La irresistibile crescita dei movimenti anti-Ue

Euroscettici. Uragano in arrivo
di: Lorenzo Moore
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Anche se i media di regime rimuovono ogni possibile riscontro di quanto è sotto gli occhi di tutti, è ormai manifesto, ovunque nell’Europa dei Ventotto – la cosiddetta Unione Europea – l’irreversibile scollamento tra cittadini e (supposte) elites alla guida dei vari poteri nazionali e internazionali.
In blocco governanti, uomini di partito, banchieri, sindacalisti e grandi imprenditori –  definiti la “classe dirigente” – sono ormai considerati dalla gran parte dei popoli “il problema” da risolvere.
Ovunque in Europa – nell’eurozona e oltre – il rigetto, il rifiuto, di tali elites istituzionali è maggioritario o tende ad esserlo. Le prossime elezioni dell’europarlamento saranno lo specchio di tale tendenza, dichiarata dai media embedded, con un retrogusto, per loro, diffamatorio, “nazionalista” ed “euroscettica”. Questi disinformatori di massa – gli stessi, si badi bene, che un giorno sì e l’altro pure blaterano contro il governo di Kiev offrendo protezione e propaganda alla minoranza ukraina favorevole a liberare la Tymoshenko e ad aderire all’Ue – avranno di che commentare, alla vigilia e il giorno dopo del voto di primavera per Strasburgo, sulla “pericolosa” avanzata di partiti contrari a questa eurocrazia, dagli M5 stelle e antagonisti italiani, al Front National francese, agli indipendentisti inglesi e scozzesi, ai nazionalisti belgi, olandesi, polacchi, ungheresi, romeni, bulgari giù giù fino ad Alba Dorata greca.
La crescita dei partiti anti-Ue è peraltro parallela alla montante protesta dei disoccupati, dei lavoratori europei, contro le misure di austerità imposte ai popoli del continente dall’infida troika Fmi-Bce-Commissione di Bruxelles. Protesta che – particolarmente nei Paesi della cosiddetta “periferia” dell’Ue, Italia compresa, vedi “forconi”, manifestazioni sindacali di base, scioperi come quello contro la privatizzazione dell’autotrasporto pubblico a Genova – scampana a morto in particolare per i partiti e i sindacati di regime, assediati ovunque da rivali antagonisti di base.
Finora i partiti e i sindacati “istituzionali” avevano contenuto la crescita delle forze loro avversarie, di popolo, con opportune “legislazioni” di sistemi elettorali e di rappresentanza che escludevano di fatto l’emergere degli oppositori (nel voto con il doppio turno alla francese, i quorum tedeschi, il “listino” italiano, etc. e nella rappresentanza sindacale con le convenzioni ad exludendum di soggetti emergenti per mantenere – soprattutto in Italia e Francia – la loro supremazia). Nel caso delle elezioni europee queste “dighe” per mantenere intatto il loro potere, non potranno però reggere (il voto è ancora proporzionale e non artificiosamente maggioritario). E sebbene l’europarlamento abbia scarsi poteri, una vittoria complessiva degli euroscettici nel 2014 non potrà che riverberarsi sui favori elettorali nazionali.
E sul fronte sociale dove le centrali sindacali più potenti hanno un dichiarato tallone d’Achille: per lo più rappresentano categorie di lavoratori, ma in un’Europa che veleggia verso una complessiva disoccupazione, per lo più giovanile e di mezza età tale rappresentanza ha un potere contrattuale debole, come le piazze insegnano. Per non parlare degli innumerevoli movimenti di difesa sociale (in Italia, per esempio, Federcontribuenti, Antiequitalia, Antiusura, Antisignoraggio, di difesa dei consumatori, degli allevatori, degli agricoltori, dei trasportatori, dei commercianti, etc.) totalmente indipendenti e dal potere politico e dal potere sindacale.
Ecco dunque spiegato come mai, tra le supposte “elites” assediate si stia facendo strada una strategia di virtuale accettazione delle tesi antagoniste. Sempre di più, infatti, i partiti e i sindacati “istituzionali” fanno finta di inserire nei loro programmi tesi “sociali” (anti-tasse, anti-usura, e così via) per “recuperare” favori popolari,
Ma è una strategia votata all’insuccesso, nonostante il fiorire di contorno, nei mezzi di comunicazione di massa collegati con l’establishment, di denuncie populistiche… usa-e-getta.
Per una semplicissima considerazione: l’adozione demagogica di tesi contrarie all’austerità e al “sistema” di progressiva spoliazione delle sovranità nazionali e della solidarietà sociale, se perseguita realmente, toglierebbe la terra sotto le loro stesse poltrone; le promesse e i proclami di giustizia sociale utilizzati al solo fine di raccattare voti non attecchiscono più – è dimostrato – nella gran parte dei cittadini, delusi e indignati contro chi governa la politica e l’economia.
E’ una corsa-boomerang, quella di tali “elites”. Ormai chiuse in un fortino di privilegi per loro stesse. Una “ridotta” che i media di regime ancora chiamano “Unione europea”.

