Le finte privatizzazioni? Maxi-favori ai banchieri amici

  Privatizzare ha due obiettivi fondamentali. Il primo è scollegare la politica e il palazzo dalla gestione delle imprese restituendole al mercato. Il secondo è recuperare risorse una tantum per coprire il nostro gigantesco debito pubblico. Le privatizzazioni annunciate da Letta in una certa misura raggiungono il primo obiettivo. Facciamo un esempio. La Sace è una società attiva nel sostegno assicurativo alle imprese e vale circa 5 miliardi. C’è la possibilità che venga acquistata dalle Generali. Il passaggio dal pubblico al privato ci sarebbe e sarebbe decisivo. Stm, la società dei microchip, verrebbe invece ceduta dal Tesoro alla Cassa depositi e prestiti (che per l’80 per cento è del Tesoro stesso e per il resto delle Fondazioni bancarie) realizzando solo una partita di giro. Ma pur sempre giro pubblico. Ma proprio il caso Sace ci racconta il bluff contabile di queste privatizzazioni. Qualcuno ci deve infatti spiegare come si possa privatizzare due volte la stessa società.
L’anno scorso infatti ci furono titoloni dei giornali che favoleggiavano sui dieci miliardi di privatizzazioni realizzate dal governo Monti. Succedeva che il Tesoro cedeva alla solita Cassa depositi e prestiti la medesima Sace. Scrivemmo che più che una privatizzazione si trattava dello spostamento da una tasca all’altra di un bene che rimaneva nella piena disponibilità pubblica. Tanto che a distanza di un anno si riparla di privatizzare la Sace. Un miracolo. Ma i paradossi non finiscono qui. Il governo Letta ha parlato di 10-12 miliardi derivanti dalle privatizzazioni. Circa nove di questi 12 miliardi sono di società nel portafoglio della Cdp (non solo la Sace, ma anche Fincantieri, gran parte dell’Eni e le reti infrastrutturali). La Cassa si terrà gran parte del bottino, poiché ha necessità di rafforzarsi patrimonialmente.
Come proventi delle privatizzazioni resterebbero più o meno tre miliardi che la Cdp potrebbe dare al Tesoro con un dividendo straordinario. Ma c’è un problemino. Il 20 per cento di questo dividendo sarebbe ovviamente pagato al socio di minoranza e cioè le Fondazioni bancarie. Ricapitoliamo. Lo Stato dice di vendere per circa 12 miliardi. Il Tesoro incasserà poco più di 2 miliardi di euro. E 600 milioni finiranno nei forzieri, oggi a secco, delle Fondazioni bancarie. Giuseppe Guzzetti, il potente numero uno delle ex casse di risparmio, può finalmente aprire la bottiglia di champagne che aveva in fresco da anni. Con le banche conferitarie che non danno un dividendo, le Fondazioni rischiavano di rimanere impantanate. Ci pensa il governo Letta, che grazie alle privatizzazioni, fa loro questo bel regalo. Le assurdità contabili di queste vendite di Stato continuano. I circa 2,4 miliardi (sempre che si riesca a vendere tutto) che potrebbero arrivare nelle casse del Tesoro, non andrebbero a ridurre il nostro debito pubblico.
Grazie all’invenzione fatta l’anno scorso dal governo Monti, si possono usare introiti straordinari (come quelli derivanti da vendite di società o di immobili, insomma dalla cessione dei gioielli della corona) per pagare le spese correnti. È come se una famiglia indebitatissima si vendesse la casa o le posate d’argento per andare a mangiare in un ristorante stellato. Se ciò avvenisse in una famiglia, si potrebbe chiamare la neuro. Se ciò avviene nello Stato, si chiama la finanziaria. La morale. Grazie alla vendita di pezzi del nostro patrimonio, stiamo dando una mano agli azionisti delle banche, oggi in grande difficoltà, stiamo rendendo sempre più forte la nuova e moderna Iri (cioè la Cdp) e con quel che resta stiamo finanziando i pasti del 2014. Che vedrete prima o poi qualcuno dovrà pagare.
(Nicola Porro, “Finte privatizzazioni”, da “Il Giornale” del 13 novembre 2013)
Fonte: www.libreidee.org
5.12.2013

Islanda :cancellati 24 mila euro dai mutui della casa

Di Susanna Picone

L’Islanda cancellerà a 100mila dei suoi cittadini, cioè un terzo della popolazione, 24mila euro dal mutuo per la casa. Un bel regalo per gli islandesi che era stato promesso durante la campagna elettorale. Era stato il Progressive Party, capofila della coalizione di centro-destra, ad aver fatto questa promessa che ora si appresta a mantenere. È stato infatti introdotto un piano per la riduzione dei mutui legati all’inflazione di circa 900milioni di euro (150 miliardi di corone). Si tratta di un rimborso interpretato come un risarcimento dopo che la svalutazione della corona aveva fatto alzare i prezzi e le rate dei mutui. A pagare dunque non saranno i contribuenti ma la finanza. Ma se questo regalo non può che far festeggiare i cittadini in Islanda non è stato allo stesso tempo ben visto sia dal Fondo Monetario Internazionale che da Standard & Poor’s. S&P e il Fmi infuriati –Secondo l’istituto di Washington la ripresa economica nell’isola è ancora debole e non è possibile regalare nulla ai contribuenti, mentre l’agenzia di rating ha minacciato di abbassare il giudizio del Paese. Ma nonostante ciò il Primo Ministro Sigmind Gunnlaugsson non sembra preoccuparsi: ha affermato, infatti, che è iniziato il vero rinascimento economico dell’isola, dopo il default del 2008. Secondo lui l’impatto sui conti nel prossimo triennio sarà minimo. Oltre ad alleggerire i mutui dei cittadini il Governo ha anche varato un piano che prevede agevolazioni fiscali per incoraggiare gli islandesi ad utilizzare i loro fondi pensionistici per azzerare il debito

