SIGNOR LETTA, LEI MENTE

di Francesco Lamendola
13 dicembre 2013

Davanti alle manifestazioni che si svolgono in tutta Italia in questi ultimi giorni, il Presidente del consiglio Enrico Letta ha affermato che il “popolo dei forconi” – parole testuali – «non è l’Italia»; che si tratta di una «piccola minoranza» la quale «non rappresenta il Paese».

Il vice-premier Alfano ha rincarato la dose e ha minacciato severe sanzioni per i perturbatori dell’ordine pubblico: ammirevole concordia fra l’ex Nipote e l’ex Delfino, i quali si sono autoproclamati i novelli salvatori dell’Italia contro il pericolo del «caos» e della «deriva protestataria», deriva alla quale bisogna opporsi specialmente ora, che il Paese sta risalendo la china.

Che stia risalendo la china, a dire il vero, è tutto da dimostrare: non solo il finlandese Olli Rehn, ma anche l’italianissimo Mario Draghi, che non è un Pinco Pallino qualsiasi, ma il Presidente della Banca Centrale Europea, vedono assai fosco il futuro dell’economia italiana e non se la sentono assolutamente di scommettere sulla tenuta dei nostri conti pubblici.

Tuttavia non ci sarebbe alcun bisogno che Olli Rehm o Mario Draghi avanzino simili dubbi e perplessità: basta essere un Italiano normale, un normale lavoratore o pensionato, un normale disoccupato o cassintegrato: basta essere un Italiano che non appartiene alla Casta, che se va in prigione non ha il ministro Cancellieri a tirarlo fuori e se viene beccato a evadere il fisco non ha settanta avvocati a difenderlo, come Berlusconi, né un volonteroso Parlamento che gli confeziona una legge “ad personam” dietro l’altra, a ripetizione, con ventennale tenacia.

Basta essere un piccolo commerciante che ha dovuto chiudere il suo negozio o il suo esercizio, schiacciato dalla tasse e dalla diminuzione della clientela; basta essere un piccolo imprenditore ridotto sul lastrico dalle commesse non pagate, magari da parte di qualche ente statale; basta essere un insegnante precario che da vent’anni viene licenziato a giugno, e non pagato per i tre mesi estivi, per essere poi riassunto a settembre, e così via, senza fine, da una classe all’altra, da una scuola all’altra, da una città all’altra, secondo graduatoria; basta essere un pensionato che non prende 30 o 40 mila euro di pensione d’oro, ma tre o quattrocento euro, con i quali deve pure – Dio sa come, ma i miracoli esistono – aiutare nipoti che non trovano lavoro o figli che l’hanno perduto, magari a quarant’anni o cinquant’anni di età.
Se il signor Letta e il signor Alfano non vivessero in un mondo tutto loro, dove i frigoriferi sono sempre pieni e dove non è un problema andare a pranzare ogni giorno nei migliori ristoranti, forse si renderebbero conto che la “vera” Italia è proprio quella cui essi negano dignità e legittimità, con la scusa dell’ordine pubblico e della “rappresentanza” democratica da difendere. Questa, infatti, è stata l’ultima trovata dell’ineffabile signor Letta: le manifestazioni contro il governo sono pericolose e potenzialmente sovversive perché contestano o rifiutano il concetto della “rappresentanza”, vale a dire, modestamente, lui stesso e gli altri membri della Casta.

Oh bella: e di quale mai “rappresentanza” va parlando? Forse che qualcuno lo ha eletto? Forse che qualcuno aveva eletto il suo degno predecessore e, come lui, sedicente salvatore della Patria, Monti (il quale ebbe la furbizia, o l’improntitudine, di battezzare il decreto finanziario che accelerava il massacro del Paese con il nome suggestivo di “salva-Italia”)? Eh già: senza costoro, l’Italia piomberebbe nel caos; e lorsignori non ci stanno a lasciar precipitare il Paese nel caos; lorsignori lo vogliono salvare, a dispetto di tutto e contro chiunque. «Mi batterò come un leone», ha detto testualmente Letta, rubando la battuta a Berlusconi. Non c’è dubbio che costoro sono dei veri leoni, quando devono battersi per difendere le loro inamovibili poltrone. Schiodarli da lì farebbe sembrare un semplice scherzo le dodici fatiche di Ercole o l’impresa degli Argonauti.

Sono sfrontati, non conoscono pudore né vergogna. Nessuno li ha eletti, eppure si ritengono legittimati a “rappresentare” in maniera impeccabile, anzi, insostituibile, il popolo sovrano; sono arrivati al potere mediante intrighi di palazzo, spintarelle, cavilli e doppi o tripli giochi, però recitano con sussiego la parte degli integerrimi idealisti, delle anime nobili e disinteressate, di tutto preoccupate tranne che del proprio vantaggio e del proprio tornaconto.

