MADE IN ITALY ADDIO: TUTTE LE AZIENDE ITALIANE VENDUTE ALL’ESTERO

ma non erano i tedeschi che volevano svendere l’Italia per comprarsi tutto? Ricordiamo che le multiutilies italiane sono molto “partecipate” da VEOLIA
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Altro colpo al Made in ItalyTelecom, il principale gruppo italiano di telecomunicazioni, passa in mani spagnole dopo l’accordo tra Telefonica e le banche italiane azioniste, che le consente di salire al 66% di Telco, holding che controlla il 22,4% di Telecom Italia. Non è solo questione di percentuali azionarie, perché la Telco nomina anche la maggioranza dei membri del consiglio di amministrazione Telecom. Di fatto, quindi, è l’ennesimo marchio italiano che prende la via dell’estero. Il Made in Italy è sempre stata la consolazione dell’economia italiana anche in periodo di crisi. Un favola che ci hanno sempre raccontato (e continuano a raccontare) per dimostrare che il sistema italiano funziona ancora alla grande. Ma a chi appartiene davvero il Made in Italy?

Ormai le notizie di cessioni ai colossi stranieri si susseguono a ritmo tanto vorticoso che si fatica a tenere botta. Ultimo caso recente quello dei cioccolatini Pernigotti, ceduti dai Fratelli Averna ai turchi Toksoz. Si tratta di una azienda privata, con sede a Istanbul, che realizza un fatturato annuo pari di circa 450 milioni. La notizia è dolorosa perché Pernigotti, oltre ad essere un’eccellenza mondiale nel settore dolciario, è anche un’azienda storica con oltre 150 anni di attività. Ma non è tutto. Pochi mesi fa la holding francese Lvmh ha rilevato l’80% della griffe del cachemire Loro Piana, fiore all’occhiello tra i marchi italiani. Il problema sono proprio loro, le holding straniere che si appropriano del grande artigianato nostrano lasciando solo le briciole al prodotto interno lordo dello stivale.In un periodo di crisi economica come quello che da anni attanaglia l’Italia, spesso la consolazione degli economisti è il perdurante successo del Made in Italy, sinonimo di grande qualità e garanzia di crescita. Quando leggiamo marchi Made in Italy famosi e acquistiamo i loro prodotti, siamo proprio sicuri che stiamo comprando italiano? La risposta, nella maggior parte dei casi, è negativa. Tanto per rimanere in tema Loro Piana, l’azienda si troverà in buona compagnia nel roster della Luis Vuitton Moet Hennessy (Lvmh), che già include simboli assoluti come Bulgari, Fendi e Pucci. Loro Piana, nello specifico, è stata valutata 2,7 miliardi, con la Lvmh che ha pagato 2 miliardi per accaparrarsi l’80% del pacchetto aziendale. Sergio e Pier Luigi Loro Piana manterranno la loro posizione alla guida dell’azienda di famiglia, ma con uno striminzito 20% della proprietà.D’altra parte difficile dire di no alle allettanti offerte di un colosso come Lvmh, che vanta 28,1 miliardi di ricavi, generati anche grazie ai tanti marchi italiani che si sono aggiunti nomi famosi come Louis Vuitton e Celine, Moet et Chandon e Veuve Clicquot. Queste acquisizioni non sono casuali, perché il settore del lusso è quello che fa registrare i dati di vendita più alti (a fronte di un +4% complessivo della holding) nonostante il gruppo abbia alzato i listini dei suoi marchi di punta fino al 10%. Tantimancati introiti per il sistema Italia, ma la domanda che bisogna porsi è anche un’altra, dolorsa ma necessaria per non cadere nei pregiudizi: queste aziende potevano sopravvivere nel mercato globale senza far parte di un gruppo del genere? Artigianato e tradizione spesso non vanno molto d’accordo con i ritmi e le pretese di un mercato in cui le spese di produzione si alzano e i profitti calano.Vendere è forse di vitale importanza per gli imprenditori, ma in tutto questo discorso si sente l’assenza dello Stato, che nulla sembra volere e potere fare per arrestare la dissoluzione del Made in Italy e, anzi, vessa sempre più le aziende con una pressione fiscale a livelli record (per non dire ridicoli). In giro per il mondo ci vantiamo tanto della nostra moda, dei nostri cibi e della nostra creatività, ma ormai (come nel caso della fuga dei cervelli) tutto questo è al servizio di proprietà straniere. Il fenomeno, come detto, non si riferisce soltanto al settore della moda e del lusso perché la fuga del Made in Italy dall’Italia riguarda tutti i comparti economici, dall’abbigliamento all’alimentare passando per i gioielli. Non esiste settore che non sia stato toccato dalle mani delle ricche holding straniere.La strategia di questi gruppi è semplice: attendere il momento di difficoltà economica per appropriarsi di aziende con valore aggiunto notevole visto che, pur non più italiano al cento per cento, il prodotto italiano vende sempre e comunque, soprattutto all’estero. Ecco così che una opportunità di crescita per il comparto esportazioni viene ridotta al lumicino dall’esternalizzazione della proprietà e, molto spesso, anche della produzione. Il primato sul bel vivere e vestire non ci appartiene più, è meglio farsene una ragione. Certo, casi di successo di aziende italiane che si espandono all’estero non mancano, ma l’impressione è che per ogni azienda italiana che riesce a crescere almeno tre finiscono acquisite da holding straniere.Da un lato troviamo Barilla che compra la francese Harry’s e la svedese Wasa o Luxottica di Leonardo Del Vecchio che compra l’americana Ray-Ban, ma dall’altro Loro Piana viene ceduto alla Luis Vuitton Moet Hennessy (Lvmh), seguendo la fuga all’estero di marchi di moda celebri come BulgariGucci eValentino. Le motivazioni sono diverse da caso a caso (eredi poco capaci, scarse agevolazioni da parte dello Stato, crisi economica) ma su tutte le svendite aleggia un’atmosfera da smobilitazione generale. I cugini francesi, con cui da sempre siamo in aperta lotta per il primato sulla moda e sulla buona cucina, sembrano decisamente un passo avanti rispetto all’Italia, tanto che molte di queste misteriose holding sono proprio transalpine.Lvmh è proprieraria anche di altri brand importanti come Emilio Pucci, Acqua di Parma e Fendi; Gucci e Pomellato sono invece sotto il controllo di Kering, ex Ppr, antagonista storico di Lvmh che fa capo alla famiglia di François Henri Pinault, leader della distribuzione di marchi come Fnac e Puma che controlla anche Dodo, Bottega Veneta, Brioni e Sergio Rossi. Se il Made in Italy nella moda crolla miseramente, va anche peggio al cibo italiano all’estero, un business fallito senza mezzi termini perché questa eccellenza assoluta italiana si divide tra imitazioni che screditano il settore e acquisizioni che dell’Italia lasciano solo il tricolore (e spesso neanche quello). Tra i principali acquirenti Unilever, multinazionale anglo-olandese proprietaria dell’Algida, del’olio d’oliva Bertolli (poi ceduto alla spagnola Sos Cuetara che già controlla Carapelli e Sasso), delle confetture Santa Rosa e del riso Flora.

 Continuando con la disamina (e senza citare i marchi di grande distribuzione come Auchan e Carrefour), la francese Lactalis ha acquistato la Parmalat e i marchi Galbani e Invernizzi, Cademartori, Locatelli e Président; la Nestlé è proprietaria di Buitoni e Sanpellegrino, Perugina, Motta, l’Antica Gelateria del Corso e la Valle degli Orti; i sudafricani di SABMiller hanno acquisito la Peroni; l’oligarca Rustam Tariko, proprietario della banca e della vokda Russki Standard, ha comprato Gancia; i pelati AR sono finiti addirittura nelle mani di una controllata dalla giapponese Mitsubishi. Considerato tutto questo, siamo ancora sicuri di comprare lo stile italiano quando portiamo a casa uno di questi prodotti? Ma soprattutto, il Made in Italy non è così condannato a morte certa?

