Guantanamo, piano segreto Cia per convertire detenuti in doppi agenti

In una sezione del supercarcere nella base Usa di Guantanamo, a Cuba, la Cia ha condotto per alcuni anni, non molto tempo dopo gli attacchi dell’11 settembre 2001, un programma segreto per convertire alcuni detenuti in agenti, pronti a fare il doppio gioco in cambio della libertà e di denaro.
Lo hanno rivelato funzionari ed ex funzionari Usa alla Ap. Il programma è stato portato avanti in otto piccoli cottage dotati di cucina, docce e tv, in una sezione della base chiamata “Penny Lane”. Secondo quanto hanno riferito le fonti, citate in forma anonima, alcuni degli ex detenuti hanno poi aiutato in effetti la Cia a localizzare e uccidere esponenti di al Qaeda. Altri hanno invece fatto perdere le loro tracce.

http://italian.irib.ir/notizie/mondo/item/135186-guantanamo,-piano-segreto-cia-per-convertire-detenuti-in-doppi-agenti

Sanità USA, di male in peggio

change eh? Yes we can……prendere per i fondelli

GIOVEDÌ 28 NOVEMBRE 2013 di Michele Paris

Con la progressiva entrata in vigore delle varie parti della “riforma” del sistema sanitario americano voluta dal presidente Obama e approvata dal Congresso di Washington nel 2010, risulta sempre più evidente il carattere regressivo di una legge messa in atto principalmente per ridurre i costi della copertura assicurativa a carico del governo e delle compagnie private, con il conseguente razionamento dei servizi offerti a quella parte della popolazione che non può permettersi cure private di qualità.
Dopo i colossali problemi legati al lancio dei siti web statali e di quello federale, grazie ai quali milioni di persone dovrebbero acquistare una polizza sanitaria privata, nonché in seguito alla cancellazione da parte delle compagnie assicurative di numerosissime polizze individuali non rispondenti agli standard della nuova legge (“Affordable Care Act” o ACA), per molti di coloro che hanno detenuto finora una copertura relativamente adeguata si annuncia una nuova doccia fredda.

Infatti, in conseguenza di alcune delle norme contenute nella riforma ribattezzata “Obamacare”, almeno 80 milioni di americani potrebbero perdere l’assicurazione sanitaria che viene attualmente garantita tramite i loro datori di lavori. Negli Stati Uniti, questo sistema consente di ricevere assistenza sanitaria a oltre 150 milioni di persone che non hanno i requisiti per accedere ai programmi pubblici Medicare – riservato agli anziani – e Medicaid, destinato ai redditi più bassi.

Coloro che invece riusciranno a mantenere la copertura sanitaria per mezzo del loro impiego saranno con ogni probabilità colpiti da sensibili aumenti dei premi e delle franchigie previste. La ragione della cancellazione di queste polizze, ancora una volta, è legata almeno in parte alla mancanza di almeno uno dei dieci “servizi essenziali” previsti da Obamacare.

Allo stesso modo, gli americani che non potranno più contare sulla copertura sanitaria attraverso un piano sponsorizzato dal loro datore di lavoro saranno obbligati per legge a ricorrere ad un apposito mercato creato dal governo (“Exchange”) dove acquistare polizze private che, nella grande maggioranza dei casi, risulteranno più costose o includeranno cure mediche di minore qualità.

Come nel caso delle polizze individuali cancellate dalle compagnie private, inoltre, anche questa conseguenza della “riforma” era conosciuta da tempo dall’amministrazione Obama, nonostante il presidente abbia sempre sostenuto che gli americani soddisfatti del proprio piano sanitario avrebbero potuto conservarlo.

Ciò non deve in ogni caso sorprendere, visto che fin dall’inizio la “riforma” del sistema sanitario è stata ideata al preciso scopo di ridurre le incombenze assicurative per il settore privato senza tenere troppo conto delle ripercussioni negative sui pazienti, sia in termini di costi che di cure a disposizione.

Un altro regalo contenuto nell’ACA per il business privato è rappresentato poi dalla possibilità di sottrarsi all’obbligo teorico per tutte le aziende con più di 50 dipendenti di fornire ai loro lavoratori un programma di copertura sanitaria “accessibile”. Le aziende, cioè, potranno pagare una sanzione modesta per evitare questa prescrizione di legge che, comunque, riguarda solo quei dipendenti che lavorano almeno 30 ore la settimana. Quest’ultima eccezione sta già facendo in modo che molte compagnie stiano riducendo gli orari di lavoro o abbiano rimpiazzato lavoratori a tempo pieno con altri part-time.

Dietro l’apparenza di una “riforma” di stampo progressista, dunque, decine di milioni di americani si ritroveranno a pagare di più per servizi di minore qualità, mentre i loro datori di lavoro avranno l’opportunità di abbattere i costi, liberandosi di un onere tutt’altro che irrilevante.

Le compagnie che sceglieranno di continuare ad offrire una polizza sanitaria ai propri dipendenti potranno comunque utilizzare un’altra norma favorevole di “Obamacare”, la quale permette loro di aumentare i costi per i lavoratori nel caso essi intendano estendere la copertura ai loro familiari. Se cioè l’ACA fissa la quota dei premi sulle polizze sanitarie a carico dei dipendenti a non più del 9,5% del loro stipendio, questo limite riguarda solo la copertura riservata al lavoratore stesso, mentre non esistono limiti per i suoi familiari.

Infine, i datori di lavoro hanno già iniziato anche a ridurre i benefit previsti dai cosiddetti piani di assicurazione “Cadillac”, vale a dire quelli che offrono ai lavoratori una copertura che comprende tutti o quasi i servizi sanitari indispensabili e che hanno un premio complessivo annuo di oltre 10.200 dollari per i singoli e 27.500 dollari per una famiglia.