Fonte:http://www.fanpage.it/islanda-cancellati-24mila-euro-dai-mutui-per-la-casa-pagheranno-le-banche/

http://www.infiltrato.it/economia/islanda-da-sogno-cancellati-24-mila-euro-dai-mutui-per-la-casa-a-pagare-saranno-le-banche

http://informazioneconsapevole.blogspot.it/2013/12/islanda-cancellati-24-mila-euro-dai.html

Chiudete le frontiere

naturalmente sono considerazioni razziste mascherate da pensiero logico…. urge protestare affinché Sartori non scriva e si esprima più

Specialmente noi – anche se non soltanto noi – ci siamo intrappolati in un girotondo vizioso che era facile prevedere ma che non è stato previsto. Sorvoliamo sulle colpe. Il fatto è che abbiamo creato una Comunità europea indifesa e indifendibile nella sua economia produttiva e nei suoi livelli di occupazione. Eppure era ovvio che aprirsi alla globalizzazione in un mondo nel quale i salari dei Paesi poveri, i Paesi del cosiddetto Terzo mondo, erano 5, 10, a volte persino 20 volte, inferiori ai nostri salari, avrebbe costretto le nostre industrie, specie le grandi industrie, a dislocarsi dove il lavoro costava meno.

Dunque la globalizzazione dell’economia produttiva comportava la disoccupazione europea. I Paesi più efficienti e meglio governati hanno sinora fronteggiato la situazione. Ma in parecchi membri dell’Unione Europea la globalizzazione ha gonfiato il debito pubblico a livelli non sostenibili e ha gonfiato a dismisura la burocrazia dello Stato o comunque a carico dello Stato.

Oggi siamo costretti a dimagrire: per cominciare, via gli enti inutili, via le Province, via le burocrazie clientelari e gonfiate delle Regioni. La soppressione delle Province forse andrà in porto: ma con l’assicurazione che il loro personale verrà salvato e manterrà lo stipendio che aveva. E allora siamo sempre nel circolo vizioso di partenza.

Il punto è che per uscire dalla crisi di disoccupazione che ci sta facendo affondare bisogna che il lavoro torni nell’Unione Europea. Come si fa? Si fa come hanno sempre fatto tutti gli altri Paesi avanzati, ivi inclusi gli Stati Uniti e il Regno Unito (che sta in Europa sì e no), e cioè proteggendosi quando occorre. Gli europeisti ritengono invece che la soluzione sia nel federalismo; ma, come non mi stanco di ripetere, un sistema federale richiede una lingua comune.

L’unica eccezione a questa regola è la piccola Svizzera. Ma chi cita la Svizzera (che poi, salvo un’eccezione, è in sostanza bilingue) dovrebbe spiegare e adottare la formula di governo federale di quel Paese. Che è molto bizzarra e che non è certo esportabile. Al massimo l’Europa può puntare su una formula confederale con un potere centrale molto debole; ma questa soluzione non risolverebbe granché. La mia proposta invece è di una Unione Europea che sia al tempo stesso anche una unione doganale. Il che significa che una difesa doganale non può essere decretata da un singolo Stato, ma deve essere autorizzata, per esempio, dalla Banca centrale europea.

Altrimenti il nostro Paese continuerà a tassare semplicemente per pagare poco e male le pensioni, e a sussidiare poco e male i disoccupati. Un pozzo senza fondo nel quale stiamo sprofondando sempre più (altro che ripresa!), visto che abbiamo anche stabilito che l’immigrazione clandestina non è reato, e che abbiamo una ministra dell’Integrazione che si batte per istituire lo ius soli , il diritto di chi riesce ad entrare in Italia di diventarne cittadino.

A questo proposito si deve ricordare che la industrializzazione dell’Europa continentale fu favorita e protetta da una unione doganale (inizialmente lo Zollverein tedesco); in sostanza, dalla protezione delle industrie senza le quali un Paese non diventa industriale. Nel contesto dell’Unione Europea la protezione di ogni singolo Stato dovrebbe essere consentita, per esempio, dalla Banca centrale, che potrebbe anche permettere barriere interne che siano giustificate dalla difesa del lavoro e delle industrie chiave nei Paesi che le hanno perdute .

L’alternativa è quella di cui stiamo soffrendo: tasse crescenti, e oramai suicide, per pagare una disoccupazione crescente. Che già ci scoppia tra le mani. Nel 2008 un importante politologo americano, Walter Laqueur, pubblicava un libro, Gli ultimi giorni dell’Europa , nel quale spiegava che «l’immigrazione incontrollata ha popolato l’Europa di persone che non hanno nessun desiderio di integrazione ma che pretendono i servizi sociali, l’assistenza medica sovvenzionata e anche i sussidi di disoccupazione che offrono i Paesi ospitanti».

