Il “rispetto” secondo il celerino “per vocazione”

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SCRITTO DA: FABRIZIO SALMONI – DIC• 01•13

La performance in video-intervista del poliziotto “baciato” ci offre lo spunto per disquisire sugli unici due concetti che ha espresso. I poliziotti invocano rispetto ma non ce l’hanno per niente e nessuno. Il senso di una parola usata male.

celeriniHo voluto lasciar decantare l’attenzione sull’episodio del “bacio” al poliziotto da parte di una dimostrante durante la manifestazione a Susa del 16 Novembre per fare un paio di osservazioni fuori dal coro, se no che Maverick sarei…

Nell’intervista filmata il celerino Salvatore Piccione ha detto due cose su cui vale la pena di soffermarsi: la prima è che lui “ha fatto il poliziotto per vocazione” , per seguire l’esempio del padre. Registriamo dunque che in questo caso si è superata la fase “pasoliniana”, pietistica, intellettual-marginale, antisessantottina, del povero meridionale che fa il poliziotto per mangiare. Siamo alla “vocazione” per un lavoro in Reparto Mobile che ti “offre” la magnifica opportunità di bastonare i cittadini che protestano, per rimanere solo alla mansione principale. Avremmo apprezzato le stesse parole se fossero state pronunciate da un poliziotto che si adopera quotidianamente per aiutare la gente a difendersi dai “cattivi” cronici di una società come la nostra: spacciatori, teppisti, malavitosi, o per risolvere casi di omicidi, rapine, violenze sui deboli di ogni tipo o, ancora di più, per far fronte alla malavita organizzata rischiando anche la pelle o  per arrestare evasori fiscali, politici corrotti e colletti bianchi. Se invece la vocazione si nutre dell’attitudine alla violenza, con i suoi annessi e connessi di ideologia macista, verso gli inermi (o poco meno che inermi)  cittadini, il poliziotto agli occhi dei cittadini diventa solo un simbolo negativo dello Stato. C’è bisogno di citare Genova 2001, le botte alla Diaz, le torture a Bolzaneto, le scritte fasciste lasciate dagli agenti sui muri e nei gabinetti? Senza dover andare troppo indietro, la cronaca italiana è piena di violenze da parte di agenti che interpretano il proprio ruolo creativamente sulle ossa dei malcapitati. In Valle di Susa poi, ultimamente si è trasceso: si infierisce sui fermati, si molestano anche le donne. Tutto per vocazione. “Lavoratori come gli altri“, invoca su Repubblica del 26.11 tal Riccardo Gazzaniga, poliziotto-sindacalista- romanziere. Sull’argomento i valsusini hanno già risposto che c’è lavoro e lavoro, argomentando per bene.

Ma la seconda cosa che ha detto il giovane Piccione è ancora più interessante: come finale all’intervista richiede “rispetto” per quelli come lui. Non è nuovo in quello. Il rispetto è un concetto che abbiamo già ascoltato nelle conversazioni dei più bendisposti con gli agenti schierati nelle strade della Valle: sembra quasi che sia quello che loro importa più che altro, anche oltre l’obbedienza agli ordini, l’autorità dello Stato che rappresentano. Chiedono rispetto ma sono loro i primi a non rispettare la nostra terra proteggendo chi la devasta, a non rispettare, come dovrebbero, i fermati, le nostre donne, i nostri anziani, le nostre case, i nostri diritti in generale, i beni culturali comuni (area archeologica), le sensibilità religiose (rimozione e rottamazione del pilone votivo e della statua di Padre Pio), e infine la loro stessa divisa (per quei poliziotti che non la interpretano come simbolo di potere arrogante verso i cittadini).

celerinoIl rispetto è uno dei  primi valori che si insegnano ai figli: è un concetto ampio che riguarda tutti gli aspetti della vita collettiva. Quello che rivendicano invece quei poliziotti dei reparti mobili è il rispetto dei sottoproletari, quello che si viola “non facendo i fatti nostri“, pronunciando la parola sbagliata con il guappo, guardando con qualche insistenza “la donna altrui”, non obbedendo ad atteggiamenti e logiche sopraffatorie; è il rispetto dei mafiosi che lo interpretano a loro misura: “fatti gli affari tuoi” o “non venire qui a rompermi i coglioni“. E’ il rispetto di chi è abituato solo a pensare alla sfera personale e non si pone altri problemi, un po’ per limiti propri, un po’ per abitudine all’ignavia. Quando vanno in servizio d’ordine pubblico badano solo a sfangare il loro turno e se si innervosiscono o se vengono eccitati da dirigenti fatti della loro stessa pasta, poveretti, “devono pur sfogarsi“, soprattutto se sono già predisposti come quelli appartenenti  alle ben note “squadrette” (ogni reparto ne ha una, con un dirigente di riferimento) di picchiatori, quelli che ci hanno gusto…

Se quindi il buon vecchio senso comune dice che il rispetto lo si deve meritare, questi poliziotti e militari che occupano la Valle non lo meritano. La storia delle occupazioni militari racconta le difficoltà inflitte alle truppe dall’isolamento sul territorio, nelle città, nei bar, nei negozi, nei rapporti con le donne e con la gente in generale. Serve a poco pensare di instaurare dialoghi, men che meno “baciarli” anche solo per scherno. Non sono predisposti a ricambiare. (F.S.28.11.2013)

Il “rispetto” secondo il celerino “per vocazione”ultima modifica: 2013-12-01T20:52:15+01:00da davi-luciano
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