Sulle quote eccedenti questi importi, infatti, a partire dal 2018 peserà una tassa del 40%, così che le aziende cercheranno di ridimensionare le polizze più complete – definite “Cadillac” da stampa e politici a sottolineare il presunto lusso o privilegio di una copertura sanitaria dignitosa e adeguata – per evitare un aumento dei costi, ovviamente con effetti prevedibili sulla qualità e quantità dei servizi medici a disposizione dei loro dipendenti.
http://www.altrenotizie.org/esteri/5772-sanita-usa-di-male-in-peggio.html

Scandalo Ilva: nessuno tocchi Nichi

di Mauro Indelicato

Una risata, un abbraccio e tanti saluti: una scena che, a primo acchito, richiama un fraterno saluto tra amici o cugini in buoni rapporti, un qualcosa di ordinario quindi e di assolutamente normale. Il problema però, è quando di mezzo non ci sono “compari” qualsiasi, bensì un presidente di una regione ed un “amico” che si trova nel bel mezzo di guai giudiziari.
Nel caso in questione, il presidente è Nichi Vendola, il quale appare in stretti rapporti con Girolamo Archinà, amico personale dei Riva, oramai quasi ex proprietari dell’Ilva di Taranto, ed indagato nell’inchiesta sull’inquinamento dello stabilimento tarantino.
Archinà è lo stesso che, mentre un giornalista incalzava i Riva sui dati ambientali che confermavano l’inquinamento della struttura, ha strappato il microfono al cronista per far repentinamente chiudere il servizio. La scena è andata in onda su una trasmissione nazionale e lo stesso Vendola l’ha commentata al telefono con il diretto interessato, Archinà per l’appunto: “Una scena fantastica” è stato il commento del presidente della Puglia, il quale poi ha continuato aggiungendo fragorose risate ed esortando Archinà ad andare avanti.
La telefonata è stata intercettata e dimostra quindi una certa commistione tra la presidenza della giunta pugliese ed i Riva; lo stesso Vendola, risulterebbe indagato per aver fatto pressioni, in qualità di presidente, al fine di non far diffondere i dati che dimostrerebbero la pericolosità dello stabilimento Ilva.
Una commistione, dimostrata anche da un altro documento, in cui risulta che l’ex direttore dello stabilimento, l’ingegnere Luigi Capogrosso, una volta ricevuto il provvedimento di avvio delle indagini da parte della magistratura, ha girato una copia ad Archinà, il quale a sua volta l’ha girata all’avvocato Francesco Manna, capo di gabinetto di Nichi Vendola.
Dunque, appare conclamato il legame tra il presidente Vendola, che è anche leader nazionale di Sel, nonché, un tempo, “volto schietto e pulito” della sinistra italiana, ed i Riva, tramite lo “strappa microfoni” Archinà.
La Regione, la prima a dover controllare il grado di inquinamento delle strutture industriali presenti sul territorio, sarebbe dunque palesemente a favore dell’Ilva ed emerge un ruolo attivo e preminente di Nichi Vendola sulla questione.

Ma c’è di più: il Pm di Bari, Desirèe Digeronimo, colei che indagò su Vendola ed ha denunciato una “stretta” amicizia tra un giudice del processo e la sorella del presidente e leader di Sel, è stata trasferita per “evitare situazioni di incompatibilità”, così si legge nelle motivazioni del provvedimento emanato dal Plenum del Csm. Dunque, sembra sia stato tolto a Vendola un elemento di disturbo: del resto, anche a Roma e forse anche più su, non conviene che l’immagine del governatore venga disturbata proprio adesso.

Se ufficialmente il suo Sel è all’opposizione in Parlamento, però per altri versi la figura di un politico che accorpa tutte le caratteristiche possibili ed immaginabili (comunista, post comunista, “pulito”, innocente, gay ma cattolico) non conviene che venga danneggiata, può sempre tornar utile anche a chi governa in questo momento: del resto, Vendola ed il suo Sel non hanno mai preso posizione contro l’Euro, contro il Mes, contro i sistemi finanziari imposti da Bruxelles, anzi hanno avanzato ed avanzano ancora proposte affini a certi tipi di poteri forti, come le nozze gay ed i registri in cui far spuntare “genitore 1” e “genitore 2” al posto di mamma e papà, giusto per fare un esempio.
Insomma, nessuno tocchi Nichi: rappresenterebbe quella falsa opposizione che, in caso di arrivo al governo, garantirebbe comunque gli attuali equilibri. Chi indaga contro, viene trasferito; la speranza è che, almeno, chi scrive gli accertamenti nei suoi confronti, non venga tacciato di omofobia ed altro. Il personaggio infatti, è di quelli intoccabili il cui scudo è costituito, oltre che alla nomèa di persona corretta e liberal, anche dalla simpatia nutrita nei suoi confronti da parti politiche ufficialmente a lui nemiche.

http://www.ilfarosulmondo.it/wp/scandalo-ilva-nessuno-tocchi-nichi/

Stato-mafia: pm ribadisce, Napolitano deve testimoniare

TANTO le registrazioni che potrebbero smentirlo sono state distrutte

(AGI) – Palermo, 28 nov. – “La lettera del capo dello Stato non puo’ essere intesa come sostitutiva della testimonianza del teste. La lettera infatti non esaurisce l’argomento da chiarire cosi’ come da capitolato di prova”: lo ha detto il procuratore aggiunto Vittorio Teresi opponendosi all’acquisizione della lettera del capo dello Stato al fascicolo del dibattimento del processo per la trattativa Stato-mafia e confermando dunque la richiesta di ascoltare il presidente della Repubblica come teste. Secondo Teresi, quella di acquisire la missiva “e’ una richiesta alquanto curiosa quella delle difese poiche’ questa lettera non e’ un documento formale, in quanto tale. E’ un atto che il presidente ha inteso inviare quale persona chiamata a testimoniare. Non credo che questo atto ‘diverso’ possa trovare ingresso nel dibattimento. Mentre la deposizione del capo dello Stato potra’ chiarire alcuni aspetti fondamentali”.

http://www.agi.it/cronaca/notizie/201311281431-cro-rt10146-stato_mafia_pm_ribadisce_napolitano_deve_testimoniare

Grecia, Ocse: “Recessione anche per il 2014”. Non si esclude nuova tranche di aiuti

ma no? Davvero? E poi si domandano perché uno è euroscettico. I soloni della troika che impongono ricette sanguisughe a suon di RICATTI non si possono contestare. Come i VERI DESPOTI. Il tizio  dell’Ocse va a chieder conto dai burocrati della triade e non al fantomatico “Pil greco” che è quanto risulta dagli ordini eseguiti dal governo greco su imposizione della troika. E CHIEDONO ANCORA RIFORME….ALLUCINANTE