Tratto da: nanopress.it


 

LIVRE Exiles fiscaux

TRANS-EUROPA MEDIAS / LIVRE / EXILÉS FISCAUX : TABOUS, FANTASMES ET VÉRITÉS

 Manon Sieraczek-Laporte

Editions du Moment

 Agence TEM/ Trans-Europa Médias

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Tout savoir sur l’exil fiscal (qui est un choix et un droit), à ne pas confondre avec l’évasion fiscale (qui est un délit) …

Bienvenue dans le monde complexe et secret des riches !

 Attention, rien à voir entre un Depardieu (cas à part et cible médiatico-politique), “exilé fiscal” installé en Belgique, et un Cahuzac qui, avec un compte non déclaré à l’étranger, relève de “l’évasion fiscale”, pénalement répréhensible …

 Nombreux sont les retraités très aisés, chefs d’entreprise, professions libérales, sportifs ou stars du show-business qui ont déjà choisi de résider ailleurs pour échapper à l’impôt sur la fortune, à la taxe sur les plus-values ou à des droits de succession élevés.

 Combien sont-ils vraiment ?

Qui sont-ils ?

Comment vivent-ils cette situation ?

Suisse, Belgique, Luxembourg, Monaco, Maroc, île Maurice, ces pays sont-ils vraiment des paradis fiscaux ?

 L’annonce de François Hollande sur une taxe exceptionnelle de 75 % pour les revenus supérieurs à 1 million d’euros a eu une conséquence immédiate : relancer vigoureusement le désir d’exil fiscal. L’auteur, avocate fiscaliste, a enquêté pour comprendre et tenter de mesurer ce phénomène.

 Si ceux qui ont de l’argent quittent la France, si les cadres supérieurs vont vendre leurs compétences ailleurs, tous les Français en pâtiront, pas seulement les caisses de l’Etat.

 CHAT AVEC L’AUTEUR/

Sur 20minutes.fr

 Présentation du chat:

Exil fiscal, fraude fiscale, évasion fiscale ou paradis fiscal: ces thèmes sont au cœur de l’actualité sans que l’on comprenne toujours bien les nuances de ces notions complexes.

Au-delà des grands patrons, stars ou sportifs qui défraient la chronique en choisissant de résider en Suisse ou en Belgique, comment bien sont ceux qui ont décidé de partir pour échapper à l’impôt sur la fortune, à la taxe sur les plus-values ou à des droits de successions élevés? Quels sont aujourd’hui les vrais paradis fiscaux? Comment tenter de freiner ce phénomène?

Dans son livre Exilés fiscaux – Tabous, fantasmes et vérités (éditions du Moment), l’avocate fiscaliste Manon Sieraczek-Laporte, spécialiste du contentieux fiscal, a mené l’enquête pour débusquer les «tabous fantasmes et vérités» de ce phénomène.

 Plus d’informations sur ce sujet en vidéo :

http://www.20minutes.fr/vousinterviewez/1167583-20130604-interviewez-manon-sieraczek-laporte-auteur-exiles-fiscaux-tabous-fantasmes-verite

 Dans mon livre, j’ai donné la parole aux exilés et mené une vraie enquête sur cette question qui reste d’actualité.

Je vous remercie pour vos questions.

 Pierre: Un certain Jérôme Cahuzac, qui semble bien connaître le sujet, a proposé des mesures intéressantes pour lutter contre l’exil fiscal. Il a notamment suggéré en 2012 que les Français paient l’impôt en France même quand ils vivent à l’étranger. Qu’en pensez-vous?

Je pense que sans modification des 126 conventions existantes, cela ne sera pas possible. Il faut les modifier, avoir un échange automatique de renseignement et modifier le principe de territorialité.

 Aujourd’hui, le principal problème c’est de pouvoir contrôler ce qui est gagné ailleurs.

 Aujourd’hui seuls les Etats-Unis et les Philippines prévoient une imposition sur l’ensemble des revenus perçus dans le monde.

 Lio: Qu’est-ce qui peut attirer des Français à opter pour la Belgique plutôt que la Suisse? Ce pays n’est pourtant pas réputé pour être un paradis fiscal.

La Belgique c’est pour la vente de société: c’est l’absence d’ISF et d’impôt sur les plus-values. Sauf que maintenant avec l’«exit tax», on déclare une plus-value latente (c’est la plus-value potentielle si on vend ses parts ou ses valeurs mobilières une fois parti).

 La Belgique c’est donc plutôt une destination pour les entrepreneurs. L’impôt sur le revenu pour les salariés en Belgique est élevé: il peut atteindre jusqu’à 50%.

 En Suisse, ce qui est intéressant, si ce n’est pas renégocié, c’est le forfait. Quand on n’a pas de revenus et qu’on n’exerce pas d’activité en Suisse, mais qu’on a un patrimoine important à gérer, on est imposé en fonction de son train de vie (cinq fois la valeur locative). Ce forfait est négocié au départ avec le canton. C’est toujours plus avantageux pour les grosses fortunes que ce qu’elles auraient payé en France.

 Hervé: Combien de temps dure une procédure pour s’exiler fiscalement à l’étranger? Cette procédure a-t-elle un coût?

Plusieurs mois. Il y a un temps de la réflexion et un temps de l’installation: il faut trouver la maison, l’école pour les enfants, la banque…

 Il y a des personnes qui s’occupent de tout. Cela peut être un gestionnaire de fortune, un avocat local, un agent immobilier. Et cela a bien entendu un coût! Le coût du conseil, éventuellement du coach (pour l’aide psychologique!) et de l’opération elle-même.

 Thaurus: Si nos exilés revenaient en France, à quelle rentrée d’argent pourrait-on s’attendre?

On a déjà du mal à calculer le coût des répercussions en pertes fiscales et économiques (emploi, consommation, etc.).

 A chaque fois que vous interrogez un interlocuteur (syndicat des impôts; fondations, associations de contribuables, etc.), les chiffres sont différents.

 Cela correspond probablement à plusieurs milliards tout confondu. Il appartiendra à l’Etat de quantifier le coût de l’exil.

 Titolito: Pour réaliser votre livre, avez-vous rencontré des exilés fiscaux? N’ont-ils aucune «honte» d’avoir quitté la France?

Oui j’en ai rencontré. Je vous invite à lire leurs témoignages dans mon livre. Mon objectif était de comprendre leurs motivations et non de les juger. Je pense qu’il faut reprendre le problème en amont. Comprendre permet de trouver des solutions. Partir n’est jamais évident en soi.

 C’est une démarche qui a été plutôt difficile pour un certain nombre d’entre eux et c’est aussi rarement que fiscal. Les principales motivations sont l’état d’esprit en France, les contrôles fiscaux, le sentiment d’être présumé coupable, la complexité et l’instabilité du système, le sentiment d’être jugé et la lourdeur et lenteur administratives, et le manque de civisme et de relations cordiales. C’est un tout.

 Laurent: Est-il possible de prendre des mesures de rétorsion contre des pays qui attirent sur leur territoire les fraudeurs?

Attention il n’y a pas de que des fraudeurs qui sont en Suisse. Il ne faut pas confondre la fraude et l’exil fiscal. La fraude est un délit, on enfreint la loi, l’exil est l’exercice d’un droit.

 En effet, en Suisse, les taux d’imposition sont différents d’un canton à l’autre. Il y en a 26. Mais cela relève de la réglementation suisse.

 AlBundy177: Que pensez-vous de l’appui inconditionnel de François Hollande à l’entrée de la Lettonie dans la monnaie unique, sachant que ce pays est l’un des plus opaque au niveau de ses banques?