Questa immigrazione proviene al meglio da Paesi che sanno gestire piccoli negozi, piccoli traffici nei vari bazar, e cioè i mercati caratteristici del Medio Oriente dove si vendono chincaglierie di ogni genere ma che non hanno mai sviluppato una società industriale. In Europa i più bravi possono ricreare il negozio tipico dei bazar, ma i più possono solo offrire un lavoro sottocosto che li lascia emarginati in squallide periferie di miseria caratterizzate da disoccupazione e da risentimento contro i Paesi ospitanti. Il risultato non è dunque integrazione, ma semmai sfascio e aumento della delinquenza.

L’Inghilterra e la Francia sono oggi i Paesi europei più invasi, per così dire, da questi «disintegrati», sempre più ribelli e violenti. L’Inghilterra per via del Commonwealth, la Francia per cercare di salvare (assurdamente) la sua colonizzazione. La Francia, oggi con un presidente socialista, si limita a fronteggiare le sommosse. L’Inghilterra che ha in materia le mani libere ora chiede, con Cameron, di controllare e limitare severamente l’immigrazione. E noi? Noi siamo, con lo scombinato governo Letta e la incombente pressione della «sinistra» di Renzi, i peggio messi di tutti.

Qualche cifra. Il nostro debito pubblico supera il 130% del nostro Pil. È un debito pagato con buoni del Tesoro, e cioè dai risparmiatori e (troppo) dalle banche. La disoccupazione dei giovani tra 15 e 24 anni sorpassa il 40%. In questo caos il potere giudiziario straripa ogni dove ma – cito Severgnini su queste colonne – «l’Italia è maglia nera… anche per la durata del processo civile, 564 giorni per il primo grado contro una media europea di 240 giorni. Il tempo medio europeo per la conclusione di un procedimento di 3 gradi di giudizio è 788 giorni… in Italia è di quasi 8 anni». In questo bailamme crescono i votanti che vorrebbero uscire dall’Europa, il che ci consentirebbe di svalutare la nostra moneta. Temo che malmessi come siamo sarebbe un rischio altissimo. Io non lo raccomando.

Giovanni Sartori
Fonte: www.corriere.it
3.12.2013

Referendum contro i Trattati Europei. La campagna di Ross@ parte anche online

Mercoledì, 04 Dicembre 2013 10:02
Redazione Contropiano
La campagna lanciata da Ross@ per ottenere il referendum sulla disdetta dei Trattati Europei sottoscritti dall’Italia (Fiscal Compact etc) marcerà anche online e non solo conla raccolta delle firme nei banchetti per strada e nei posti di lavoro. Come noto, la Costituzione non permette referendum abrogativi sui trattati internazionali, ma la petizione di Ross@ fa riferimento al precedente del referendum di indirizzo costituzionale già effettuato in Italia nel1989 in coincidenza delle elezioni europee svoltesi in quella occasione. La richiesta è che il Parlamento vari quanto prima un referendum di indirizzo costituzionale sui Trattati Europei che vincolano l’Italia e impongono le devastanti misure di austerità sul piano economico, sociale e democratico.

Qui di seguito il testo delle petizione online e dei moduli che troverete sui banchetti
A Presidente della Camera dei Deputati Laura Boldrini

Presidente della Camera dei Deputati Laura Boldrini: Che si indica un Referendum contro i Trattati europei, causa delle devastanti misure di austerità
Lanciata da Ross@
LA PETIZIONE

I e le sottoscritti/e cittadini/e italiani/e, a norma dell’articolo 50 della Costituzione, rivolgono alla Camera dei Deputati una petizione affinché sia varata una legge costituzionale – ripetendo il precedente del 1989 – per l’indizione di un referendum popolare di indirizzo sulle misure economico-sociali di austerità previste nella normativa europea e nazionale.
Domandano, altresì, che il quesito sia formulato per chiedere che lo Stato italiano denunci il Trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance nell’Unione economica e monetaria (cosiddetto Fiscal Compact) ed il Trattato che istituisce il Meccanismo europeo di stabilità (MES), per superare i vincoli da essi previsti in materia di politica economica e per attuare, invece, politiche volte a garantire i diritti sociali e ad espandere l’occupazione al fine di superare l’attuale crisi economica.
Perché firmare la petizione

Leggi

1) Basta con l’austerità. NO all’Unione Europea Noi vogliamo il referendum sui Trattati fiscali europei e le politiche di bilancio
link:

https://www.facebook.com/notes/ross-a/basta-con-lausterit%C3%A0-no-allunione-europea-noi-vogliamo-il-referendum-sui-trattat/464336540353834

2) La micidiale gabbia dei Trattati

al link:

Europeihttp://www.contropiano.org/documenti/item/20700-la-micidiale-gabbia-dei-trattati-europei

http://www.ross-a.it/

https://www.facebook.com/pages/ross-a/352955291491960

da www.contropiano.org

Il Grillo no-euro pensa ai giovani: non emigrate, cospirate

ti sbagli Grillo. Devono emigrare, in Italia, se qualcuno condivide una battaglia ma non è della compagnia giusta riceve ostracismo sulla base di pregiudizi.
Rossa propone ora i referendum, l’estrema destra è da quasi sempre euro scettica ed ora tu.
Tre corse diverse che non si uniranno mai perché ognuno pensa dell’altro che “gli puzzano i piedi”. NON ILLUDIAMO GLI ITALIANI CHE saranno di nuovo PADRONI DELLE LORO VITE perché vinceremo la battaglia per la sovranità. NON E’ VERO.
IN piazza ci saranno tizi che diranno no loro anche se sono euroscettici non devono esistere. E L’ELITE CONTINUERA’ ad assassinarci impunita. Divide et impera.L’italia è maestra, bastano etichette e steccati e saremo per sempre schiavi grazie agli utili idioti.