Di Gabriella Tesoro | 28.11.2013

Non accennano a diminuire i guai economici della Grecia, anzi. Secondo l’ultimo rapporto dell’Ocse sullo stato dell’economia greca, commissionato dallo stesso governo ellenico, sebbene per il 2013 è prevista una contrazione del 3,5 per cento, dunque più leggera di quanto previsto (-4 per cento), le previsioni per il 2014 sono tutt’altro che rassicuranti. Non ci sarà alcuna crescita dello 0,6 per cento, come previsto nella manovra approvata da Atene, tutt’altro: per il prossimo anno il Prodotto interno lordo calerà dello 0,4 per cento. Il motivo? Una crescita più lenta del previsto, nonostante le imponenti riforme per rimettere in sesto i conti allo sfascio varate nel 2012.
“Se la crescita greca dovesse deludere di nuovo o se la deflazione dovesse persistere anche dopo l’attuazione delle riforme strutturali – ha affermato il segretario generale dell’Ocse, Angel Gurría – allora sarà estremamente difficile raggiungere il target del debito Pil del 120 per cento entro il 2020”.
In sostanza, il 2014 sarà per la Grecia il settimo anno consecutivo di recessione. Tuttavia, l’analisi specifica che il Paese ha compiuto “progressi sostanziali” per realizzare le riforme e per sistemare le sue finanze, ma la crisi che ha investito Atene è andata ben oltre qualsiasi previsione ed è stata “molto più profonda di quanto ci aspettassimo”.

Nel rapporto, l’Ocse non esclude che il Paese abbia bisogno di una nuova trance di aiuti: “La Grecia potrebbe aver bisogno di nuovi aiuti dai partner europei per assicurare la sostenibilità dei propri conti pubblici. Insieme con l’ulteriore aggiustamento necessario in ambito fiscale e sulla competitività, il bisogno di ulteriore assistenza per raggiungere la sostenibilità di bilancio non può essere escluso”.

Secondo un altro studio l’economia greca potrebbe recuperare oltre 5 miliardi di euro grazie a riforme in diversi settori. Primo su tutti quello del turismo, che impiega il 27 per cento dei lavoratori, ma anche nel settore alimentare, nel commercio al dettaglio e nelle costruzioni. Poi, sarebbe necessario accelerare le privatizzazioni, in particolare nel settore energetico, ferroviario, aeroportuale e immobiliare. Infine, i tagli alla sanità dovrebbero concentrarsi sulla riduzione delle inefficienze, salvaguardando però i settori di eccellenza. Per fare tutto ciò però sarà necessario un sistema di reddito minimo che permetta di rafforzare la rete di sicurezza dei cittadini.

Insomma, si tratta di manovre non di poco conto. Il tutto per rimettere in piedi un Paese in cui il 28 per cento della forza lavoro è disoccupato, i consumi sono ridotti ai minimi storici e, secondo quanto rivelato dal ministro dello Sviluppo, Costis Hatzidakis, i prezzi di alcuni alimenti di base sono i più cari di tutta la zona euro (basti pensare che solo il latte pastorizzato fresco in Grecia costa il 34 per cento in più della media europea).  I dati sono drammatici: le famiglie greche sono sul lastrico, 439mila minori vivono sotto la soglia di povertà e mezzo milione di bambini soffre la fame, tant’è che Atene ha autorizzato i supermercati a vendere i prodotti scaduti a un terzo del loro prezzo.

Read more: http://it.ibtimes.com/articles/59532/20131128/grecia-crisi-ocse-poverta-bambini-economia-recessione-pil-aiuti-europa-ue.htm#ixzz2lxfJIN7b

ARRIVANO I B-52 (UN ICEBERG AMERICANO VAGAVA AL LARGO DELLA CINA)

Postato il Giovedì, 28 novembre atimes.com

Vi ricordate quando il Presidente Bill Clinton mandò due navi portaerei degli Stati Uniti nello Stretto di Taiwan nel 1996 per “mandare un messaggio ” alla Cina? Beh, sembra che a Barack Obama, l’anatra zoppa, il presidente senza spina dorsale, multi-umiliato e multi -sconfitto degli USA, sia improvvisamente salito il testosterone, tanto che ha deciso di provocare un’altra volta la Cina, irridendo la decisione di allargare la zona di difesa aerea cinese sulle isole Senkaku/Diaoyu.
Il modo in cui lo zio Sam ha inviato il suo consueto messaggio di disprezzo imperiale è stato l’invio di due bombardieri B – 52 che sono entrati nella zona di difesa aerea cinese. Non contenti di aver fatto qualcosa di tanto insensato, stupido e irresponsabile, gli americani hanno anche deciso di aggiungere una dichiarazione provocatoria.

Secondo la BBC, (riassumo con parole mie):
Steve Warren, colonnello USA del Pentagono ha detto che Washington aveva ” fatto alcune esercitazioni nella zona delle isole Senkaku” – “Abbiamo continuato a seguire le nostre normali procedure, che NON prevedono che si depositino i piani di volo, NON informano via radio e NON registrano le frequenze radio usate” – ha detto – “Inoltre la Cina NON aveva detto niente.”

Brilliant, no?

Quei geni del Pentagono hanno mandato due bombardieri strategici (attrezzate ad un attacco nucleare) direttamente in uno spazio aereo che i cinesi hanno appena dichiarato “zona di identificazione per difesa aerea”, dove il mancato rispetto delle norme cinesi farebbe scattare “misure difensive di emergenza”, per essere sicuri di riuscire a far perdere la faccia alla Cina che, sostanzialmente, hanno voluto prendere in giro per non aver preso nessun provvedimento.

Vorrei qualificare tutte queste azioni come spericolatamente criminali e straordinariamente stupide.
In primo luogo, immaginiamo solo per un secondo che i cinesi avessero abbattuto i due bombardieri … E allora ? Che avrebbero fatto gli Stati Uniti, che non hanno nemmeno avuto le palle per colpire l’Iran o la Siria, avrebbero attaccato la Cina? Gli Stati Uniti certo non avrebbero potuto andare al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per chiedere un appoggio, almeno per evitare di far sentire le risate di Russia, Cina e, probabilmente, di molti altri paesi fino a fuori dalla sala del Consiglio.