Vous avez raison la Lettonie ne communique pas, par exemple, les relevés bancaires à l’administration fiscale française. Ce qui bloque de facto les investigations des services fiscaux.

 Permettre l’entrée de la Lettonie suppose qu’il y ait un échange d’informations et cela favoriserait la lutte contre la fraude fiscale. Petit bémol, il y a parfois des divergences entre la théorie et la pratique.

 Parfois on signe, on ratifie mais on n’applique pas et l’administration peut obtenir des renseignements plusieurs années après s’il n’y pas de vraie volonté politique.

 C’est donc plutôt une bonne nouvelle si la Lettonie tient ses engagements.

 Thaurus: Comment la France pourrait-elle ne plus être considérée comme un enfer fiscal et faire revenir ses exilés?

Il y a deux choses à faire:

 1- Refondre le système fiscal. C’est à dire unifier certains impôts, simplifier l’impôt, le rendre lisible, plus transparent, plus simple, plus stable.

 2- Prévenir plutôt que réprimer. Cela signifie plus de pédagogie et moins de répression. Il faut renforcer le consentement à l’impôt c’est à dire plutôt que de le subir, l’accepter. Cela ne peut se faire que si on procède à une réforme en profondeur. Aujourd’hui il n’y a plus de compréhension de la fiscalité: à qui c’est destiné, ce que cela sert à financer, etc.

 Philippe: A partir de quel montant de fortune il est intéressant d’étudier un exil fiscal?

Le montant dépend du lieu où vous souhaitez vous installer et de la nature des revenus et du patrimoine. Outre le montant, sont pris en considération certains facteurs comme l’environnement familial.

 L’exil n’est jamais que fiscal. Il est lié à d’autres considérations.

 Il y a une sorte de «démocratisation» de l’exil fiscal. Il y a de plus en plus de gens jeunes ou qui n’ont pas un patrimoine élevé. Avant, pour partir en Suisse, il fallait plutôt 10 millions d’euros. Maintenant, les gens commencent à réfléchir à partir dès 4 millions d’euros (revenu et patrimoine).

 Avant, le profil type c’était des retraités, des grosses fortunes ou des rentiers.  Avec la mondialisation et l’internationalisation des échanges, de nouveaux profils sont apparus comme les professions libérales (avocats, dentistes, etc).

 DroitdeSavoir: Récemment, à la télé, un banquier suisse a menacé de révéler les identités de plusieurs politiques et personnalités qui auraient un compte en Suisse. Qu’en pensez-vous?

Depuis l’affaire Cahuzac il y a une plus grande transparence. Et en vertu des nouveaux accords, c’est peut être la fin du secret bancaire.

 Moi je suis favorable à la transparence, mais non à la délation.

 Ce qui compte c’est que finalement les candidats au retour puissent régulariser leur situation et peut être éviter ainsi des poursuites pour fraude fiscale.

 Pirote5: Selon vous, l’exil fiscal est-il une véritable menace pour la France?

L’exil fiscal pourrait entraîner des dommages économiques, des pertes d’emploi et de moindres recettes fiscales et la fuite de cadres dirigeants, qui seraient compensés éventuellement par l’impôt réglé par les non résidents et les investisseurs étrangers.

 Julie: Quelle est la destination d’exil fiscal préférée des Français?

 En ce moment c’est  encore la Suisse, avec 200.000 personnes, selon les statistiques helvétiques. Mais cela pourrait changer compte tenu des nouveaux accords avec la Suisse (reforme de la convention franco-suisse sur les successions et signature de la convention de l’OCDE qui prévoit un échange d’information automatique).

 L’AUTEUR :

 Manon Sieraczek-Laporte, qui a aidé à rapatrier les capitaux dans le cadre de la “cellule de dégrisement” mise en place sous Nicolas Sarkozy, propose d’autres pistes pour freiner un mouvement qui semble prendre une ampleur jamais atteinte dans notre pays.

Manon Sieraczek-Laporte est avocate fiscaliste spécialisée dans le contentieux fiscal. Elle a notamment collaboré au livre de référence Le Contrôle fiscal (avec Olivier Fouquet, Lamy, 2010).

  Editions du Moment

ISBN : 978-2-35417-185-8

EAN : 9782354171858

 TEM / avec 20minutes.fr / 27 sept. 2013 /

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Hollande et la trahison de la Sidérurgie française – Hollande de retour à Florange

PCN-INFO / FLORANGE OU LA TRAHISON DE FRANCOIS HOLLANDE

 Luc MICHEL pour PCN-INFO / 2013 09 26 /

Avec EODE Think Tank – AFP – Le Républicain Lorrain – Le Monde – Libération – PCN-SPO / 2013 09 26 /

http://www.scoop.it/t/pcn-spo

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“C’est une trahison, il nous a trahis.

A la limite, j’aurais préféré qu’il nous mente et qu’il ne vienne pas”

– Pascal Olivarez (CFDT)

 

“Si demain il y a une relance de la demande d’acier, on ne pourra pas y répondre, car nos hauts fourneaux sont à l’arrêt, sans investissement, sans maintenance. On demande que le centre de recherche soit lié à nos hauts fourneaux, aujourd’hui c’est pas le cas”

– Yves Fabbri (CGT)

 

Les salariés d’Arcelor ont réservé à François Hollande un accueil brûlant.

Hollande a été sifflé ce  jeudi matin à son arrivée à Florange par les salariés d’ArcelorMittal, qui considèrent comme une trahison du chef de l’Etat français, la fermeture des hauts fourneaux de leur aciérie, il y a cinq mois.

 Coup de projecteur sur l’événement et analyse du dossier.

Retour sur les faux semblants de la Sociale-démocratie française  – il y a longtemps, depuis août 1914, que la Social-démocratie européenne n’a plus rien de « socialiste » -, ses impostures, son arrogance et son culot …

 I / LE FAIT DU JOUR :

UNE TRAHISON PAS OUBLIEEE PAR LES TRAVAILLEURS …

 A l’entrée du site, quelques dizaines de salariés CGT et CFDT, brandissant des drapeaux de leurs syndicats, ont hué et sifflé la voiture du chef de l’Etat. Une banderole proclamait “la Lorraine a un coeur d’acier. Ensemble pour le maintien de nos industries” … Devant le bureau de l’entreprise, des salariés manifestaient leur amertume, face aux micros et caméras des nombreux journalistes présents.

 “C’est une trahison, il nous a trahis. A la limite, j’aurais préféré qu’il nous mente et qu’il ne vienne pas”, a lancé Pascal Olivarez, syndiqué à la CFDT. “Hollande a dit des choses qu’il n’a jamais faites, on ne va pas lui demander plus.” “Il a du courage, il revient sur les lieux du crime”, a tout de même reconnu Jean Mangin, de FO.  Walter Broccoli, de FO, a lui aussi prévenu que M. Hollande ne serait certainement “pas reçu les bras ouverts comme il l’avait été en février 2012”.

 A l’époque, en pleine campagne présidentielle, plein de promesses qu’il savait ne jamais pouvoir tenir, le candidat PS, surfant sur la détresse des travailleurs, avait reçu un accueil triomphal.  Juché sur le toit d’une camionnette, il s’était bien gardé de promettre explicitement la sauvegarde des hauts fourneaux, mais s’était engagé à proposer une loi pour qu’une “grande firme qui ne veut plus d’une unité de production” soit obligée de trouver des repreneurs.

Ce texte, qui doit être voté à l’Assemblée nationale le 1er octobre, avant d’être examiné par le Sénat, se limite finalement à une simple obligation de recherche d’un repreneur. Poudre aux yeux et foutage de gueule !

