Un’Ucraina di meno e qualche dubbio in più

Lorenzo Centini
La conferenza di Vilnius, che avrebbe dovuto sancire l’entrata dell’Ucraina nella UE si è trasformata in una Termopili senza gloria per i Soloni eurocratici. L’Ucraina, sventolando un solenne voto parlamentare, ha dichiarato di non voler far parte della famiglia Europea.
I trascorsi di questa entrata sono stati turbolenti. Dopo anni di tira e molla, che avevano fatto pensare ai più che le offerte “culturali” degli impianti europei fossero solo Flirt ad uso e consumo delle diplomazie in funzione lateralmente anti-Russe, negli ultimi anni la marcia di Kiev verso Bruxelles si era velocizzata, allontanando i timori che l’Ucraina si trasformasse in una nuova Turchia.
Finalmente, si era addivenuti ad una decisione, e i trattati erano iniziati sotto i migliori auspici. Seppur fortemente scossa dai marasmi Arancioni, le classi politiche ucraine si erano dimostrate, negli anni, abbastanza sicure nel proseguimento delle discussioni per l’entrata nell’Unione Europea. A fronte perfino del riavvicinamento di Kiev all’Unione Russia-Bielorussia, la volontà ferrea, almeno da parte Europea di gettarsi, finalmente, nella conquista dello spazio Post-Sovietico aveva prevalso.
Varie voci si erano opposte all’entrata. Prima di tutto i rigoristi di scuola francofortista, che temono (a ragione) che l’entrata nell’Unione di un economia con carenze strutturali e irrisolte verteze sociali Elstiane avrebbe portato al collasso della già friabile impalcatura economica comunitaria. La più autorevole di queste voci, Oli Rehn, si era espresso in termini moderatamente contrari in sede pubblica, introducendo nell’agone dialettico paneuropeo un lemma che probabilmente diventerà comune in futuro: Superespansione. Pericolo di star volendo troppo, pericolo di esser diventati troppo grandi, troppo in fretta.  Come un novello Laooconte Rehn ha ammonito i piani alti che davvero non c’era bisogno di nuove inizioni di nazioni da supportare e da includere in un sistema che , di per se, ha forse i mesi contati.
Tuttavia queste voci sono state spente dagli eventi e dalle convinzioni pregresse. Innanzitutto, il successo totale dell’entrata della Croazia nell’UE aveva portato nuova linfa vitale nelle azioni degli espansionisti. I dati economici del primo trimestre croato dopo l’entrata nell’Unione Europea avevano convinto gli europeisti (ma non gli ucrani) che un espansione subitanea del modello Europa potesse essere una panacea per ogni male al di là del Vistola. In secondo luogo, e forse queste considerazioni i sono rivelate più importanti, l’entrata di Kiev nell’UE avrebbe permesso a Bruxelles una posizione ben diversa nei confronti di Putin, da spendere su tutti i tavoli aperti con la Federazione, con un riguardo soprattutto alla questione energetica e quella Siriana.
Tuttavia la questione è stata viziata da parecchi Aut-Aut. Prima di tutto l’Unione Europea ha posto alla base del dialogo la liberazione di Yulia Timoshenko,, capro espiatorio colpevole di tutti i mali che l’Ucraina tentò, inultilmente, di lavare via con la “Rivoluzione Arancione”. L’agenda Fule, che per l’appunto presupponeva la liberazione del’ex ministra Ucraina e il lasciapassare per andarsi a curare a Berlino, si è dimostrata per quel che era, vale a dire il più grande ostacolo alla buona riuscita del percorso di entrata.  Il motivo ufficiale della recusazione da parte della Bankova della mano tesa da parte europea è stata appunto l’insopportabile ingerenza che Bruxelles avrebbe voluto avere sugli affari giudiziari interni. Ingerenza che, peraltro, valeva molto di più di quel che sembrava. Il caso Tymoshenko, cavalcato opportunamente da tutti i Think Tank neopogressisti in giro per il mondo come dimostrazione inecquivocabile della necessaria occidentalizzazione delle periferie Post-sovietiche, assurge infatti a mito fondativo della Oligarchia Ucraina. Dopo aver infatti visto i sorci verdi con la Rivoluzione Arancione, che prometteva seriamente di scalzarli dal loro posto come guida del mondo sottopolitico ucraino, normalizzandolo (leggi:americanizzandolo), le cricche del Gas e delle costruzioni ben piantate alla Bankova hanno salutato con gioia il riflusso della suddetta rivoluzione, che si è palesato nell’incarcerazione della sua eroina e Giovanna D’Arco. Rimettere tutto in discussione, liberandola, avrebbe pertanto costituito un pericolosissimo viatico alla ridiscussione della recentissima storia Ucraina.