Non c’è ancora una ricetta precisa – sull’euro “solo” un referendum – ma il nemico è finalmente messo a fuoco: la vera casta, quella di Bruxelles, che emana i peggiori diktat (Fiscal Compact e pareggio di bilancio) per volontà della Commissione Europea, cioè di un governo-fantasma e onnipotente, che nessuno ha mai eletto. E’ la svolta genovese di Grillo, quella del terzo V-Day: la colpa principale della nomenklatura italiana non è più la sua endemica corruzione, ma l’accondiscendenza criminosa verso il potere “nemico” che ha usurpato l’orizzonte europeo per trasformare l’Unione in una sorta di dittatura, ben decisa a rovinare un paese come l’Italia. Balza agli occhi il dato generazionale della piazza grillina, osserva Anna Lami: il popolo di Grillo ha un’età media di trent’anni, è fatto di giovani coppie, studenti, famiglie con bambini. «A differenza delle primarie del Pd, delle convention berlusconiane e della gran parte dei ritrovi di quello che resta della sinistra anticapitalista, i pensionati nella piazza pentastellata sono una sparuta minoranza».
«Chi negli anni a venire porterà sulle spalle il peso dei disastri che questo sistema sta producendo – aggiunge Anna Lami nel suo reportage su “Megachip” – attualmente guarda ai 5 Stelle con speranza». E il V-Day di Genova segna un salto significativo nel profilo politico del movimento grillino: si riducono i meri attacchi alla casta politica e crescono quelli all’Europa dell’austerità e dell’euro. «Si tenta anche di delineare i primi tratti che dovrebbero caratterizzare in positivo la società del futuro (citati gli esempi di Correa, Morales e Maduro), in maniera a tratti confusa, ma indice di un significativo progresso che, probabilmente, Grillo e Casaleggio intendono innestare nella coscienza del “loro” popolo». Parole dirette, emergenze stringenti: povertà («ci sono 8 milioni di poveri, non possiamo continuare a far finta che non esistano»), precarietà occupazionale («c’è troppa gente costretta ad accettare qualsiasi ricatto per sopravvivere»), allargamento del divario tra ricchi e poveri. Napolitano? Merita l’impeachment: «Rimarrai solo», tuona Grillo, rivolto all’uomo del Colle. «La tradirai da solo, l’Italia».
“Oltre”, la parola chiave del meeting, è soprattutto «andare oltre il concetto di quest’Europa , a cui non credono più neanche i bambini». In sette punti, ecco delineata la politica estera europea del “populista arrabbiato”. Innanzitutto un referendum sull’euro: «Siamo stati truffati quando siamo entrati, e ora ci troviamo a competere in un mercato schizofrenico». Deve pur esserci un piano-B, perché di questo passo c’è solo il collasso dell’Italia. Gli eurobond, per imporre alla Bce di sostenere i debiti sovrani? «Non li accetteranno mai, ma li chiederemo lo stesso».

Come? Stringendo un’alleanza coi paesi mediterranei: «Non dobbiamo parlare con la Merkel, ma con i paesi simili a noi, con problemi simili ai nostri». Cioè Francia, Spagna, Grecia, Portogallo. «Gli economisti mi criticheranno? Sono loro la rovina di questo paese, in cinquant’anni non ne hanno azzeccata una». Il resto sono conseguenze, ben esplicitate. Come il no al pareggio di bilancio: «Vedremo noi se e come sforare, e non per diritto costituzionale. Abbiamo perso la sovranità monetaria, quella economica, quella dei nostri figli». Idem per il Fiscal Compact, da abolire: «Non possiamo accettare un contratto per il quale dovremo tagliare 50 miliardi l’anno per vent’anni». Ai giovani, protagonisti della piazza, un’esortazione forte: «Non dovete emigrare, dovete cospirare!».
Fonte: www.libreidee.org
3.12.2013

Perché prendere ordini da Olli Rehn ?

Un fisico da attore comico, il classico volto pacioccone da commedia brillante: lo sfigato che tenta inutilmente di farsi prendere sul serio. In virtù dell’indecente ordinamento feudale dell’Unione Europea, persino uno come lui – Olli Illmari Rehn, classe 1962, proveniente dal paese di Babbo Natale – è in grado di impartire moniti e severe direttive ai 60 milioni di individui che compongono il popolo italiano.
Popolo che pure è autorizzato (per ora) a continuare a votare per il suo Parlamento nazionale, quello di Roma, il quale però ha ormai competenza solo sull’1% dei problemi del paese: il 99% è infatti appannaggio diretto di Francoforte e Bruxelles, per gentile concessione di Washington.