 Après l’arrêt, en avril, des hauts fourneaux de Florange qui a touché 629 des quelque 2.500 salariés du site, FO avait déposé devant l’usine une stèle dénonçant la “trahison” de François Hollande.

 A peine arrivée, M. Hollande s’est engouffré dans le bâtiment administratif du site, pour rencontrer la direction d’ArcelorMittal mais surtout les organisations syndicales lors d’une table ronde, à huis clos, prévue pour durer une heure et demie.

 Depuis, un accord entre le groupe et le gouvernement est intervenu, selon lequel le groupe ArcelorMittal s’est engagé à investir 180 millions d’euros sur le site sur cinq ans. Promesse dont on ne peut que douter quand on connaît le comportement prédateur et la longue liste des promesses non tenues des Mittal (notamment à Liège, en Wallonie), patrons-voyoux tristement exemplaires du capitalisme moderne.

 Arnaud Montebourg, qui l’automne dernier avait menacé de démissionner après le refus par François Hollande de son projet de nationalisation temporaire de Florange – mais qui ne l’a, évidemment, pas fait. « Retenez-moi où je fais un malheur … » -, est le grand absent de ce déplacement. Officiellement, il est « retenu par une réunion à Bruxelles » (sic). Mais il y a quelques jours, l’intéressé avait tout bonnement indiqué qu’il n’était “pas du tout au courant” de la visite présidentielle, signifiant ainsi qu’il n’était pas invité à accompagner le chef de l’Etat. La ministre de la Culture Aurélie Filippetti, élue de la région, la suivra elle de bout en bout.

 ET LES PROMESSES CREUSES CONTINUENT …

 Le président, qui avait alors promis de retourner à Florange, arrive avec cette fois dans son escarcelle un « pacte Etat-Région » (2014-2016) « prévoyant 300 millions d’euros d’investissements pour des projets lorrains innovants. Sur cette enveloppe, 33 millions, dont 15 de l’Etat, seront consacrés au site d’Arcelor pour le développement d’une technologie de production d’acier faiblement émettrice de CO2 baptisée Lis (Low impact steel) ».  Parole parole, dit la chanson …

 “Si demain il y a une relance de la demande d’acier, on ne pourra pas y répondre, car nos hauts fourneaux sont à l’arrêt, sans investissement, sans maintenance. On demande que le centre de recherche soit lié à nos hauts fourneaux, aujourd’hui c’est pas le cas”, a rétorqué Yves Fabbri (CGT). Résultat, nouveaux sifflets au départ du président …

 II / COMPRENDRE :

« FLORANGE, LA TRAGÉDIE DE LA GAUCHE »

 Un livre – FLORANGE, LA TRAGÉDIE DE LA GAUCHE – nous a dévoilé les coulisses du naufrage de Florange. Ou comment l’avenir des hauts-fourneaux de Florange est devenu le cauchemar du gouvernement …

 Plongée dans la longue agonie de la sidérurgie française, gros plan en parallèle sur la dérive idéologique et le clientélisme de la Sociale-Démocratie française et de ses alliés, le tout sur de fond crise économique et financière mondiale.

Une mort prévisible, annoncée, programmée. Mais que le régime de Hollande, après celui de Sarkozy, a dissimulée aux travailleurs. Retour sur un naufrage et une trahison …

 Le point de départ reste « la promesse de l’estafette », faite le 24 février par le candidat François Hollande. Il jure, contrairement à Sarkozy, de tenir ses engagements. Le 24 février 2012, juché sur le toit d’une camionnette de l’intersyndicale à Florange, le candidat Hollande assure : « Je viens devant vous prendre des engagements (…). Je ne veux pas me retrouver dans la situation d’être élu un jour sur une promesse et ensuite de ne pas revenir parce qu’elle n’aurait pas été tenue. » Ce sera l’image forte de la campagne, le symbole du lien enfin renoué entre les ouvriers et le candidat socialiste.

 Le 26 novembre, Arnaud Montebourg – grande gueule sociale-démocrate, le verbe toujours aussi haut que l’action réelle est impuissante – déclare en une des Echos : « Nous ne voulons plus de Mittal en France. » Le ministre du Redressement productif semble souhaiter la nationalisation du site de Florange.

 Le 5 décembre, le Premier ministre Jean-Marc Ayrault annonce un accord entre l’Etat français et ArcelorMittal. A Florange, les métallos sont déboussolés et se sentent « trahis » :

comment l’exécutif a pu passer en moins d’une semaine d’un projet de nationalisation de leur usine à un accord avec Lakshmi Mittal, signé par le Premier ministre et avalisé par le Président Hollande ?

« Qu’est-ce qui a bien pu se passer dans cette putain de semaine ? » questionne Edouard Martin, le leader CFDT de l’intersyndicale de Florange.

 LE LIVRE : UN « POLAR SOCIAL »

 « C’est l’objet de ce livre que d’y répondre, nous dit l’éditeur. Les auteurs ont rencontré François Hollande, Lakshmi Mittal, Jean-Marc Ayrault, Arnaud Montebourg, Edouard Martin et ceux qui les ont accompagnés dans cette histoire afin d’en dévoiler les secrets ». « Une histoire devenue une épreuve marquante du quinquennat Hollande et dont la fin n’est pas

encore écrite ».

 Le Républicain lorrain analyse la portée de ce livre : « C’est un polar social de 250 pages qui se lit d’une traite. Un livre d’histoire récente, qui a valeur de document tant il retisse fidèlement les fils du grand psychodrame économico-politique du début de mandat de François Hollande (…) douze mois de bras de fer entre Mittal, le gouvernement et un groupe de syndicalistes. Ces derniers vont d’abord utiliser le levier politique pour servir leur cause, puis se retrouver piégés dans les arcanes du nouveau pouvoir socialiste. Le point de départ reste « la promesse de l’estafette », faite le 24 février par le candidat François Hollande. Il jure, contrairement à Sarkozy, de tenir ses engagements, et de faire voter une loi qui sauverait Florange hors du giron de Mittal. Les bases d’un immense malentendu. »

 Le quotidien lorrain explique ainsi ce « malentendu » : « il y a l’euphorie de la victoire présidentielle qui gomme les pièges d’un dossier qui devient brûlant à la rentrée lorsque le groupe ArcelorMittal annonce qu’il ferme la phase à chaud de Florange. L’histoire s’accélère quand Hollande arrache deux mois de sursis à Lakshmi Mittal, à l’Élysée et qu’Arnaud Montebourg, ministre du Redressement productif, construit pas à pas un projet alternatif de reprise publique. Les « Mittal », eux, n’abdiquent jamais, de leur marche vers Paris aux mobilisations au pied des hauts fourneaux en sursis. »

 Une question hante ces 250 pages : « alors, François Hollande était-il prêt à nationaliser Florange, selon les deux auteurs qui dissèquent la semaine qui a précédé l’annonce du plan Ayrault, le 30 novembre ? ».

 « François Hollande voulait construire un rapport de force avec Mittal. Il avait donc besoin de cette hypothèse face à lui, même s’il faut bien comprendre qu’Hollande peut changer de pied jusqu’au dernier moment, en fonction du contexte », analyse Elsa Freyssenet, mettant à nu un président versatile et fuyant. Dans un plan en boucle rhétorique, les deux auteurs estiment ainsi avec François Hollande qu’il « faut juger un résultat à la fin ». « Florange, c’est un marqueur du quinquennat et l’histoire n’est pas finie avec l’accord du 30 novembre », insistent Valérie Astruc et Elsa Freyssenet. »

 DES RÉVÉLATIONS PARFOIS AHURISSANTES …

 Les journalistes Valérie Astruc et Elsa Freyssinet dévoilent aussi dans ce livre les coulisses de l’accord conclu entre François Hollande, le gouvernement et ArcelorMittal. Des révélations parfois ahurissantes. Des anecdotes croustillantes, ou carrément aberrantes, sur la gestion du dossier Florange par le gouvernement à l’automne dernier. Par exemple, les bisbilles entre Jean-Marc Ayrault, le Premier ministre, et Arnaud Montebourg, le ministre du Redressement productif…

 Autre épisode rocambolesque : quand le Président de la République a confondu le père, Lakshmi Mittal, et son fils, pendant tout un entretien. Les syndicalistes de Florange n’en ont pas cru leurs oreilles, quand ils ont découvert cette anecdote.