Strano: si direbbe che siano piovuti sulla Terra direttamente dal pianeta Marte. Si direbbe che non appartengano alla politica italiana, alla Casta italiana, da una vita intera; si direbbe che, mentre i governi degli ultimi vent’anni facevano aumentare, legislatura dopo legislatura, il deficit dello Stato, loro si trovassero chissà dove, su un altro pianeta, in un’altra galassia, e non nei vecchi partiti, nei vecchi governi, o seduti saldamente nel Parlamento nostrano. Con inaudita faccia tosta si presentano e dicono di essere vergini, di avere le mani nette, di non portare alcuna responsabilità nello sperpero del denaro pubblico, nella corruzione, nella gestione disastrosa della finanza, nel collasso del sistema industriale, nelle politiche fiscali sempre più rapaci e vessatorie, nella distruzione sistematica del sistema scolastico e di quello sanitario, nella vendita al migliore offerente straniero dei settori strategici della nostra economia, dalla flotta aerea alle telecomunicazioni, passando per la chimica, per la siderurgia, e perfino per l’alimentare e il manifatturiero.

Il Ministro dell’economia, Saccomanni, esulta e si compiace perché gli ultimi rilevamenti statistici dicono che, anziché in negativo, la nostra crescita è, attualmente, a “livello zero”: se non fosse una battuta ripetuta a voce alta, si penserebbe di aver capito male, oppure a uno scherzo di dubbio gusto. Questa è la gente che ha deciso di salvarci, di guidarci oltre la crisi, di traghettarci fuori dalla palude della recessione. E intanto cresce il numero dei ragazzi che non provano neppure a cercarsi un lavoro in Italia e che prendono la via dell’estero, esportando competenze ed entusiasmo: non di rado, si tratta di eccellenti laureati, di tecnici di prim’ordine, di ricercatori specializzati che le altre nazioni ci invidiano (e, infatti, se li accaparrano sottocosto, comprandoseli ai saldi di un’Italia in liquidazione).

Esportiamo cervelli, esportiamo fabbriche: sono ormai centinaia, migliaia, le nostre fabbriche migrate verso lidi più accoglienti, creando posti di lavoro altrove e facendone sparire altrettanti qui da noi. Logico, del resto: perché un imprenditore del Veneto o del Friuli dovrebbe rimanere in questa Italia matrigna, pagando circa il settanta per cento di tasse sui guadagni, mentre pochi chilometri più in là, in Austria, i suoi colleghi d’Oltralpe pagano appena il quindici per cento? E, del resto, come reggere una simile concorrenza? Come fare con le banche italiane, che non prestano un euro a nessuno se non hanno le più ampie garanzie, mentre poi, del nostro denaro, fanno tutto quel che vogliono, senza rendere conto a nessuno, e tanto meno ai loro clienti?

Caro Letta, quando lei dice che i forconi non sono l’Italia, mente: è lei che non è l’Italia, che non la rappresenta in alcun modo: lei e tutta la Casta di cui lei fa parte. Certe cose lei non può arrivare nemmeno a capirle. Non può nemmeno arrivare a capire l’indecenza di aver difeso a spada tratta il ministro Cancellieri dopo le sue vergognose telefonate alla famiglia Ligresti; non può arrivare neanche a capire quanto sia stato scandaloso, da parte sua, aver nominato Ministro della giustizia una persona come la Cancellieri, amica di una famiglia come quella dei Ligresti. La pazienza, la stanchezza, la rassegnazione degli Italiani, lei e quelli come lei hanno pensato – a torto – che debbano durare in eterno. Ora, invece, stanno finendo e lei non capisce, sa solo denigrare e disprezzare: ma non ne ha il benché minimo diritto. Dire che chi protesta per le strade e nelle piazze, in questo momento, non è la vera Italia, significa dire che la vera Italia è quella dei miliardari, dei raccomandati, dei membri della Casta: quelli stessi che hanno portato il Paese allo sfascio, che lo hanno spolpato per anni, che infine lo hanno venduto ai poteri forti internazionali, alle grandi banche e agli speculatori finanziari.

In questi primi mesi del suo governo lei non ha fatto assolutamente niente, né per dare il segnale di un reale cambiamento (nuova legge elettorale, tagli ai costi della politica, abolizione delle province e del Senato, o, almeno, dimezzamento del numero dei parlamentari), né per metter mano, e sia pure alla lontana, ai problemi strutturali della nostra economia, primo fra tutti il deficit del bilancio (imposta progressiva sulle proprietà e sui redditi). Ha conservati tutto, ma proprio tutto, così com’era prima, compresi gli stipendi d’oro e le pensioni d’oro, comprese le buone uscite d’oro per i manager pubblici: non ha avuto neppure la decenza, ma vorremmo dire l’intelligenza, di far finta di mettere mano a delle autentiche riforme.