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Alla Fincantieri di Marghera cade la maschera della Fiom

Quando, il 23 maggio 2011, l’azienda annunciò 1.500 esuberi e la chiusura degli stabilimenti di Castellammare di Stabia e Sestri Ponente, la Fiom proclamò di voler lottare conducendo una unica trattativa per tutti i siti produttivi. Dal principio invece fece scioperare i lavoratori divisi per stabilimento. Scrivemmo: «Gli operai dei cantieri da chiudere si impegnavano in molte ore di sciopero, ma restavano isolati rispetto ai cantieri più produttivi (Marghera e Monfalcone) dove si facevano scioperi simbolici di poche ore e dove più efficace sarebbe stato lo sciopero per il maggiore danno all’azienda. In questo modo i delegati Fiom facevano bella figura là dove gli operai lottavano di fronte alla minaccia del licenziamento, mentre laddove il cantiere risultava “sicuro” assecondavano l’interesse egoistico e miope dei lavoratori meno coscienti a non perdere salario scioperando».

Al solito la Fiom giustifica questa condotta scaricandone la responsabilità sui lavoratori che – secondo quanto dicono i suoi delegati – nei cantieri più redditizi non sarebbero disposti a scioperare in solidarietà coi loro compagni minacciati dalla chiusura. È il solito trucco di nascondersi dietro i pregiudizi degli operai più arretrati per demoralizzare gli altri. Per altro la responsabilità della grave inconsapevolezza della necessità dell’unione di classe – non certo una novità ma un dato che si trascina ed aggrava da decenni – va imputata innanzitutto alla dirigenza dei sindacati di regime. Cosa fa la Fiom per combattere gli atteggiamenti dei lavoratori più arretrati? Nulla, perché le serve a giustificare la sua inazione ed il suo collaborazionismo.

Ad esempio, nella vicenda Fincantieri, la Fiom nazionale avrebbe dovuto proclamare soprattutto scioperi di tutto il gruppo, lasciando minimo spazio all’autonomia dei suoi delegati nei singoli cantieri. Ha agito invece in modo opposto e in tal modo non ha contrastato ma assecondato la propensione dei lavoratori più arretrati a chiudersi dentro il cantiere.

Una trattativa unitaria è possibile solo sulla base di una lotta unitaria. Il risultato dell’azione lasciata in mano alle Rsu è stata quindi una sequenza di accordi stabilimento per stabilimento: Monfalcone (20 settembre 2011), Muggiano e Riva Trigoso (5 ottobre), Palermo e Ancona (17 gennaio 2012), Sestri Ponente (15 febbraio), Castellammare (1 gennaio 2013) e di nuovo a Sestri Ponente (5 aprile).

Gli ultimi due accordi hanno peggiorato le condizioni di lavoro in modo particolarmente grave:
– hanno esteso la base di calcolo dell’orario plurisettimanale da 12 mesi – stabilita sia dal Ccnl unitario del 2008 sia da quello separato del 2012 – a 24 mesi. Ciò determina una riduzione salariale venendo computate come orario normale quelle di straordinario;
– è stata rafforzata la polivalenza delle prestazioni (lo stesso lavoratore svolge più mansioni oltre quella cui era assegnato), con la massima mobilità all’interno delle officine e la riconversione del personale;
– è stata introdotta la turnazione 6×6 (sei ore al giorno per sei giorni fino al sabato, pagato non più come straordinario) con la mensa a fine turno;
– è stata introdotta la misurazione individuale della produttività.

Gli accordi, firmati senza un’ora di sciopero, hanno mostrato bene la pasta di cui sono fatte le opposizioni “di sinistra” interne alla Cgil:
– a Castellammare l’accordo è stato firmato dal delegato Rsu, segretario provinciale e membro del Comitato centrale Fiom, appartenente alla Rete 28 Aprile;
– a Sestri Ponente dal delegato Fiom appartenente a Lotta Comunista, gruppo politico che si dichiara rivoluzionario e a sinistra della corrente riformista e socialdemocratica dei dirigenti della Rete 28 Aprile, ma che in pratico, nel campo sindacale, si schiera alla sua destra, alleato nella Fiom con la maggioranza di centro del segretario generale Landini.