Così, a spiegare agli italiani di che morte dovranno morire può provvedere impunemente un tizio come il signor Rehn, dal 2010 “commissario europeo per gli affari economici e monetari”. Un super-potente, nonostante quella faccia un po’ così. Un gauleiter, a tutti gli effetti: con piena facoltà di emanare diktat acuminati, anche se non è mai stato eletto da nessuno di noi.
Economia, relazioni internazionali e giornalismo. Il curriculum del “signor no” che da qualche tempo perseguita gli italiani riassume da solo la mappa strategica dei territori-chiave riconquistati dal pensiero unico, negli ultimi decenni, per imporre la ricetta economica dell’oligarchia neoliberista: il trionfo dei pochi sui molti, la geopolitica piegata all’egemonia globalizzata delle élite finanziarie e mercantili, la disinformazione come arma pervasiva e invisibile del regime.

Per capire chi è il “ministro dell’economia” della Commissione Europea basta aprire la relativa paginetta di Wikipedia: vi si legge che Rehn si è laureato nel Minnesota, si è specializzato a Oxford e ha approfondito le sue competenze sul corporativismo e la competitività industriale negli Stati europei minori, quelli che oggi sono sottoposti alle amorevoli cure della Troika. Ma anche Olli Rehn, dopotutto, è un essere umano: è sposato, ha un figlio, in gioventù ha persino giocato a calcio nella serie A finlandese.

Moderato, è in politica dalla fine degli anni ’80. Nella triste Europa dell’Unione si è affacciato nel 1991, guidando la delegazione finlandese, per poi approdare all’euro-Parlamento nel ’95. Anni cruciali, quelli seguenti, segnati dall’incontro con l’uomo del destino, il connazionale Erkki Liikanen, futuro governatore della banca centrale finnica e all’epoca “ministro” della Commissione Europea guidata da Romano Prodi.

Col tempo, Rehn ha preso il posto di Liikanen ed è rimasto pressoché in pianta stabile nell’esecutivo sub-imperiale europeo, prima presieduto da Prodi e poi da Barroso.

Uno specialista, il dottor Rehn: è stato lui a trattare l’ingresso nell’Ue di Romania e Bulgaria, nonché a tenere in caldo l’adesione della Turchia. Così efficiente, il signor nessuno venuto dal freddo, da meritarsi la poltronissima di super-ministro dell’economia, dalla quale minacciare ogni giorno – con le solite armi di distruzione sociale di massa – chiunque non intenda piegarsi alle micidiali “direttive” di Bruxelles.

Al popolo italiano – e a tutti gli altri, sventurati ostaggi dell’Eurozona traditi dalle rispettive partitocrazie nazionali – resta da spiegare per quale ragione al mondo un paese come l’Italia dovrebbe prendere ordini (perché di questo si tratta) da un anonimo funzionario come l’ex calciatore finlandese.

Da noi si combatte per un seggio in Parlamento, si corre per le primarie e si accorre ai meeting di Grillo, si favoleggia ancora sulle notti di Arcore, si discute (en passant) su come smontare la Costituzione e su come eventualmente rimontare una vera legge elettorale.

E intanto si chiacchiera sull’Imu, si prende nota dei soggiorni europei del turista Letta e del fido banchiere Saccomanni, si vocifera di privatizzazioni e nuovi tagli, nuove tasse, nuovi orrori.

E nessuno mai che spieghi per chi e per che cosa gli italiani dovrebbero votare, se poi alla fine a decidere del loro destino saranno ancora e sempre gli invisibili Padroni dell’Universo, per i quali lavorano gli ineffabili estremisti in doppiopetto come Olli Rehn.

Giorgio Cattaneo
Fonte: http://megachip.globalist.it/
Link: http://megachip.globalist.it/Detail_News_Display?ID=92418&typeb=0&Perche-prendere-ordini-da-Olli-Rehn
4.12.2013

Perché Israele non ha “amico migliore” dell’Italia

Attenzione, contenuto antisemita quindi nazista. La schematizzazione per cliché è necessaria  per non confondere chi è abituato a sigle, etichette e steccati.

Con 473 milioni di euro, Israele è stato il primo cliente per l’industria bellica italiana nel 2012. E il premier Letta è ansioso di intensificare i rapporti.
di Stephanie Westbrook
Roma, 02 dicembre 2013, Nena News – Quando i leader politici di Italia e Israele si incontreranno il prossimo mese per un vertice a Torino, sarà per festeggiare una fiorente amicizia – una in cui l’Italia aiuta Israele ad occultare la sua realtà macchiata di sangue. I discorsi ufficiali in vista del summit del 2 dicembre sono sugli accordi politici, economici e culturali. Ciò che invece passa sotto silenzio e l’intensa cooperazione militare tra i due paesi.
Una testimonianza della forte collaborazione è stata la recente visita in Israele del Generale Pasquale Preziosa, capo di stato maggiore dell’aeronautica militare italiana. Preziosa sta in Israele come ospite personale del Generale Amir Eshel, comandante delle forze aeree israeliane (IAF). Preziosa è arrivato per le prossime esercitazioni di “Bandiera Blu”, la più grande esercitazione aerea multinazionale nella storia di Israele, che vedrà la partecipazione di Italia e Grecia, due paesi europei in crisi economica, insieme allo storico alleato di Israele, gli Stati Uniti. Oltre 100 aerei da combattimento e circa 1000 soldati e piloti parteciperanno a missioni aria-aria e aria-terra pianificate da Israele nella base di Ovda nel deserto del Naqab (Negev).