Ma i motivi politico/storici sono sempre solo un incentivo, ma sufficenti a sviare la Storia. Il rifiuto dell’Ucraina dell’entrata nella UE è derivato da almeno tre fattori tra loro molto legati.
Il primo è sicuramente la tempistica. Mentre la Croazia aveva da tempo cominciato e quasi finalizzato il proprio Iter di adesione, l’Ucraina ha risentito enormemente delle notizie di declino che trapelano da Bruxelles. Se dieci anni fa, sulla onda lunga della Derussificazione politica, i filoccidentali Ucraini poetvano portare a sostegno della proprie tesi tangibili dati economici, che presentavano come sicuro un futuro roseo e da protagonista per l’Europa di nuovo Polo mondiale, adesso le frizioni e i fallimenti economico-sociali che l’Europa collezione da almeno cinque anni sono troppo evidenti per esser smentiti. In Ucarina i nazionalisti e i comunisti non si dono dovuti troppo peritare nel ricercare evidenza empiriche che dimostrassero come, per un paese arretrato, sarebbe stato utile mantenere una certa indipendenza economica e politica, invece di andarsi ad infognare in un ginepario di occasioni sfruttate nel peggior modo possibile.
Secondo, le pressioni Russe. La vicinanza dell’Orso russo, molto forti e pesanti sul breve/medio periodo, hanno convinto la classe dirigente Ucraina che il gioco non valeva la candela. Su tutte, l’ultimo accordo firmato da Yanukovich con Putin, che obbligava Kiev a mantenere nel Porto di Sebastopoli la Flotta Federale fino al 2042 in cambio di uno sconto sul gas russo che ivi transita, ha legato a doppio filo, ancora, i destini di Kiev a quelli delle volubilità imperiali Moscovite, le quali adoperano il gas come un Hard Power molto contingente. Il bisogno ucraino di gas ed energia è, nonostante le previsioni degli esperti e le scoperte di ricchi giacimenti di gas non convenzionale nei pressi dei Carpazi e nella regione del Donbass, ancora la bussola geopolitica che guida la Bankova. L’autarchia energetica, prevista per il 2020, è troppo lontana per aver potuto influire seriamente nella decisione o meno di entrare nell’Unione Europea. Ergo, subito dopo il naufragio dei trattati con la UE, l’Ucraina si è affrettata a sottoscrivere un patto di adesione formale all’Unione doganale Russia-Bielorussia. Chi la fa, l’aspetti.
Terzo, i motivi macroculturali. Come ravvisato da Huntington (ma anche a suo tempo da Suslov) l’Ucraina costituisce lo spartiacque tra la civiltà Ortodossa e quella occidentale. Il Limes che divide New York da Mosca passa in mezzo all’Ucraina, che risulta quindi spezzata in due parti distinte: una, quella occidentale, profondamente legata ai destini europei, e bacino elettorale per quella borghesia illuminata Ucraina, radical chic, e fieramente anti-russa e anti-Putiniana. A Est invece si estende l’Ucraina “Russa”, profondamente ortodossa, che più di ogni altra ha vissuto con dramma il distacco violento dallo spazio Sovietico. I due momentuum politici, la Rivoluzione Arancione e i trattati per entrare nell’Unione Europea, sono stati il campo di battaglia per queste due Ucraine, con la prima inizialmente vittoriosa ma poi vinta dal riflusso. Con un simile copione, anche qua la parte occidentalizzante si è vista sconfitta nel suo tentativo di portare fuori l’Ucraina dall’abbraccio, per loro mortale, con la Russia.
L’Ucraina rifiuta quindi il pacco e va avanti. Non è detto che la partita finisca qui. Subito dopo la notizia del rifiuto, accanto ad una marcia di festeggiamento, si dipanava per Kiev un più piccolo corteo formato dagli europeisti. Non bisogna escludere che, nei prossimi anni, l’entrata nell’Unione non diventi un tema politico sul quale le fazioni filo-russe e filo-occidentali si scontreranno aspramente. L’Ucraina, per ora, rimanere pienamente parte di quel progetto di ricostruzione dell’Impero Russo da parte delle elites moscovite, ma la Bankova rimarrà ancora per molto una zona di confine tra il neozarismo d’assalto e l’occidente che vorrebbe farsi mondo.
http://www.statopotenza.eu/9357/9357

Un’Ucraina di meno e qualche dubbio in piùultima modifica: 2013-11-25T13:14:22+01:00da davi-luciano
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