A Marghera

Marghera e Monfalcone sono i cantieri più attivi dell’azienda, in cui – al contrario di Castellammare, Sestri Ponente, Palermo ed Ancona – non vi sono stati vuoti produttivi. Da metà giugno a Marghera sono in lavorazione due navi, la Costa Diadema, con consegna prevista a ottobre 2014, e una nuova commessa per la Viking. Gli operai sono perciò in posizione di maggior forza rispetto a quelli degli altri stabilimenti, ma sono ormai isolati da quelli in cui l’accordo peggiorativo è già passato. Non è un caso che l’azienda, nel procedere a imporre i peggioramenti, abbia lasciato quei due cantieri per ultimi, assecondata dalla firma della Fiom per gli altri.

Così il 6 giugno Fincantieri comunica di voler applicare a Marghera, a partire dal 1° luglio, i contenuti degli accordi di Castellammare e Sestri Ponente, di non pagare il premio di programma (circa 600 euro) e di non riconoscere la nuova Rsu, prendendo a pretesto una diatriba aperta da Fim e Uilm, presumibilmente a questo scopo, sul numero di delegati spettanti a ciascun sindacato.

Infatti nel cantiere di Marghera il 22, 23 e 24 aprile si erano svolte le elezioni per il rinnovo della Rsu. La Fiom aveva conseguito, con l’86,3% di votanti sui 1.000 dipendenti diretti, il 64,9% dei voti (il 77,7% fra gli operai) con un miglioramento del 12% rispetto alle precedenti elezioni. Essendo le Rsu un organismo aziendale non avevano diritto al voto i lavoratori delle ditte in appalto, che sono la maggioranza della forza lavoro del cantiere. I candidati Fiom si erano affermati facendo leva proprio sul loro rifiuto ad accettare a Marghera accordi analoghi a quelli di Castellammare e Sestri Ponente. La Fiom rivendicava cinque delegati nella Rsu – di cui i tre maggiormente votati appartenenti alla Rete 28 Aprile – il che le avrebbe dato la maggioranza assoluta nella Rsu. L’azienda si è appoggiata alla disputa di Fim e Uilm – e Fim e Uilm all’azienda – per non riconoscere la nuova Rsu. Fincantieri ha infine riconosciuto una Rsu con un numero inferiore di delegati Fiom, con una maggioranza Fim e Uilm. Questo aspetto è importante in ragione dell’accordo del 31 maggio scorso fra Cgil, Cisl, Uil e Confindustria il quale prevede che un accordo approvato dalla maggioranza Rsu obbliga anche la minoranza a non promuovere azioni di lotta contro i contenuti dell’accordo.

L’11 giugno la Rsu Fiom proclama un primo sciopero di poche ore per tenere un’assemblea interna allo stabilimento cui seguiranno alcune brevi fermate produttive organizzate unitariamente da Fim, Fiom e Uilm per un totale, al 26 giugno, di circa 20 ore di sciopero, due giornate e mezza, in 12 giorni lavorativi e due sabati.

Già in questi brevi scioperi – ed anche sulla base dell’andamento delle elezioni Rsu – azienda e sindacati di regime registrano un clima più caldo fra gli operai e mettono in moto tutto il sofisticato meccanismo volto a soffocare ogni loro reazione: repressione aziendale, pressione delle strutture dei sindacati di categoria (Fim, Fiom, Uilm), finte divisioni fra i tre sindacati, propaganda della stampa borghese.

Il 14 giugno Fincantieri ricatta gli operai dicendosi pronta a spostare le lavorazioni per la Viking a Monfalcone nel caso di altri scioperi. La Fiom nazionale proclama allora due ore di fermata dei lavoratori di tutto il gruppo. Questa parodia di sciopero non serve certo a sostenere gli operai di Marghera con la mobilitazione a loro sostegno gli altri cantieri – cosa che, non essendo stata fatta prima per Palermo, Castellammare, Muggiano, Riva Trigoso, Sestri Ponente ed Ancona, non si vede come potrebbe ottenere ora – ma a nascondere la sua azione di isolamento della lotta a Marghera.