« Tel père tel fils, dit-on. François Hollande a sans doute dû prendre trop au pied de la lettre l’expression. Lors d’une rencontre secrète à l’Elysée entre les représentants du sidérurgiste Mittal et le gouvernement, le président aurait confondu le PDG, Lakshmi,  avec son fils, Aditya, 38 ans, directeur financier du groupe ». L’anecdote est rapportée par L’Express …

 « Après une heure d’entretien, François Hollande raccompagne ses hôtes sur le perron de l’Elysée et lance “best regard to your father” à Lakshmi Mittal.  Regard interloqué du PDG qui s’exclame “c’est moi, le père !”. Visiblement le président a pris le père pour le fils durant tout l’entretien. Une bourde qui fait mauvais genre alors que des milliers de salariés se retrouvaient dans une situation critique ».

  III / PERSPECTIVE :

LA FAILLITE MORALE DE LA SOCIALE-DEMOCRATIE FRANCAISE ACCOMPAGNE L’AGONIE DE LA SIDERURGIE LORRAINE

 Le Monde, lui, dresse le constat de faillite de la Sociale-démocratie française : « Comme dans une tragédie à l’ancienne, c’est dans les antichambres du pouvoir que s’est noué l’essentiel de l’action – de l’hôtel des ministres de Bercy au salon vert de l’Elysée. Comme dans certaines de ces pièces, le jeu des puissants s’est déroulé sous le regard désapprobateur du choeur – ici les ouvriers de Florange. L’essentiel de tout cela, bien sûr, a été raconté sur le moment. Mais, même pour ceux qui gardent en tête le détail des événements, ce récit a quelque chose de tétanisant, car il jette une lumière crue sur ce que la politique a de moins noble. »

 MENSONGES ET MANIPULATIONS

 Le quotidien parisien dénonce les mensonges et les manipulations de Hollande et de ses ministres : « Il y a d’abord l’instrumentalisation des symboles. Chacun se souvient du candidat Hollande juché sur la camionnette de l’intersyndicale de Florange promettant, s’il était élu, une loi sur la reprise des sites rentables. Un an plus tard, la loi se fait toujours attendre, et les salariés de Florange n’ont pas pardonné à celui qui s’était offert une belle image à leur côté. Aux symboles brisés s’ajoute le double voire le triple discours. Celui d’Arnaud Montebourg, qui souhaitait la nationalisation de Florange, et déclara : “Nous ne voulons plus de Mittal en France.” Celui de Jean-Marc Ayrault, qui était sur une ligne opposée et le fit savoir, un soir à la télévision, sur un ton qui faillit provoquer la démission du ministre du redressement. Celui du chef de l’Etat, qui laissa parler M. Montebourg mais donna d’autant plus facilement raison à M. Ayrault qu’il avait, au fond, toujours considéré la nationalisation au mieux comme un moyen de pression. Au risque de susciter des désillusions peut-être irrémédiables dans une partie de son électorat. »

 TRAHISON DANS LA TRAHISON : UN SYNDICALISTE GRUGE ?

 La réponse à cette désillusion des travailleurs de Florange est donnée dans un autre livre, celui écrit par Edouard Martin, le charismatique leader CFDT du mouvement, qui a publié lui aussi son témoignage, “Ne lâchons rien” (Le Cherche Midi).  « Le métallo dit sa déception lorsqu’il rencontre Nicolas Sarkozy ou M. Ayrault, qu’il y qualifie de “traître”. »

 “Si M. Hollande vient uniquement nous redire ce qu’on sait déjà et serrer des mains, ça n’a aucun intérêt. Si c’est uniquement pour honorer sa promesse de revenir, ça ne suffit pas et ça risque de se retourner contre lui. On n’est pas dans un show médiatique”, avait hier encore averti Edouard Martin, le charismatique leader local de la CFDT, avant la visite présidentielle suivie par quelque 120 journalistes.

 Le voilà quelques heures après, comme grisé par les nouvelles promesses de Hollande, saluant avec enthousiasme le président. Qui, conscient de la volonté de revanche sociale du fils d’immigré espagnol, a comme envoûté le leader syndicaliste. « Méfiez vous des hommes providentiels »… Dans le syndicalisme plus qu’ailleurs !

 UN ENJEU POLITIQUE : LA PRESIDENTIELLE DE 2017

 Le 24 janvier 2012, en pleine campagne électorale, François Hollande avait donc rendu visite aux métallos de Florange. En les recevant à l’Elysée quelques mois plus tard, il leur avait confié qu’il leur devait sa victoire à la présidentielle.

 François Hollande pense évidemment à 2017. « Il doit, d’ici là, désamorcer cette bombe à fragmentation. S’assurer que Florange ne restera pas dans la mémoire collective comme le symbole d’un renoncement », écrivent-elles. « [Le président doit s’assurer que Florange] et cette longue lutte syndicale, finalement défaite […] ne cristallisera ni le divorce entre deux gauches ni la rupture avec l’électorat populaire ».

 D’où sa visite de ce jour et un nouveau train de promesses mirobolantes. La classe politicienne française prend l’électeur pour un idiot à mémoire courte …

 Luc MICHEL

 http://www.lucmichel.net/2013/09/26/pcn-info-florange-ou-la-trahison-de-francois-hollande/

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 BIBLIOGRAPHIE /

 * “NE LÂCHONS RIEN”, d’Edouard Martin, Le Cherche Midi.

Edouard Martin, le charismatique leader CFDT du mouvement, qui publie lui aussi son témoignage, « celui d’un petit chose venu d’Espagne à l’âge de 8 ans pour se plonger dans l’acier rougeoyant ». « Un livre parfois naïf mais teinté de sincérité, où le métallo dit sa déception lorsqu’il rencontre Nicolas Sarkozy ou M. Ayrault, qu’il qualifie de “traître”. Un document qui devrait, en tout cas, poser les bases d’une possible reconversion en politique, M. Martin ne cachant plus qu’il pourrait se présenter aux prochaines élections européennes », écrit Le Monde.

 * “FLORANGE, LA TRAGÉDIE DE LA GAUCHE”, de Valérie Astruc et Elsa Freyssenet, Plon.

Valérie Astruc est Grand Reporter à France 2 et correspondante à l’Elysée depuis 2010. Journaliste politique depuis 2001, elle est l’auteur du documentaire, « Les coulisses du couple exécutif », diffusé en septembre par France 2.

Elsa Freyssenet est chef-adjointe du service politique des Echos, chargée du suivi du gouvernement et de la majorité. Journaliste politique au Figaro puis aux Echos, elle est l’auteur de nombreuses enquêtes politiques, notamment « Hollande, le jour d’après » (novembre 2008) et « Arnaud Montebourg, Mittal hurlant » (novembre 2012).

 

 

La talpa è nel buco ma non scava…

http://www.ambientevalsusa.it/2013/09/25/la-talpa-e-nel-buco-ma-non-scava/

 Ma un buco enorme, senza fondo, che viene nascosto agli italiani c’è già.

