsi e rifornirsi di acqua, famiglie riservate e dignitose che già sanno di non poter pretendere un alloggio popolare, visto che a loro sono sempre preferiti extracomunitari e rom dall’amministrazione del sindaco Marino.
L’indignazione dei politici ed opinionisti del fronte del “politicamente corretto” diventa forte quando l’esclusione riguarda invece ad esempio una coppia gay che non riesce ad ottenere le tutele che si vorrebbero assicurare per legge o altrimenti  si passa dall’indignazione all’approvazione di fatto, quando si tratta ad esempio di assentire all’occupazione di alloggi fatta da  “rifugiati”extra comunitari,  come avvenuto a Torino con gli appartamenti delle ex villaggio olimpico.
Questo mentre decine di famiglie torinesi, anche con bambini, vivono per strada o in alloggi di fortuna perché sfrattati.
Questo è l’atteggiamento di “indignazione a comando”  del fronte del “politicamente corretto”, in particolare degli esponenti politici ed intellettuali di quella  sinistra che una volta amavano  atteggiarsi a “patrocinatori” del proletariato e delle “masse popolari” (definizione di Enrico Berlinguer) e che oggi si sono creati un proletariato da tutelare prioritariamente,  costituito dalle coppie gay, dagli immigrati clandestini e dai rom (si vedano  le proposte del ministro Kyenge e della Livia Turco di assegnare il 10% dei posti nelle amministrazione pubblica a queste categorie).
Nella questione di Lampedusa non poteva naturalmente mancare la voce della Commissione Europea che minaccia di sanzionare l’Italia per le carenze nell’accoglienza dei migranti a Lampedusa e nel resto della Sicilia. Per effetto della direttiva  UE, diventa obbligatorio assicurare comodi box doccia e spogliatoi dove assicurare il lavaggio e disinfezione dei nuovi arrivati, tre pasti caldi, indumenti adatti  ed alloggi confortevoli (fino a quando non vengano bruciati nella prossima rivolta), riconoscimento delle status di profugo con assegno alimentare da fornire ad ogni migrante. Esattamente quello che viene negato ai cittadini italiani che si trovino in condizione di indigenza.
Le direttive della Commissione Europea ed il pesante condizionamento di questa nella questione immigrazione non deve essere considerato casuale o estemporaneo. Dobbiamo qui ripetere il concetto  da noi esposto già in passato:  l’immigrazione di massa non è un fenomeno spontaneo ma piuttosto un fenomeno provocato e come tale costituisce una delle armi più formidabili di cui dispongono i  mondialisti  (coloro che operano per l’affermazione di un nuovo ordine mondiale) per imporre l’annientamento delle identità delle nazioni.
L’adeguamento dell’Italia alle direttive europee  sarà un fattore incentivante per l’immigrazione di massa  e permetterà poi un ulteriore aumento del flusso dei migranti , data la possibilità di comunicare questi progressi a parenti ed amici rimasti in Africa e che attendono di partire, incrementando il business degli scafisti e della mafia (libica e tunisina) che è stato reso un settore altamente redditizio e privo di rischi. Chi potrebbe poi sostenere che il governo italiano non  contribuisca a rilanciare  lo sviluppo e la crescita dell’economia (quella criminale e mafiosa) dei paesi del Nord Africa?