Infatti a queste due misere ore di sciopero nazionale non ne seguono altre. Basterebbe questo dato, a fronte dell’incrudirsi della lotta nelle settimane seguenti, a dimostrare il reale significato dell’azione della Fiom. Ma questo sindacato di regime, degno compare di Fim e Uilm, fa di più:
– il 25 giugno sigla ad Ancona un accordo fotocopia di quelli di Castellammare e Sestri Ponente, aumentando così l’isolamento di Marghera;
– il 10 luglio, a Roma, sottoscrive con Fim, Uilm, Uglm e Failms, un accordo nazionale che proroga la cassa integrazione straordinaria per 12 mesi, stabilendo per ciascun cantiere il numero di lavoratori in cassa.

Così, mentre a parole la Fiom sostiene gli operai di Marghera in lotta, nei fatti lavora per isolare loro e gli stessi delegati Fiom e sottoscrive la cassa integrazione per 325 lavoratori e 115 esuberi, a fronte di due navi in costruzione e della maggior produttività richiesta.

Il 14 luglio – quattro giorni dopo l’accordo nazionale con Fim, Uilm e Fiom – l’azienda passa alle vie di fatto: fa entrare nel cantiere agenti della digos per “assistere” al trasporto di alcune lamiere a ditte esterne. Questa azione non intimidisce i lavoratori che scendono in sciopero e per due giorni, picchettando lo stabilimento, impediscono l’uscita dei camion.

I delegati Fiom partecipano attivamente ai picchetti ma il 17 luglio, al Comitato Centrale Fiom, il segretario generale Landini e l’ex segretario provinciale di Genova, di Lotta Comunista, attaccano la lotta di Marghera presentandola come una azione voluta dalla Rete 28 Aprile per strumentalizzare gli operai ai fini della sua battaglia di minoranza interna alla Cgil e alla Fiom.

Il 19 luglio scende in campo contro i lavoratori il “Corriere della Sera”, quotidiano per eccellenza della borghesia italiana, reclamizzando l’iniziativa di Fincantieri di far sottoscrivere a 132 fra dirigenti, capisquadra, tecnici e impiegati, una lettera in cui si attaccano gli operai e la Rsu descrivendo «uno stabilimento ripiombato all’improvviso nelle tensioni degli anni settanta quando l’essere in disaccordo con la classe operaia e il comportarsi da crumiri poteva essere punito anche con azioni violente».

Il 25 luglio si scioglie l’unità della Rsu. Fim e Uilm firmano un accordo che accoglie le richieste aziendali, i delegati Fiom non lo firmano.

Lunedì 29 luglio l’azienda mette in cassa integrazione 31 lavoratori. Questo scatena la accesa reazione degli operai che scendono finalmente in sciopero compatto e a oltranza per tre giorni, abbandonando le deboli azioni articolate di poche ore organizzate da Fim e Uilm ma anche dalla Fiom. La lotta degli operai travalica le intenzioni degli stessi delegati Fiom, che però vi partecipano. Martedì 30 luglio un corteo di 400 operai marcia fino al centro di Mestre.

Invece di dar forza agli operai finalmente mobilitatisi e disposti alla lotta, la Cgil conferma il suo ruolo di sindacato di regime e accorre in soccorso dell’azienda proponendo il 1° agosto una tregua di 48 ore. Questo è quanto appare dall’esterno, mentre dietro le quinte si può ben immaginare l’intenso lavorio teso a spezzare lo sciopero.

Alla fine il 2 agosto, ultimo giorno lavorativo prima della chiusura estiva del cantiere, si giunge all’accordo con la firma dei delegati e della struttura provinciale Fiom. La pausa estiva avrebbe potuto essere utilizzata per preparare la ripresa con più vigore della lotta alla riapertura del cantiere. Probabilmente i delegati Fiom temevano il trasferimento all’esterno delle lavorazioni per la nuova commessa, possibile visti i precedenti tentativi. Tuttavia restava in cantiere la Costa Diadema, quindi un’arma potente in mano ai lavoratori, se si fosse stati disposti e determinati ad utilizzarla, cioè a interromperne la costruzione.