Telecom svenduta agli spagnoli da Generali e Intesa San Paolo, i suoi azionisti. L’ A.D. di Telecom Bernabè all’oscuro di tutto (sue parole). Peccato una settimana prima  tutti sapevano cosa stava per succedere ma il governo era preoccupato per le frasi di Rodotà.
In questo sistema di scatole cinesi è sufficiente possedere una modesta quantità di azioni per controllare una società.
Non sfugga che  all’inizio di vicenda Telecom, guarda caso ci sono i partiti e gli stessi soliti noti che spingono tutte le grandi opere.
Le due società più importanti della borsa italiana, una bancaria e l’altra di assicurazioni, i “pilastri dell’economia italiana”, probabilmente  per fare liquidità, ipotecano il futuro italiano delle telecomunicazioni, al punto che perfino il Copasir ammette che è a rischio la sicurezza nazionale.
Le grandi aziende se ne vanno, i soldi della cassa integrazione stanno per finire, l’IVA sta per aumentare, tutte le tasse subiranno aumenti.
La criminalità incrementa i suoi introiti e si sviluppa dove c’è ancora qualche affare da gestire, fin su nel profondo nord.
Inoltre,  chi dovrebbe pagare tasse milionarie con il gioco d’azzardo legalizzato viene graziato in parlamento. A proposito, gioco d’azzardo legalizzato, grazie ai partiti compiacenti (anche di sinistra).
Le città d’arte diventano enormi passerelle per navi da crociera, speriamo che non si inchinino, ma intanto è la  politica ad inchinarsi, anche in questo caso,  non facendo nulla per fermare  questo obbrobrio. Intere regioni sono inquinate, non lo scoprono le istituzioni ma per fortuna ce lo dicono i camorristi.
Per non parlare dell’agricoltura e del turismo. La prima affossata dalla politica (costa meno un camion pieno di pomodori dall’Olanda piuttosto che dal sud Italia); il secondo distrutto da politiche ottuse, fatte da incompetenti sul paesaggio, beni artistici, ricettività e norme tributarie da medio evo (le famose gabelle).
C’è chi dice che l’Italia oggi è già commissariata . Che lo sia oppure no, di sicuro sono commissariati i portafogli di tutti gli italiani. Chi ha capito cosa sta succedendo forse salverà qualche briciola, gli altri, plaudenti ad ogni vaccata televisiva, riesumazioni di partito, smacchiatori di leopardi  o asfaltatori in camicia bianca, sono già potenziali barboni chiamati domani ancora a pagare nuove tasse.
Questa è l’Italia.
La talpa è nel buco ma scava solo nei portafogli degli italiani. A ben guardare, un’invasione di politicanti famelici come leggendarie cavallette.
Carestia, fame, disoccupazione, povertà  in ogni dove meno che nelle tasche dei soliti noti. Perfino qualche ricco comincia a impoverirsi.
Sia chiaro, questa non è antipolitica, ma è semplicemente la situazione in cui ci troviamo, nella quale pretendono di continuare impunemente a raccontare menzogne.
Bugie ne hanno raccontate tante, ma dal nostro osservatorio privilegiato della Valle di Susa possiamo toccare con mano come la vicenda TAV sia il perfetto paradigma di un concentrato di truffe, illegalità, angherie e mistificazioni finalizzate a mantenere il potere politico e di conseguenza economico che verrà esercitato presto su  una moltitudine di cittadini inconsapevoli, ormai potenziali barboni e futuri schiavi.
In Valle di Susa non ci renderanno mai schiavi perché abbiamo capito quello che sta succedendo. Nel nostro caso non è tanto una questione politica, quanto tecnica, infatti non hanno mai ascoltato le tesi dei No Tav e dei loro rappresentanti tecnici: sapevano che avevano ragione.
Adesso la questione tecnica è un’altra: non ci sono più soldi.
Chiarito che all’Europa di quest’opera non importa assolutamente nulla, e l’hanno capito anche ifrancesi, qualcuno ci spieghi perché l’Europa dopo averci commissariati, ci dovrebbe regalare soldi per una simile porcata.

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ALTA FINANZA: IN ATTESA DELLA TERZA CRISI

Data: Martedì, 24 settembre
Mentre il sistema bancario italiano assiste ad una crescita del 22% delle cosiddette “sofferenze” (i debiti che i clienti non riescono a ripagare), arrivando al record di 128 miliardi di euro e ad una previsione di 19mila posti di lavoro in meno nel settore – per l’alta finanza internazionale nulla sembra cambiato.
Secondo la Banca dei Regolamenti Internazionali (BIS), un istituto internazionale con sede a Basilea, la quota di crediti ad alto rischio concessi dalle banche di tutto il mondo rappresenterebbe oggi ben il 45% del totale, con una crescita di trenta punti percentuale rispetto al minimo registrato durante la crisi e di ben dieci punti rispetto a prima dello scoppio della crisi stessa: una crisi che, nei soli Stati Uniti, ha cancellato otto milioni di posti di lavoro e miliardi di dollari di risparmi.

Mentre i cittadini dell’intero occidente sono alle prese con i duri sacrifici imposti dall'”austerità”, con la crescita della disoccupazione e con una crescente pressione fiscale, l’alta finanza internazionale ha continuato a produrre enormi dividendi, stabilendo un record dopo l’altro: basta citare il caso di Wall Street, che nel 2011 ha distribuito alle società finanziarie e del credito la somma più alta di tutti i tempi, 60 miliardi di dollari di utili. Secondo Snl Financial, una società di analisi americana, il reddito medio dei banchieri è aumentato del 22 per cento, ed anche in questo caso sono stati raggiunti record personali non da poco: John Stumpf, per esempio, amministratore delegato di Wells Fargo, è in cima alla classifica con 23 milioni di dollari di guadagno, un bel progresso rispetto ai 12 milioni di dollari che aveva incassato nel 2007, l’ultimo anno del boom.

Come nulla fosse accaduto, senza che nessun gruppo dirigente occidentale sembri preoccuparsene, sono tornati a crescere anche i complessi strumenti finanziari che sono stati il principale strumento della speculazione sui subprime (i mutui concessi a persone non in grado di ripagarli): solo nella prima metà del 2013, infatti, a livello mondiale sono stati venduti dalle grandi banche e società finanziarie internazionali 424 miliardi di dollari in asset backed security (Abs), uno degli strumenti il cui ruolo nella “democratizzazione del debito” è ben nota a chi ha analizzato i meccanismi che hanno innescato la crisi finanziaria.

Tutto ciò avviene nonostante in questi anni si siano moltiplicate le prove, anche in sede legale, della condotta spregiudicata, per non dire truffaldina, delle grandi società finanziarie: ci limitiamo a ricordare il caso più recente, i 920 milioni di multa che JPMorgan, una delle prime cinque aziende mondiali del settore finanziario, ha accettato di pagare per chiudere, con ammissione di colpa, la vicenda delle speculazioni sui derivati con le quali due trader della sua filiale di Londra avevano coperto le perdite della società sulle operazioni in derivati. Il fatto che una grande società come JPMorgan accetti senza colpo ferire una simile condanna, riconoscendo responsabilità ed errori, fa chiaramente comprendere che la questione non è, come ha affermato Jamie Dimon, amministratore delegato di JPMorgan, di voler essere considerata “la banca migliore” dai regolatori oltreché da clienti e azionisti: non ha importanza sborsare cifre così ingenti, in un momento in cui i profitti lievitano senza difficoltà, non ha importanza che qualche funzionario o qualche dirigente venga allontanto, quel che conta è evitare che venga messo in discussione il sistema che continua a garantire profitti tanto elevati alla speculazione finanziaria.
Le grandi multe salvano Wall Street e la City londinese dal rischio di una “rivoluzione” nel rapporto fra politica ed economica che costringerebbe questi operatori a cambiare metodi e strumenti di lavoro.