E allora gli americani contavano sul fatto che i cinesi facessero la cosa giusta ? Se è così, allora l’unico messaggio inviato a Pechino è “Guarda , noi siamo solo incoscienti e sconsiderati, ma contiamo sulla vostra sanità mentale”.
E’ molto improbabile però che questo abbia potuto impressionare qualcuno in Cina.
In secondo luogo, ora che i cinesi hanno fatto la cosa più intelligente e ignorato la stupidità degli USA, a che cosa è servita questa mossa, oltre ad alienarsi ancora di più la Cina ?
Uno dovrebbe davvero non sapere assolutamente niente dell’Asia per credere che si può far perdere la faccia a una superpotenza come la Cina senza dover pagare a caro prezzo questo affronto. La grande differenza tra USA e Cina è che la prima si comporta come un bambino viziato con capacità di attenzione e memoria di cinque o dieci minuti :
“I cinesi non hanno attaccato i nostri bombardieri – hanno capito la lezione!”

Sbagliato .
I cinesi ve la faranno pagare – a caro prezzo – per ogni umiliazione (e Dio sa che quante umiliazioni hanno subito negli ultimi due decenni – ricordate l’ambasciata cinese a Belgrado).
Ma pagherete tutto a suo tempo, quando decideranno loro, e ci potrebbero anche volere secoli.
La diplomazia e i politici cinesi hanno 4.000 anni di esperienza nel trattare con i barbari ignoranti e incivili , e sanno quanto sia importante non avere fretta ma agire con determinazione mirata . E si ricorderanno dell’umiliazione subita per tutto il tempo necessario per vendicarla.

In terzo luogo, qualcuno al Pentagono , a Foggy Bottom o alla Casa Bianca pensa davvero che le colonie/alleati USA nella regione avranno avuto una buona impressione? Certo che no !
I diplomatici di Giappone, Corea del Sud e Taiwan saranno rimasti inorriditi, sapendo di essere alleati con una banda di cowboy che giocano con l’atomica in tasca, ma terranno tutti la bocca chiusa perché tutti sanno che i loro paesi sono semplicemente “stati vassalli” della provincia USPACOM (United States Pacific Command ) dell’impero USA.
Infine , cosa hanno dimostrato gli Stati Uniti al resto del mondo, che sono potenti ?
Difficilmente. Dopo aver perso le guerre in Iraq e in Afghanistan, dopo aver perso il controllo della Libia ed essere stati sconfitti dalla Russia e dai diplomatici iraniani sulla Siria e sull’Iran, gli Stati Uniti sono un colosso obeso e antipatico, ma sicuramente non “potente”.

Sì, è imprudente mandare dei bombardieri, letteralmente, nel cortile della Cina ( o a portata di mano – cogliete voi, la metafora ), ma l’incoscienza non è una qualità che impressiona nessuno in Asia , e gli americani si sono profondamente illusi, se hanno pensato di “spaventare” i cinesi .

L’unica cosa che ha raggiunto questa ultima provocazione degli Stati Uniti è di aver semplicemente dimostrato al mondo e, in particolare, all’Asia, che gli USA non hanno capito la natura e lo scopo della diplomazia.
Io personalmente non prendo assolutamente posizione sull’affare delle isole Senkaku / Diaoyu. Quello che sto dicendo è che questo tipo di controversia si può risolvere solo con attente trattative diplomatiche e con molto tempo, e poi aggiungo che se il Giappone avesse voluto davvero che la Cina rinunciasse alla sua pretesa su queste isole, il modo migliore per farlo sarebbe stato assicurarsi che questa trattativa non potesse far perdere la faccia a nessuno.

Ma per un paese che, fin dagli anni di George Bush ( senior), non ha mai avuto una Amministrazione capace di un ruolo diplomatico, questo tipo di provocazione a cui abbiamo appena assistito è consequenziale .
In conclusione , vorrei dire qui che i politici statunitensi hanno sbagliato a ignorare la dialettica di Hegel e le sue regole. Qualche cambiamento quantitativo graduale ( nel tempo) alla fine porterebbe a dei cambiamenti qualitativi, e questo è quello che stanno facendo i militari cinesi che attualmente hanno avviato un vasto programma di profonda modernizzazione e riforme che, una volta completato, si tradurrà in un cambiamento strategico profondo nella regione dell’Oceano-Pacifico asiatico .
Contrariamente alle invecchiate e insufficienti forze armate degli Stati Uniti, le forze armate cinesi stanno recuperando terreno molto velocemente. Certo nel 1980 l’esercito cinese sembra un po’ come l’URSS alla fine degli anni ‘50 , ma il boom economico della Cina ha profondamente cambiato questa immagine , e oggi le forze armate cinesi stanno gradualmente acquisendo sempre più le caratteristiche degli eserciti del 21° secolo e presto riusciranno a superare il potenziale di Corea del Sud e Giappone.
Prima che quelli della Casa Bianca se ne rendano conto, gli Stati Uniti si troveranno di fronte un potenziale militare cinese grande e tecnologicamente alla pari se non superiore. La Cina è stata anche essere molto intelligente nel forgiare un’alleanza informale, ma davvero strategica, con la Russia che, a differenza degli Stati Uniti, fa ogni possibile sforzo per dimostrare rispetto e appoggio al suo grande vicino.
Se si dovesse mai arrivare ad uno scontro tra gli Stati Uniti e la Cina, io non ho nessun dubbio che la Russia darà pieno sostegno alla Cina, anche se non attaccherà direttamente obiettivi americani.
Nel frattempo, il segretario alla Difesa americano Chuck Hagel ha detto che l’allargamento della propria zona di difesa aerea fatto dalla Cina è stato un “tentativo destabilizzante di alterare lo status quo nella regione” , mentre la Casa Bianca ha detto che la zona era “unnecessarily inflammatory” ( N.dT. : .. non dovevate nemmeno farci perdere tempo !).

Vero. Ma questi cowboys si sono mai guardati allo specchio?

The Saker è un blogger anonimo che collabora occasionalmente con Asia Times Online.

Fonte: www.atimes.com
Link: http://www.atimes.com/atimes/World/WOR-03-271113.html
27.11.2013

Traduzione per ComeDonChisciotte.org a cura di BOSQUE PRIMARIO
http://www.comedonchisciotte.org/site//modules.php?name=News&file=article&sid=12643

MERCATO TRANSATLANTICO: UN ATTACCO FRONTALE ALLA DEMOCRAZIA!

ma chi sono questi razzisti che non vogliono le merci americane in UE? 😉  Suvvia, ci stanno salvando dalla “cattiva” Germania…
Volete che la Ue e gli stati possano decidere sugli ogm o sull’acqua pubblica? Siete contrari agli investimenti e non volete la ripresa…brutti choosy che non siete altro….

