TAV in Val di Susa: un incubo lungo 20 anni

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Marco Cedolin

Erano i primi anni 90 quando in Val di Susa s’iniziò a parlare del progetto per la costruzione di una nuova linea ferroviaria ad alta velocità che unisse Torino a Lione. In un primo tempo l’opera venne presentata come rivolta a mobilitare i passeggeri, successivamente dal momento che i potenziali viaggiatori latitavano, la destinazione d’uso diventò quella del trasporto merci. Nell’intendimento dei proponenti la nuova infrastruttura avrebbe dovuto costituirsi come parte integrante di un ipotetico asse ferroviario ad alta velocità in grado collegare Lisbona con Kiev, prima che la “grande crisi” costringesse il Portogallo e molti altri stati a rinunciare a qualsiasi velleitario progetto di alta velocità….

La popolazione valsusina manifestò fin da subito la propria aperta contrarietà nei confronti del nuovo progetto, dal momento che esso avrebbe determinato una lunga serie di criticità, tanto dal punto di vista ecologico, quanto da quello sanitario e sociale. La Val di Susa è infatti una stretta vallata alpina che già all’epoca risultava profondamente infrastrutturizzata attraverso fabbriche, acciaierie, una linea ferroviaria internazionale preesistente, due statali e l’autostrada del Frejus che era in fase di costruzione. Per una nuova grande opera davvero non ci sarebbe stato più spazio.
 
Pur posto di fronte a molte perplessità e contestazioni il progetto continuò comunque ad andare avanti, fino a quando nell’inverno del 2005, diventato esecutivo, comportò l’installazione di un primo cantiere in località Venaus. Nonostante la Valle fosse stata già dalla fine di ottobre pesantemente militarizzata, l’insofferenza e la rabbia della popolazione continuarono a crescere a dismisura, fino a sfociare l’8 dicembre in una vera e propria sommossa popolare, durante la quale oltre 70mila valsusini, insieme ai propri sindaci, invasero l’area di cantiere ribadendo il proprio NO perentorio alla costruzione dell’opera. Trovandosi di fronte al rifiuto categorico dell’infrastruttura, da parte della stragrande maggioranza della popolazione locale e dei suoi amministratori, in una situazione ad alta tensione sociale, il governo non poté fare altro che sospendere il progetto, ma riuscì comunque a mantenerlo in vita, tramite un Osservatorio presieduto dall’arch. Mario Virano, al quale fu dato il compito di trovare una qualche forma di mediazione.
 
Il TAV Torino – Lione “risorse” di fatto nel 2011, quando il 27 giugno, nel corso di una vera e propria battaglia condotta con l’uso dei gas lacrimogeni, oltre 2000 agenti delle forze dell’ordine occuparono con la forza la Maddalena di Chiomonte, presidiata da mesi da alcune migliaia di cittadini della valle. Proprio a Chiomonte infatti, in una zona difficilmente accessibile, il nuovo progetto aveva spostato il luogo deputato ad ospitare il primo cantiere, dove scavare il tunnel geognostico di 7,5 km, propedeutico a quello di 57 km che costituirà di fatto l’opera, dal momento che lasciata decantare nell’oblio l’intera tratta nazionale, il nuovo TAV “low cost” creato da Virano sarà limitato esclusivamente allo scavo del megatunnel.
 
Nello scorso mese di Gennaio, a quasi due anni dall’inizio dell’occupazione, nonostante la contestazione popolare e e l’insofferenza dei valsusini restino altissime, è iniziato lo scavo dei primi 12 metri del tunnel di Chiomonte, sancendo di fatto l’avvio di un’opera che sul terrorio nessuno vuole, ma la politica, le banche ed il malaffare attendevano bramosi da oltre 20 anni, come un rubinetto al quale abbeverarsi in tranquillità per i decenni a venire.
 
TAV in Val di Susa: un incubo lungo 20 anniultima modifica: 2013-10-20T09:10:00+02:00da davi-luciano
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