Ha seguito l’esempio del presidente Napolitano, il quale continua a costarci, in questo suo secondo e onnipotente mandato, più dell’Eliseo e di Buckingham Palace messi insieme: neppure un giardiniere, neppure un cuoco, neppure un autista in meno di quanti ve n’erano prima, ai bei tempi della spendacciona e corrotta Prima Repubblica. Tutto è continuato come se nulla fosse stato, come se in questi ultimi anni, in questi ultimi mesi, mentre lorsignori chiedevano al popolo italiano sacrifici di lacrime e sangue, tutto, per loro, potesse andare avanti come sempre, alla solita maniera: mentre invece la povertà è venuta ormai a bussare – e sono i dati ufficiali a dirlo – alla porta di una famiglia italiana su tre. Non la ristrettezza, ma proprio la povertà: quella che spinge le persone a non pagare più le bollette, finché ti staccato il telefono, la luce e il gas; quella che spinge le persone a fare la fila ai mercati generali per portarsi via un po’ di verdura avariata, o alle mense della Caritas per farsi servire un piatto di minestra calda. Quella che costringe le persone a passare l’inverno senza riscaldamento e ad arrivare a fine mese con il frigorifero vuoto.

Difficile dire come andrà a finire, o forse anche troppo facile. Ora che ci siamo svenduti la sovranità nazionale e che la nostra classe dirigente ci ha consegnati al capitale straniero per trenta denari, in cambio della promessa di poter continuare a fare – o di poter continuare a fare finta di fare – quello che è sempre stata, la “nostra” classe dirigente; ora che essa ha ottenuto le garanzie per poter continuare a spolpare quel poco di carne che ancora rimane attaccata alle ossa del nostro popolo, di poter continuare a spremere sempre nuove tasse dai contribuenti sfiancati, e intanto recitare la commedia di preoccuparsi del bene comune e del servizio al Paese, essa che trasferisce i suoi conti bancari all’estero, che manda i suoi figli a studiare nei college anglosassoni, che va a curarsi nelle cliniche svizzere e che poi indice scandalose tavole rotonde per discutere, con sussiego, di “green econony”, di sostenibilità e di buon governo: ora possiamo metterci il cuore in pace e aspettare le prossime due o tre generazioni per sperare in un vero cambiamento. A meno che perdiamo la pazienza e decidiamo di mandarli tutti a casa.

È quello che sta incominciando ad accadere, e costoro già si lanciano in scomuniche e censure, paventando chissà quali pericoli per la nostra democrazia a causa della “piazza”, dei “populismi”, dell’”antipolitica”. Non sembrano rendersi conto che la piazza è il Paese reale, e che la rivolta non è diretta contro la politica in astratto, ma contro di loro: vale a dire contro il peggio di quel che la politica può offrire a quei malcapitati sudditi che, per pudore e per conformismo, si continua a qualificare con l’eufemismo di “cittadini”. Ma i cittadini hanno dei diritti e dei doveri, mentre gli Italiani di oggi non hanno che doveri, primo dei quali chinare la testa, pagare e tacere. Come hanno fatto sino ad oggi, complici una stampa e una televisione prezzolati, che hanno la sfacciataggine di chiedere la sovvenzione del pubblico denaro per continuare a mentirci e a disinformarci a tutto spiano.

Perché non sono soltanto i politici che bisogna mandare a casa, ma tutta la classe dirigente: banchieri, assicuratori, grandi imprenditori, professori universitari, giornalisti, senza dimenticare gran parte della magistratura, degli alti comandi militari e dei servizi segreti: mentre i nostri due marò restano in India e viene pure ventilata la loro condanna a morte. Quei due marò, dei quali tutti sembrano essersi dimenticati, sono il simbolo della vera Italia: dignitosa e tradita. E i politici e i pezzi grossi dell’esercito, che li lasciano in ostaggio dell’India, sono i degni rappresentanti di quell’altra Italia, quella della Casta: senza onore, ma ben decisa a perpetuarsi all’infinito, autocelebrandosi e autoassolvendosi in qualunque circostanza.

I forconi non sono la vera Italia? Lei mente, signor Letta. Lei è il degno rappresentante di una classe dirigente bugiarda, incapace, fuori dalla realtà, ma fieramente decisa a resistere a qualunque cambiamento, a conservare per sempre prebende e privilegi. Lei appartiene a quel partito e a quel Parlamento che non hanno saputo neanche eleggere un nuovo Presidente della Repubblica. Grillo è solo un comico? Eppure, se non fossero risate amare, diremmo che la sua comicità non è da meno…
Fonte: Arianna Editrice
http://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=46770

SIGNOR LETTA, LEI MENTEultima modifica: 2013-12-14T10:43:50+01:00da davi-luciano
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