Letale

La visita di Preziosa coincide con la rivelazione dei dettagli di un nuovo piano letale dell’IAF. Conosciuto come “Expanding Attack Capacity” (EAC), il nuovo piano è stato concepito per aumentare di 10 volte il numero di obiettivi che Israele è in grado di rilevare e distruggere. Il Brigadier Generale Amikam Norkin, capo delle operazioni aeree dell’IAF, ha spiegato come funzionerà il piano EAC in un’intervista con Defense News. Sotto EAC, un uso “massiccio, persistente e punitivo” della cosiddetta “forza aerea di recisione” ridurrebbe la durata delle guerre future e dell’uso di forze di terra, secondo Norkin. Ha indicato che Israele vuole essere in grado di colpire molti più obiettivi di quanto ha fatto quando ha bombardato Gaza nel novembre 2012. Durante l’attacco durato otto giorni, Israele ha ucciso più di 170 palestinesi, ha distrutto 450 abitazioni e danneggiato altre 8000.

Con 473 milioni di euro, Israele è stato il primo cliente per l’industria bellica italiana nel 2012, secondo il rapporto annuale del governo di Roma sulle esportazioni di armi. Questo è dovuto soprattutto all’acquisto di 30 caccia da addestramento M-346 dell’Alenia Aermacchi, controllata del produttrice di armi Finmeccanica, come parte di uno sbilanciato pacchetto di acquisti “reciproci” in cui l’Italia ha acquisito da Israele circa un miliardo di dollari in attrezzature militari e per la sorveglianza.

Corteggiare Israele

Il vertice di Torino sarà il quarto incontro ad alto livello tra l’Italia e Israele. I rapporti tra i due paesi sono diventati così stretti negli ultimi anni che Benjamin Netanyahu, il primo ministro israeliano, ha affermato nel 2010 che pensa che Israele non abbia un amico migliore della sua controparte italiana Silvio Berlusconi. Da allora ci sono stati due cambi di governo a Roma. Tuttavia, Enrico Letta, capo di un governo di grande coalizione, appare ansioso di intensificare i già forti rapporti con Israele quanto i due precedenti premier, Mario Monti e Silvio Berlusconi. Solo due mesi dopo che è entrato in carica, durante il suo primo viaggio fuori dall’Europa, Letta ha incontrato Netanyahu a Gerusalemme, affermando che i rapporti non avrebbero potuto essere migliori e che l’Italia aveva molto da imparare da Israele. Ad ottobre, durante una conferenza stampa con Netanyahu, il quale stava a Roma per incontrare il Segretario di Stato statunitense John Kerry, Letta ha previsto che il vertice di Torino avrebbe rafforzato i rapporti politici, economici e culturali con Israele. Letta, guarda caso, ha già in passato corteggiato Israele. Come Ministro dell’Industria nel 2000, ha firmato un accordo per la cooperazione nella ricerca scientifica, tecnologica e dell’industria tra Israele e l’Italia.

Lucrativo

Tredici anni dopo, una nota dall’ufficio di Tel Aviv dell’Istituto nazionale di commercio estero indica che la cooperazione tra Israele e Italia si è dimostrata particolarmente remunerativa per le industrie aerospaziali e della sicurezza cibernetica. Quest’ultimo settore, anche se chiamato più precisamente guerra cibernetica, stava anche sull’agenda della visita del 5 novembre in Italia di Benny Gantz, capo maggiore dell’esercito israeliano, così come oggetto di una serie di conferenze annuali organizzate all’Università La Sapienza di Roma dalla compagnia israeliana Maglan. Gruppi di studenti, che hanno saputo vedere attraverso il velo della sicurezza e riconoscerla come la prossima frontiera della guerra tecnologica, hanno organizzato proteste all’evento di quest’anno. Ad ottobre, durante la sua “missione per la crescita” che mirava a stabilire rapporti più stretti tra Israele e l’Unione Europea, Antonio Tajani, il commissario europeo per l’industria e le imprese, ha portato con sé dieci imprese italiane. Due di queste, Selex e Global Services, fanno parte del gruppo Finmeccanica, un conglomerato parastatale e uno dei dieci maggiori produttori d’armi del mondo. Tajani, nominato alla commissione europea da Berlusconi, è da molto tempo un apologeta per Israele. Il sostegno vergognoso dell’Italia ad Israele non passerà incontestato. In programma ci sono tre giorni di protesta a Torino, con una manifestazione nazionale il 30 novembre, che chiede di interrompere tutti gli accordi tra l’Italia e Israele. Per quanto Netanyahu possa pensare di non avere amico migliore dell’Italia, le proteste sottolineeranno che i suoi alleati rappresentano un’élite, non la popolazione generale.

Fonte: http://nena-news.globalist.it
Link: http://nena-news.globalist.it/Detail_News_Display?ID=92221&typeb=0&Perche-Israele-non-ha-amico-migliore-dell-Italia
3.12.2013

Nascerà da Praga la nuova Europa ?

  
La Repubblica Ceca si prepara a indire un referendum sull’uscita dall’Unione Europea.