Ma qui subentrano i limiti dei delegati Fiom che, anche quando combattivi, non possono non subire le conseguenze dell’appartenenza a questo sindacato di regime, siano essi persuasi dei suoi principi anti-classisti, ovvero costretti con intimidazioni organizzative tendenti ad isolarli. La Rsu Fiom di Marghera, infatti, non si è distinta da quelle degli altri cantieri sui principi messi a base della sua azione: ha rigettato il peggioramento delle condizioni di lavoro non in quanto tale, ma perché non concordato con la Rsu e perché «non risponde a specifiche esigenze produttive del cantiere» (Comunicato Fiom provinciale e Rsu Fiom del 10 giugno). Una posizione debole perché non è il riconoscimento del diritto alla trattativa della Rsu a garantire la difesa dei lavoratori, ma la loro forza, che si misura nella capacità di scioperare a lungo, unitamente ed estesamente.

Ma che la Rsu Fiom così argomenti la sua opposizione alle pretese aziendali vuol dire che se si dimostrassero «rispondenti alle esigenze produttive del cantiere» sarebbe pronta ad accettarle. Ciò significa abbracciare l’idea che il bene dei lavoratori coincide con quello dell’azienda, cioè del Capitale. Cioè legare gli operai al carro dei loro sfruttatori, avallare la concorrenza fra lavoratori che divide la loro classe e garantisce il suo assoggettamento. Significa inculcare nei lavoratori idee e principi che li conducono alla rassegnazione ed alla sconfitta.

Ma all’unità dei lavoratori non basta il perimetro della fabbrica, al contrario vi trova il suo più grave ostacolo! La forza operaia si moltiplica solo se trova la solidarietà fattiva dei lavoratori delle altre aziende, non a parole ma con lo sciopero e la partecipazione ai picchetti. Il “ruolo negoziale della Rsu” è una duplice truffa: perché è un guanto vuoto senza gli operai che lo riempiono col pugno della loro forza, e perché la Rsu, organismo aziendale, chiude i lavoratori entro quei limiti che garantiscono la loro debolezza. La Rsu Fiom della Fincantieri di Marghera ha ottenuto, come vedremo, un risultato migliore rispetto alle Rsu Fiom di Castellammare e Sestri Ponente proprio sulla base della forza degli operai, che si è dispiegata a prescindere dal riconoscimento della Rsu da parte dell’azienda!

La Rsu Fiom di Marghera persegue la “unità sindacale” con Fim e Uilm, esattamente come la Fiom nazionale. Parte dei suoi cedimenti sono giustificati per addivenire a documenti ed azioni unitarie con Fim e Uilm. Queste “trattative”, dalle quali i lavoratori niente hanno da attendersi, costituiscono un altro imbroglio, una divisione del lavoro all’interno del sindacalismo di regime, con la Fiom che si atteggia a “meno peggio” per inseguire e riportare all’ordine le spontanee mobilitazioni operaie, come nel caso dello sciopero a oltranza di tre giorni a cavallo fra luglio e agosto.

L’azione sindacale classista persegue l’unità del movimento e denuncia la pratica degli scioperi separati fra diverse organizzazioni in concorrenza, che dividono e indeboliscono la lotta. È una prassi adottata invece – con grave danno – anche dalla maggior parte dei sindacati di base. In senso diametralmente opposto a quello della unità nella lotta va la prassi della unità sindacale fra Fim, Uilm e Fiom.

Un comunicato unitario della Rsu della Fincantieri di Marghera del 15 luglio recitava: «La Rsu e il sindacato, per superare le difficoltà del cantiere di Marghera, hanno dato ampia disponibilità ad affrontare tutti i problemi produttivi e di programmazione del lavoro per consentire lo sviluppo delle commesse e la consegna dei prodotti secondo le date e i tempi stabiliti nei piani». Come dovrebbe conciliarsi questa affermazione con lo sciopero contro il piano aziendale!? Ancora: «Per utilizzare maggiormente gli impianti ed accelerare le operazioni di taglio delle lamiere delle nuove navi, i lavoratori sono disponibili ad introdurre il 3° turno notturno alle macchine con un miglioramento della prestazione settimanale fino a 12 ore per addetto, a concordare di fronte ad esigenze verificabili, l’orario plurisettimanale e i relativi recuperi, a rafforzare la turnistica in atto, a concordare le eventuali prestazioni straordinarie». Cioè la Rsu, unitariamente, è disponibile a permettere sacrifici per i lavoratori se questi sono utili a migliorare la competitività del cantiere, cioè a renderlo più efficiente rispetto agli altri stabilimenti navalmeccanici, naturalmente a discapito dei loro operai!