I miliardi di dollari con cui le banche sono state soccorse da tutti i governi occidentali, seguendo il principio del “troppo grandi per fallire”, hanno permesso all’alta finanza internazionale di procedere indisturbata nelle proprie strategie di creazione e distribuzione del debito, strangolando l’economia reale attraverso le politiche restrittive degli Stati e favorendo l’accumularsi della ricchezza di chi possiede capitali e liquidità.
Questo è stato possibile grazie all’intreccio sempre più inestricabile fra potere dei partiti e potere della finanza, bene descritto recentemente dall’economista americano James Kwak, che scrive: “La deregolamentazione della finanza ha conquistato consensi a Washington perché gli interessi delle grandi aziende dominavano il Partito repubblicano, mentre i democratici non volevano turbare Wall Street per non precludersi ricchi finanziamenti. I banchieri e gli immobiliaristi volevano vendere case a tutti i costi. I lobbisti avevano ormai agganci potenti nel governo. E tutti erano contenti della crescita”.

Sono queste le forze che continuano a dominare l’economia e la politica occidentale, nonostante abbiano dato tremenda prova di sé, travolgendo nella speculazione miliardi di ricchezza costruita onestamente con il lavoro e le capacità di impresa. Qualche settimana fa, per fare un esempio, Rick Rieder, un alto dirigente della maggiore società di gestione finanziaria al mondo, Blackrock, di cui ci siamo spesso occupati, dava questa lezione a La Repubblica: “Guardate cosa è successo qui in America: fino a quando non si è cominciato a rifinanziare direttamente le banche, con iniezioni di capitale dirette, aumenti di capitale sottoscritti dallo Stato, prestiti straordinari (che peraltro sono stati già restituiti con tutti gli interessi), fino ad allora non si riusciva ad impostare una ripresa strutturale. Per fortuna, mentre la Federal Reserve garantiva il quantitative easing [la “produzione” di dollari forniti al sistema bancario a condizione politiche] ed i bassi tassi di interesse, il Tesoro con un’insperata forma di coordinamento avviava tutte le misure che dicevo. Il risultato è stato il consolidamento del settore bancario che non ha fatto mancare le risorse al settore industriale. Finito il credit crunch, la stretta creditizia, è finita la crisi”. Ora che l’Italia ha “un governo ragionevole”, prosegue il dirigente, Blackrock è tornata ad investire in titoli di Stato italiani.

Questa dunque la ricetta che i grandi finanzieri Usa hanno imposto a livello mondiale, finanziare le banche con il denaro dei cittadini, affinché le stesse continuino a sviluppare le proprie speculazioni, giacché, come ben sappiamo, anche delle enormi somme che la Bce ha pompato nel sistema bancario europeo ben poco è arrivato alle piccole e medie imprese, alle famiglie, al terzo settore – vale a dire all’economia reale che permetterebbe di vivere onestamente a milioni di cittadini europei.

G. Colonna
Fonte: www.clarissa.it
Link: http://www.clarissa.it/editoriale_n1910/Alta-finanza-in-attesa-della-terza-crisi
23.09.2013

LIVRE 3 vies

TRANS-EUROPA MEDIAS / LIVRE / TROIS VIES CONTRE TROIS PAQUETS DE CIGARETTES

 Auteur : Marie-Fidèle Mukandekezi 

Éditeur : Le Dauphin Blanc

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L’épreuve d’une femme rwandaise.

Une histoire profonde, touchante et porteuse de multiples leçons de vie.

 Au milieu des années 90, une guerre atroce secoue le Rwanda et scandalise le monde entier. Ce beau pays d’Afrique devient le théâtre de tueries, d’assassinats et de massacres de masse perpétrés autant par le pouvoir en place que par le Front patriotique rwandais (toujours au pouvoir aujourd’hui).

 Pour des milliers de personnes, c’est la fuite ou la mort assurée. Comme bien d’autres, Marie-Fidèle Mukandekezi doit abandonner son village, où sa vie se déroulait jusque-là paisiblement avec sa famille. Elle devra quitter précipitamment, amenant avec elle ses deux enfants, Jimmy, 7 ans, et Inès, 4 ans. Son mari, quant à lui, n’a pas le temps de fuir. Il meurt assassiné. Débute alors pour Marie-Fidèle et ses enfants une difficile aventure dans l’espoir de quitter le pays et de sauver leur vie, une aventure pleine de rebondissements qui culminera aux abords de la frontière.

 Émouvant, captivant et inspirant, le récit de cette courageuse femme rwandaise nous plonge au cœur d’un génocide et nous rappelle la vie typique au Rwanda avant la guerre. Mais surtout, il est un témoignage de résilience et d’amour.

 L’auteur :

 Marie-Fidèle Mukandekezi est née au Rwanda dans les années 1960. Au milieu des années 1990, elle doit fuir la guerre qui ravage son pays. Elle et ses enfants échappent de justesse à la mort, mais son mari est assassiné. Elle s’exile au Canada, précisément à Montréal, où elle devient une femme d’affaires prospère. En 2007, elle sera la première femme africaine à être promue au rang de vice-présidente régionale au sein d’une importante compagnie financière d’envergure internationale. Elle est également membre de la Chambre de commerce de Montréal. En novembre 2008, lors d’un voyage en Californie, elle vit « une expérience spirituelle hors du commun » qui l’incite à écrire sa propre histoire.

 

ISBN-13: 978-2894363850

 TEM / 24 sept. 2013 /

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Le armi chimiche segrete di Israele

Gli ispettori Onu, che controllano le armi chimiche della Siria, avrebbero molto più da fare se fossero inviati a controllare le armi nucleari, biologiche e chimiche (NBC) di Israele. Secondo le regole del «diritto internazionale», non possono però farlo. Israele non ha firmato il Trattato di non-proliferazione nucleare, né la Convenzione che vieta le armi biologiche, e ha firmato ma non ratificato quella che vieta le armi chimiche.

Secondo «Jane’s Defense Weekly», Israele – l’unica potenza nucleare in Medio Oriente – possiede da 100 a 300 testate e relativi vettori (missili balistici e da crociera e cacciabombardieri). Secondo stime Sipri, Israele ha prodotto 690-950 kg di plutonio, e continua a produrne tanto da fabbricare ogni anno 10-15 bombe tipo quella di Nagasaki. Produce anche trizio, gas radioattivo con cui si fabbricano testate neutroniche, che provocano minore contaminazione radioattiva ma più alta letalità. Secondo diversi rapporti internazionali, citati anche dal giornale israeliano «Haaretz», armi biologiche e chimiche vengono sviluppate all’Istituto per la ricerca biologica, situato a Ness-Ziona presso Tel Aviv.

Ufficialmente fanno parte dello staff 160 scienziati e 170 tecnici, che da cinque decenni compiono ricerche di biologia, chimica, biochimica, biotecnologia, farmacologia, fisica e altre discipline scientifiche . L’Istituto, insieme al Centro nucleare di Dimona, è «una delle istituzioni più segrete di Israele» sotto la giurisdizione del primo ministro. La massima segretezza copre la ricerca sulle armi biologiche: batteri e virus che, disseminati nel paese nemico, possono scatenare epidemie. Tra questi il batterio della peste bubbonica (la «morte nera» del Medioevo) e il virus Ebola, contagioso e letale, per il quale non è disponibile alcuna terapia. Con la biotecnologia si possono produrre nuovi tipi di agenti patogeni verso i quali la popolazione bersaglio non è in grado di resistere, non disponendo del vaccino specifico.

Vi sono anche seri indizi su ricerche per lo sviluppo di armi biologiche in grado di annientare nell’uomo il sistema immunitario. Ufficialmente l’Istituto israeliano compie ricerche su vaccini contro batteri e virus, come quelle sull’antrace finanziate dal Pentagono, ma è evidente che esse permettono di sviluppare nuovi agenti patogeni per uso bellico. Lo stesso espediente viene usato negli Stati uniti e in altri paesi per aggirare le Convenzioni che vietano le armi biologiche e chimiche. In Israele il manto di segretezza è stato in parte squarciato dall’inchiesta compiuta, con l’aiuto di scienziati, dal giornalista olandese Karel Knip.