Dopo il duro colpo assestato dal Presidente Viktor Janukovyc all’ingordigia della cricca usurocratico-bancaria di Bruxelles, che ha sperato fino all’ultimo, al vertice di Vilnius sul partenariato orientale, di mettere definitivamente le sue mani sull’Ukraina, e dopo le prove di forza del Premier ungherese Viktor Orban che, liberatosi dal cappio del Fondo Monetario Internazionale, sta conducendo il suo Paese sulla via di una straordinaria ripresa economica, un’altro spettro non fa dormire sonni tranquilli ai burattinai della BCE.

Non mi riferisco ai malumori e ai ripensamenti della Croazia, che, tirata per il bavero dentro l’Unione Europea, sta già pensando dopo pochi mesi di tornare saggiamente sui suoi passi. Questa questione, per quanto potenzialmente esplosiva, deve ancora maturare.

E non mi riferisco neanche alle forti dichiarazioni dell’alto prelato ortodosso Vsevolod Chaplin, responsabile delle relazioni con la società del Patriarcato di Mosca, che, ponendo l’accento sui comuni legami di identità, ha affermato che: «Russia, Ucraina, Bielorussia, Moldova, Grecia, Serbia e Bulgaria, paesi che rappresentano la cultura più potente, possono permettersi di chiedere un rinnovamento da zero delle istituzioni europee, cambiandone le caratteristiche, tipiche dell’Europa occidentale».
Mi riferisco invece a quello che, per i tecnocrati della UE, potrebbe essere un incubo di gran lunga peggiore. Un incubo che si chiama Praga.

La Repubblica Ceca, nata nel 1993 dalla pacifica dissoluzione della Cecoslovacchia della Guerra Fredda, un po’ a causa di oltre quarant’anni di “socialismo reale” vissuto sulla propria pelle, e un po’ sulla scia del sincero europeismo del suo primo Presidente, il drammaturgo Vaclav Havel, avviò fin da subito le trattative per l’adesione all’Unione Europea, entrandovi a pieno titolo il 1° Maggio del 2004. Fu un referendum che ancora oggi fa discutere a sancire questo “matrimonio”. Dei circa 55,21% degli aventi diritto di voto che effettivamente vi hanno partecipato, si espressero per l’adesione circa il 77,33%, pari al 42,7% circa di tutti gli aventi diritto al voto. Meno quindi della metà dei Cechi. E sarà probabilmente un altro referendum a sancire un divorzio che da tempo è nell’aria e del quale a Bruxelles si sussurra nei corridoi con timore e con apprensione.

I rapporti fra Praga e Bruxelles, dal 2004 ad oggi, sono sempre stati altalenanti e la crisi economica degli ultimi anni non li ha certo favoriti. I Cechi si sono guardati bene, infatti, dal rinunciare alla loro sovranità monetaria per entrare a scatola chiusa nel circuito dell’Euro, mantenendo con orgoglio la loro Corona. Al cambio attuale occorrono circa 27 Corone per fare 1 Euro.

Il secondo Presidente della Repubblica Ceca, Vaklav Klaus, in carica fino al 7 Marzo di quest’anno, specializzatosi fra l’altro a Napoli nel 1966 dopo una laurea in Economia all’Università di Praga nel 1963, è sempre stato un euroscettico di ferro. Appena insediatosi alla Presidenza, nel 2003, si oppose fermamente all’ingresso del suo Paese nell’Unione Europea, invitando i suoi concittadini a votare no al referendum per l’adesione ai trattati europei. Inoltre, Klaus è stato un serio ostacolo alla ratifica del famigerato Trattato di Lisbona. Dopo la vittoria del ‘no’ nel primo referendum irlandese, definendo il Trattato “morto”, fu l’unico Capo di Stato dei Paesi dell’Unione Europea a chiedere subito l’abbandono del testo.

Successivamente all’approvazione del Trattato da parte del Parlamento nazionale, Klaus ha continuato la sua politica oltranzista, presentando attraverso un gruppo di senatori del suo partito un nuovo ricorso alla Corte Costituzionale con l’obiettivo non dichiarato di prendere tempo per offrire la sponda al leader del Partito Conservatore Britannico David Cameron, che nel Regno Unito ha poi vinto le elezioni nel 2010. Cameron aveva infatti più volte fatto sapere in quel periodo che, se si fosse arrivati a tale data senza il Trattato in vigore, avrebbe promosso un referendum su di esso, nel quale la vittoria dei ‘no’ sarebbe stata estremamente probabile. In seguito alla sopravvenuta ratifica dell’Irlanda e alle conseguenti forti pressioni di Bruxelles su di lui per convincerlo a promulgare il Trattato (pressioni volte a scongiurare l’ipotesi di cui sopra), e considerando scontato il rigetto della sua istanza presso l’Alta Corte, il Presidente ceco iniziò a negoziare la propria firma con l’Unione Europea, ottenendo in questo modo un opt-out sulla Carta dei Diritti Fondamentali nel Consiglio Europeo di fine Ottobre 2009. Questa concessione, assieme al pronunciamento della Corte Costituzionale che il 3 Novembre 2009  ha ribadito per la seconda volta che il Trattato di Lisbona era “conforme alla Costituzione della Repubblica Ceca” (sentenza immediatamente seguita dalle rivelazioni del quotidiano britannico Times secondo le quali David Cameron aveva rinunciato ufficialmente alla possibilità di tenere il referendum sul Trattato non appena insediato come Primo Ministro), convinse definitivamente Klaus che, poche ore dopo il verdetto della Corte di Brno, promulgò così, sebbene a malincuore, la ratifica del Trattato, poi depositata presso il Governo italiano.