Bruxelles tace su un trattato che potrebbe consentire a corporazioni avide di sovvertire le leggi, i diritti e la sovranità nazionale

Ricordate quel referendum a proposito della creazione di un mercato unico con gli Stati Uniti? Sapete, quello che chiedeva se le imprese dovessero avere il potere di sovvertire le nostre leggi? No? Nemmeno io. Guardate, l’altro giorno ho trascorso 10 minuti cercando il mio orologio prima di rendermi conto che ce l’avevo addosso. Dimenticare il referendum è un altro segno di invecchiamento, in quanto deve essercene stato uno, giusto? Dopo tutto quel tormentarsi riguardo al fatto di entrare o meno nell’Unione Europea, il governo non avrebbe ceduto, senza consultarci, la nostra sovranità a qualche tenebrosa entità non democratica, vero?
Lo scopo del Partenariato Transatlantico su Commercio e Investimenti è quello di eliminare tutte le differenze normative tra le nazioni americane ed europee. Ne ho parlato due settimane fa. Ma ho tralasciato il tema più importante: la notevole capacità che garantirebbe alle grandi imprese di far fuori giudizialmente i governi che tentano di difendere i propri cittadini. Consentirebbe a una giuria chiusa di avvocati delle imprese di revocare la volontà del parlamento e di distruggere le nostre protezioni legali. Tuttavia i difensori della nostra sovranità non dicono nulla. Il meccanismo attraverso il quale si ottiene ciò è noto come risoluzione di dispute tra stato e investitore. E’ già stato utilizzato in molte parti del mondo per affossare le norme che proteggono le persone e il pianeta.

Il governo australiano, dopo grandi dibattiti fuori e dentro il parlamento, aveva deciso che le sigarette andassero vendute in pacchetti anonimi, contrassegnati solo da sconvolgenti ammonimenti sui rischi per la salute. La decisione era stata convalidata dalla Corte Suprema australiana. Ma, utilizzando un accordo di scambio firmato dall’Australia con Hong Kong, la compagnia dei tabacchi Philip Morris ha chiesto a un tribunale estero di riconoscerle una grande somma a risarcimento di quella che definisce la perdita della sua proprietà intellettuale.

Durante la crisi finanziaria e in risposta alla rabbia del pubblico per le tariffe alle stelle, l’Argentina impose il congelamento delle bollette dell’energia e dell’acqua dei cittadini (suona familiare?). E’ stata citata in giudizio dalle imprese internazionali dei servizi le cui gravose bollette avevano spinto il governo ad agire. Per questo e per altri reati è stata costretta a pagare più di un miliardo di dollari di risarcimenti.

In El Salvador, comunità locali sono riuscite, pagando un prezzo elevato (tre attivisti sono rimasti uccisi), a convincere il governo a rifiutare il permesso per una grande miniera aurifera che minacciava di contaminare le loro fonti idriche. Una vittoria della democrazia? Non per molto, forse. La società canadese che aveva cercato di scavare la miniera sta ora citando in giudizio El Salvador per 315 milioni di dollari, per la perdita dei suoi futuri profitti.

In Canada i tribunali hanno revocato due brevetti di proprietà della società farmaceutica statunitense Eli Lilly poiché la società non aveva prodotto prove sufficienti dei benefici effetti che proclamava. La Eli Lilly sta ora citando il governo canadese per 500 milioni di dollari e pretendendo che le leggi canadesi sui brevetti siano modificate.

Queste imprese (assieme a centinaia di altre) stanno utilizzato le regole sulle dispute tra stato e investitore inserite in trattati di libero scambio firmati dai paesi a cui hanno fatto causa. Le norme sono fatte rispettare da giurie che non hanno nessuna delle salvaguardie che ci aspettiamo dai nostri tribunali. Le udienze si tengono in segreto. I giudici sono avvocati delle imprese, molti dei quali lavorano per società del genere di settore cui le cause si riferiscono. I cittadini e le comunità toccati dalle loro decisioni non hanno riconoscimento legale. Non c’è diritto di appello nel merito delle cause. Tuttavia possono rovesciare la sovranità dei parlamenti e le sentenze delle corti supreme.

Non ci credete? Ecco cosa dice del suo lavoro uno dei giudici di questi tribunali:
“Quando mi sveglio di notte e penso all’arbitrato non smetto mai di stupirmi che stati sovrani abbiano accettato l’arbitrato sugli investimenti … A tre individui privati è affidato il potere di esaminare, senza alcuna restrizione o procedura di appello, tutte le azioni del governo, tutte le sentenze dei tribunali e tutte le leggi e i regolamenti approvati dal parlamento.”
Non ci sono diritti corrispondenti per i cittadini. Non possiamo usare questi tribunali per esigere maggiori protezioni dall’avidità delle imprese. Come afferma Democracy Centre, questo è “un sistema di giustizia privata al servizio delle imprese globali”.

Anche se queste cause non hanno successo, possono avere un potente effetto frenante sulle leggi. Un funzionario governativo canadese, parlando delle norme introdotte dall’Accordo di Libero Scambio del Nord America, ha osservato: “Ho visto lettere da studi legali di New York e Washington in arrivo al governo canadese su ogni sorta di norma e proposta ambientalista negli ultimi cinque anni. Riguardavano sostanze chimiche per la pulizia a secco, farmaceutici, pesticidi, la legge sui brevetti. Sono state messe nel mirino virtualmente tutte le iniziative nuove e la maggior parte di esse non ha mai visto la luce.” La democrazia, come affermazione che abbia un significato, è impossibile in condizioni simili.

Questo è il sistema a cui saremo sottoposti se il trattato transatlantico andrà in porto. Gli Stati Uniti e la Commissione Europea, entrambi ostaggi delle imprese che si suppone debbano regolare, stanno premendo perché nell’accordo sia inserita la risoluzione sulle dispute tra stato e investitore.
La commissione giustifica questa politica affermando che i tribunali nazionali non offrono sufficienti protezioni alle imprese perché “potrebbero essere prevenuti o mancare di indipendenza”. Di quali tribunali si sta parlando? Di quelli degli Stati Uniti? Di quelli degli stati membri [della UE]? Non è specificato. In realtà la commissione non produce un solo esempio concreto a dimostrazione della necessità di un sistema nuovo ed extragiudiziale. E’ precisamente perché i nostri tribunali non sono in generale prevenuti né mancano di indipendenza che le imprese vogliono aggirarli. La Commissione Europea cerca di sostituire tribunali pubblici, responsabili e sovrani con un sistema chiuso e corrotto zeppo di conflitti di interessi e di poteri arbitrari.