È emerso inoltre che sostanze tossiche sviluppate dall’Istituto sono state usate dal Mossad per assassinare dirigenti palestinesi. Testimonianze mediche indicano che, a Gaza e in Libano, le forze israeliane hanno usato armi di nuova concezione: lasciano intatto il corpo all’esterno ma, penetrandovi, devitalizzano i tessuti, carbonizzano il fegato e le ossa, coagulano il sangue. Ciò è possibile con la nanotecnologia, la scienza che progetta strutture microscopiche costruendole atomo per atomo.

Allo sviluppo di tali armi contribuisce anche l’Italia, legata a Israele da un accordo di cooperazione militare e suo primo partner europeo nella ricerca & sviluppo. Nella finanziaria è previsto uno stanziamento annuo di 3 milioni di euro per progetti di ricerca congiunti italo-israeliani. Come quello, contenuto nell’ultimo bando della Farnesina, su «nuovi approcci per combattere gli agenti patogeni trattamento-resistenti». Così l’Istituto israeliano per la ricerca biologica potrà rendere gli agenti patogeni ancora più resistenti.

Manlio Dinucci
Fonte: www.ilmanifesto.it
23.09.2013

LA “NUOVA” APP DI FACEBOOK – Un vero Cavallo di Troia – PRIVACY ADDIO (video)

L’ investigazione del “London Times” ha rivelato che Facebook può spiare facilmente il contenuto dei nostri messaggi privati e non solo.

Quale giustificazione ha dato l’azienda per questa violazione?

Secondo le dichiarazioni ufficiali gli utenti accettano queste condizioni con il contratto di download dell’app, che viene ovviamente ignorato dalla maggior parte degli user educati ad essere APPROSSIMATIVI con tutto.

                               Tempo indietro abbiamo più volte parlato dell’argomento:

affermando che proprio la App di facebook è creata come un “Trojan”. (Usate il browser!!!)

E ricordo che Android è stato assorbito dalla Microsoft di Bill Gates.

 Forse non lo sapete, ma il social network più famoso di tutti i tempi può letteralmente utilizzare il nostro smartphone come gli pare e piace. Tecnicamente puo’.. e voi avete dato il vostro Consenso.

Eliminiamo gli approcci approssimativi e impariamo a leggere i contratti (TRUST) a cui diamo il nostro consenso, consapevolmente o inconsapevolemente.

 Ecco un elenco delle cose che può fare a vostra insaputa la nuova versione:

  1. EFFETTUARE TELEFONATE: consente all’applicazione di chiamare numeri di telefonosenza il tuo intervento. Ciò può comportare chiamate o addebiti imprevisti. Tieni presente che ciò non consente all’applicazione di chiamare numeri di emergenza. Applicazini dannose potrebbero generare dei costi effettuando chiamate senza la tua conferma
  2. CONTROLLARE TELEFONATE: consente all’applicazione di accedere alle funzioni telefoniche del dispositivo. Questa autorizzazione consente all’applicazione di determinare il numero di telefono e gli ID dei dispositivi, se una chiamata è attiva ed il numero remoto connesso da una chiamata
  3. FOTOCAMERA: Consente all’applicazione di scattare foto e riprendere video con la fotocamera. Questa autorizzazione consente all’applicazione di utilizzare la fotocamera in QUALSIASI MOMENTO senza la tua conferma. Attenti anche a “I”.
  4. REGISTRAZIONE AUDIO: consente all’applicazione di registrare audio con il microfono. Questa autorizzazione consente all’applicazione di registrare audio in QUALSIASI MOMENTO senza la tua conferma
  5. POSIZIONE APPROSSIMATIVA: consente all’applicazione di accedere alla tua posizione approssimativa grazie ai ripetitori di telefonia mobile e alle antenne wifi
  6. POSIZIONE PRECISA: Consente all’applicazione di determinare la tua posizione esatta grazie al GPS o fonti di geolocalizzazione come ripetitori di telefonia mobile e wifi
  7. LETTURA CONTATTI PERSONALI: consente all’applicazione di leggere i dati relativi ai tuoi contatti memorizzati sul telefono inclusa la frequenza con cui hai effettuato chiamate.Inoltre permette all’applicazione di salvare i dati dei tuoi contatti. (..) potrebbero condividere i dati dei tuoi contatti a tua insaputa
  8. MODIFICA DEI CONTATTI PERSONALI: Consente all’applicazione di modificare i dati relativi ai contatti memorizzati sul telefono, inclusa la frequenza con cui hai effettuato chiamate, inviato email o comunicato in altri modi con contatti specifici.(..) consente all’applicazione di eliminare i dati dei contatti
  9. REGISTRO CHIAMATE: consente all’applicazione di modificare il registro chiamate del telefono inclusi i dati sulle chiamate in arrivo e in uscita. (..) potrebbe farne uso per modificare o cancellare il registro chiamate
  10. ARCHIVIO USB: consente all’applicazione di scrivere nell’archivio USB, modificare o eliminare contenuti
  11. DOWNLOAD DATI DA INTERNET: consente all’applicazione di scaricare i file tramite gestione dei download senza mostrare alcuna notifica all’utente
  12. RECUPERO APPLICAZIONE IN ESECUZIONE: consente all’applicazione di recuperare informazioni sulle attività attualmente e recentemente in esecuzione. Ciò potrebbe consentire all’applicazione di scoprire informazioni sulle applicazioni in uso sul dispositivo
  13. http://lagrandeopera.blogspot.com/2013/09/la-nuova-app-di-facebook-un-vero.html

In Svizzera il governo respinge la legge che proibisce ai pedofili di lavorare coi bambini

23 settembre 2013
di Edoardo Capuano – Posted on 18 settembre 2913
 
Consiglio FederalePEDOFILIA – Incredibile: l’area sinistroide del Parlamento è riuscita a far respingere l’iniziativa che voleva impedire ai pedofili di lavorare con i bambini. Roberta Pantani: “È una vergogna”.

Susciterà molte polemiche la decisione del Consiglio Nazionale di rifiutare l’iniziativa UDC che impediva alle persone condannate per pedofilia di lavorare a stretto contatto con i bambini.

Una proposta che è stata OVVIAMENTE approvata dai due Consiglieri Nazionali leghisti Roberta Pantani e Lorenzo Quadri, ma che ha clamorosamente incontrato l’opposizione dell’area sinistrorsa del parlamento.

Dopo la votazione, terminata 88 a 88 con 14 astenuti, la palla è passata in mano alla presidente del Consiglio Nazionale Maya Graf, dei Verdi. In molti, dato che la Graf è anche assistente sociale, erano convinti che avrebbe approvato l’iniziativa, ma sono stati delusi, dato che la presidente verde ha deciso di respingere l’iniziativa.

Che quindi tornerà al Consiglio degli Stati, che probabilmente riproporrà al parlamento il controprogetto che era già stato respinto dai parlamentari “moralizzatori”. Roberta Pantani: “L’esito di questa votazione è davvero una vergogna. Quanto successo nei giorni scorsi dovrebbe far riflettere certe persone, facendo capire che gli autori di certi reati devono stare lontani da bambini e donne.

Eppure, nel nome di chissà bene quale moralità, (andidiscriminatoria ndr) c’è chi ancora si rifiuta di utilizzare una linea dura che per alcuni criminali sarebbe più che sacrosanta. Ma mi chiedo, chi ha votato contro questa iniziativa lascerebbe che dei pedofili accompagnassero a scuola o insegnassero nuoto ai loro figli?”.

Autore: MS / Fonte: mattinonline.ch