Con la fine della Presidenza Klaus i fermenti antieuropeisti sono in netta ripresa e da più parti si chiede a gran voce l’abbandono di una nave che si ritiene destinata ad affondare.

La proposta di un referendum è sostenuta con forza da Miloslav Bednar, Vicepresidente del Partito dei Cittadini Liberi, formazione extra-parlamentare che cerca di creare consensi attorno alla stessa idea che tanto fa discutere, e forse affascina, i britannici: “Riconsiderare l’adesione all’Ue”, come spiegato dallo stesso Bednar.  A tal proposito, sostiene il politico ceco “andrebbe indetto un referendum su una possibile uscita”.

Il Partito dei Cittadini Liberi critica molto duramente “la governance dirigista” dell’Unione Europea nonché le politiche recessive e di austerità da questa adottate, e vorrebbe richiamare l’attenzione sulla “insostenibilità” di questa Europa. Nonostante che alle ultime elezioni politiche abbia raccolto soltanto il 2,4% dei voti, non riuscendo ad entrare in Parlamento, gli ultimi sondaggi lo danno in forte ripresa, e il Partito dei Cittadini Liberi potrebbe quindi rivelarsi una sorpresa alle prossime elezioni europee, quando anche i Cechi saranno chiamati a votare per il nuovo Parlamento Europeo e per il rinnovo della Commissione.

Un’uscita della Repubblica Ceca dall’Unione Europea garantirebbe a Praga senz’altro il sostegno dell’Ungheria di Orban e di altre nazioni tradizionalmente euroscettiche, o comunque stanche delle vessazioni di Bruxelles e di Berlino, e produrrebbe una reazione a catena che potrebbe destabilizzare questa Europa delle banche facendola crollare inesorabilmente.

Forse la nuova Europa dei Popoli che potrebbe nascere da queste macerie avrà inizio proprio da Praga.

Nicola Bizzi
Fonte: http://www.signoraggio.it/
3.12.2013

Condanna per genocidio oscurata: Kuala Lumpur e ISRAELE

Il 25 Novembre 2013, al termine della seconda sessione del processo: Palestinesi contro lo stato ‘Israele e il generale Amos Yaron, il Tribunale per crimini di guerra di Kuala Lumpur emette sentenza di condanna di entrambi gli imputati. I crimini esaminati iniziano dagli anni ’40, espongono indettaglio il massacro di Sabra e Chatila, quando le truppe israeliane erano comandate da Yaron, l’opertazione Piombo Fuso su Gaza, ed arrivano fino a oggi: furto dell’acqua, arresti arbitrati, negazione del vitto, detenzioni illegali.

LA SENTENZA EMESSA

Il Tribunale dopo aver preso in considerazione, punto per punto, le argomentazioni della Difesa e rigettato, in particolare, il concetto che il “genocidio” sia una questione di numero delle vittime, ponendolo invece nell’ intenzione di distruggere in modo sistematico le condizioni di vita di un popolo, riconosce colpevole lo stato di Israele delle accuse di genocidio che gli sono state mosse.

Colpevoli, stato di Israele e generale Amos Yaron, di complicità nell’uccisione di massa dei Profughi Palestinesi a Sabra e Chatila, configurati come genocidio e crimini contro l’umanità.

In particolare per le argomentazioni della Difesa sul lancio di razzi palestinesi verso il territorio israeliano, che in alcuni casi hanno colpito dei civili, il Tribunale riconosce trattarsi di reazioni difensive agli attacchi dell’esercito di Israele.

Il Tribunale procederà a iscrivere Israele e il generale Yaron nel Registro dei Criminali di guerra del KLWCT e trasmetterà gli atti del processo alla Corte Penale internazionale. Raccomanda, inoltre, la massima pubblicità a livello mondiale della sentenza emessa e ricorda che la prevenzione del genocidio è jus cogens. Diritto vincolante.

L’iter del processo –
–prima sessione Kuala Lumpur War Crime Tribunal: processo Palestinesi vs Israele rimandato sine die.
http://mcc43.wordpress.com/2013/08/25/kuala-lumpur-war-crime-tribunal-processo-palestinesi-vs-israele-rimandato-sine-die/

–seconda sessione KLWCT sentenzia: Israele e Yaron colpevoli http://mcc43.wordpress.com/2013/11/25/klwct-sentenzia-israele-e-yaron-colpevoli/[/b][/url]

L’importanza di questa condanna morale si aplifica ora che la Palestina ha lo status di osservatore all’Onu. Si comprende che i media asserviti tacciano, non si comprende perchè tacciano gli amici dei Palestinesi- [b]
http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=Forums&file=viewtopic&t=65849

TG e Filmati – NO TAV

TG R del 19-NOV-2013 ore 1930
TG 2 del 16-NOV-2013 ore 2030
TG R del 16-NOV-2013 ore 1930
Laura Castelli, NO alla ratifica del trattato TAV Italia-Francia - 11-NOV-2013