Le norme sui rapporti stato-impresa potrebbero essere utilizzate per distruggere ogni tentativo di salvare il sistema sanitario nazionale dal controllo delle imprese, di ri-regolamentare le banche, di ri-nazionalizzare le ferrovie, di lasciare i combustibili fossili sottoterra. Queste norme annullano le alternative democratiche. Mettono fuorilegge le politiche di sinistra. E’ per questo che non c’è stato alcun tentativo del governo britannico di informarci su questa mostruosa aggressione alla democrazia, per non parlare di consultarci. E’ per questo che i Conservatori che ansimano a proposito della sovranità se ne stanno zitti. Svegliamoci, gente. Ci stanno fregando.

Fonte: http://www.theguardian.com/commentisfree/2013/nov/04/us-trade-deal-full-frontal-assault-on-democracy?CMP=twt_gu

Versione italiana: http://www.tlaxcala-int.org/article.asp?reference=10899

Banca d’Italia si trasformerà in public company. Saccomanni viola la Legge 262/05

ma che scrivono questi, l’unico delinquente è già stato silurato. Giustizia è fatta ed ora gli immacolati potranno fare il bene del paese in santa pace no?
Cdm: Banca d’Italia si trasformerà in public company. Saccomanni viola la Legge 262/05

giovedì, novembre 28, 2013
  
Banca d’Italia verrà trasformata in public company nonostante la Legge 262 del 2005 preveda la ripubblicizzazione (o nazionalizzazione) del 94,33% delle quote di capitale in possesso di enti privati (banche e assicurazioni).
Riportiamo qui di seguito i passaggi chiave del provvedimento del Cdm che «rivaluta le quote di capitale di Bankitalia secondo il documento che Bankitalia ha reso pubblico nei giorni scorsi e che chiarisce la natura dell’operazione. La misura – spiega il ministro Saccomanni – riguarda il capitale della Banca d’Italia e serve essenzialmente a migliorare la patrimonializzazione delle banche».
 
Le predisposizioni del Cdm
Il ministro ha poi aggiunto che «Bankitalia si trasformerà in public company», parlando del provvedimento per la rivalutazione delle quote.
Verrà fissato un limite del 5% per la partecipazioni, infatti, «lascia la porta aperta a investitori europei». Insomma sarà una struttura da public company «di cui nessuno avrà il controllo».
In una bozza, anticipata dall’agenzia Adnkronos, compaiono i primi dettagli del provvedimento. Ciascun partecipante al capitale di Bankitalia «non può possedere, direttamente o indirettamente, una quota del capitale superiore al 5%». Per le quote in eccesso «non spetta il diritto di voto ed i relativi dividendi sono imputati alle riserve». Ai partecipanti al capitale di Bankitalia, si legge ancora nel testo, “possono essere distribuiti esclusivamente dividendi annuali, a valere sugli utili netti, per un importo non superiore al 6 per cento del capitale».
 
La Legge n. 262 del 2005 che avrebbe dovuto ripubblicizzare la Banca d’Italia
 
La Banca d’Italia è un istituto di diritto pubblico con un capitale sociale di 156 mila euro diviso in 300 mila quote con un valore unitario pari a 52 centesimi cadauna. Una serie di privatizzazioni e acquisizioni nel panorama bancario italiano ha però fatto sì che il 94,33% del capitale della Banca centrale sia ora in possesso di enti non pubblici.
 
 
Per risolvere questa anomalia e quindi provvedere alla ripubblicizzazione delle quote detenute dai soggetti privati, il 28 dicembre 2005 il Parlamento ha approvato la Legge n. 262 (Art. 19) in base a cui entro il 31 dicembre 2008 si sarebbe dovuto ridefinire, mediante un apposito regolamento, l’assetto proprietario di Palazzo Koch.
 
Ne segue che le ultime predisposizioni di Saccomanni violano la Legge 262/05 che prevedeva la nazionalizzazione della Banca d’Italia.
 
(Stefano Fugazzi)

Banche, il governo prepara un regalo fino a 4 miliardi per Intesa e Unicredit

non dimentichiamo che la UE APPROVA INIEZIONI DI DENARO ALLE BANCHE
Mps, via libera Ue ad aiuti per 3,9 miliardi e garanzie di Stato per 13 miliardi

Banche, il governo prepara un regalo fino a 4 miliardi per Intesa e Unicredit

L’esecutivo vara in sordina (e in fretta e furia) l’emendamento Banca d’Italia, che oltre alla rivalutazione della partecipazione nell’istituto centrale include un compratore per la quota altrimenti invendibile. Giusto a ridosso degli esami comunitari
 
 
Per Intesa SanPaolo e Unicredit il cosiddetto decreto Bankitalia che il Consiglio dei ministri ha approvato mercoledì 27 novembre in fretta e furia prima del voto sulla decadenza del Senatore Berlusconi, vale una cifra compresa tra 2,73 e 4 miliardi di euro. L’ultima mossa del governo Letta in tema di regali agli istituti di credito in trepida attesa degli esami comunitari,  prevede infatti una rivalutazione del capitale della Banca centrale attraverso una ricapitalizzazione gratuita da 5-7,5 miliardi di euro fatta attingendo alle riserve della stessa Banca d’Italia.
 
In seguito all’aumento, il capitale dell’istituto centrale sarà rappresentato da quote nominative di partecipazione 20.000 euro ciascuna. Ma soprattutto, a partire dal completamento della ricapitalizzazione scatterà l’obbligo per gli azionisti, di non possedere una quota dell’istituto superiore al 5 per cento. Un bel problema per banche come Intesa e Unicredit che, in quanto titolari complessivamente del 64,62% della Banca d’Italia, subito dopo aver beneficiato della rivalutazione contabile della loro partecipazione che registrerà in totale una plusvalenza di almeno 2,3 miliardi, avrebbero dovuto trovare un compratore delle quote in eccesso.
 