Su queste basi sindacali non classiste ma collaborazioniste, cui si aggiunge il lavoro della Fiom e della Cgil teso a isolare e indebolire i suoi delegati più combattivi, è scaturito un accordo un poco migliore di quello firmato il 25 luglio dalle sole Fim e Uilm, nonché di quelli di Castellammare e Sestri Ponente, ma che segna comunque un ulteriore arretramento delle condizioni di lavoro degli operai e che non corrisponde alle forze messe in campo nella lotta. Non a caso, al referendum sull’accordo svoltosi il 29 agosto, in cui non hanno votato circa 250 lavoratori perché in ferie, 202 hanno dato parere negativo e 228 positivo.

I delegati Fiom, che si erano affermati alle elezioni Rsu col rifiuto intransigente dei contenuti del nuovo accordo e che su questa base avevano costruito un rapporto di fiducia con gli operai più combattivi, hanno così indebolito sia questo rapporto sia soprattutto la combattività degli operai.

Questo risultato è più importante dei risultati parziali ottenuti, che non vanno negati, perché è foriero di conseguenze. Come sempre in ogni lotta ciò che più conta non è il risultato contingente sul piano normativo e salariale, positivo o negativo, bensì il maggior grado di forza, unità e fiducia dei lavoratori che ne scaturisce.

Rispetto a quello inizialmente siglato da Fim e Uilm il 25 luglio l’accordo del 2 agosto limita il 6×6 e l’orario plurisettimanale ad alcuni reparti e non a tutto il cantiere, pone come base di calcolo 12 mesi e non 24, il che limita la riduzione salariale, elimina il controllo individuale della produttività. Inoltre sono state ritirate le lettere di cassa integrazione. È stata invece confermata la perdita del premio di programma.

Anche questo ultimo episodio della vicenda Fincantieri conferma, come l’intero corso precedente, la necessità che i lavoratori, intanto i più combattivi, si organizzino fuori e contro la Fiom, e la Cgil tutta, che rappresentano il maggior ostacolo alla unificazione dei salariati al di sopra dei confini di cantiere e di azienda.

Gli operai, alla Fincantieri di Marghera, come ovunque, quando intraprendono una battaglia devono innanzitutto cercare il contatto con gli altri lavoratori, nelle aziende limitrofe, negli appalti dentro il cantiere, negli altri stabilimenti della stessa azienda, per stabilire organismi di battaglia comuni e permanenti e organizzare insieme la lotta: tornare alla partecipazione reciproca nei picchetti davanti le aziende e fino a scioperi comuni. Finché questa strada non sarà intrapresa non potremo parlare di un ricostituito sindacato di classe.
http://www.international-communist-party.org/Partito/Parti362.htm

Crisi, disoccupazione giovanile ai massimi di sempre

i disoccupati OVER 30 sono diversamente disoccupati e non meritano manco di essere contati…..alla faccia della soc civile contro le discriminazioni

Tasso al 41,2% a ottobre, nuovo record storico. Il dato generale resta al 12,5%, al top dal 1977.
Nuovo picco della disoccupazione giovanile (15-24 anni) in Italia.
Il tasso è balzato al 41,2% a ottobre, segnando un record storico assoluto: come rilevato dall’Istat, infatti, si tratta del valore più alto sia dall’inizio delle serie mensili, gennaio 2004, sia di quelle trimestrali, primo trimestre 1977.
DATI AL TOP DAL 1977. Anche il tasso di disoccupazione generale a ottobre resta ai massimi, segnando lo stesso valore di settembre, attestandosi al 12,5%. Il numero di disoccupati è pari a 3 milioni e 189 mila, sostanzialmente invariato rispetto al mese precedente ma in aumento del 9,9% su base annua (+287 mila).
Il dato nel terzo trimestre è stato pari all’11,3%, in crescita di 1,5 punti percentuali su base annua. Anche in questo caso si tratta del tasso più alto dal terzo trimestre 1977, ovvero dall’inizio delle serie storiche. E nel Mezzogiorno il tasso è al 18,5%.
MAI COSÌ TANTI SCORAGGIATI. A pesare è anche il numero degli scoraggiati, cioè coloro che non cercano lavoro perché ritengono di non trovarlo: nel terzo trimestre del 2013 il loro numero è salito a 1 milione e 901 mila. Per l’Istat non si era mai registrato un livello così elevato.
OLTRE 1 MILIONE DI UNDER 30 SENZA LAVORO. Nella classe di età 18-29 anni il tasso di disoccupazione si attesta al 28% (+5,2 punti su base annua), con un numero di disoccupati che giunge a 1 milione 68 mila (+17,2%, pari a 157.000 unità).
IN CALO IL NUMERO DI PRECARI. Il lavoro precario, definito dall’Istat come atipico, ha invece subito un nuovo calo, il terzo consecutivo. Nel terzo trimestre del 2013, infatti, il numero di dipendenti a tempo determinato e di collaboratori è sceso a 2 milioni 624 mila, in calo di 253 mila unità (-8,8% su anno). Una diminuzione ancora più forte rispetto a quella registrata per i dipendenti a tempo indeterminato (-1,3%).
GIOVANI, RECORD ANCHE NELL’EUROZONA: 24,4%. La disoccupazione dei giovani fino a 25 anni cresce anche nell’Eurozona. Eurostat a ottobre ha registrato il nuovo record storico a 24,4% (3,577 mln senza lavoro, 15 mila in più rispetto a settembre quando il tasso era al 24,3%), 12 mesi prima era a 23,7%. In Grecia è al 58,0% (dato di agosto), in Spagna al 57,4%, in Croazia al 52,4%.
Il dato generale invece è in leggero calo a ottobre, la prima volta da febbraio 2011. Il tasso registrato da Eurostat è stato del 12,1% (pari a 19,298 mln di senza lavoro, 61.000 in meno). A settembre era al 12,2%. Stabile a 10,9% il tasso a ottobre nella Ue-28, dove i disoccupati sono 26,6 mln.
Venerdì, 29 Novembre 2013

http://www.lettera43.it/economia/macro/crisi-disoccupazione-giovanile-ai-massimi-di-sempre_43675114735.htm

L’ONU condanna l’attacco all’ambasciata russa in Siria

bontà sua

Il Consiglio di sicurezza dell’ONU ha condannato l’attacco a danno dell’ambasciata russa a Damasco, paragonandolo ad un attacco terroristico.
“Tutti i membri del Consiglio hanno espresso il loro più sentito cordoglio, a tutte le famiglie delle vittime e mostrato solidarietà a tutte le persone colpite” questo è quanto si legge in una dichiarazione fatta per la stampa. Inoltre, il Consiglio di Sicurezza ha ricordato che, indistintamente, tutti gli atti di terrorismo “sono da ritenersi atti criminali e ingiustificati, indipendentemente dalla loro motivazione, dal tempo e dal luogo dove avvengono.”
Il bilancio delle vittime dell’attacco all’ambasciata russa a Damasco è di un morto, di origine siriane e nove feriti. Nessun membro del personale di sicurezza dei diplomatici russi, è rimasto ferito.
http://italian.ruvr.ru/2013_11_29/LONU-condanna-lattacco-allambasciata-russa-in-Siria/

No-Muos, scontri in piazza a Palermo Cori contro Crocetta: “Hai venduto la Sicilia agli Usa”

http://livesicilia.it/2013/11/30/no-muos-scontri-in-piazza-a-palermo-slogan-contro-crocetta-hai-venduto-i-siciliani-agli-usa_410760/

LA MANIFESTAZIONE A PALERMO

Sabato 30 Novembre 2013 – 18:13 di 

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di GIADA LO PORTO – Manifestazione di protesta contro l’installazione del radar americano a Niscemi. Il fronte No Muos, però, si spacca. A non prendere parte al corteo, infatti, i centri sociali del movimento No Muos che, per l’occasione, hanno indetto un presidio parallelo in piazza Verdi dove si sono verificati scontri con le forze dell’ordine. Tante le critiche rivolte al governo regionale.

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corteo, crocetta, no muos, scontri, Cronaca, Palermo

PALERMO – Scontri in piazza tra forze dell’ordine e i responsabili dei presìdi no-Muos. Alta tensione a Palermo per la manifestazione contro l’installazione del radar americano a Niscemi. La polizia, in tenuta antisommossa, è intervenuta caricando alcuni manifestanti in piazza Verdi. Stesso copione poco dopo in via Cavour. Alcuni manifestanti sarebbero stati fermati dalle forze dell’ordine. Intanto, il corteo è partito. Giungerà fino allo spiazzale antistante il Palazzo dei Normanni.