Un’impresa piuttosto difficile, vista l’assenza di un mercato per questo tipo di beni. E così il governo ha ben pensato di trovare una scorciatoia: ad acquistare le quote in un primo momento sarà la stessa Banca d’Italia. La quale, “al fine di favorire il rispetto dei limiti di partecipazione al proprio capitale, può acquistare temporaneamente le proprie quote di partecipazione e stipulare contratti aventi ad oggetto le medesime”, come si nel decreto. In pratica, quindi, Bankitalia dalla ricapitalizzazione in poi avrà facoltà di versare ai suoi unici due azionisti sopra il 5 per cento, Intesa e Unicredit appunto, una somma complessiva compresa tra 2,7 e 4 miliardi di euro. In dettaglio si tratterebbe di 1,87-2,81 miliardi per la banca di Giovanni Bazoli e 855 milioni-1,28 miliardi per quella di Federico Ghizzoni.
 
Che potrebbero arrivare molto presto visto che nel caso di rapida conversione in legge del decreto, l’assemblea di Via Nazionale sull’aumento di capitale potrebbe essere tenuta già negli ultimissimi giorni dell’anno, come aveva rilevato nei giorni scorsi il presidente Abi Antonio Patuelli. Per poi procedere spediti  verso la compravendita delle quote in eccesso che andrà comunque ultimata entro 24 mesi. E così per i due campioni nazionali del credito  il 2014, che si prefigurava come un annus horribilis visti gli stress test comunitari in arrivo, si trasformerebbe per magia in un esercizio spumeggiante seguito ad uno, il 2013, chiuso col botto sempre grazie alla rivalutazione della partecipazione in Bankitalia.
 
Allo Stato in cambio arriverebbero i proventi della tassazione al 12% (contro il 16% inizialmente ventilato) del guadagno in conto capitale (capital gain) stimati in meno di 900 milioni di euro, meno della metà della somma necessaria per cancellare la seconda rata dell’Imu che è stata eliminata nel corso dello stesso Cdm. Per quanto riguarda, poi, l’insidiosa questione dei dividendi della Banca d’Italia che in base allo statuto dell’istituto in combinazione con la rivalutazione del capitale sarebbero saliti esponenzialmente, il governo si è limitato a stabilire che gli azionisti dell’Istituto centrale potranno ricevere esclusivamente cedole annuali a valere sugli utili netti di Bankitalia per un importo non superiore al 6% del capitale. Finora la distribuzione dei dividendi avveniva in rapporto alle riserve o ancora in base al capitale sociale, ma con una quota fissa del 10% che avrebbe significato lo stacco di una cedola annua superiore ai 700 milioni contro i 70 del solo 2012. La situazione, insomma, cambia (la cedola scende intorno ai 400 milioni). Ma di poco.
 
Il testo approdato in Cdm, poi, individua una serie di soggetti che possono detenere le quote e che possono cedersele fra loro: fondazioni bancarie, enti e istituti previdenza italiani e fondi pensione oltre a banche e assicurazioni italiane o con sede nell’Ue. Non esclusa, quindi, la stessa Banca Centrale Europea. Proprio quest’ultima è stata chiamata a dare un parere consultivo sulla rivalutazione delle quote degli istituti di credito italiani nel capitale di Bankitalia e “non ha ancora chiuso la sua procedura”, come ha riferito un portavoce dell’Eurotower, spiegando che la procedura si chiuderà “al più presto, all’inizio della settimana prossima”.
 
“Il parere deve essere formalmente approvato dal consiglio dei governatori”, ma “la proposta che conta di solito è quella della consulenza legale” che è favorevole al decreto per la rivalutazione delle quote di Bankitalia, ha detto a tal proposito il ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni. “Comunque – ha aggiunto – per quanto riguarda le preoccupazioni della Bce in termini di indipendenza della banca centrale” il provvedimento va nella “giusta direzione”.
 
“Adesso verrà ampliato il novero delle istituzioni che possono detenere quote di capitale nella Banca d’Italia”, ha aggiunto Saccomanni sottolineando che la struttura della banca centrale sarà quello di “una public company” dove “nessuno ha il controllo”. Con questo provvedimento, quindi, “non ci sarà più la situazione che, seppur involontariamente si era venuta a creare per effetto di fusioni e incorporazioni, per cui due banche avevano una quota di capitale molto rilevante”.
 
Applausi, infine, dal maggior beneficiario dell’operazione. “Un passaggio importante”, ha commentato l’amministratore delegato di Intesa SanPaolo, Carlo Messima. “Mi sembra anche che lo schema, che può consentire la computabilità del patrimonio di vigilanza sia molto avanzato. L’unico motivo per cui le banche possono essere interessate a procedere con questa operazione è avere un beneficio sul coefficiente patrimoniale“, ha concluso.

Ecco la ripresa

600 IMPRESE SOLO A PARMA E DINTORNI – IN ITALIA 60 MILA CESSAZIONI DI ATTIVITA’
e alle risorse che vengono nella terra promessa a lavorare cosa offriamo?? Sarà colpa degli italiani che sono inoccupabili come dice Giovannini

Crisi, in 10 mesi chiuse 600 imprese. Saldo negativo di 200 unità
I dati dell’Osservatorio di Confesercenti. Negli ultimi 10 mesi si sono registrate tra Parma e provincia 682 cessazioni di attività, di cui 213 riguardano il commercio al dettaglio

Redazione ParmaToday28 Novembre 2013

A Parma da gennaio a ottobre più di 600 cessazioni con saldo negativo di circa 200 unità e riguardano in particolare commercio al dettaglio e turismo. C’è invece un segnale positivo: tra settembre ed ottobre con la riapertura di nuove imprese. Non sono rincuoranti gli ultimi dati dell’Osservatorio di Confesercenti: in Italia si registra ancora un forte blocco economico si registrano oltre 60mila chiusure, per un saldo negativo di poco superiore alle 22mila unità. Anche i numeri che riguardano Parma e provincia seguono il trend negativo italiano, con qualche eccezione per quanto riguarda il commercio di automobili, carni, articoli da regalo e per fumatori. Nel nostro territorio da gennaio a ottobre 2013 si sono annoverate oltre  600 cessazioni di attività con un saldo negativo di circa 200 unità.
Sono in negativo quasi tutti i settori ma, in particolare, continua il tracollo del commercio al dettaglio e del turismo. Negli ultimi 10 mesi si sono registrate tra Parma e provincia 682 cessazioni di attività, di cui 213 riguardano il commercio al dettaglio, 150 le imprese di alloggio e somministrazione, 63 ristoranti, 74 bar, 59 esercizi di vendita abbigliamento e calzature e 42 venditori ambulanti, più contenute invece le chiusure di altre attività. Per quanto riguarda le nuove aperture, sono aumentate da settembre a oggi e nel complesso per l’anno 2013 si sono annoverate 435 nuove attività. Il saldo rimane comunque negativo tra attività cessate e nuove imprese aperte.
Nella nostra città i segnali positivi, seppure modesti, riguardano le imprese del commercio al dettaglio di automobili (+2), di carni (+5) e di articoli da regalo e per fumatori (+4).  “L’emorragia di imprese – commenta Corrado Testa di Presidente Confesercenti Parma – non si ferma, anche se si evidenzia qualche piccolo segnale di speranza. Commercio e turismo sono schiacciati dalla crisi dei consumi interni che è il segno distintivo di questa recessione italiana e che – insieme a una deregulation degli orari e dei giorni di apertura delle attività commerciali che non ha eguali in Europa, e che favorisce solo le grandi strutture – sta continuando a distruggere il nostro capitale di piccoli imprenditori. La crisi sta portando a un rapido rinnovamento generazionale: il 40% delle nuove imprese di Commercio e Turismo è giovanile. E’ la dimostrazione della voglia di non arrendersi dei nostri ragazzi che, di fronte a un tasso di disoccupazione dei giovani che macina record su record, scelgono la via dell’auto-impiego. Adesso cerchiamo di tenerli sul mercato, in primo luogo evitando batoste fiscali, a livello nazionale o locale: gli imprenditori sono “taglieggiati” in questo periodo dalla Tares che nella maggior parte dei comuni italiani, è l’ultima “caporetto” dei negozi di vicinato, soprattutto per le attività di somministrazione come Bar, Ristoranti e alimentari in genere.
http://www.parmatoday.it/cronaca/imprese-chiuse-crisi-commercio.html

Modena, analisi Confesercenti: “Dall’inizio dell’anno 617 imprese in meno nei settori commercio, alloggio e pubblici esercizi”
28 nov 2013

“Inarrestabile” così Confesercenti Modena definisce la pesante crisi che ha investito il commercio e il turismo. Nei primi 10 mesi del 2013 sono oltre 60mila le chiusure, registrate a livello nazionale per un saldo negativo di poco superiore alle 22mila unità. Situazione che si rispecchia anche in Emilia Romagna, che rientra tra le prime 10 regioni italiane col maggior numero di imprese cessate. E Modena non fa eccezione. In regione, se raffrontata con le altre realtà territoriali, la nostra provincia occupa i primi posti per numero di attività cessate nel periodo gennaio-ottobre 2013. A fronte di 409 nuove attività imprenditoriali avviate nel commercio e nel turismo si sono registrate 617 cessazioni con un saldo negativo negli ultimi dieci mesi di 208 imprese. Quel che è peggio è che la media di imprese cessate nel modenese è superiore a quella regionale. Unica nota positiva il settore dell’e-commerce che continua a segnare un constante incremento.
“L’emorragia – commenta Confesercenti – non si ferma, anche se qualche piccolo segnale di speranza c’è. Commercio e turismo sono schiacciati dalla crisi dei consumi interni che, insieme a una deregulation degli orari e giorni di apertura delle attività commerciali che favorisce solo le grandi strutture, sta continuando a distruggere il nostro capitale imprenditoriale. La crisi però sta portando anche un rapido rinnovamento generazionale: molte nuove imprese sono avviate da giovani che investono in nuove tecnologie. E’ la dimostrazione della voglia di non arrendersi, soprattutto delle giovani generazioni che, anche a fronte di un tasso di disoccupazione da record, scelgono la via dell’auto-impiego. Fondamentale quindi tenerli sul mercato e agevolarli, così come sostenere tutte le imprese in difficoltà con una politica economica volta a supportare la crescita e i consumi, recuperando risorse con interventi coraggiosi tesi ad abbassare in modo strutturale la spesa pubblica improduttiva. Così come è necessario evitare ulteriori batoste fiscali, sia a livello nazionale che locale”.
Sono i numeri ancora una volta a definire in modo oggettivo la situazione di delle imprese. Lapidari quelli che riguardano il settore del commercio al dettaglio modenese. Male il comparto alimentare e non alimentare. Da gennaio ad ottobre 2013, sul territorio a fronte a 207 nuove aperture sono state ben 370 le cessazioni (di cui 112 solo nel capoluogo) con un saldo complessivo negativo di -163 imprese. Da questi dati poi emerge il perdurare del grave momento vissuto dal settore moda/tessile/abbigliamento: contro le 53 nuove iscritte ci sono 112 cessazioni con un saldo negativo di -59 imprese dall’inizio dell’anno.
Leggermente più positivo, pur contrassegnato da dati negativi risulta essere l’andamento nel settore del turismo, o meglio tra le imprese di alloggio e pubblici esercizi della provincia. 247 le attività cessate (74 nel capoluogo), contro le 202 avviate in questi 10 mesi: il saldo negativo ammonta a -45 unità. Il conto più salato va alla ristorazione che evidenzia 141 attività in meno di fronte a 94 nuove; stabile invece – per ora – il comparto delle attività ricettive: 6 quelle iscritte da gennaio 2013 contro le 5 cessate.
Anche il commercio al dettaglio ambulante risulta sofferente alla crisi. Sul territorio modenese, dall’inizio dell’anno sono state 90 le imprese che hanno cessato l’attività e solo 53 nuovi avviamenti.
L’indagine consegna poi un andamento decisamente positivo per le imprese che operano nel commercio via internet, un trend che riguarda un po’ tutti gli ambiti commerciali. Il settore dell’e-commerce che conta 171 imprese totali, nel corso dei primi dieci mesi dell’anno ha registrato 31 nuove attività, e 16 cessazioni con un saldo positivo di 15 nuove imprese. Si tratta di sistemi innovativi per la commercializzazione dei propri prodotti, che si vanno via affermando e che riguardano soprattutto le nuove generazioni; molto attente ai cambiamenti e propense ad utilizzare modo appropriato la strumentazione tecnologica, avvalendosi anche di modalità innovative tra cui anche i social media.
http://www.sassuolo2000.it/2013/11/28/modena-analisi-confesercenti-dallinizio-dellanno-617-imprese-in-meno-nei-settori-commercio-alloggio-e-pubblici-esercizi/