Insomma, non si placano gli animi sul fronte ‘No Muos’. Dopo l’ordinanza del Tar di Palermo che ha accolto la domanda di sospensiva cautelare presentata da Legambiente il capoluogo siciliano torna ad essere teatro di ‘lotta’ contro l’installazione del sistema satellitare di comunicazione della marina americana presso la base di contrada Ulmo, a Niscemi. Una mobilitazione indetta dalla Rete No Muos, colorata, senza bandiere di partito per ribadire l’unità di popolo e battersi “affinchè la Sicilia non si trasformi in un avamposto militare”. Una protesta accesa sì ma nei toni, in cui a campeggiare sono ancora una volta cori contro il governatore Crocetta reo di essere “al servizio” del presidente Obama e di “aver venduto la Sicilia agli americani” e lenzuoli bianchi riempiti da due semplici parole ‘Liberi e Sovrani’, scritte a caratteri cubitali in rosso e nero. “Il Muos è dannoso per la salute delle persone – spiega Mauro La Mantia, uno degli organizzatori del corteo -, e nonostante il parere fornito dall’Istituto superiore di Sanità sono presenti numerosi studi e ricerche che lo dimostrano. Studi fatti da persone che non sono soggetti a nessuna pressione politica, né da parte del governo regionale né tantomeno da parte di quello amercano. La nostra isola deve tornare ad essere un ponte di dialogo, deve mirare alla pace e alla sicurezza dei propri abitanti”.

E proprio in occasione del corteo, che è partito da piazza Castelnuovo alle 17.30 e, nelle prossime ore, attraverserà le principali arterie cittadine per concludersi davanti la sede del Parlamento regionale, il fronte No Muos appare in realtà ‘spaccato’. A non prendere parte alla manifestazione, infatti, i centri sociali del movimento No Muos che, per l’occasione, hanno indetto un presidio parallelo in piazza Verdi per “smascherare i finti attivisti di una lotta popolare che non gli appartiene”. Sarebbe questa la frangia di manifestanti coinvolta negli scontri con le forze dell’ordine.

L’accusa, rivolta ai promotori del corteo, è quella di “appartenere in realtà al panorama politico di estrema destra”. “In particolare – puntualizzano i centri sociali -, l’iniziativa di protesta è stata pubblicizzata dai giovani di Atreju e Casa Pound”. “I veri No Muos siamo noi – precisano -, la sedicente Rete No Muos ha invece dimostrato di essere una rete virtuale. Si sono viste in piazza soltanto le solite facce note,alcuni piccoli burocrati di partito di una piccolissima parte del centro destra ( fratelli d’Italia, il partito dell’ex ministro LaRussa che ha autorizzato la costruzione del Muos) qualche gruppo neonazista di Casapound proveniente da Catania. Viene da dire tanto rumore per nulla – proseguono -, troppa importanza data ad una piccola manifestazione che il movimento No Muos, quello che da anni si batte a Niscemi ed in tutta la Sicilia contro la costruzione del mega radar americano , ha da subito individuato come una farsa creata ad arte da alcuni partitini della destra per cercare un po’ di visibilità sulla pelle del popolo niscemese e siciliano. Nulla a che fare con la importante lotta popolare che i cittadini di Niscemi stanno portando avanti da anni e che le istituzioni italiane e siciliane stanno affrontando soltanto con repressione e criminalizzazione”.

Colpo ‘incassato’ e rilanciato al mittente. “Abbiamo le nostre idee politiche e non ce ne vergogniamo di certo, ma oggi qui sono presenti solo bandiere con su disegnata la nostra terra – ribatte Francesco Vozza -. Chi in queste ore invita i cittadini a partecipare al corteo non fa altro che dividere il fronte No Muos facendo soltanto il gioco di Crocetta e degli Usa. Il corteo di oggi deve essere visto come libero da qualsiasi ideologia e aspira a coinvolgere i siciliani in una lotta che ancora non è persa”. E sugli scontri avvenuti tra centri sociali e polizia la Rete No Muos tiene a dire la sua: “Mentre noi scendiamo in piazza pacificamente contro il Muos – aggiunge Stefano Di Domenico – i centri sociali scatenano assurde violenze. Chi si è reso protagonista di questi atti si pone fuori il movimento no Muos. Noi continueremo la nostra lotta senza farci intimorire”.

Non mancano, infine, come detto, le critiche rivolte al governatore siciliano che in occasione del corteo di solidarietà per il pm Di Matteo, aveva avuto un’acceso scambio di battute con una donna No Muos definendola “ideologica e stronza”. “Crocetta dimostra sempre di essere molto pittoresco e sgarbato – prosegue l’attivista -, e non ha saputo fare di meglio che respingere in modo volgare la ragazza che a mio parere aveva pienamente ragione. La marcia indietro che ha fatto la Regione su questo tema è vergognosa. La risposta del Presidente denota un certo nervosismo da parte di un politico che ha cambiato troppe volte idea”.